La normativa e i casi. I casi da cui il TAR per il Lazio ha preso le mosse nelle sentenze 1460/2019 e 6260/2019 (sostanzialmente identiche) attengono alle ordinanze limitative degli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco emanate dai sindaci dei Comuni, rispettivamente, di Anzio e di Guidonia Montecelio (nel caso di Anzio, le ordinanze sono state due in sequenza: la 28/2018, che prevedeva il funzionamento nelle fasce 10-12 e 18-24, poi rettificata con l’ordinanza 45/2018 che ha modificato le fasce in 10-13 e 16-24; nel caso di Guidonia Montecelio, l’ordinanza è la 26/2019 che ha previsto il gioco nelle fasce 9-12 e 18-23).

Il Comune di Guidonia Montecelio ha presentato poi ricorso al Consiglio di Stato, che si è pronunciato con la sentenza 5233/2020, ribaltando completamente l’esito del TAR.

L’Intesa secondo il TAR Lazio: profili generali. Il punto centrale delle sentenze del TAR è costituito dalle valutazioni in merito all’Intesa in sede di Conferenza Unificata Stato Autonomie locali del 7 Settembre 2017 che, tra le altre cose, ha previsto un tetto massimo di interruzione quotidiana del gioco pari a 6 ore, distribuibili dai Comuni nell’arco della giornata, previa intesa con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Il TAR, innanzitutto, in una prima generale disamina dell’Intesa rispetto ai profili che qui interessano, quelli della disciplina degli orari, rileva che questa “presenta una piena e specifica attinenza rispetto alla controversia in esame, in quanto, pur non essendo tale Intesa volta principalmente a disciplinare gli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco (avendo ad oggetto il complessivo riordino dell’offerta del gioco lecito), tale aspetto ha tuttavia trovato esaustiva trattazione in sede di Conferenza Unificata e condivisione nei suoi approdi”.

L’Intesa secondo il TAR Lazio: valore cogente e parametro di riferimento. Passa dunque all’esame del valore cogente, o meno, che deve intendersi attribuito all’Intesa: posto che, non essendo stata recepita con decreto ministeriale (come invece si indicava nell’art. 1, comma 936 della legge di stabilità per il 2016 che per prima ha previsto il ricorso a questo strumento), non si può dire che abbia acquisito efficacia vincolante, i giudici non si accontentano di questa conclusione e cercano, invece, un raccordo con il principio di leale collaborazione istituzionale.

Lo strumento dell’Intesa, infatti, in quanto provvedimento amministrativo concertato, costituisce di per sé “lo strumento che assicura la partecipazione ed il coinvolgimento degli enti in materie di loro interesse” (che, nel caso del gioco, sono molteplici: dall’ordine pubblico, di competenza statale, alla tutela della salute, su cui vige una competenza concorrente tra Stato e Regioni e, sul piano applicativo, investe anche gli Enti locali, fino alla pianificazione e governo del territorio, di prerogativa comunale). Ricostruita in questi termini, per il Collegio, non c’è dubbio che all’Intesa non possa essere disconosciuta una certa forza vincolante per gli enti partecipanti alla Conferenza Unificata, e ciò proprio sulla base del principio di leale collaborazione istituzionale.

Se, dunque, non si smentisce in toto la conclusione di altra giurisprudenza (ad esempio, tra le tante, la sentenza del TAR Veneto 417/2018) sul tema dell’attuale assenza di valore cogente dell’Intesa (poiché non recepita con decreto), è su un altro piano che queste sentenze intendono muoversi: di fronte ad una disposizione normativa (la legge di stabilità per il 2016 poco sopra richiamata) che prevede l’adozione dell’Intesa per cercare di sbrogliare la matassa di competenze afferenti a vari livelli e su più materie che caratterizzano il gioco, a questa Intesa, una volta raggiunta, non si può negare “il valore di parametro di riferimento per l’esercizio, da parte delle Amministrazioni locali, delle loro specifiche competenze (…) in materia di disciplina degli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi da gioco”.

L’istruttoria secondo il TAR Lazio. Risolta in questi termini la questione dell’Intesa, il TAR si concentra poi sull’istruttoria, collegando i due temi: secondo i giudici, infatti, se la norma di indirizzo prevista in Conferenza Unificata è quella di un’interruzione quotidiana del gioco al massimo per 6 ore, a cui le Amministrazioni (si è appena visto) dovrebbero attenersi, per discostarsi da questa disposizione i Comuni dovrebbero portare, nell’istruttoria in epigrafe dell’ordinanza, dei dati relativi al proprio Comune che giustifichino la scelta di introdurre fasce orarie diverse (più restrittive in questo caso).

A detta del TAR nelle due sentenze, né il Comune di Anzio né quello di Guidonia Montecelio hanno riportato dei dati specifici relativi al proprio comune che fossero in grado di dimostrare il maggior rigore delle misure introdotte: gli unici elementi istruttori si riferirebbero, infatti, a dati aggregati a livello nazionale e regionale, ciò che si rivela insufficiente per dimostrare l’esigenza di allontanarsi dalle previsioni dell’Intesa.

L’intesa con l’Agenzia Dogane e Monopoli. Su un altro punto, poi, le sentenze del TAR censurano le ordinanze comunali impugnate ed è quello del mancato rispetto della disposizione dell’Intesa in sede di Conferenza unificata che prevede, prima della definizione di come distribuire le fasce orarie di interruzione del gioco nell’arco della giornata, un’intesa specifica del Comune con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Tale previsione, in particolare, è importante a detta dei giudici perché l’ADM è portatrice di un altro interesse rilevante in materia di gioco d’azzardo, ossia quello dell’Erario, tenuto conto del rilevante introito che deriva, alle casse dello Stato, dal gioco lecito.

L’Intesa secondo il Consiglio di Stato. Di fronte all’esito della sentenza 6260/2019, il Comune di Guidonia Montecelio presenta appello al Consiglio di Stato che, nella sentenza 5233/2020, ribalta completamente l’esito del primo grado, con una ricostruzione in tutt’altri termini dell’Intesa.

Infatti, dicono i giudici di Palazzo Spada, la previsione di un decreto ministeriale per regolamentare il gioco pubblico a livello nazionale (ossia quanto previsto dall’art. 1, comma 936 della legge di stabilità per il 2016) ha il significato dell’attribuzione all’amministrazione statale di un potere di indirizzo e coordinamento: un’esigenza unitaria che sorge dalla compenetrazione di più materie a vari livelli che poco sopra si è evidenziata. In casi come questi, sottolinea il Consiglio di Stato, “è dovuta nella legge statale la previsione del previo raggiungimento dell’Intesa in sede di Conferenza unificata (…) quale strumento tipico di coinvolgimento delle regioni in attuazione del principio di leale collaborazione”.

Ma da questa previsione, affermano i giudici, non si possono far discendere ulteriori conseguenze che prescindano da questo quadro: per il fatto di “essere prevista quale atto prodromico all’esercizio del potere statale di coordinamento ed indirizzo con finalità di coinvolgimento delle regioni, all’intesa non può riconoscersi ex se, e senza che i suoi contenuti siano recepiti nel decreto ministeriale, alcuna efficacia cogente”. In altri termini, l’Intesa deve essere vista (e solo in questo senso rileva) in relazione al potere statale, in particolare nella sua funzione prodromica di ulteriori atti di coordinamento.

Nemmeno la circostanza che la legge di stabilità per il 2018 assegni all’Intesa un certo valore nell’ambito della dislocazione dei punti gioco vale a modificare questa conclusione, essendo quella previsione limitata ad un profilo molto specifico del documento della Conferenza unificata.

L’istruttoria secondo il Consiglio di Stato. Anche sul punto dell’istruttoria, poi, il Consiglio di Stato modifica le conclusioni cui sono giunti i giudici del TAR: il punto centrale nell’analisi dei dati, infatti, non deve essere cercato nel numero assoluto dei casi di ludopatia accertati ma nella crescita progressiva ed ininterrotta che caratterizza questo fenomeno. A questo si aggiunge anche la considerazione in merito ad una speculare crescita dell’aumento dell’offerta di gioco e della raccolta monetaria, oltre alla presenza di una notevole cifra oscura tra i casi di ludopatia. Il trend in crescita, dunque, che gli elementi istruttori mettono in evidenza, giustifica a detta dei giudici la scelta del Comune di limitare gli orari, che ha innanzitutto una funzione precauzionale.

Il principio di proporzionalità. Dopo aver vagliato i dati istruttori riportati nell’ordinanza e il fine preventivo rispetto alla ludopatia, la sentenza porta il ragionamento sul terreno del principio di proporzionalità, verificando se, alla luce degli interessi in gioco, la misura assicuri un corretto contemperamento delle varie esigenze. Il test di proporzionalità si articola in diverse valutazioni:

1) idoneità della misura rispetto allo scopo, cioè se la limitazione oraria è in potenza capace di raggiungere l’obiettivo di prevenzione della ludopatia;

2) stretta necessità, ossia se la misura adottata è quella che permette di raggiungere lo scopo con il minor sacrifico possibile per gli interessi privati;

3) adeguatezza della misura, anche in relazione alla sostenibilità da parte dei gestori.

Il Consiglio di Stato, anche richiamando parte della giurisprudenza che già si è occupata del tema, conclude in senso positivo la valutazione sulla proporzionalità della misura, ricordando anche che:

1) la Corte di Giustizia UE ha più volte giudicato prevalenti le esigenze di tutela della salute rispetto a quelle economiche;

2) l’interesse economico dell’Erario (specificamente richiamato nelle sentenze di primo grado) non è prevalente rispetto alla tutela della salute, anzi: “è la garanzia dei diritti incomprimibili (come quello alla salute) ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione” (dalla sentenza 275/2016 della Corte costituzionale).

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)