Come premesso nell’approfondimento della scorsa settimana, firmato da Isaia Sales dedicato ad una lettura critica del disegno di legge sull’autonomia differenziata, pubblichiamo l’intervista al Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia che analizza in maniera differente la riforma in atto e le prospettive che apre per il paese.
Il contributo di Luca Zaia *
Oltre che fondamentale, ritengo sia una riforma necessaria e inevitabile. È una battaglia in cui ho sempre creduto e con me i cittadini della mia Regione che al referendum consultivo sono andati a votare in 2 milioni 328 mila 947, esprimendo oltre il 98% di voti favorevoli. In questi giorni provo grande soddisfazione: fino a non molto tempo fa sembrava non si muovesse una foglia, ora il ddl ha superato l’esame del Senato ed è approdato già a Montecitorio. Ma più ancora, se ne parla in maniera chiara e inequivocabile; siamo usciti dalle interpretazioni nebulose o, ancor peggio, pretestuose come quella che si tratti della secessione dei ricchi.
È chiaro che non è una battaglia solo di Zaia e pochi altri. Anche la premier Meloni, in più occasioni, ha sottolineato che autonomia differenziata non significa togliere a una regione per dare a un’altra, ma garantire ad ognuna l’occasione storica di avere una responsabilità diretta, cominciando a gestire con oculatezza e senza sprechi le proprie risorse, e potendo così legittimamente puntare a nuove competenze.
Lo stato d’animo dei cittadini dovrebbe essere positivo, e sono convinto che lo sia nonostante ci sia chi semina preoccupazioni ad arte. Sono più di trent’anni che viene presentata la necessità nel Paese di riforme senza che ci sia stato alcun riscontro. Ora siamo ad un passo dall’unica riforma possibile, quella che può portare l’Italia nella modernità e innescare meccanismi virtuosi a cascata.
Come risponde alle numerose voci critiche che paventano il rischio che possa aumentare un divario già esistente tra due Italie che procedono a velocità differente?
Il divario è già esistente, e non da oggi. Se in alcune zone d’Italia i cittadini sono costretti a fare le valige per curarsi altrove in una struttura sanitaria all’altezza, la causa non è l’autonomia che ancora non è mai stata applicata. È piuttosto il centralismo che, nel corso dei decenni, ha portato a questa situazione con un sistema assistenzialistico anziché investendo sulle potenzialità e le reali capacità dei territori.
L’approvazione del disegno di legge portato avanti dal ministro Calderoli può, invece, dimostrare il contrario. C’è una cabina di regia al lavoro per definire i livelli essenziali di prestazione, i Lep. Sono indispensabili, si tratta di un fatto di civiltà perché vanno garantiti gli stessi diritti sociali e civili a tutti cittadini da Campione d’Italia a Canicattì. Ad esempio, continuando a parlare di sanità, tutti devono avere le stesse opportunità di cura. Lep e l’autonomia diventano, così, un combinato disposto per fare emergere e, quindi, correggere le inefficienze.
I Lep sono stati richiesti soprattutto dal Sud, pensa che potrebbero trasformarsi in un boomerang per questa parte del paese?
I Lep sono uno strumento di civiltà che ci ricordano come l’autonomia non è una fuga in avanti di nessuno e deve mantenere i parametri di uguaglianza e solidarietà in tutto il territorio nazionale. Ma ciò non toglie, a volte ne ho la sensazione, che per alcuni siano il bastone da mettere tra le ruote del percorso autonomista. Personalmente, da subito, ho dichiarato di non avere nulla contro i Lep, anzi.
Questo, però, come ho già accennato, ci deve far considerare un fatto imprescindibile: una volta definiti, nessuno si potrà sottrarre dall’applicazione. I Lep non sono un regalo e quando dovesse emergere che il problema della mancanza di erogazione di un livello essenziale di prestazione non dipende dalla disponibilità di soldi ma dall’inefficienza della macchina che li gestisce qualcuno deve renderne conto ai cittadini. Torniamo al discorso della ‘vera assunzione di responsabilità; questa è una riforma per uscire dai danni che lo statalismo ha fatto in questi decenni. Per questo confermo che è una grande occasione anche per il Sud del Paese.
In particolare, cosa cambierà, in positivo, in merito ai servizi per i cittadini sottesi ad alcune delle materie che rientrano tra le 23 competenze che potrebbero diventare esclusive delle Regioni?
La Costituzione stabilisce un massimo di 23 materie che rappresentano altrettante competenze che una regione può chiedere di amministrare esclusivamente. Come Veneto abbiamo un solido progetto su cui andare a trattare per un’intesa che ci veda protagonista in tutte e 23. La portata di ambiti è ampia. Ogni regione potrà trattare il numero di competenze per cui si sente ed è preparata.
Ma, oltre a ciò, la vera rivoluzione che dovrebbe favorire i cittadini è l’accorciamento delle distanze nella catena decisionale. In quelle materie l’amministratore risponde direttamente ai cittadini senza più alibi. Se capiamo questo, comprendiamo chiaramente perché l’allora Presidente della Repubblica Napolitano ha definito l’autonomia così: una vera assunzione di responsabilità.
Venendo ai temi di cui si occupa principalmente Avviso Pubblico, ossia la prevenzione e il contrasto alle mafie e alla corruzione, un impegno che vede la Regione Veneto in prima linea: in che modo pensa si possano rafforzare con l’autonomia differenziata. Non c’è il rischio che si intacchi un fronte unitario nelle strategie e politiche per prevenire e combattere?
Le strategie unitarie che saranno destinate a rimanere in capo allo Stato nessuno le metterà in discussione. Ma l’autonomia può rendere più forte l’azione per quanto di competenza regionale come godere di strumenti risolutivi per ridurre miratamente la burocrazia inutile che molto spesso rischia diventare il brodo di coltura di varie forme di corruzione.
Penso ad esempio al caso di grandi opere pubbliche, accorciare le distanze tra cittadini e potere decisionale chiama a una trasparenza assoluta della destinazione dell’impiego del denaro che deve dare frutto percorrendo le vie giuste ed essere impiegato in piena limpidezza e totale legalità. Le strategie sono fatte sul territorio, basate sulla collaborazione tra le varie istituzioni, le amministrazioni, le categorie e le parti sociali.
Per quanto riguarda le mafie, poi, nessun territorio può più considerarsi immune. In Veneto, fino a qualche anno fa, eravamo convinti di essere indenni. Ci siamo dovuti, invece misurare con infiltrazioni malavitose e mafiose. Sono fatti che si riverberano con gravissimi danni al tessuto sociale e alle attività produttive oltre che all’immagine della Regione.
L’amministrazione regionale si è costituita parte civile nel processo sulla presenza mafiosa in un centro del litorale ed io stesso, come governatore, mi sono recato a deporre in Tribunale. Penso che affrontare un momento simile come rappresentante legale di una regione che gode di autonomia avrebbe avuto certamente maggiore incisività.
Quali saranno, in tempi brevi, i segnali che potranno rassicurare gli italiani, sia gli amministratori, sia i cittadini amministrati, sulla necessità e l’efficacia effettiva del disegno di legge?
Un modo di dire recita: si chiude una porta e si apre un portone e l’autonomia è il vero portone da aprire. Non è soltanto una riforma che coinvolge le istituzioni ma entra nel vivo della cultura politica. Anche per questo pensiamo possa essere portata avanti con passi graduali; è per questo che si chiama differenziata. Il suo primo miracolo, una volta a regime, sarà quello di ridare vitalità a questo Paese e farlo uscire dal medioevo istituzionale, oltretutto adempiendo al dettato della Costituzione.
*Presidente della Regione Veneto