Il principio. Lo scioglimento del consiglio comunale può essere legittimamente disposto anche per l’inadeguatezza degli organi di vertice politico-amministrativo a svolgere i compiti di vigilanza e di controllo nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi appaltati dal Comune. È questo il principio affermato dal Tar Lazio, Roma, con la sentenza n. 9544 del 24 settembre 2018, riguardante il comune di Badolato.
La decisione. La vicenda oggetto della pronuncia in esame ha avuto origine dal ricorso con il quale i vertici politici di un’amministrazione calabrese avevano chiesto l’annullamento del decreto di scioglimento del Consiglio comunale disposta ai sensi dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000 recante il Testo Unico degli Enti Locali. Con la pronuncia in rassegna il Tribunale amministrativo ha rigettato il ricorso proposto dagli ex amministratori, sottolineando, in primo luogo, come il provvedimento di scioglimento del Comune non ha mai natura sanzionatoria, ma piuttosto preventiva: le vicende che costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale devono infatti essere considerate nel loro insieme, e non “atomisticamente”, e devono risultare idonee a delineare il quadro complessivo del condizionamento mafioso dell’Ente, con la conseguenza che a tali fini possono assumere rilievo situazioni che – benché non siano traducibili in specifici addebiti penali posti in capo ai singoli amministratori – siano idonee a rendere plausibile (nel loro insieme, nella concreta realtà dei fatti ed in base ai dati dell’esperienza) l’ipotesi di una soggezione dell’amministrazione locale alla criminalità organizzata, anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale né per l’adozione di misure individuali di prevenzione in capo agli amministratori (in senso conforme: Consiglio di Stato n. 1266/2012, n. 4529/2015, n. 3340/2015 e n. 2054/2015). La norma dell’art. 143 Tuel, in particolare, consente lo scioglimento del Comune sulla base di indagini ad ampio raggio relative alla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, indagini non limitate alle sole evidenze di carattere penale, ma basate su circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, ancorché di livello meno intenso e “diverso” rispetto a quello che legittima lo svolgimento dell’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza: con la pronuncia in esame è stato così sottolineato che il provvedimento di scioglimento del Comune non può essere considerato in alcun modo un provvedimento a carattere “punitivo” o “vessatorio” nei confronti degli amministratori o della popolazione ma solo come un rimedio di ordine preventivo a tutela dell’interesse pubblico – e quindi a tutela dei cittadini e degli stessi amministratori pubblici – finalizzato ad evitare radicamenti della malavita nello specifico contesto territoriale. Sebbene non sia corretto ritenere che la collocazione di un Comune in territorio infestato dalla malavita costituisca di per sé una prova della collusione dei suoi amministratori con la malavita stessa – essendo necessari gli altri elementi concreti univoci su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli stessi idonee ad incidere sulla gestione dell’ente – nondimeno tale elemento fattuale può assumere rilievo se accompagnato da una serie di circostanze di fatto indicative della permeabilità dell’apparato politico-amministrativo, ancorché non conseguenti ad un atteggiamento di natura “dolosa” da parte degli amministratori (Consiglio di Stato n. 4578/2017).
Nel caso di specie, il richiamo a eventi di grave natura penale riguardanti il contesto territoriale dell’intera locride – eventi che avevano caratterizzato gli anni a ridosso del periodo considerato dal decreto di scioglimento nonché quelli precedenti – doveva essere considerato come il contesto generale all’interno del quale era quindi necessario analizzare la potenzialità deleteria dell’organizzazione criminale denominata “’ndrangheta”.
Il mancato controllo sugli appalti. Nella relazione posta alla base del decreto di scioglimento si faceva riferimento, in primo luogo, alla precarietà che contraddistingueva il sistema di smaltimento dei liquami fognari ed il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, precarietà mai affrontata dagli Amministratori comunali con seri interventi strutturali e che ben costituiva “terreno fertile” per interventi estemporanei e “di urgenza” che si risolvevano, inevitabilmente, in affidamenti disposti a beneficio di imprese colluse.
Nella pronuncia in rassegna è stato inoltre rilevato come, ai fini dell’adozione del decreto di scioglimento, una notevole disorganizzazione nella gestione dell’attività comunale, fonte di disordine amministrativo, ha sempre ed inevitabilmente effetti sullo svolgimento dell’attività istituzionale dell’ente, tenuto conto che – notoriamente – la criminalità organizzata è abilissima nell’approfittarsi di una simile condizione di disordine (Consiglio di Stato n. 4578/2017).
In tale contesto, è stato così sottolineato come fosse sintomatica la vicenda dei lavori di consolidamento di un locale bene culturale, lavori affidati, sia pure con procedura di gara, ad una ditta della quale gli uffici non avevano controllato con la necessaria diligenza il certificato del casellario dell’amministratore unico che riportava numerosi precedenti: tale impresa risultava inoltre oggetto di un’interdittiva antimafia che attestava l’esistenza di collegamenti di tale operatore economico con esponenti malavitosi.
Per quanto riguarda, in generale, l’affidamento dei lavori in economia, nella pronuncia in esame viene sottolineato il vasto e specifico elenco degli affidamenti diretti, ritenuti espressione di un “modus operandi” consolidato all’interno dell’Ente disciolto, sistema del quale erano beneficiarie ditte costantemente riconducibili a specifici soggetti legati alla criminalità organizzata: il modesto valore dei singoli affidamenti diretti – prosegue il Tar Lazio – non incide di per sé sul fatto che si tratta spesso di una modalità tipica utilizzata per favorire determinate imprese, spesso colluse.
Particolarmente significativa è apparsa anche la vicenda relativa al servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani, servizio mai affidato con procedura aperta ma affidato – ancora una volta “in economia” – ad un’impresa il cui rappresentante legale era riconducibile a “famiglia” malavitosa, come emergeva di una specifica ordinanza emessa dal Giudice penale.
Anche l’affidamento del servizio di refezione scolastica era stato disposto a favore di ditte riconducibili, secondo specifici collegamenti, alla malavita, non essendo a tali fini rilevante la mera “dichiarazione di responsabilità” con la quale la ditta aggiudicataria del servizio aveva dichiarato di essere immune da pregiudizi impeditivi.
In via più generale, gli accertamenti posti alla base del decreto di scioglimento evidenziavano che le irregolarità e le varie forme di deviazione riscontrate dalla Commissione prefettizia riguardavano molti settori imprenditoriali sui quali si erano concentrati gli interessi della malavita locale e che, su tali settori, non vi era stata un’efficace attività di vigilanza e di controllo da parte del vertice politico-amministrativo sull’attività dell’apparato burocratico. Il decreto di scioglimento aveva quindi legittimamente preso in considerazione il quadro indiziario generale, idoneo a configurare i presupposti per lo scioglimento del Consiglio comunale, senza che, a tali fini, fosse necessario acquisire immediati e definitivi riscontri in sede penale per quel che riguardava specifici comportamenti dei singoli amministratori, in quanto il generale contesto locale costituiva un vantaggioso habitat per la malavita organizzata locale, fondato su di una generale connivenza da parte dell’amministrazione pubblica, la quale, al contrario, si sarebbe dovuta subito e costantemente attivare per rimuovere le evidenti deviazioni.
Ad essere stigmatizzata nel decreto di scioglimento, quindi, era stata la tendenza dell’attività degli organi politici a non porre in essere ciò che era loro compito, ovverosia nel non dar luogo a quell’opera di vigilanza e controllo dell’apparato burocratico necessaria al fine di evitare ingerenze da parte della criminalità organizzata: proprio la mancanza di un efficace controllo o vigilanza costituisce infatti un elemento di forte rilevanza al fine di individuare una riconducibilità all’organo politico dei vantaggi acquisiti, a causa di tali omissioni, da parte di soggetti “vicini” o direttamente appartenenti alla malavita organizzata. Lo scioglimento del Comune è stato pertanto considerato legittimo, a fronte della palese inadeguatezza del vertice politico amministrativo nello svolgimento dei propri compiti di vigilanza e di verifica nei confronti della burocrazia e dei gestori di pubblici servizi del Comune, compiti che sempre impongono di intervenire ed apprestare tutte le misure e le risorse necessarie per realizzare un’effettiva e sostanziale difesa dell’interesse pubblico rispetto alla possibile compromissione derivante da ingerenze riconducibili all’influenza esercitata dalla criminalità organizzata (cfr. Tar Lazio n. 3675/2018 e n. 10899/2015, nonché Consiglio di Stato n. 1266/2012).
(a cura della dott.ssa Ilenia Filippetti, Responsabile Sezione Provveditorato della Regione Umbria, Presidente di Forum Appalti)
Per un approfondimento della tematica connessa alle infiltrazioni mafiose negli enti locali cfr. l’ampia documentazione presente sul sito di Avviso Pubblico.