Premessa. Nell’audizione del 7 novembre 2017 il Presidente Gaetano Manfredi e la dott.ssa Anna Maria Zaccaria hanno illustrato le risultanze del lavoro promosso dalla Conferenza dei Rettori delle università italiane (CRUI) in sede di attuazione del Protocollo d’intesa con la Commissione parlamentare antimafia per riflettere sul ruolo delle università italiane nel contrasto alle mafie.
Obiettivi e risultati. Il Presidente Manfredi ha innanzitutto ricordato che, a seguito degli incontri di Cosenza nel 2015 e di Milano nel 2016, è stata elaborata per la prima volta una comune piattaforma istituzionale volta a sviluppare progetti lungo quattro linee di intervento caratterizzanti il contributo delle università nel contrasto alle organizzazioni e alla cultura mafiosa: ricerca, didattica, formazione specialistica e divulgazione e promozione della cultura della legalità.
L’istruzione e il contrasto alle organizzazioni e alla cultura mafiosa. La chiave di volta delle attività deve essere la valorizzazione dell’interdisplinarietà degli approcci con ricadute della ricerca in termini di policy e di supporto all’attività normativa. Il contributo che le università possono fornire nel contrasto alla cultura e ai poteri mafiosi può riguardare, per esempio, temi come quello dei comuni sciolti per mafia, del rapporto tra mafia e corruzione, tra mafia, appalti ed economia; un’importante prospettiva di intervento può attuarsi monitorando il numero di tesi di laurea, progetti di ricerca e studenti che proseguono nell’alta formazione su questi temi, al fine di diffondere anche best practices da una università all’altra. La finalità di questa attività è stata quella di creare una vera e propria “anagrafe della didattica” sul tema delle mafie, che si fondi – come ha spiegato il Rettore – “su una sistematizzazione degli ambiti di insegnamento, sulla loro valorizzazione all’interno delle discipline alte della cultura e della dignità accademica e della promozione delle eccellenze nella formazione, con riferimento sia alla formazione di base che alla formazione specialistica”. Il Presidente dei Rettori italiani ha, infine, condiviso e approvato l’iniziativa politica della Presidente Bindi di portare il tema dell’antimafia e del contrasto ai poteri mafiosi al di fuori degli ambiti tradizionali, partendo dal dato secondo cui le strutture universitarie diventano spesso presidi “di legalità sul territorio e un possibile antidoto ai mali endemici che affliggono da troppo tempo il nostro Paese”.
Dall’età dei diritti all’età dei doveri. In questa nuova fase storica l’educazione alla responsabilità deve essere parte integrante dei programmi di tutte le agenzie formative e, in particolar modo, del sistema scolastico e ancor più universitario, i quali mirano a formare i futuri professionisti e la classe dirigente del Paese. In una riflessione più teorica il Rettore ha tenuto a precisare che, due secoli e mezzo dopo la Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri, occorrerebbe forse pensare, oggi, a una rinnovata scienza della legalità, con cui rifondare le basi dell’organizzazione sociale in chiave di doveri attivi di cooperazione all’interno di tutti i rapporti civili, etico-sociali, economici e politici, soprattutto al di qua del confine di ciò che è lecito o – peggio – penalmente rilevante. In tale prospettiva, entrando nel merito del lavoro della CRUI, le direttrici di intervento individuate sono state tre: la didattica, la formazione specialistica e la ricerca.
Lotta alla corruzione civile, morale ed economica. A conclusione del suo intervento il Rettore ha, poi, auspicato che nella prossima legge istitutiva della Commissione antimafia sia valorizzato e istituzionalizzato il rapporto di questa con gruppi e centri di ricerca per supportarne l’attività data la positività dell’esperienza degli ultimi tre anni.
I risultati dell’indagine statistica. Presentando i dati prodotti dall’Ufficio statistica della CRUI sul questionario riguardante la didattica, gli insegnamenti, la presenza di strutture dedicate all’interno degli atenei e l’attività di divulgazione è emerso uno sviluppo esponenziale negli anni, acceleratosi dal 2010 a oggi, di strutture e centri creati su questi temi oltre che una maturazione di interesse e impegno scientifico e didattico sul tema della legalità e affini che comprende corsi di insegnamento, attività ed eventi.
Analisi dei dati. La distribuzione delle attività e delle strutture si è maggiormente concentrata nel nord Italia e negli atenei di maggiore dimensione. Non meno significative appaiono comunque le strutture dedicate e le attività organizzate al sud e di meno al centro. La distribuzione geografica non dimostra, però, che nei restanti atenei vi sia poco interesse, ma che nei più grandi siti in Lombardia, in Campania, nel Lazio e poi a maggior ragione nel sud Italia, vi siano degli “attrattori più forti, che dipendono dalla dimensione dell’ateneo, ma anche dalla presenza di gruppi di ricerca costituitisi negli anni, quindi di poli leader che trainano la programmazione didattica degli atenei su queste attività”. Per fornire una misura più coerente e significativa del contributo degli atenei su questo tema bisogna, altresì, tenere conto di una ulteriore variabile cioè la “ricaduta esterna”, in quanto la forza di un ateneo dipende anche dal rapporto con il tessuto economico locale e con il tessuto culturale locale.
Offerta formativa e didattica. Oltre all’istituzione, come “proposta corale di tutto il sistema universitario”, del dottorato di ricerca interdisciplinare Studi sulla criminalità organizzata presso l’Università degli studi di Milano (giunto al secondo ciclo e con sede amministrativa a Milano, ma con la partecipazione di diversi atenei italiani sia del nord che del centro che del sud), sono stati previsti in nove atenei interi corsi di formazione specialistica, due corsi di alta formazione e molti master di secondo livello sparsi su tutto il territorio nazionale. Sulla tipologia delle attività quella prevalente è di tipo seminariale, più debole invece il coinvolgimento diretto del territorio, dal punto di vista non solo degli interessi organizzati, ma anche degli enti locali e dei vari livelli di governo su cui, insieme al fronte divulgativo, bisognerebbe lavorare di più. Interessante, inoltre, appare l’analisi del network sottostante, cioè degli enti e delle istituzioni che collaborano con gli atenei a questo tipo di attività o nell’organizzazione dei corsi, tra cui si annoverano le associazioni dedicate, le regioni e la stessa interazione degli atenei che hanno risposto fra loro.
Formazione specialistica e approccio scientifico interdisciplinare. Ad oggi, ventiquattro atenei da soli offrono insegnamenti che affrontano i temi della promozione della legalità e della lotta alla criminalità organizzata da molteplici punti di vista da quello storico, a quello giuridico, passando per le implicazioni in termini di relazioni internazionali che, con il coinvolgimento sia dei corsi di laurea triennale sia a ciclo unico, permette di coprire una popolazione studentesca molto ampia attraverso un prolifico lavoro di formazione, informazione e sensibilizzazione su questi temi. Un punto su cui si potrebbe lavorare e investire sarebbe, però, quello dei corsi di alta formazione che creano skills, specializzazioni e studiosi esperti e maturi.
Riflessioni conclusive. L’impegno e il coinvolgimento di varie aree disciplinari che è stato il portato di un progressivo sdoganamento del tema dalle strette pareti dell’ambito giuridico per farne un tema politico, culturale, sociale, economico, psicologico, antropologico è un elemento produttivo non solo dal punto di vista dell’orientamento delle misure di contrasto, ma anche dal punto di vista dello studio, degli approfondimenti scientifico-disciplinari e quindi della conoscenza del fenomeno. La Presidente della Commissione, dopo aver ricordato l’impegno profuso nella collaborazione con le università italiane, ha ribadito che l’obiettivo della Commissione è quello di affidare questo impegno non alla buona volontà di qualche rettore, di qualche professore o dei nomi che ritornano a conclusione di tutti i seminari, ma di diventare un elemento strutturale della formazione di base e della formazione specialistica delle università italiane.
La mancata risposta di alcune università. Su questo punto il Presidente Manfredi, sollecitato da una domanda sugli atenei che non hanno risposto, ha spiegato che sul dato si concentrano due aspetti diversi: da un lato la presenza di atenei specialistici come i politecnici o le piccole università private dove il tema non è centrale rispetto a tutte le competenze; dall’altro lato la certa influenza geografica che spiega perché magari nelle aree centrali probabilmente c’è una minore sensibilità, dovuta a una minore percezione dell’importanza del fenomeno. Se però, come la professoressa Zaccaria ha sottolineato, “in genere i motivi per cui un’università si attiva in questi settori derivano da una tradizione di ricerca su questo fenomeno, o da attività di terza missione, quindi di rapporto con l’esterno, che sono molto sollecitate dal territorio e, quindi, se nel territorio non c’è una grandissima sensibilità, questo non è di stimolo per l’università per fare un’attività del genere”, è pure vero che i nuovi fronti di sfida stanno diventando sempre più, anche a livello internazionale, diffusi e interdisciplinari.
(a cura della dott.sa Antonia Albanese- studentessa del Master in Parlamento e politiche pubbliche della Luiss Guido Carli)