La commissione Giustizia del Senato ha dato il primo via libera all’articolo 1 del disegno di legge Nordio, che prevede l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. Nell’attesa di capire se l’Italia, proprio mentre l’Unione europea sta predisponendo una direttiva per renderlo obbligatorio negli stati membri in cui non è presente, vorrà privarne l’ordinamento, approfondiamo con il professor Enrico Carloni, ordinario di diritto amministrativo nell’Università degli studi di Perugia, cosa ha rappresentato, perché è stato criticato e cosa potrebbe accadere ad amministratori e cittadini se venisse eliminato il reato di abuso di ufficio.
Il contributo di Enrico Carloni*
“La situazione che si profila è gravissima. Se il reato di abuso di ufficio, introdotto nel nostro ordinamento giudiziario sin dall’Ottocento per tutelare i cittadini dalla gestione arbitraria del potere, già ridimensionato dalla riforma prevista dal precedente governo Conte, dovesse essere definitivamente abrogato, avremmo gli stessi cittadini esposti, senza nessuna rete di protezione, all’arbitrio del potere.
“Ci sono due forme in cui si può manifestare l’abuso: in un rapporto bilaterale, quando si riceve del denaro per esercitare il proprio potere a favore di chi lo offre, ma anche in una forma unilaterale se si decide di usare la posizione di potere acquisita per avvantaggiare i propri protetti, o per danneggiare i propri avversari.
“I cittadini italiani saranno esposti al rischio che si possa liberamente verificare questa seconda ipotesi, senza possibilità di controlli o elementi che dissuadano da fare tale uso distorto del potere. Va subito chiarito che i controlli amministrativi, di per sé deboli, sono spesso formali e non riescono a rilevare condotte dolose che solo le indagini giudiziarie riescono a fare emergere”.
Eppure, la notizia dell’eventuale abolizione del reato è stata accolta da parte di molti amministratori, rappresentanti di diversi schieramenti politici, con sollievo. Hanno motivato, descrivendo il reato come un freno e un cappio per coloro che ne sono stati accusati o hanno rischiato di esserlo, ribadendo inoltre dubbi sull’efficacia reale, dato il basso numero di condanne a cui ha portato.
“Mi sembra la conferma di come la cultura dell’impunità sia trasversale e si affianchi alla volontà di avere sempre più poteri in una logica rudimentale. Gli amministratori sanno che nel momento in cui si trovano a gestire gli affari pubblici devono stare attenti a non far interferire in alcun modo i propri interessi privati: quello di essere sottoposti ad indagini per verificare che questo non sia avvenuto, e non si sia voluto dolosamente avvantaggiare o danneggiare altri, è un rischio del mestiere che rientra nel ruolo, e nella responsabilità, di chi esercita funzioni pubbliche.
“Per non esporsi a tale eventualità si lasciano esposti i cittadini amministrati ad un rischio ben più grave. Qualora non ci fosse più un reato che prevede un percorso articolato di verifiche, ma soprattutto consente di fare emergere la correttezza o meno delle condotte, a rimetterci saranno le fasce della popolazione più deboli che non vedranno più rispettato il principio di uguaglianza. È chiaro che ridurre i controlli sull’abuso di potere favorisce discriminazioni e prevaricazioni, e sono i più deboli, e i meritevoli, a risentirne maggiormente.
“Se poi si guardasse all’efficacia di un reato dal numero delle condanne a cui sono giunti i procedimenti aperti, si dovrebbero cancellare molti altri reati, ma è chiaro che un ragionamento di questo tipo è semplicistico. D’altra parte, bisogna ricordare che l’abuso di ufficio era già stato modificato, rendendo più complesse le modalità per riconoscere i limiti che conducessero ad una condanna; quindi, è chiaro che per come è attualmente disciplinato il reato non è semplice configurare, e non è semplice da provare.
“In ogni caso a mio avviso c’è una responsabilità anche dei media: l’apertura di un procedimento per abuso di ufficio non deve essere trattata subito come un indice di colpevolezza per colui o colei che è coinvolto negli accertamenti. Ribadisco, però: la soluzione per risolvere le criticità che non nego esserci, non può essere l’abolizione del reato e l’apertura alla totale impunità”.
Quali sono i rischi concreti a cui potrebbero essere esposti i cittadini.
“Il primo concreto che mi viene in mente: l’archiviazione di molte indagini, processi e persino condanne relative a favoritismi nei concorsi previsti nelle pubbliche amministrazioni. Il rischio è quello di aprire la strada a favoritismi, clientelismi, familismi, che non riescono ad essere sanzionati da altri reati (come quello di corruzione), da circostanze in cui chi decide è in una situazione di conflitto di interessi, con buona pace del principio di imparzialità.
“Dietro questa difesa di una riforma onestamente inaccettabile in una prospettiva democratica c’è un’idea per cui chi ha il potere non ne accetta le responsabilità. È il trionfo della cultura del “rassismo”: i ras liberi di gestire il proprio ruolo di potere, garantendosene sempre di più, senza una rete che fermi, contenga e riporti nel perimetro legale riconosciuto anche dalla nostra Costituzione.
“Parlo degli art. 2 e 3 oltre al 97 sull’imparzialità della pubblica amministrazione. Il mancato rispetto di tutti e tre a cui si andrebbe di fatto incontro se venisse approvata l’abrogazione, renderebbe il provvedimento a tutti gli effetti incostituzionale. È un aspetto di cui sento parlare poco. Per non parlare del rischio concreto di un colpo di spugna generale sui procedimenti in corso o già arrivati a condanna”.
Secondo alcuni giuristi, cancellando il reato d’abuso d’ufficio sparirebbero anche le 3.623 condanne definitive che sono maturate intanto negli ultimi 25 anni. Proviamo a spiegare in concreto questo punto.
“Dei penalisti potrebbero spiegarlo meglio di me, ma la questione è quella della successione delle leggi penali e del diritto del “reo” al regime più favorevole. Partiamo sempre dalla nostra Costituzione, art.25 comma 2 che esclude la possibilità di punire un fatto commesso dopo l’abrogazione o la perdita d’efficacia della norma che lo incriminava (divieto di ultrattività della legge penale).
“I sei commi dall’articolo 2 del Codice Penale definiscono nel dettaglio: nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato; nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali; in caso di condanna a pena detentiva, ove la legge posteriore preveda esclusivamente la pena pecuniaria, la prima si converte immediatamente nella seconda; secondo il principio del favor rei, nel caso in cui la legge posteriore preveda un trattamento più mite nei confronti del reo, si applicherà questa in luogo di quella in vigore al tempo in cui fu commesso il reato, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
“Quindi se si dovesse abrogare il reato di abuso di ufficio potrebbero decadere i procedimenti in corso ed anche i condannati avere diritto ad una revisione della loro situazione. In concreto un grande colpa di spugna”.
Tutto questo mentre in Europa, nella volontà di inasprire la lotta alla corruzione, si sta per approvare una direttiva che va nel senso opposto, imponendo ai paesi membri che ne fossero privi, di inserire il reato di abuso di ufficio nei propri regolamenti giudiziari.
“In tal senso potremmo assistere ad un gioco delle parti. Verrà tolto per poi essere nuovamente inserito per evitare di andare contro la direttiva europea, che si prevede sarà approvata in primavera. D’altra parte, già ora potremmo, come hanno rilevato dal Quirinale, andare contro la convenzione internazionale di Merida, ratificata dal nostro paese, che prevede il reato di abuso di potere, con le conseguenze previste dalla violazione di un accordo internazionale.
“L’approvazione della direttiva europea, a cui già l’Italia si è mostrata poco propensa, prevederebbe l’apertura di una procedura di infrazione. Il problema sarebbe però, a mio avviso, principalmente politico: mentre la Commissione europea è intenta a mettere in campo ogni strumento nella lotta alla corruzione, uno dei paesi membri indebolisce quelli a disposizione al proprio interno”.
Nell’ottica della lotta alla corruzione c’è la possibilità che l’abrogazione del reato possa facilitare le organizzazioni criminali?
“Ci sarà da ragionare su come proteggere situazioni più estreme, dove il rischio della presenza di interessi criminali negli affari pubblici è più forte: certo non sarà facile da un punto di vista penale. Si vuole procedere anche ad una modifica del reato di traffico delle influenze illecite, e d’altra parte l’abolizione del reato di abuso di ufficio inciderebbe anche sul traffico di influenze, perché renderebbe non più reato condotte di favoritismo e clientelismo: diciamo che un reato è propedeutico all’altro. Se cade uno, si indebolisce anche l’impianto dell’altro non a garanzia della difesa delle infrazioni che entrambi vorrebbero verificare e condannare, ma più di chi le commette”.
In conclusione, l’abrogazione del reato di abuso di ufficio potrebbe esporre a maggiori rischi che benefici, sia gli amministratori, sia i cittadini.
“Entrambi saranno più deboli a fronte di un rafforzamento di coloro, sia cittadini, sia amministratori, già dediti a comportamenti disonesti. Un amministratore che decide di svolgere il mandato assegnato correttamente non dovrebbe avere timore dei controlli, ma piuttosto chiedersi come rendere più trasparente il proprio operato per evitare timori e sospetti. I controlli sull’imparzialità del suo operato dovrebbero rappresentare una tutela, non un ostacolo alla sua attività.
“Proprio il numero basso di condanne e le archiviazioni dimostrano inoltre come l’esistenza del reato non renda esposti e indifesi, perché la norma prevede un iter di verifiche puntuali prima che si configuri la conferma che il reato sia stato commesso, ed in particolare va sempre provato il dolo, quindi la volontà consapevole di commettere il reato. In un contesto in cui si sono rese più elastiche anche le procedure nel codice dei contratti, a fronte di maggiori risorse da spendere, la diminuzione dei controlli amministrativi potrà rendere la situazione esplosiva.
“Ci sarà molto lavoro da fare per Avviso Pubblico per spiegare la necessità che non si privi il paese di garanzie giuridiche per rafforzare e non indebolire prevenzione e contrasto alla corruzione. Questa ipotesi di riforma ed il fatto che gode di consensi trasversali dimostrano che c’è molto da fare sul versante della cultura della legalità e delle regole democratiche”.
*professore di diritto amministrativo, Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli studi di Perugia