La normativa. Il Comune di Sacile (Pn), con l’ordinanza 101 del 7 luglio 2020, ha disciplinato gli orari di utilizzo e funzionamento degli apparecchi con vincita in denaro nelle sale giochi e nelle altre tipologie di esercizi. Ciò in esecuzione della delibera consiliare 17/2020 del Consiglio comunale di Sacile e della legge regionale 1/2014 del Friuli-Venezia Giulia (come modificata dalla legge regionale 26/2017).

Tra le previsioni, in particolare, spiccano quelle in materia di orari: l’ordinanza prevede che le sale gioco e le sale VLT possano tenere in funzione gli apparecchi per il gioco nelle fasce 8-12 e 18-24, mentre per le altre tipologie di esercizi autorizzati (come bar, ristoranti, tabaccherie ecc) valgono le fasce 8-12 e 16-19.

Tali previsioni sono in linea con il dettato legislativo regionale: l’articolo 6, comma 12, della legge regionale 1/2014 (come modificata) prevede che “i Comuni stabiliscono gli orari di apertura delle sale da gioco, in particolare per le sale giochi autorizzate non oltre le tredici ore giornaliere di tutti i giorni, compresi i festivi, e negli altri esercizi commerciali ove gli apparecchi per il gioco lecito sono installati quali attività complementari non oltre le otto ore giornaliere”.

Il caso. Avverso l’ordinanza e la delibera del Comune di Sacile ha presentato ricorso una società operante nel settore del gioco, sollevando diverse censure. Si è pronunciato il TAR per il Friuli-Venezia Giulia con la sentenza 104/2021 che qui si analizza.

L’istruttoria. Per prima cosa i giudici rigettano la censura relativa al difetto di istruttoria che secondo il ricorrente caratterizzerebbe i provvedimenti impugnati.

Secondo il Collegio, infatti, la delibera del Consiglio comunale (di cui l’ordinanza costituisce momento attuativo) contiene una corretta attività istruttoria poiché richiama le risultanze di due organi tecnici, in particolare:

1) la relazione del Dipartimento dipendenza dell’Azienda Sanitaria (ASFO) di Pordenone del 29.5.2019;

2) la relazione di inquadramento del fenomeno sul gioco d’azzardo patologico in Friuli-Venezia Giulia prodotta dal Tavolo tecnico regionale gioco d’azzardo patologico nel 2016.

La prima delle due, in particolare, analizza l’andamento della diffusione del gioco patologico nel periodo 2009-2018, evidenziando un incremento nel corso degli anni: se è pur vero che tali dati non sono aggiornati all’ultimissimo periodo (l’ordinanza sindacale è del 2020), rilevano i giudici che il “riferimento ad un rilevante arco temporale conferisce ad essi particolare valore statistico e rappresentativo”, essendo di pregio la valutazione dell’andamento del fenomeno nel corso degli anni soprattutto alla luce della considerazione “che tale problematica sociale appare insuscettibile di mutamenti repentini nel breve termine”.

Il gioco e il Covid. I giudici, inoltre, si pronunciano anche rispetto alla scelta di introdurre limitazioni al gioco nel pieno corso della pandemia da Covid-19: il TAR sottolinea che “non esistono prove che essa abbia potuto ridurre stabilmente il gioco d’azzardo patologico, né può censurarsi la scelta del Comune nel senso di dare prevalenza all’interesse alla salute dei cittadini rispetto agli interessi imprenditoriali dei soggetti operanti nel settore del gioco d’azzardo, pur colpiti, come la gran parte delle imprese, dalle conseguenze economiche della pandemia”.

La scelta in concreto delle fasce orarie. In linea con un orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa (si veda qui), il Collegio reputa corretta la scelta di suddividere il periodo di accensione degli apparecchi in due fasce orarie distinte nel corso della giornata: ciò infatti risponde all’obiettivo di contenere lo stimolo del gioco, considerata l’incapacità, frequente, del giocatore di autoregolarsi, nello specifico spezzando una dinamica di intrattenimento patologico e compulsivo altrimenti difficilmente controllabile.

La distinzione tra sale dedicate esclusivamente al gioco e altri esercizi con apparecchi da gioco. I giudici si pronunciano, inoltre, anche in merito alla differenziazione di orari tra le sale dedicate esclusivamente al gioco e quelle che invece offrono questi servizi come attività complementare svolgendo un’altra attività come principale (es. bar, tabaccheria, ecc).

Sulla base della lettura della legge regionale, il TAR afferma che la natura esclusiva o prevalente dell’offerta di gioco lecito nella prima tipologia di sale giustifica per esse la previsione di un più ampio orario di funzionamento degli apparecchi (art. 6, comma 12 della legge regionale) pari ad un massimo di 13 ore, contro le 8 consentite agli esercizi “ove gli apparecchi per il gioco lecito sono installati quali attività complementari non oltre le otto ore giornaliere”; alla luce di questo indirizzo del legislatore regionale discende implicitamente che anche in sede di concretizzazione provvedimentale a livello comunale delle disposizioni primarie si debba adottare una disciplina differenziata. Su queste basi, dunque, il Collegio respinge l’eccezione di irragionevolezza sollevata dalla società ricorrente.

Il TAR però non si lascia sfuggire un ulteriore aspetto: nella differenziazione degli orari tra gli esercizi esclusivamente dediti al gioco e quelli generalisti, infatti, viene aggiunta una fascia oraria (dalle 16 alle 18) per la seconda tipologia che, di fatto, finisce per “per ampliare l’offerta oraria complessiva di gioco d’azzardo di ulteriori due ore”. Una scelta questa che viene giudicata dal Collegio “scarsamente comprensibile” benché non censurabile sul piano giudiziario poiché attiene comunque “al merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione comunale”.

Il potere sanzionatorio. Il TAR infine giudica inammissibile per carenza di interesse la censura relativa all’apparato sanzionatorio previsto nell’ordinanza: il motivo di ricorso è stato infatti sollevato preventivamente, in assenza di un’irrogazione effettiva di sanzioni in capo alla società ricorrente.

I giudici sottolineano, in ogni caso, la correttezza nel merito di tali previsioni richiamando le argomentazioni contenute nella sentenza 4096/2020 del Consiglio di Stato.

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)