La normativa e il ricorso. Il Comune di Napoli è intervenuto sulla disciplina del gioco con tre provvedimenti: la delibera di Giunta 993/2013, il Regolamento sale da gioco e giochi leciti (approvato con delibera del Consiglio comunale 74/2015) e l’ordinanza sindacale 1/2016 in materia di orari.

Avverso tali atti, nel 2016 alcune società che gestiscono sale scommesse hanno sollevato ricorso dinanzi al TAR per la Campania, chiedendo l’annullamento delle disposizioni impugnate e il risarcimento del danno. La sentenza del TAR arriva nel Novembre 2020 (sentenza 5278/2020), quando la legge regionale 2/2020 ha già modificato in parte il quadro della disciplina del settore.

In ogni caso, il Collegio specifica sin da subito che il giudizio si fonda sulla situazione esistente al momento dell’entrata in vigore dei provvedimenti, senza che rilevino (nemmeno come argomentazioni sostanziali, come invece tentano di sostenere i ricorrenti) le successive modifiche introdotte.

La posizione delle sale scommesse. Per prima cosa, i giudici amministrativi confermano che le statuizioni del decreto Balduzzi in merito alla ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco devono intendersi riferite anche alle sale scommesse: infatti, l’art. 7, comma 10 del decreto in esame chiama espressamente in causa gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lett. a) del TULPS solamente per evidenziare “la necessità di raccordo con la regolamentazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli” specifica rispetto agli apparecchi in questione. È sbagliato, dunque, concludere che tale riferimento escluda le sale scommesse dagli interventi.

Il coordinamento tra disciplina nazionale e locale. Il TAR, inoltre, si occupa del rapporto tra la disciplina nazionale e locale: se i ricorrenti, infatti, sostenevano che la prima escludesse la possibilità di intervento degli Enti locali, i giudici invece (anche sulla scorta della sentenza 4464/2020 del Consiglio di Stato) negano che un intervento statale possa precludere “ogni altra determinazione a livello locale”, da ritenersi legittima in base alla “riconosciuta spettanza al Comune dell’autonomo potere regolamentare” sul tema.

La presunta retroattività della normativa comunale. Il Collegio respinge, inoltre, la censura relativa alla presunta retroattività delle disposizioni regolamentari (in quanto queste si applicano anche agli esercizi già autorizzati). Nel farlo, i giudici negano alla radice che si possa parlare di retroattività: citando la sentenza 1567/2017 del TAR Campania, “l’estensione dell’applicazione a tutti gli operatori del settore, ivi compresi quelli già operanti, non implica una retroattività delle disposizioni ma è piuttosto finalizzata ad escludere situazioni franche da una verifica periodica con la sottrazione totale dei soggetti già autorizzati da ogni possibilità di controllo e verifica successiva, con inammissibile incisione anche sui principi di imparzialità e di par condicio tra operatori del settore”.

Il trasferimento della proprietà o della gestione dell’azienda e l’autorizzazione. Infine, il TAR si pronuncia in merito alla disposizione che prevede che in caso di trasferimento della proprietà o della gestione dell’azienda si renda necessaria, per il subentrante, la richiesta di una nuova autorizzazione comunale. Ciò viene considerato giustificato dai giudici “avendo tali autorizzazioni … carattere eminentemente personale”.

Le sentenze 5941, 5943, 6259, 6260, 6261, 6423 del 2020 del TAR Campania

Sul regolamento del Comune di Napoli del 2015 e l’ordinanza del Sindaco del 2016 il TAR Campania si è espresso, nel dicembre 2020, con alcune sentenze in cui ha affrontato altre questioni sollevate da alcuni ricorrenti, i quali contestavano le misure di limitazione oraria e di ricollocamento fisico dei punti gioco.

Il tema dell’istruttoria. Il primo motivo di censura è connesso con l’asserita violazione dell’obbligo di istruttoria, adempimento che mancherebbe nel Regolamento impugnato. Il TAR è di diverso avviso: il Comune di Napoli avrebbe già ampiamente motivato il suo intervento nella materia della lotta alla ludopatia quando, con la delibera 993/2013, ha istituito una consulta sulla dipendenza da gioco. In quel provvedimento erano contenuti alcuni dati che confermavano “la tesi – non certa in via assoluta ma pur sempre fornita di elementi plausibili – del collegamento riscontrabile tra l’aumento della diffusione sul territorio delle sale da gioco e l’incremento della tendenza alla ludopatia” (come espresso nella sentenza 1567/2017 del TAR Napoli, richiamata anche nella più recente sentenza 5278/2020 qui sopra analizzata).

Il collegamento con le misure di pianificazione a livello nazionale. Altro elemento controverso è quello relativo alle misure di pianificazione che, introdotte a livello nazionale, avrebbero più volte tentato di riordinare la materia del gioco, con l’obiettivo di rendere omogenee in tutto il Paese le varie limitazioni. Il riferimento, in particolare, è al contenuto del decreto Balduzzi, della legge delega 23/2014 e della legge di stabilità per il 2016. La censura così presentata viene però smentita dal TAR attraverso due argomentazioni:

1) ai Comuni spettano i poteri relativi alla collocazione delle sale dal gioco sul territorio cittadino nell’ambito dell’attività di pianificazione e governo del territorio, nel perseguimento di finalità relative al benessere, alla tutela della salute e della vita salubre degli abitanti (in questa direzione, la sentenza 220/2014 della Corte costituzionale e la sentenza 579/2016 del Consiglio di Stato);

2) la circostanza che ancora non siano ancora state definite misure omogenee a livello nazionale non impedisce alle regioni e agli Enti Locali di esercitare il proprio potere concorrente indirizzato alle finalità di prevenzione rispetto alla ludopatia.

Dunque, inquadrato in questo modo il Regolamento rispetto alla legge regionale della Campania (art. 1, comma 201 della legge regionale 16/2014), appare ai giudici pienamente legittimo non solo per ciò che concerne il suo contenuto di prevenzione avverso la diffusione della ludopatia, ma anche sul piano formale, non essendo in alcun modo richiesto dalla legge che l’intervento avvenga con lo strumento del piano regolatore.

L’autorizzazione del Comune. Una delle peculiarità del Regolamento del Comune di Napoli consiste nella previsione che le sale gioco debbano ricevere, oltre l’autorizzazione della Questura, anche quella dell’amministrazione comunale fondata sul controllo di requisiti di ordine morale. I giudici smentiscono innanzitutto che, per questa via, si determini confusione rispetto alle prerogative della Questura che valuta, invece, gli aspetti di ordine e sicurezza pubblica (sul punto si veda anche, con lo stesso argomento, l’ordinanza 1941/2020 del TAR Napoli). È giustificata, inoltre, secondo il TAR, anche la previsione che tale verifica si estenda anche ad esercizi già autorizzati e in attività: ciò “non implica una retroattività delle disposizioni ma è piuttosto finalizzata ad escludere situazioni franche da una verifica periodica con la sottrazione totale dei soggetti già autorizzati da ogni possibilità di controllo e verifica successiva, con inammissibile incisione anche sui principi di imparzialità e di par condicio tra operatori del settore”.

La determinazione degli orari. Il regolamento determina, inoltre, l’orario massimo di funzionamento degli apparecchi da gioco, specificati successivamente dal Sindaco con ordinanza. È una procedura ritenuta corretta dai giudici, che ricordano come ai sensi dell’art. 50, comma 7 del TUEL sia il Consiglio comunale a determinare gli indirizzi generali cui il Sindaco sarà vincolato in sede di applicazione concreta della disciplina. Sul punto, i giudici sottolineano che:

1) il Consiglio comunale può intervenire rispetto alla prevenzione della ludopatia, rientrando ciò nell’ambito delle sue competenze relative al benessere psico-fisico dei cittadini (specialmente quelli più vulnerabili) e alla quiete pubblica (senza alcuna invasione delle sfere di competenza riservate allo Stato);

2) il Sindaco può intervenire sulla disciplina degli orari degli apparecchi da gioco nell’ambito delle competenze attribuitegli dall’art. 50, comma 7 del TUEL come specificato anche dalla sentenza 220/2014 della Corte costituzionale;

3) le misure di limitazione degli orari costituiscono uno strumento concretamente idoneo a contenere la possibilità di utilizzo degli apparecchi da gioco (come espresso anche dalla sentenza 1023/2015 del TAR Emilia-Romagna);

4) l’offerta di altri giochi (es. online) o la diffusione di altre modalità di accesso agli apparecchi da gioco (es. altri Comuni in cui non ci sono le stesse limitazioni orarie) non precludono per ciò solo l’introduzione di vincoli utili a contenere il fenomeno connesso alla diffusione del gioco nella rete fisica (TAR Veneto 811/2015; sul punto si veda anche: Consiglio di Stato 1200/2020).

La libertà di iniziativa economica privata e il bilanciamento degli interessi in gioco. I ricorrenti ritengono, inoltre, che con questo tipo di determinazioni si violerebbe la libera iniziativa economica privata, comprimendo eccessivamente la possibilità per gli attori economici di esercitare l’attività connessa al gioco. Il TAR è di diverso avviso:

1) viene richiamata anzitutto la nozione di utilità sociale contenuta nell’art. 41 della Costituzione considerata quale “indefettibile argine” entro cui l’attività economica privata deve svolgersi;

2) richiamando la sentenza 4224/2018 del Consiglio di Stato (confermativa della già citata sentenza 1567/2017 del TAR Napoli), si afferma che “proprio le modalità scelte con gli atti impugnati per la tutela dei contrapposti interessi in gioco costituiscono la miglior riprova del bilanciamento operato tra gli stessi, non essendo stata interdetta in modo assoluto l’attività economica (il che esclude la sussistenza di un’espropriazione di fatto dell’attività economica), ma piuttosto non irragionevolmente limitata per tutelare la salute pubblica”;

3) anche nell’ambito comunitario, le “disposizioni del Trattato dell’Unione europea hanno previsto la possibilità di inserire misure derogatorie in senso restrittivo alla libertà di stabilimento per ragioni di ordine e interesse pubblico legati alla tutela della salute pubblica” e “la Corte di Giustizia ha valutato la conformità all’ordinamento dell’Unione di una disciplina normativa nazionale che fissi una durata più breve delle nuove concessioni e il riordino del sistema delle concessioni tramite il riallineamento temporale delle scadenze”: ciò anche “perché, in assenza di una disciplina unitaria a livello europeo, spetta al singolo Stato membro valutare, in questi settori sensibili, il grado di tutela degli interessi coinvolti, valutando se questa finalità possa essere realizzata mediante un divieto totale o parziale delle attività riconducibili ai giochi e alle scommesse, oppure soltanto limitarle e prevedere a tale fine modalità di controllo più o meno rigorose (v. sentenza Digibet e Albers, c-156/13)”. È chiaro, pertanto, che dalla lettura del complesso normativo e giurisprudenziale comunitario si ricava la sostanziale liceità delle misure di limitazione del gioco introdotte, non potendosi dunque trarre, da qui, alcun elemento di censura (sul punto, si veda anche Consiglio di Stato 4464/2020).

La sentenza 273/2021 del TAR Campania

Sempre in relazione al Regolamento del 2015 del Comune di Napoli e all’ordinanza sindacale del 2016 in tema di orari, il TAR Campania si è espresso anche nella sentenza 273/2021 che si analizza.

Le limitazioni degli orari: le competenze. I ricorrenti, ossia alcuni gestori di sale gioco, hanno censurato:

1) la circostanza che il Consiglio comunale, col Regolamento del 2015, avrebbe fissato gli orari con disposizione precettiva e direttamente vincolante, oltrepassando così il limite della sola fissazione di criteri;

2) la circostanza che l’art. 50, comma 7 del TUEL (riconosciuto, come si è visto, quale base normativa del potere sindacale in materia di disciplina degli orari delle sale gioco) “dovrebbe essere esercitato per far fronte alle esigenze previste dalla disposizione medesima (‘armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti’), alle quali sono del tutto estranee le finalità di lotta alla ludopatia perseguite nel caso di specie”.

Il TAR respinge entrambe le censure:

1) nel caso di specie, il Regolamento comunale si è limitato a fissare i criteri a cui l’ordinanza sindacale in materia di orari deve conformarsi: “l’art. 18 del Regolamento in questione, pur fissando limiti di orario tassativi non manca di contemplare espressamente l’art. 50, co. 7, del d. lgs. n. 267 del 2000, rendendo con ciò evidente l’intendimento di rinviare comunque all’emanazione di un’apposita determinazione sindacale la concreta applicazione degli orari di apertura”. Non solo: si ribadisce che nell’ipotesi di eventuale assenza di indirizzi del Consiglio comunale in materia di orari, ciò non può costituire motivo per paralizzare l’attività del Sindaco, determinando se mai in capo a quest’ultimo un più esteso esercizio della propria discrezionalità (anche alla luce della sentenza del TAR Salerno 2075/2011);

2) richiamando la sentenza 4794/2015 del Consiglio di Stato, i giudici ribadiscono la legittimità delle ordinanze sindacali sugli orari dei pubblici esercizi in cui si svolgono attività di gioco “quando le relative determinazioni siano funzionali ad esigenze di tutela della salute e della quiete pubblica”, riconoscendo “la necessità di prevenire il fenomeno della ludopatia, particolarmente tra le fasce più deboli della popolazione”.

Le limitazioni orarie rispetto agli altri esercizi commerciali e ai Comuni limitrofi: il principio di proporzionalità. Censurano, inoltre, i ricorrenti che le limitazioni orarie introdotte per le sale gioco e scommesse determinerebbero, oltre una violazione generale del principio di libera iniziativa economica (motivo respinto dai giudici, che richiamano ampia giurisprudenza comunitaria sul punto), anche un vulnus della concorrenza rispetto ad altre attività che competono sul mercato dei servizi di intrattenimento (quali bar, centri sportivi, ecc) che non sono soggette alle medesime limitazioni. La medesima circostanza si determinerebbe sul piano geografico, con la possibilità per gli utenti di spostarsi facilmente in territori limitrofi quando necessario.

I giudici risolvono le questioni sollevate dando centralità al principio di proporzionalità: richiamando la sentenza della Corte di Giustizia UE C-176/11, si afferma che “occorre esaminare se la restrizione in questione sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per raggiungere detto obiettivo”. Le censure proposte vengono, quindi, respinte giacché non si ravvisa alcuna violazione delle norme in materia di concorrenza o del principio di libertà d’impresa.

La rilocalizzazione delle attività del gioco. Gli esercenti sollevano poi motivi di ricorso rispetto alla rilocalizzazione, prevista nel Regolamento comunale, degli esercizi in cui si esercita l’attività del gioco. In particolare, la rilocalizzazione si applica, ai sensi dell’art. 25 del Regolamento, anche alle attività già autorizzate la cui autorizzazione in corso assumerebbe così una durata quinquennale dalla data di approvazione del Regolamento stesso. Come già illustrato nelle sentenze poc’anzi analizzate, l’orientamento del TAR Campania sul punto è nel senso di ritenere che non si sia in presenza di una disposizione retroattiva poiché (come espresso anche nella sentenza 1567/2017) “le previsioni regolamentari che estendono la loro efficacia anche ai soggetti già autorizzati rispond[ono] alla giustificabile esigenza di bilanciare l’interesse alla salvaguardia delle attività economiche con quella legata alla prevenzione delle ludopatie”, realizzando così “un contemperamento dell’interesse privato dei titolari al mantenimento degli apparecchi da gioco leciti e quello pubblico ad un controllo continuo e periodico in un settore sensibile, per i suoi rilevanti effetti sociali e sulla salute”.

Gli strumenti della rilocalizzazione e l’intreccio delle competenze. Infine, il Collegio si esprime in merito allo strumento utilizzato per dettare la disciplina in tema di rilocalizzazione degli esercizi. Secondo i giudici è corretta l’adozione di un testo regolamentare (e non di altri strumenti, più complessi, come il Piano regolatore) in quanto “il riferimento, nell’art. 1, co. 201, della legge regionale n. 16 del 2014, a ‘previsioni urbanistico-territoriali’ allude essenzialmente al carattere, al contenuto ed alle finalità delle prescrizioni e non comport[a] anche il rinvio al complesso iter procedimentale per la formazione o la variazione di uno strumento urbanistico”.

Anche rispetto all’intreccio delle competenze, il Collegio ribadisce l’assenza di sovrapposizione tra le prerogative statali e comunali: “lo Stato ha il compito di fissare i principi generali che ispirano la materia, dettati dalla riduzione e dal contrasto all’attività del gioco d’azzardo; mentre le Regioni e gli enti locali hanno il potere di disciplinarne le concrete modalità, avuto riguardo, da un lato, agli obiettivi programmati a livello nazionale, e, dall’altro, alle caratteristiche peculiari del territorio entro cui le attività del gioco sono destinate ad incidere”.

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)