Premessa. Risponde del reato di abuso di ufficio il responsabile unico del procedimento che, al fine di procedere all’affidamento diretto a favore di un’impresa di sua conoscenza, fraziona l’appalto unitario in più contratti, violando le norme del codice degli appalti che, per contratti di importo pari o superiore a 40.000 euro, impongono alle stazioni appaltanti di richiedere almeno cinque preventivi. È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione penale, con la sentenza 11 giugno 2018 n. 26610.
Il caso. La vicenda trae origine dalla pronuncia con la quale la Corte d’Appello di Genova aveva confermato la condanna alla pena di un anno di reclusione per il rato di abuso d’ufficio, ai sensi dell’articolo 323 del c.p., a carico di un dirigente tecnico dell’Autorità portuale di Genova che, per l’appalto oggetto di indagine, rivestiva anche il ruolo di responsabile del procedimento ai sensi dell’articolo 10 del previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 163 del 2006. Il dirigente aveva procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale ad un’impresa di sua conoscenza alla quale, grazie al frazionamento artificioso di una serie omogenea di lavori necessari per riparare il lucernaio di un ragazzino, erano stati affidati vari contratti attraverso la procedura di affidamento diretto, omettendo quindi la doverosa richiesta di almeno cinque preventivi prescritta all’articolo 125 del codice contratti. Nella sentenza di merito, il funzionario era stato ritenuto responsabile del reato di abuso di ufficio in quanto, al fine di procurare un indebito vantaggio patrimoniale all’impresa appaltatrice, aveva artificiosamente frazionato l’appalto in accordo con l’amministratore della medesima società, il quale, a sua volta, aveva inviato alla stazione appaltante alcuni preventivi all’interno dei quali l’appalto, sostanzialmente unitario, era stato suddiviso in cinque distinti interventi, tre dei quali di importo pari ad euro 40.000 e due di importo inferiore: in tal modo la PA aveva proceduto all’affidamento diretto dei vari contratti, senza attivare la consultazione di altre quattro imprese, come invece espressamente previsto dalle regole in tema di contratti pubblici.
La decisione. Con la pronuncia in rassegna, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la valutazione compiuta dai giudici di merito circa la configurabilità del reato di abuso d’ufficio sia stata delineata correttamente per quanto concerne la riconducibilità del fatto alla fattispecie incriminatrice penale dell’abuso d’ufficio.
I giudici di appello, infatti, avevano individuato l’ingiusto vantaggio patrimoniale, che costituisce la diretta conseguenza della condotta abusiva, nell’aver procurato alla società appaltatrice una commessa alla quale l’impresa non aveva alcun diritto: nella sentenza di merito era stato così puntualmente ricostruito il rapporto di conoscenza dell’imputato con l’amministratore della società che aveva eseguito nel medesimo capannone i vari lavori di ampliamento.
Tali lavori, peraltro erano stati seguiti e commissionati personalmente dall’imputato nella qualità di responsabile del procedimento in base ad un apposito sopralluogo al quale aveva fatto seguito la presentazione, da parte della società edile, dei preventivi “ritoccati” con l’indicazione dell’importo artificiosamente frazionato e ridotto fino a 40.000 euro.
A fronte di tali fatti erano stati così disposti ordinativi di lavori che, pur riguardando un intervento sostanzialmente e funzionalmente unitario, risultavano esser stati affidati, senza alcun apparente ragione e senza alcuna ragionevole giustificazione, in contrasto con le previsioni contenute all’articolo 125 del previgente codice degli appalti. Si trattava, in definitiva, di contratti affidati come singoli interventi di importo inferiore a 40.000 euro laddove, in realtà, era stato operato un frazionamento artificioso di un appalto unico ed unitario, allo scopo di sottoporre tali commesse alla disciplina delle acquisizioni dirette e senza gara.
Da tale macroscopica illegittimità emerge, secondo la Cassazione, anche l’elemento soggettivo del dolo intenzionale, inteso come rappresentazione dell’evento quale conseguenza diretta ed immediata della condotta del reo e quale motivo primario da questi perseguito, volto, inequivocabilmente, a procurare un vantaggio patrimoniale alla società assegnatario dei lavori. In tale contesto, peraltro, la colpevolezza prescinde – conclude la Cassazione – dall’accertamento dell’accordo collusivo tra il funzionario e l’impresa favorita, poiché ai fini del perfezionamento del reato di abuso d’ufficio assume rilievo soltanto il verificarsi, reale o potenziale, di un fatto ingiusto di carattere patrimoniale che il soggetto attivo procura, con i suoi atti, a se stesso oppure ad altri.
(a cura della dott.ssa Ilenia Filippetti, Responsabile Sezione Provveditorato della Regione Umbria, Presidente di Forum Appalti)