Premessa. La Commissione Antimafia ha svolto nel corso della legislatura numerose audizioni con i responsabili Amministrazione penitenziaria: cfr. le sedute dell’8 gennaio 2014, 14 gennaio 2014 , 23 luglio 2014, 17 dicembre 2014 (seduta segreta), 11 febbraio 2015, 19 febbraio 2015, 22 novembre 2016 (seduta segreta), 26 ottobre 2017 (seduta parzialmente segretata). Qui di seguito sono riassunti i contenuti principali delle audizioni, sulla base degli stenografici disponibili.
Audizioni dell’8 e 14 gennaio 2014: dati e informazioni sul regime del 41 bis.
La particolarità del regime. Il dottor Tamburino ha ricordato prima di tutto l’importanza del regime speciale del 41 bis, nato dopo le vicende tragiche dell’inizio degli anni Novanta e che è andato evolvendosi con una serie di interventi normativi fino all’ultimo recente del 2009, che ha modificato e organizzato la norma in modo da renderla sistematica rispetto all’ordinamento penitenziario.
Numeri, luoghi e personale relativi al 41 bis. Al momento dell’audizione il regime risulta applicato a 706 persone distribuite in dodici reparti (collocati tra L’Aquila, Milano Opera, Novara, Cuneo, Viterbo, Ascoli Piceno, Terni, Tolmezzo, Nuoro, Parma, Roma Rebibbia e Spoleto) con consistenze numeriche che variano anche notevolmente da un reparto all’altro. Attualmente la prima applicazione del regime ha durata di 4 anni e le proroghe successive hanno durata biennale. La vigilanza, secondo la legge, è affidata a una struttura specializzata della polizia penitenziaria denominata Gruppo operativo mobile (GOM) formato oggi da 588 elementi, selezionati essenzialmente sulla base di un apprezzamento di carattere fiduciario, al quale fa seguito un addestramento specifico, con un avvicendamento piuttosto frequente per evitare eccessive esposizioni al rischio.
I detenuti sottoposti al regime. I detenuti sottoposti a questo regime rimangono nella collocazione in cui si trovano senza mai o quasi mai avere movimenti all’interno del sistema penitenziario e le udienze si svolgono per disposizione di legge tramite il sistema della videoconferenza; quest’ultimo presenta per il capo del DAP notevoli vantaggi, sui quali a suo avviso è bene riflettere per estenderli eventualmente anche ad altre categorie. Il regime del 41 bis si applica, in effetti, non solo agli appartenenti alle organizzazioni mafiose o paramafiose, ma anche agli appartenenti alle organizzazioni terroristiche. Sebbene le catalogazioni siano frutto anche di valutazioni che possono essere opinabili e possa capitare che la sentenza non necessariamente definisca con chiarezza, o ancora, possano esserci situazioni intermedie (e secondo i dati ricordati a memoria dal capo del DAP) al momento una quota intorno al 20 per cento non è stata classificata come appartenente ai vertici delle cosche o, comunque, delle organizzazioni. A ciò si aggiunga, inoltre, che dopo l’ultima modifica dell’articolo 41bis, il Tribunale di sorveglianza di Roma è l’unico organo giurisdizionale competente in materia di verifica della legittimità dei decreti ministeriali di applicazione o di proroga del regime stesso.
Un punto di particolare importanza riguarda la tutela della salute, proprio perché l’età media dei detenuti è piuttosto elevata: essa “è garantita come per ogni altro detenuto e [forse] anche in misura maggiore”, quanto meno nel senso della rapidità degli interventi proprio perché sono detenuti assistiti, oltre che controllati, da questo reparto speciale. Per quanto riguarda, infine, l’andamento nel tempo del numero dei detenuti vi è stato un continuo aumento, dato che “si è arrivati ben presto da questi 422 del 1997 ai 461 del 1998, ai 582 del 1999” e “da allora si è rimasti sempre sopra i 500, per arrivare ben presto ai 600 e oltre”.
Informazioni e amministrazione. Una delle attività tipiche dell’amministrazione penitenziaria è l’attività di controllo: gli agenti possono percepire, vedere, ascoltare e, proprio perché agenti specializzati, hanno come compito di fornire tutte le informazioni utili all’autorità giudiziaria ed all’autorità politica ai fini della conferma o meno dei decreti. La condizione per il decreto di proroga si fonda sul fatto che esistano elementi per testimoniare che la capacità di mantenere collegamenti con l’organizzazione di provenienza per i detenuti continua ancora a sussistere. Si tratta di informazioni che non vengono riferite al capo del dipartimento, ma che rimangono nel “patrimonio conoscitivo dell’amministrazione”.
Spunti di riflessione e di dibattito tratti dalla “vicenda Riina”. Mosso dalle domande dei membri della Commissione, il capo del DAP ha, innanzi tutto, spiegato che l’inasprimento coinvolgerebbe da un lato il piano normativo e dall’altro quello pratico-applicativo. Sul primo aspetto ha, poi, ricordato che non esisterebbero iati da riempire, né profili sui cui insistere per un inasprimento sottolineando, peraltro, che al vaglio della Corte costituzionale e della Corte di Strasburgo il regime “ne è uscito sempre in piedi”. Come ha altresì ricordato la Corte, l’assenza assoluta di socialità è incompatibile con l’articolo 3 della CEDU. Sul profilo pratico-applicativo è vero che si possono presentare momenti di minore attenzione, o di caduta della tensione operativo-professionale di coloro che agiscono in questi campi, motivo per cui occorrono una forte attenzione, motivazione e forse anche delle incentivazioni che possano offrire la garanzia, se non assoluta, massima che chi svolge quel ruolo ne sia realmente all’altezza. Sul piano dell’attenzione e dell’impegno si auspica che si possa fare di più, soprattutto in termini di formazione culturale. Dal caso di Riina, il dottor Tamburino coglie l’occasione per far presente che l’articolo 14 bis della legge sull’ordinamento penitenziario non è propriamente una forma di inasprimento, bensì di maggiore vigilanza che può essere applicato a chi è già sottoposto al regime del 41 bis; e poiché dalle informazioni non giudiziarie del detenuto Riina erano emersi elementi di possibile minaccia si era dato avvio alla procedura dell’applicazione dell’articolo 14 bis, con la garanzia che quest’ultimo è sottoposto comunque al controllo giurisdizionale dopo l’applicazione.
Abbinamenti e gruppi di socialità. Per previsione normativa i cosiddetti gruppi di socialità (termine penitenziario) cioè le persone con cui si può parlare, convivere, abitare, coabitare e così via, di questi detenuti non possono superare il numero di 4. La decisione in questo campo spetta alla direzione generale detenuti e avviene secondo determinati criteri tra cui – come è stato risposto al capo del dipartimento – “è sempre sentita l’autorità giudiziaria”, cosa avvenuta anche per l’abbinamento Riina-Lorusso. All’interno della direzione generale detenuti e trattamento, in un ufficio apposito è preposto un magistrato, che decide sulle modalità degli eventuali trasferimenti sentita normalmente l’autorità giudiziaria, in modo, quindi, che questa non soltanto sappia, ma concordi proprio per evitare perdite di dati o possibili interruzioni delle indagini e dei controlli in corso o da fare.
Chiarimenti su protocolli, convenzioni e rapporti tra reparti. Per quanto concerne il protocollo farfalla, su cui gli era stata posta una domanda, il capo del dipartimento ha risposto di non esserne al corrente. Al momento in cui parla egli informa, inoltre, sull’esistenza di una convenzione sottoscritta e operativa con l’AISI che, sulla base dell’articolo 13 della legge 124 del 2007 che ha disciplinato nuovamente il sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e la nuova disciplina del segreto, configurerebbe il dipartimento stesso come una di quelle pubbliche amministrazioni cui è richiesta una forma di collaborazione. Dopo questa convenzione – come ha ritenuto di precisare – “i rapporti con l’agenzia di informazioni siano istituzionalmente corretti”. Quanto ai rapporti tra in nucleo investigativo centrale (NIC) istituito nel 2007 e il GOM, il dottor Tamburino ha spiegato che il primo svolge indagini su delega dell’autorità giudiziaria o direttamente e dispone di una sala situazioni informatica nella quale affluiscono dai vari istituti penitenziari tutti i dati che hanno una cosiddetta “natura critica” mentre sul rapporto con l’agenzia, la convenzione prevede una collaborazione di questa sala – che è un collettore di notizie – con la stessa sempre su richieste specifiche rivolte dall’agenzia per le sue esigenze di intelligence.
Rapporti fra detenuti. Prendendo il dato come contingente, in quanto i numeri possono cambiare da un giorno all’altro, il capo del DAP riporta che il rapporto tra i detenuti sottoposti al 41 bis, che sono 706, e i detenuti – senza distinguere tra imputati e condannati – per reato del 416 bis, che sono 5.863 è, quindi, dell’11 per cento del totale dei detenuti per reato del 416 bis. Rispondendo a una domanda sull’applicabilità del regime di sorveglianza h24 ha chiarito che si tratta di una misura specifica di alcuni trattamenti e che il regime del 41 bis non prevede di per sé un tipo così esteso di videosorveglianza (sono 30 su 706 al momento in cui parla).
La ratio del regime. Per quanto riguarda la sua efficacia essa è definita “evidente”: nelle parole del dottor Tamburino è, infatti, “uno strumento che ha una sua funzionalità e questo rispecchia anche l’opinione direi generale dei magistrati”. A suo parere, però, un punto critico nella prassi applicativa e soprattutto in quella giudiziaria, riguarda non tanto l’applicazione del regime, quanto le sue proroghe dato che – come ha spiegato – “la norma è oggi formulata, infatti, in termini tali che se applicata non rigorosamente, direi, ma correttamente dal giudice, difficilmente consente di negare la proroga nei casi in cui il ministero abbia adottato il decreto di proroga”. Situazione che – per chi parla – ha un significato per i capi supremi, ma che dovrebbe almeno far porre delle domande sul significato per i livelli intermedi e inferiori.
Abbinamenti e socialità del detenuto Riina. Interrogato nuovamente sul punto, il capo del DAP ha ribadito che tutte le volte in cui si deve decidere se fare un abbinamento con un altro detenuto di 41 bis si chiede all’autorità giudiziaria ed è avvenuto così anche con il detenuto Riina: è stato prima mandato un elenco di nomi alla Direzione nazionale antimafia e, all’interno di questo elenco, la stessa – che è l’unico organo giudiziario che ha una visione complessiva, nazionale e che conosce e domina tutta la materia – ha scelto il nome di Lorusso.
Rischi connessi al regime e pericolo di proselitismo. Il regime dell’articolo 41bis – come ha spiegato il capo del DAP – non è “a impermeabilità assoluta”, perché prevede i colloqui con i familiari e con i difensori e proprio riguardo ai colloqui con i difensori una sentenza della Corte costituzionale del 2013 ha ritenuto illegittimo il limite che ne riduceva la possibilità. Sui rischi poi del proselitismo, tema di interesse comune che peraltro non riguarda solo il 41bis, ma tutti i detenuti, si riferisce sull’esistenza di un’attività di attenzione che viene seguita soprattutto dalla segreteria di sicurezza diretta da un magistrato e che cerca di cogliere attraverso le informazioni di carattere amministrativo e preventivo eventuali segnali di attività di proselitismo o predisposizione di attività criminose.
Audizione del 23 luglio 2014: dati ed inquadramento della normativa
Il dottor Piscitello riferisce che il numero dei detenuti sottoposti al regime speciale del 41 bis, alla data del 23 luglio 2014, risulta essere di 719, di cui otto donne e uno straniero. I dodici istituti penitenziari in cui sono allocati presentano sezioni dedicate all’articolo 41 bis, salvo uno, quello de L’Aquila, i cui 134 detenuti sono tutti sottoposti a regime di 41 bis. La popolazione è piuttosto assortita tra le associazioni di tipo mafioso, compresi i pochi esponenti di associazioni di tipo terroristico. L’ultimo mutamento normativo è intervenuto con la legge 94 dell’agosto 2009 che ha ridisegnato l’istituto avendo come filosofia di fondo quella di renderlo il più possibile vincolato alle norme di legge e di sottrarre la discrezionalità amministrativa sia in capo al Ministro sia in capo a chi poi materialmente è chiamato a dare attuazione quotidianamente al regime. Quest’ultimo, come è stato più volte ribadito nelle differenti audizioni dei responsabili dell’amministrazione penitenziaria, mira a istituire una prevenzione penitenziaria volta sostanzialmente a impedire che il detenuto mafioso, nelle varie articolazioni che questa associazione conosce nel nostro territorio, continui a fare quello che fa sempre, cioè il capo, il promotore, l’organizzatore, il partecipe di un’associazione criminale, ruolo che la detenzione non serve a interrompere. Per questo il regime speciale di cui all’articolo 41 bis mira a impedire, per quanto possibile, ogni forma di contatto del detenuto con i suoi sodali.
Ambito applicativo e recenti innovazioni. Il decreto applicativo del 41 bis, atto essenzialmente amministrativo, diventa però sottoposto alla tutela giurisdizionale al pari di tutti gli altri atti che incidono sulla sfera dei diritti soggettivi e in primis della libertà. Per questo è stato, infatti, previsto il rimedio dell’impugnativa dinanzi il tribunale di sorveglianza di Roma e, avverso la decisione del tribunale di sorveglianza di Roma, nei 26 giorni successivi, il ricorso per Cassazione per violazione di legge. La norma ha fatto sì che, nell’intero territorio nazionale, si mirasse ad avere un’uniformità di trattamento quanto alla valutazione dei criteri che rendono o meno legittimo il decreto del Ministro. Proprio per i suoi caratteri e connotati squisitamente giurisdizionali, come se fosse un qualunque provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria, il regime di cui all’articolo 41 bis ha sempre superato il vaglio di legittimità, che molte volte la Corte europea dei diritti dell’uomo e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura hanno avanzato sullo stesso. Sempre, poi, per effetto delle modifiche del 2009, la proroga non è più – se mai lo fosse stata – un mero passaggio burocratico di uno status che deve permanere: all’approssimarsi della proroga, infatti, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento procede a chiedere alle procure distrettuali antimafia che hanno proposto l’applicazione del 41bis, un aggiornamento di tutti gli elementi in grado di dimostrare il collegamento del detenuto con le associazioni criminali, informazioni che vengono chieste anche agli organi centrali della Polizia, dei Carabinieri, della Guardia di finanza e alla Direzione investigativa antimafia, in riferimento peraltro non solo al profilo del detenuto e alla sua pericolosità, ma anche al tenore di vita dei familiari.
Audizione del 17 dicembre 2014: l’”Operazione farfalla” ed il ruolo dei Servizi
Il quadro normativo. L’audizione del dottor Ardita ha approfondito in particolare la cosiddetta “Operazione farfalla” e più in generale le modalità di attuazione del regime di detenzione di cui all’articolo 41 bis nei confronti dei detenuti per mafia. La disciplina e i compiti dei servizi sono stati regolati essenzialmente da due leggi: la prima era la legge n.801 del 1977; poi superata dalla legge n.124 del 2007. Se nella prima ci si concentra sulla difesa dello Stato democratico e sulle istituzioni poste dalla Costituzione, la seconda ne specifica meglio i compiti di ricerca ed elaborazione di tutte le informazioni utili a difendere la sicurezza interna da ogni attività eversiva, aggressione criminale o terroristica. Con lo scopo di salvaguardare la funzione di controllo dell’illegalità nell’azione dei servizi è specificato che non possono essere alle dipendenze dei servizi né magistrati né altre figure, come giornalisti, ministri di culto eccetera. La normativa del 2007 ha introdotto una serie di contenuti nuovi, quali, per esempio, alcune clausole di garanzia per il personale dei servizi di informazione, “stabilendo che non è punibile il personale dei servizi di informazione che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, se queste sono state legittimamente autorizzate di volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali dei servizi”; si prevedono tuttavia cause di esclusione della giustificazione, in quanto pur trattandosi di una normativa molto specifica, stabilisce dei limiti generali per cui alcuni beni giuridici non si possono violare.
Rapporti tra il servizio di informazione e il penitenziario. Nel rapporto tra servizi di informazione e amministrazione penitenziaria possono e devono esserci dei momenti di collaborazione. Trattasi intanto di una materia molto delicata: partendo dalla circostanza che nelle carceri esiste un certo “potenziale informativo”, la suddetta normativa facoltizza i servizi di informazione a determinate attività, in modo legittimo e sempre in linea con l’obiettivo istituzionale, ciò va poi coordinato e reso compatibile con la vita penitenziaria, partendo dal principio di comparazione e di bilanciamento dei beni giuridici in base al quale è possibile definire legittima un’attività che non è normata specificamente da leggi, ma che va ispirata a questioni generali.
Il modello di funzionamento normativo dei servizi. È un modello molto garantito, a tal punto che è stato detto a volte essere un freno all’attività di questi servizi stessi. La ragione che ispira questa garanzia – come ha tenuto a precisare il dottor Ardita – è “il fatto che il soggetto istituzionale che può verificare l’impatto dell’attività dei servizi di informazione su altre sfere giuridiche deve essere sempre posto nella condizione di riconoscere un eventuale impatto su altri beni giuridici, di rilevarlo e, dunque, di opporsi all’attività o di rendere questa sua conoscenza fruibile dagli organi che esercitano il controllo democratico sui servizi di informazione, in primo luogo agli organi parlamentari”.
Audizioni dell’11 e 19 febbraio 2015: la riforma del Dap
Ruoli e compiti del DAP. L’audizione prende avvio dal riconoscimento del ruolo del DAP e della direzione preposta alla cura dei detenuti ristretti a regime di 41bis, nell’ambito del contrasto alla criminalità organizzata. In questo settore due sono le esigenze principali: da una parte quella di recidere i rapporti con la criminalità organizzata da parte dei ristretti; dall’altra di rendere compatibile il trattamento penitenziario con le normative e le prescrizioni anche europee in materia di rispetto della dignità della persona. Tra le varie “emergenze” cui ha dovuto far fronte all’avvio dell’anno 2015 il dottor Consolo ha fatto presente da una parte la cessazione del servizio mensa che veniva prestato da 10 cooperative in 10 istituti penitenziari; dall’altra l’imminente soppressione degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e il conseguente trasferimento dei sottoposti a misura di sicurezza in strutture ospedaliere d’accoglienza per i disabili mentali, chiamate REMS.
Proposte di riforma e riorganizzazione del dipartimento. Sul DPCM allora in via d’attuazione che prevede un riordino il capo del DAP ha dichiarato di avere alcune riserve: come sulla soppressione di uno dei due vice capi, oltre che della Direzione generale beni e servizi. È bene tenere a mente, tuttavia, che il problema dell’edilizia è strettamente correlato a quello delle esigenze di sicurezza e di isolamento del sottoposto al 41 bis proprio perché le nuove strutture sono costituite “a isola”. Come spiegato nel corso dell’audizione nel dettaglio, ciascuna alloca, infatti, 4 detenuti destinati a una socialità separata e garantisce l’assoluta incomunicabilità con tutti gli altri. Per contro, nelle strutture attuali esistono delle situazioni di sofferenza, laddove si potrebbe scoprire che due stanze si fronteggiano nello stesso corridoio, o una stanza sopra e una sotto hanno la possibilità di comunicare da un piano all’altro o da pareti contigue.
Per una buona amministrazione del penitenziario. A seguito di un evento increscioso relativo al suicidio di un detenuto e alla conseguente sospensione di agenti che si erano resi colpevoli di affermazioni molto gravi al riguardo, il capo del DAP ha tenuto a sottolineare la tempestività delle indagini interne alla polizia penitenziaria e il conseguente avviamento, all’interno dello stesso corpo, di una attività di formazione nel senso “della sensibilità solidale alle sofferenze di chi è emarginato”, corsi di cui si è auspicato un progressivo incentivo. Sempre a ciò ha fatto, poi, seguito una circolare che richiama tutti i princìpi e i doveri ai quali si deve attenere il Corpo della polizia penitenziaria, il cui compito non si esaurisce in vigilanza e controllo, ma prosegue “in un accompagnamento verso un reinserimento sociale degli emarginati”, non dimenticando, peraltro, il dato secondo cui negli ultimi anni, “vi è stata una notevole attività di prevenzione per quanto riguarda il fenomeno suicidiario”.
La mancata apertura di Cagliari e Sassari. Su questo punto vi è stata una risposta del direttore generale di beni e servizi del 16 febbraio 2015. Per Sassari Bancali la casa circondariale è capace di contenere 455 posti, tra i quali 92 destinati proprio al 41-bis. Il problema di questa struttura è che non è ancora stato realizzato il polo di videoconferenza, la cui realizzazione è demandata al DOG, ossia al Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria. Dopo aver contattato il dottor Barbuto, capo del DOG, sono state fornite rassicurazioni sul fatto che ci sono le risorse e che, quindi, in tempi brevi il tutto si potrebbe realizzare. Per quanto riguarda, invece, l’altra struttura, quella di Cagliari Uta, la competenza è del provveditore interregionale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma è bene far presente che esistono delle difficoltà finanziarie da parte della ditta che sta espletando i lavori, ossia della ditta esecutrice, incaricata dal Ministero.
La chiusura degli OPG. Sul tema il 9 febbraio 2015 vi è stata una missiva alla stregua della quale si è visto che un accordo di massima era già stato raggiunto per la bozza dell’accordo sia con le regioni, sia con le province autonome. In relazione a questo accordo, quello che preme è soprattutto l’articolo 1, in cui si dice che “al fine di assegnare gli internati attualmente ricoverati presso gli OPG alle REMS, il Ministero della salute comunica all’autorità giudiziaria e al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria entro e non oltre il 15 marzo 2015 l’avvenuta individuazione e l’effettiva attivazione al 31 marzo 2015 delle REMS”. Sugli adempimenti richiesti al DAP e non previsti dalla legge, il dottor Consolo ha dato rassicurazione sulla sua massima disponibilità a dare seguito a tutte le richieste che possano accelerare i tempi. Per quanto concerne la materia di specifico interesse della Commissione si distinguono gli internati in esecuzione di misure di sicurezza da quelli che sono, invece, detenuti in osservazione, anche in espiazione di pena in esito a sentenza di condanna anche per reati gravi. Appare, pertanto, evidente che gli internati, in esito a provvedimento dell’autorità giudiziaria, ossia in base alla legge vigente, dovranno andare attualmente negli OPG e successivamente presi in carico dalle REMS.
L’audizione del 26 ottobre 2017: la nuova circolare del 2 ottobre 2017
I contenuti della circolare. La nuova circolare del DAP, sottoposta anche al parere del Garante nazionale dei detenuti e del Procuratore nazionale antimafia, è volta a garantire al contempo la sicurezza e l’ordine, l’esigenza di una non comunicabilità all’esterno, evitando di incorrere in censure e richiami a livello europeo: tale circolare – che non è definitiva dato che qualunque suggerimento ragionevole e condivisibile sarà oggetto di valutazione – “vuole essere riepilogativa di tutta la normativa precedente secondaria –ma – anche di indirizzo per tutti gli operatori affinché le prassi siano uniformi ovunque”, considerando quale sia il rischio di richieste ripetitive e di comportamenti reattivi che da una struttura all’altra creano, infatti, difficoltà nella gestione.
Il problema delle strutture. Il dottor Consolo, dopo essersi speso per l’apertura della struttura penitenziaria di Sassari Brancali oltre che per quella di Cagliari Uta ha, altresì, dichiarato di aver effettuato tentativi nella ricerca di altre strutture che siano adeguate al sistema del 41 bis, di non facile reperimento previa fase di lavori da realizzare al loro interno.
Il problema del personale. Traendo spunto da un articolo della stampa, il dottor Consolo fa presente che, a seguito del taglio intervenuto con la recente legge Madia, l’organico in forza presso il GOM (Gruppo operativo mobile) prevede un numero di 597 unità (a fronte di una pianta organica di 620 unità). A ciò si aggiunga che i diversi provvedimenti sono stati presi nell’ottica di una spending review che ha permesso di raggiungere notevoli risultati: “sono stati previsti dei concorsi e delle assunzioni straordinarie che andranno a implementare la consistenza attuale” per il 2018 e anzi ad incrementarla per far fronte ad ulteriori esigenze.
Uniformità di trattamento del 41 bis e carenze strutturali. Dato di partenza di una precedente audizione era stata la mancanza di un’uniformità di trattamento del 41 bis, legata prevalentemente alle carenze strutturali e a quelle personali; a fronte di ciò l’ambizione rimane quella di rendere il più possibile efficace lo stesso 41 bis, sebbene la stessa circolare non voglia porsi ed essere un superamento delle carenze strutturali. Come è stato sottolineato la circolare è, infatti, molto dettagliata e tutto ciò è stato disciplinato proprio per evitare diversità e abusi.
Formazione di gruppi di socialità. In tema di gruppi di socialità la regola adottata è quella di evitare commistioni inopportune che sono tali se i gruppi di detenuti assoggettati al 41bis appartengono alla stessa organizzazione, a organizzazioni contrapposte e a organizzazioni per cui dalle sentenze emergano ragioni di inopportunità appunto che stiano insieme. Un principio particolare vige, poi, per quei detenuti che rivestono posizioni apicali nelle associazioni: in quei casi, infatti, nessun gruppo viene formato autonomamente dal direttore, ma direttamente dall’ufficio con la collaborazione preventiva della Procura nazionale antimafia. L’audizione prosegue poi con una attenta disamina della distribuzione dei detenuti internati nei diversi gruppi di socialità e delle modalità di intervento e di interlocuzione con la Procura nazionale antimafia che, a sua volta, agirà con le procure distrettualmente competenti.
Il diritto alla salute tra garanzie e limiti. Per quel che riguarda la possibilità che ogni detenuto ha di essere visitato a proprie spese da un medico di fiducia, la previsione è quella dell’articolo 11, comma 11, della legge del 1975 a riprova del fatto che vale per tutti i detenuti il diritto alla salute. La circolare precisa i controlli sulla necessità di ricorrere a quel tipo di visita specialistica e sui precedenti penali del medico personale: inoltre, se è vero che l’operatore non può ascoltare quello che il medico dice, può, però, fare un controllo visivo evitando la violazione di garanzie e diritti che rischia di mettere in forse lo strumento stesso del regime giudicato utilissimo e valido.
Gli incontri tra detenuti con altri soggetti. La Commissione approfondisce anche le problematiche relative alle modalità di svolgimento dei colloqui tra i detenuti ed i loro figli nonché con gli avvocati, sempre sulla base dell’esperienza concreta registrata in passato.
Una distinzione definitoria: colloquio riservato, colloquio e incontro. Dal punto di vista delle definizioni è bene distinguere tre generi, cioè il colloquio riservato, il colloquio e l’incontro. Come attentamente spiegato, al termine dell’audizione, quello che è disciplinato dalla legge per il 41bis è il colloquio; poi c’è il colloquio riservato per cui il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, nella veste di membro nazionale di quella Convenzione ONU, va in una stanza di qualunque tipo all’interno del carcere senza telecamere, senza controllo auditivo, senza controllo visivo.
Relazione conclusiva. Ulteriori considerazioni sul regime penitenziario del 41 bis sono contenute nella Relazione conclusiva della Commissione di febbraio 2018.
(a cura della dott.sa Antonia Albanese – studentessa del Master in Parlamento e politiche pubbliche della Luiss Guido Carli)