Ergastolo ostativo: sintesi della Relazione approvata dalla Commissione Antimafia

 

PREMESSA. Il 12 aprile 2022 la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere ha approvato la Relazione sull’istituto di cui all’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario e sulle conseguenze derivanti dall’ordinanza della Corte Costituzionale nr. 97 del 2021, che fa seguito a quella già precedentemente approvata nella seduta del 20 maggio 2020 che affrontava le ripercussioni delle pronunce della CEDU e della Corte Costituzionale.

Capitolo 1 (La sentenza della Corte EDU del 13 giugno 2019, Viola contro Italia). A differenza dell’ergastolo “ordinario”, disciplinato dall’art. 22 del c.p. e ritenuto compatibile con l’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (che vieta pene e trattamenti inumani e degradanti e comporta la riducibilità della sanzione astrattamente perpetua comminata con la sentenza, garantendo l’ammissione alla liberazione condizionale dopo aver scontato 26 anni di detenzione al condannato che abbia dimostrato un sicuro ravvedimento), nel caso oggetto alla presente sentenza, che prevede la condanna all’ergastolo ostativo, sebbene fossero già stati scontati ventisei anni di pena, l’accesso alla liberazione condizionale, agli altri benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione risulta subordinato alla condizione della collaborazione con la giustizia. La Corte europea ha, pertanto, ritenuto che la pena perpetua applicata al ricorrente ritenuto capo e promotore, risultante dell’applicazione combinata dell’articolo 22 del codice penale con gli articoli 4-bis e 58-ter dell’O.P., non possa essere qualificata come «riducibile» ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione e ha quindi ritenuto sussistente la violazione dello stesso articolo. La natura della violazione accertata impone allo Stato di attuare, di preferenza per iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione dell’ergastolo che garantisca la possibilità di riesame della pena.

Capitolo 2 (La sentenza della Corte Costituzionale nr. 253 del 2019). La Corte costituzionale si è pronunciata solo in merito ai permessi premio, dichiarando l’incosti­tuzionalità della presunzione assoluta di pericolosità del soggetto condannato per uno dei delitti elencati nell’articolo 4-bis dell’O.P. e non anche sull’ergastolo ostativo. La presunzione assoluta di pericolosità del soggetto condannato per taluno dei reati elencati nell’articolo 4-bis dell’O.P., superabile esclusiva­mente dalla condotta collaborativa, ha costituito un meccanismo fonda­mentale nel processo di smantellamento delle organizzazioni criminali ed ha permesso di scoprire le consor­terie mafiose, chiarirne il funzionamento, la struttura, le responsabilità, individuare gli associati e di prevenire in molte occasioni la commissione di gravi delitti. D’altro canto, va tenuto conto della rilevanza che assume il trascorrere del tempo nella fase di esecuzione della pena, che può comportare trasformazioni rilevanti non solo sulla personalità del detenuto ma anche nel contesto esterno (si pensi, ad esempio, al caso in cui l’associazione criminale di riferimento del detenuto non esista più, perché interamente sgominata o per naturale estinzione). Tanto premesso, a fronte della trasformazione della presunzione assoluta di pericolosità in presunzione relativa per effetto della predetta sentenza, nuove soluzioni normative sono necessarie per regolare la pos­sibilità di offrire prova contraria.

Accanto ai reati tipicamente espressivi di forme di criminalità organizzata, compaiono ora anche reati che non hanno necessariamente a che fare con tale criminalità, ovvero che hanno natura mono-soggettiva, reati quali la prostituzione minorile, la pornografia minorile, la violenza sessuale di gruppo, il favoreggiamento dell’immigra­zione clandestina e, da ultimo, quasi tutti i reati contro la Pubblica Amministrazione. Trattasi di fattispecie di reato cui il legislatore ha voluto attribuire un parti­colare disvalore inserendole nell’articolo 4-bis dell’O.P. Per detti reati che potrebbero essere definiti di «seconda fascia» non andrà valutata la sussistenza di collegamenti con la criminalità orga­nizzata, ma l’attualità della pericolosità sociale del condannato ed i rischi connessi ad un reinserimento nella società sulla base di elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo di ripristino degli stessi.

 

Capitolo 3 (La sentenza della Corte Costituzionale nr. 32 del 2020). Uno dei temi su cui la Commissione ritiene opportuno richiamare l’attenzione del legislatore concerne la neces­sità che il testo di modifica dell’articolo 4-bis dell’O.P. sia accompagnato da una norma transitoria che disciplini la successione delle leggi nel tempo. Nelle sentenze emesse dalla Consulta e dall’orientamento giurisprudenziale costante della Corte di Cassazione vengono considerate applicabili le modifiche in peius anche ai condannati che abbiano com­messo reati prima dell’entrata in vigore delle modifiche stesse e che ritengono che le norme sull’esecuzione della pena non abbiano carattere di norme sostanziali ma processuali, applicandosi quindi il principio tempus regit actum. Secondo tale orientamento, le norme che disciplinano le modalità di espiazione della pena detentiva non sarebbero così soggette al principio di irretroattività della legge penale, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione: sarà, dunque, compito del Parlamento valutare se la riforma in procinto di essere promulgata sia in concreto peggiorativa delle modalità di esecuzione della pena. In merito, precise indicazioni sono state fornite dal giudice delle leggi con la sentenza n. 32 del 26 febbraio 2020, che ha dichiarato illegittima l’applicazione retroattiva della legge 9 gennaio 2019, n. 3, nelle disposizioni con le quali estende ai reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni alle misure alternative alla detenzione previste dall’articolo 4-bis dell’O.P. La Corte costituzionale ha stabilito, infatti, che nel caso di modifica della natura, qualità e quantità della pena operi il divieto di retroattività.

 

Capitolo 4 (La sentenza della Corte Costituzionale nr. 113 del 2020). La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 30-ter, comma 7, dell’O.P. nella parte in cui prevede che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro 24 ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di 15 giorni. Sinteticamente, la Corte premette che nella versione originaria del­l’ordinamento penitenziario erano previsti solo, all’articolo 30 dell’O.P., i permessi cosiddetti «di necessità» concedibili al detenuto nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente nonché per altri eventi di particolare gravità. Aggiunge che la disciplina dei permessi premio di cui all’articolo 30-ter dell’O.P., introdotta nel 1986 con la Legge Gozzini, dispone che i relativi provvedimenti sono soggetti a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’articolo 30-bis, con un termine di ventiquattro ore.

Capitolo 5 (L’ordinanza della Corte Costituzionale nr. 97 del 2021). La Consulta è stata investita dalla Corte di cassazione della questione di legittimità costituzionale degli articoli 4-bis, comma 1, e 58-ter dell’O.P. e dell’articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nella parte in cui escludono che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato all’ergastolo per delitti aggravati ex articolo 7 del decreto-legge citato che non abbia collaborato con la giustizia. Nel caso specifico si trattava di un detenuto che aveva scontato oltre ventisei anni di carcere, anche grazie a provvedimenti di liberazione anticipata, nei riguardi del quale il giudice remittente aveva eccepito l’effetto preclusivo assoluto della mancata collaborazione che impedisce di valutare nel merito l’istanza non essendovi stata collaborazione né accertata impossibilità o inesigibilità della collaborazione medesima. L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale ha portato ad affer­mare che la collaborazione della giustizia non necessariamente è simbolo di credibile ravvedimento e risocializzazione (potendo essere resa allo scopo di ottenere i benefici previsti dalla legge) e, di converso, la scelta di non collaborare può essere determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con le associazioni criminali di riferimento (tra le motivazioni alternative, il timore di conseguenze per la famiglia o per la sicurezza dei propri cari, le autoincriminazioni per fatti non ancora giudicati).

 

Capitolo 6 (La sentenza della Corte Costituzionale nr. 20 del 2022). La Corte costituzionale, dopo aver sinteticamente ricostruito i muta­menti apportati alla disciplina quale risultante dalla sentenza nr. 253 del 2019, si è soffermata sul «contenuto degli oneri dimostrativi» utili a superare la presunzione. La prevalente giurisprudenza di legittimità ha colto una «differenza ontologica» tra le due categorie di detenuti: occorre, dunque, distinguere «la posizione di chi può collaborare ma soggettivamente non vuole (silente per sua scelta)», da quella di chi «vuole collaborare ma oggettivamente non può (silente suo malgrado)». Il carattere volontario della scelta di non collaborare costituisce un sintomo di allarme, tale da esigere anche l’acquisizione di elementi idonei ad escludere il pericolo del ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata; ove, invece, la collaborazione non possa essere prestata, la giurisprudenza di legittimità ritiene che l’atteggiamento del detenuto abbia un significato neutro, potendosi così circoscrivere il tema di prova, per superare il regime ostativo, all’esclusione di attualità dei collegamenti. La valutazione delle motivazioni di tutti i detenuti non collaboranti (per scelta o per impossibilità) potrà sempre avvenire ed essere valorizzata nella fase dell’esame concernente la valutazione della meritevolezza del permesso premio richiesto. Conseguentemente la Corte ha dichiarato non fondata la questione in riferimento all’articolo 3 della Costituzione e dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale in riferimento all’articolo 27, terzo comma, della Costituzione.

Capitolo 7 (L’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Perugia del 23 settembre 2021). Con tale ordinanza, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4-bis, comma 1, dell’O.P. nella parte in cui non prevede che ai detenuti per delitti diversi da quelli di cui all’articolo 416-bis del codice penale e da quelli commessi con metodo o finalità mafiosa, che non abbiano collaborato con la giustizia, possa essere concesso l’affidamento in prova al servizio sociale, quando siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti.

 

Capitolo 8 (L’audizione della Ministra della giustizia, Marta Cartabia). Secondo la ministra si potrebbero prevedere specifiche condizioni e costruire specifiche procedure per l’accesso alla liberazione condizionale e agli altri benefici penitenziari in caso di reati connessi alla mafia, procedure e condizioni diverse, più rigorose rispetto a quelle applicabili agli altri detenuti. In tale contesto ha suggerito che il Parlamento preveda specifiche prescrizioni, indicazioni e richieste «che governino il periodo della libertà vigilata, anche regolandone diversamente la durata». La sfida per il Parlamento risiede, dunque, nell’individuare tali «regole speciali», stabilendo «un regime adeguato che consenta la liberazione condizionale per i condannati di mafia anche se non collaboranti, tenendo conto però delle particolari caratteristiche dei reati di associazione mafiosa e che le condizioni di accesso ai benefici dovranno essere diverse rispetto a quelle previste per chi collabora. Lo dice espressamente la Corte: «La mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta, è comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità speci­fica.»

Capitolo 9 (L’inchiesta parlamentare: analisi e proposte emerse nel corso delle audizioni). La Commissione, tenuto conto dell’ordinanza nr. 97 del 2021 della Corte costituzionale, ha ritenuto necessario avviare un rapido ciclo di audizioni per valutare la portata concreta della pronunzia e prospettare soluzioni costituzionalmente orientate che salvaguardino i car­dini di una efficace politica di contrasto alla criminalità organizzata. Nello specifico sono stati sentiti:

  • Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Napoli: Giovanni Melillo. L’audito ha auspicato una complessiva riorganizzazione dei circuiti penitenziari in quanto il solo regime di cui all’articolo 41-bis dell’O.P. è disciplinato da norme di legge, mentre il sistema dell’alta sicurezza si fonda su mere circolari emanate dal Dipartimento dell’amministrazione peniten­ziaria. Ha richiamato l’attenzione della Commissione sulla realtà degli istituti penitenziari, di fatto controllati dalle organizzazioni mafiose che, «da un lato, si sottraggono a ogni controllo e, dall’altro, generano oppressioni sistematiche e condizioni di brutale asservimento degli altri detenuti». Si tratta di una situazione di inequivocabile allarme, tanto che «si può persino giungere a dire che le organizzazioni mafiose partecipano al governo della sicurezza del carcere, anche per conservare i vantaggi correlati alla debo­lezza delle funzioni di controllo e ciò malgrado l’abnegazione e la professionalità di tanti operatori dell’amministrazione penitenziaria»;
  • Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma: Francesco Lo Voi. Secondo l’audito, il legislatore deve tenere in considerazione le patologie in quanto, tuttora, i boss mafiosi comandano in carcere, aumentano il loro prestigio acquisendo consenso e facendo adepti anche attraverso la consegna dall’esterno di beni alimentari poi regalati ad altri detenuti, così affermando il proprio potere all’interno della popolazione carceraria, manifestando la caratura criminale e riaffermando la supremazia di «capo». E, infatti, il regime dell’articolo 41-bis dell’O.P. è nato proprio per evitare tali contatti.
  • Il costituzionalista Marco Ruotolo ritiene che la concessione del permesso premio (e, in prospettiva, della liberazione condizionale e delle c.d. misure intermedie) presupponga la revoca del provvedimento ministeriale o la sua mancata proroga, ben potendosi affermare in tal modo, che la ostatività sarebbe sempre reversibile, proprio con il venire meno di quegli elementi che abbiano fatto ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva. Ad avviso del docente universitario, solo la previsione normativa di una pregiudizialità espressa renderebbe tecnicamente inammissibile la richiesta di accesso ai benefici. L’audito ha tenuto a sottolineare che, comunque, l’onere dimostrativo posto a carico del condannato per accedere ai benefici deve: essere assolvibile, avere caratteristiche di oggettività, prevedere la possibilità di presentare controdeduzioni rispetto a dati acquisiti. In caso contrario, si avrebbe un’apertura priva di effettività. Propone, dunque, di seguire lo schema logico delle misure di preven­zione con allegazione di elementi di fatto, in modo da «consentire un giudizio complessivo sulla evoluzione della personalità del condannato che permetta una valutazione prognostica favorevole alla concessione del beneficio, non potendosi mai avere “certezza” circa l’assenza di un mero “pericolo”».
  • Il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano: Giovanna Di Rosa ha enucleato le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nell’or­dinanza nr. 97 del 2021 sulla necessità di distinguere tra i condannati all’ergastolo per reati connessi con la criminalità organizzata dagli altri ergastolani, tra il condannato all’ergastolo che non collabora da quello che collabora, dovendosi differenziare il regime probatorio neces­sario per superare la presunzione di pericolosità del condannato all’ergastolo non collaborante.
  • Il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Trieste: Giovanni Maria Pavarin ha prospettato che avverso la decisione del tribunale di sorveglianza sui permessi premio dovrebbe essere previsto il reclamo davanti alla Corte di Appello, integrando il collegio togato con «esperti». Il tribunale di sorveglianza dovrebbe essere competente per i reati più gravi e solo per la concessione (o il diniego) del primo permesso premio, potendosi poi prevedere la competenza del magistrato di sorveglianza. In tale contesto, l’audito ha ritenuto opportuno ricordare l’importanza del giudizio di prossimità, sottolineando la necessità per il magistrato di sorveglianza di seguire il percorso rieducativo svolto dal detenuto.
  • Il consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura Sebastiano Ardita ha sottolineato come risulti fondamentale, nel giudizio prodromico alla concessione dei benefici, più che l’apprezzamento della «capacità/inidoneità del detenuto di collegarsi con l’esterno», un giudizio sullo stato di «salute» dell’associazione mafiosa e della capacità della medesima di infiltrarsi nelle carceri e di raggiungere i propri sodali.

Capitolo 10 (Le conseguenze degli interventi de giudice delle leggi). Il permesso premio, il lavoro all’esterno, l’affidamento in prova, la semilibertà, la liberazione condizionale sono gli istituti previsti dall’ordinamento penitenziario per arrivare, gra­dualmente, alla liberazione del condannato che ha seguito un percorso rieducativo valutato positivamente dalla magistratura di sorve­glianza. I principi posti alla base delle norme attengono alla proporzionalità, alla progressività del trattamento penitenziario, al divieto di automatismi, alla legittimità di trattamenti differenziati e alla non regressione trattamen­tale.

I detenuti non collaboranti, a norma dell’articolo 58-ter dell’O.P., condannati per il reato di cui all’articolo 416-bis del codice penale e per i delitti di contesto mafioso, possono chiedere un permesso premio quando siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata sia il pericolo del ripristino degli stessi.

L’incostituzionalità dell’ergastolo cosiddetto «ostativo» sembrerebbe ormai acclarata ed è stato dato un «congruo tempo» al legislatore per rivedere la complessa materia dell’esecuzione penale, atteso che «un intervento meramente “demolitorio” potrebbe mettere a rischio il comples­sivo equilibrio della disciplina e (…) le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa». Il giudice delle leggi auspica, quindi, interventi che eliminino l’inco­erenza atteso che, ove vengano accolte le questioni sollevate, non verrebbe modificata «la condizione dei condannati all’ergastolo per reati non connessi alla criminalità organizzata».

Capitolo 11 (La relazione della Commissione approvata il 20 maggio 2020). La Commissione parlamentare antimafia aveva proposto di limitare ai reati di prima fascia indicati dalla Corte costituzionale un regime probatorio rafforzato, fissando un altro tipo di doppio binario, non un trattamento diverso e più rigoroso, ma un più rigoroso procedimento di accertamento da parte della magistratura di sorveglianza dei presupposti per la concessione del beneficio, con la scansione più rigida delle fasi della verifica sul venir meno dei legami con l’organizzazione criminale, attraverso un’allegazione della stessa parte istante, basata su elementi fattuali precisi, concreti ed attuali, dell’esclusione del mantenimento dei contatti con l’organizzazione mafiosa e del pericolo di ripr Quanto agli altri reati cosiddetti di « seconda fascia », aventi natura mono-soggettiva o non di contesto mafioso ma ritenuti dal legislatore di particolare gravità, la Commissione aveva proposto la valutazione, ai fini della concessione del beneficio, non tanto della sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, quanto dell’attualità della peri­colosità sociale del condannato e dei rischi connessi ad un reinserimento nella società, prospettando accertamenti differenti e più rapidi, con l’acquisizione dei pareri del Procuratore della Repubblica e dei Comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza pubblica territorialmente competenti.

Capitolo 12 (Le prospettive di riforma). Secondo la Commissione la trasformazione della presunzione assoluta di pericolosità del soggetto condannato per uno dei reati indicati nell’articolo 4-bis dell’O.P. (cioè superabile esclusiva­ mente con la collaborazione) in presunzione relativa, operata dalla Corte costituzionale con riferimento ai soli permessi premio, dovrebbe valere con riguardo a tutti i benefici previsti dall’ordinamento penitenziario (lavoro esterno, semilibertà, affidamento in prova al servizio sociale) nonché alla liberazione condizionale disciplinata dall’articolo 176 del codice penale. Venuta meno la presunzione assoluta, «le motivazioni e le convinzioni soggettive di tutti i detenuti non collaboranti (per scelta o per impossibi­lità)» non sono irrilevanti. Afferma, infatti, la Corte che «la loro valuta­zione potrà sempre avvenire, ed essere opportunamente valorizzata, nella fase dell’esame concernente la valutazione della “meritevolezza” del per­ messo premio richiesto». Sarà compito, quindi, della magistratura tenere conto delle ragioni della mancata collaborazione al fine di verificare l’assenza di collegamenti attuali con il mondo criminale di appartenenza e il pericolo di ripristino.

In considerazione di quanto emerso dal ciclo di audizioni e dal dibattito in Commissione, si potrebbero ripristinare le due fasce di reati, aggiungendo all’articolo 4-bis dell’O.P. un ulteriore comma che preveda il regime probatorio differenziato solo per i più gravi delitti associativi e di contesto mafioso e quelli commessi per finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico mediante il compi­mento di atti di violenza.

La Commissione parlamentare di inchiesta ribadisce quanto già prospettato nella precedente relazione sulla necessità di garantire una circolarità delle informazioni e favorire il lavoro della magistratura di sorveglianza e propone nuovamente di:

– costituire, implementare e utilizzare nei confronti di tutti i detenuti e internati di cui all’articolo 4-bis, comma 1, dell’O.P. il sistema elettronico dei detenuti (SIDET) in modo aggiornato e completo, affinché i dati ivi contenuti possano essere adeguatamente valorizzati dal magistrato o dal tribunale di sorveglianza per la valutazione sulla concessione dei benefici penitenziari oltreché dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo per esprimere il relativo parere;

– istituire la bancadati nazionale dei carichi pendenti, nonché delle misure di prevenzione, strumenti ora indispensabili anche per la magistra­tura di sorveglianza e per la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, per meglio valutare le istanze presentate, l’attualità della pericolosità sociale e l’eventuale spessore criminale del condannato;

– acquisire informazioni di natura economica sul detenuto istante, condannato per uno dei delitti previsti dal comma 1 dell’articolo 4-bis dell’O.P., attraverso accertamenti patrimoniali e sul tenore di vita del nucleo familiare, con verifiche fiscali, analogamente a quanto previsto dall’articolo 79 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 al fine di accertare la sussistenza o meno di legami attuali con il mondo della criminalità organizzata di riferimento.

La Commissione ritiene opportuno che il tribunale di sorveglianza, ove l’istante deduca forme risarcitorie o di giustizia riparativa nei confronti delle parti lese o delle vittime, svolga indagini per accertare la provenienza lecita dei mezzi economici, ben potendo l’offerta di una somma di denaro, incompatibile con i redditi dichiarati, rappresentare sintomo della continuità di collega­ menti con l’associazione criminale di appartenenza.

Conclusioni. La Commissione auspica che il legislatore, che ha in corso la discussione di un disegno di legge:

  1. a) estenda la possibilità di accedere a tutti i benefici anche ai condannati non collaboratori, ritenendosi tali interventi conformi alle prescrizioni dettate dalla Corte costituzionale nelle pronunzie esaminate: non solo il permesso premio, ma anche le misure intermedie che precedono, l’eventuale concessione della liberazione condizionale;
  2. b) operi una differenziazione, all’interno dei delitti ricompresi nell’articolo 4-bis dell’O.P. vigente, tra reati di prima fascia e di seconda fascia, prevedendo un regime probatorio diverso, atteso che la Consulta ha più volte ribadito che l’articolo 4-bis dell’O.P. è diventato un contenitore che non assicura più la rescissione dei legami con il mondo criminale di appartenenza (mafioso o terroristico): va distinta la criminalità organizzata di tipo mafioso o terroristico-eversiva con un diverso onere probatorio da quei reati che, pur contenuti nel comma 1 dell’articolo 1, non siano in tale ambito;
  3. c) valuti di prevedere l’esame delle ragioni della mancata collaborazione (silenti per scelta e silenti loro malgrado) al fine di verificare non solo l’assenza di attualità dei collegamenti;
  4. d) valuti di prevedere la competenza del tribunale di sorveglianza territorialmente competente per le istanze presentate dai detenuti, condan­nati per i delitti di prima fascia, ivi compresa la concessione provvisoria dei benefici;
  5. e) valuti di prevedere una norma transitoria, ove siano rese peg­giorative le modalità di esecuzione della pena in base ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 26 febbraio 2020;
  6. f) emani un’ulteriore norma transitoria che preveda le situazioni pendenti all’entrata in vigore relative ai detenuti che hanno già ottenuto il riconoscimento della collaborazione impossibile, oggettivamente irrilevante inesigibile o che hanno fatto istanza di riconoscimento ovvero che stiano usufruendo di benefici;
  7. g) provveda a modificare gli articoli 30-bis e 30-ter dell’O.P. in relazione al termine di quindici giorni stabilito dalla Corte costituzionale, per proporre reclamo avverso l’ordinanza di rigetto o accoglimento del permesso premio;
  8. h) preveda una pregiudizialità espressa per rendere inammissibile, per assenza di un presupposto di legge, la richiesta di accesso ai benefici da parte dei detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41-bis dell’O.P.

Questi detenuti potranno presentare istanza di accesso ai benefici, a partire dal permesso premio, solo dopo la revoca o la mancata proroga del provvedimento del Ministro. La Commissione segnala che in tal modo il legislatore, nella sua autonomia di azione, potrà «trovare il punto di equilibrio» auspicato dalla Corte costituzionale, per evitare la pronuncia di illegittimità sulla questione oggetto dell’ordinanza di rimessione o il ricorso, da parte del giudice delle leggi, allo strumento dell’illegittimità consequenziale. La Corte, ritiene la Commissione, in presenza di un intervento legislativo, all’esito dell’udienza pubblica del 10 maggio 2022, potrebbe restituire gli atti al giudice remittente, e, quindi, alla Corte di cassazione affinché rivaluti la persistente rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni. Ove il giudice remittente risollevi questione di legittimità costituzio­nale, la Consulta rivaluterà di nuovo il tema dell’ergastolo ostativo e potrà pronunciare una sentenza interpretativa di accoglimento o di rigetto ovvero dichiarare la incostituzionalità delle norme.

(a cura di Ludovica Simbula, Master APC dell’Università di Pisa)