Premessa. Il TAR per l’Emilia-Romagna, con le sentenze 830/2022 e 831/2022, è tornato nuovamente sul tema del distanziometro. Occasione di queste pronunce sono state le impugnazioni effettuate da alcuni operatori del settore dei giochi in relazioni ai provvedimenti, rispettivamente, dell’Unione della Romagna Faentina e del Comune di Forlì, oltre che dei connessi atti regionali (in particolare la Delibera di Giunta Regionale 831/2017).

Gli esercenti, in particolare, hanno impugnato sia le delibere comunali con cui venivano effettuate le mappature dei luoghi sensibili, sia i singoli atti diretti alla chiusura degli esercizi in questione per mancato rispetto delle distanze.

L’effetto espulsivo. In entrambe le sentenze, il cuore della vicenda è rappresentato dalle censure con cui i privati ricorrenti tentano la via dell’annullamento degli atti che li riguardano lamentando che il distanziometro produrrebbe un effetto espulsivo, impedendo l’esercizio dell’attività economica.

I giudici ribadiscono quanto ormai entrato in giurisprudenza, ossia che non sussiste un effetto espulsivo se non si evince “quel fenomeno di azzeramento del diritto che qualifica il fenomeno espropriativo”.

Il TAR, in particolare, accede alla “alla distinzione tra vincoli degli strumenti urbanistici generali conformativi ed espropriativi”. I primi, spiega il Collegio, “sono espressione della potestà cosiddetta conformativa, ossia del potere conferito all’amministrazione di conformare il diritto di proprietà su determinate categorie di beni senza azzerare il diritto dominicale del proprietario. L’atto che, comunque denominato, arrivi tuttavia a comprimere le facoltà dominicali sino al punto di impedire qualsiasi utilizzo del bene è qualificabile come sostanzialmente espropriativo e, a tale proposito, si parla di espropriazione di valore per evidenziare che la fattispecie costituisce una forma anomala di espropriazione nella quale l’area interessata rimane nella disponibilità del proprietario, il quale tuttavia non può esercitare alcuna delle facoltà connesse al suo diritto dominicale”.

Nel caso di specie, residuando alcune porzioni di territorio comunale in cui astrattamente le attività di gioco potrebbero essere rilocalizzate (come evidenziano le stesse perizie prodotte dai ricorrenti), “la fattispecie non si qualifica come ablatoria” in quanto “esistono zone del territorio ove poter trasferire gli esercizi”.

Effetto espulsivo e libertà di iniziativa economica. Il diritto di iniziativa economica, secondo i giudici, non viene azzerato dai provvedimenti in discussione, ma solo limitato nel suo esercizio, a fini di tutela di interessi generali.

Del resto, ribadisce il TAR, l’art. 41 Cost. “tutela l’iniziativa economica privata ma al comma secondo vi appone i limiti dell’utilità sociale e della sicurezza (…): il contrasto alle ludopatie costituisce un obiettivo di interesse pubblico tale da giustificare l’apposizione di limiti, anche stringenti (…) in quanto riconnesso alla tutela della salute che costituisce bene protetto dalla Costituzione”.

La non retroattività del distanziometro. Acclarato, dunque, che non sussiste il dichiarato effetto espulsivo, i giudici si concentrano sull’altra censura, ossia la lamentata validità retroattiva del distanziometro.

Anche in questo caso i giudici smentiscono le doglianze dei ricorrenti: “la normativa interviene non su un precedente provvedimento che abbia cessato i propri effetti, ma su una situazione non esaurita” ossia “sul rapporto in essere tra Amministrazioni comunali ed esercenti attività di gioco, ponendo nuovi requisiti per l’esercizio di quest’ultima” nel futuro.

Argomentano i giudici che “non esiste (legittimo) affidamento a che il pubblico potere mantenga per sempre vigente una determinata disciplina relativa ad una certa attività”, anche alla luce del fatto che il “titolo rilasciato dal Questore (…) espressamente condiziona l’attività ad ulteriori valutazioni dell’Amministrazione comunale in base alle distanze previste da leggi regionali” e non fonda, pertanto, “un diritto assoluto e incondizionato” all’espletamento di una certa attività, laddove essa, come nel caso di specie, sia “soggetta a livelli regolatori ulteriori rispetto a quello meramente autorizzativo”.

Sulle possibili delocalizzazioni successive alla prima. Non sussiste, inoltre, una violazione degli investimenti privati nemmeno nell’ipotesi in cui, dopo una prima chiusura e delocalizzazione, sopravvenga un ulteriore luogo sensibile con conseguente necessità di delocalizzare nuovamente.

A fugare i dubbi è la stessa disciplina regionale (deliberazione n. 68/19), avallata dai giudici amministrativi, che prevede in caso di seconda delocalizzazione, un termine non di sei mesi ma molto più lungo, fino a dieci anni, proprio al fine di salvaguardare gli investimenti pregressi.

Sui luoghi di culto come luoghi sensibili. La sentenza 831/2022, infine, conferma sia corretto annoverare i luoghi di culto nell’elenco dei luoghi sensibili.

I luoghi di culto, infatti, sono frequentati prevalentemente “da anziani, categoria esposta ai rischi di ludopatia, nonché da bambini e giovani”. Si tratta, cioè, di quei soggetti “fragili” o “vulnerabili” a cui si rivolge il legislatore regionale quando vieta lo svolgimento delle attività di sala da gioco nelle vicinanze dei luoghi da loro frequentati.