Premessa. Il 22 maggio 2020 il Ministero dell’Interno ha trasmesso alle Camere la Relazione sull’attività svolta nel 2019 dalle Commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, della quale qui di seguito si sintetizzano gli aspetti principali (per le precedenti relazioni clicca qui)

Analisi delle gestioni commissariali. Le cento pagine di report danno conto dell’azione delle singole commissioni straordinarie nel corso del 2019, anche riguardo l’attività regolamentare e la riorganizzazione della macchina burocratica.

Ne emerge un quadro preoccupante, che coinvolge una popolazione di oltre 900 mila persone, non più amministrate da organi democraticamente eletti, a causa della compromissione con le consorterie mafiose degli Enti locali commissariati. Infiltrazioni nell’economia legale e controllo del territorio vengono declinati soprattutto nel settore degli appalti di opere pubbliche, ovvero laddove convergono maggiormente gli interessi economici delle cosche.

Sono state 65 le amministrazioni straordinarie nel 2019, recita la nota del Viminale, che lancia l’allarme sulla capacità delle organizzazioni criminali di sviluppare i propri interessi in modo silente, ma pervasivo, in “contesti politico-amministrativi che risultano particolarmente permeabili” e i cui obiettivi sono “l’ingerenza nel processi decisionali pubblici” per controllare fette importanti di economia. Dell’elenco fanno parte anche quegli enti sciolti prima del 2019, la cui gestione si è conclusa nel corso dell’anno con l’elezione di nuovi organi rappresentativi, ma anche quelli destinatari di un provvedimento di proroga.

In tutto sono stati 19 i Comuni sciolti per mafia nel 2019, di cui due in Campania, sei in Calabria, sette in Sicilia, tre in Puglia e uno in Basilicata. Mentre di particolare rilievo appare la situazione di due Aziende sanitarie provinciali colpite da analogo provvedimento: sono infatti stati sciolti gli organi di direzione generale dell’A.S.P. di Reggio Calabria e Catanzaro.

È ancora, dunque, sulle regioni del sud Italia ad accendersi l’occhio di bue del Ministero, con la sola eccezione di Lavagna, in provincia di Genova, la cui gestione commissariale risale al 2017.

La quasi totalità degli enti commissariati versano in condizioni finanziarie precarie, col rischio di una maggiore vulnerabilità rispetto ai tentativi di infiltrazione mafiosa. Mentre il 28,6 per cento dei comuni sciolti per condizionamento o infiltrazioni criminali, ha dichiarato il dissesto finanziario o avviato la procedura pre-dissesto, spalmando sulla popolazione, ma anche sulle generazioni future, il peso economico della crisi strutturale dei bilanci, causata anche dalla mancata difesa dell’interesse pubblico e del ripristino della legalità. Al netto dei comportamenti illeciti, il danno economico subito è un evidente aumento delle aliquote e delle tariffe di base delle imposte locali e tagli ai servizi pubblici. Amministratori compiacenti alle consorterie criminali condannano i propri cittadini a pagarne il conto.

Urbanistica, edilizia, lavori pubblici, area economico-finanziario e polizia municipale sono i settori particolarmente permeabili ai condizionamenti criminali, nei quali – come avverte il Viminale – è sentita maggiormente “l’esigenza di ripristino della legalità e di adeguati livelli di efficienza dell’azione amministrativa”.

Va in questa direzione il tentativo da parte delle commissioni straordinarie, che hanno lavorato per offrire servizi migliori ai cittadini e recuperare un generale senso di fiducia nei confronti dello Stato. Per far fronte alle nuove spese, anche in considerazione delle già scarse risorse degli enti commissariati, i commissari si sono anche rivolti a bandi europei, statali o regionali, realizzando progetti ad hoc nei settori socio-culturale, scolastico, naturalistico-ambientale, socio-assistenziale, con un occhio di riguardo a giovani e anziani; e poi ancora nel settore dei rifiuti, uno dei più appetibili per le mafie, in quello produttivo e in ambito di ripristino della legalità.

Obiettivo e strategia hanno trovato un punto di incontro, laddove i commissari hanno inaugurato nuovi canali di comunicazione con le comunità e le organizzazioni sul territorio, chiamate al tavolo da gioco nella partita dell’utilizzo dei beni confiscati ai clan. La loro concreta destinazione rappresenta un “passaggio cruciale nella complessiva opera di contrasto alla criminalità di stampo mafioso”.

L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria. Gravi disfunzioni, diffusa approssimazione organizzativa, gravi irregolarità gestionali e generale carenza di controlli, sono alcuni degli elementi  che emergono nei poco più di nove mesi di gestione commissariale della più ampia istituzione sanitaria calabrese. Una crisi così complessa, avverte il Ministero, da non riuscire quasi nemmeno più a quantificare con esattezza l’entità del danno, costituito da un contenzioso «incontrollabile» a causa di un «impenetrabile» disordine amministrativo. I soli interessi legali e moratori, legati alla gestione scomposta ammontano a circa 400 milioni di euro. Senza contare le disastrose condizioni in cui versano molti dei presidi sanitari che gravitano intorno all’Azienda. L’attuale situazione è in gran parte frutto delle sfasate aggregazioni tra le preesistenti AA.SS.LL. di Reggio Calabria, Palmi e Locri, avvenute nel 2007 e nel 2012, senza fare ricorso agli strumenti attuativi previsti dalle norme per la “fusione” di aziende. Oltre all’avvio della riorganizzazione del personale, la gestione commissariale ha nominato un direttore sanitario e un direttore amministrativo per il riordino complessivo della struttura, pianificando un programma che realisticamente potrà essere attuato nel medio-lungo periodo.

L’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro. Gravissimo disordine amministrativo e gestionale, in particolare nel settore economico-finanziario. È in sostanza il giudizio della commissione straordinaria nei poco più di tre mesi di gestione dell’ente. Manca in particolare una correlazione tra il bilancio preventivo e quello consuntivo, c’è un ingente contenzioso da cui derivano cospicui interessi moratori, una carenza nelle attività di recupero crediti e addirittura molti dubbi sulla loro effettiva esigibilità, oltre agli eccessivi ritardi nei pagamenti, motivo di ulteriore contenzioso e quindi di aumento delle spese e degli interessi legali. A questo si aggiungono le criticità rilevate nei settori affari legali e lavori pubblici, anche per carenza di adeguate figure professionali. Tutto questo ha convinto la commissione a segnalare l’esistenza dei presupposti per la dichiarazione di dissesto finanziario. Particolarmente compromesso risulta, invece, il settore degli affidamenti di lavori e servizi. Si agiva spesso in assenza di gara e frazionando artificiosamente la spesa. E a preoccupare di più è la sistematica omissione dei controlli antimafia sulle imprese affidatarie.

La giurisprudenza dei giudici amministrativi. Anche nel 2019 – come già avvenuto in precedenza – in tutti i casi di contenzioso i giudici amministrativi hanno dato ragione all’Amministrazione, confermando la legittimità dei provvedimenti di scioglimento per infiltrazione mafiosa. Restano, dunque, consolidati i principi contenuti nella norma e i requisiti necessari per la sua applicazione (sui quali leggi questa scheda).

La declaratoria di incandidabilità. La Relazione offre infine un quadro di alcune pronunce dei giudici in tema di incandidabilità degli amministratori degli enti locali. Come già avvenuto in precedenza, alcune sentenze (ad esempio Corte di Cassazione n. 15038; o Corte di Appello di Napoli, Sezione I Civile, decreto 26 novembre 2019, n. 3252) prevedono l’esclusione dalla corsa alle urne anche solo per aver favorito infiltrazioni o condizionamenti delle mafie, senza bisogno che sia stato configurato il reato di partecipazione o concorso esterno ad associazione mafiosa. In particolare, nel corso del 2019 i giudici hanno emesso 47 pronunce che estendono l’ambito di applicazione in materia di incandidabilità. Dunque, gli ex amministratori responsabili dello scioglimento dell’ente per infiltrazione mafiosa, non possono candidarsi alle elezioni di Camera, Senato, Parlamento europeo, Regioni, Comuni e circoscrizioni per i due turni successivi allo scioglimento, qualora siano colpiti da provvedimento definitivo.

 

(a cura di Massimo Lauria)