Premessa. La Commissione di inchiesta sulle mafie ha avviato un’ampia ricognizione dell’evoluzione del fenomeno mafioso in Italia e, in parallelo, dell’attuale situazione del movimento civile antimafia, in tutte le sue articolazioni. La prima audizione del 1* dicembre 2015 ha riguardato Salvatore Lupo, professore ordinario di storia contemporanea presso l’Università di Palermo, ed il 2015; il 15 dicembre 2015 è stato audito Isaia Sales, professore di Storia delle mafie presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Nella seduta del 13 gennaio 2016 è stato ascoltato il presidente dell’associazione Libera ed il 2 febbraio 2016 Attilio Bolzoni, giornalista de La Repubblica. Il 2 agosto 2016 e il 4 ottobre 2016 è stato ascoltato il presidente della Regione Sicilia (la seconda seduta è stata in parte segretata); un magistrato del Tribunale di Reggio Calabria – ex assessore della regione siciliana – è stato ascoltato nella seduta segreta del 25 ottobre 2016; il 13 dicembre 2016 si è svolta l’audizione (anch’essa segretata) di Marco Venturi, già presidente di Confindustria Centro Sicilia. Qui di seguito sono sintetizzati i contenuti salienti di tali audizioni, sulla base degli stenografici finora pubblicati.
Le origini di mafia e camorra. Le prime audizioni hanno posto particolare attenzione alle caratteristiche dei gruppi criminali nelle diverse aree del nostro paese. In Sicilia, la mafia si è caratterizzata in origine anche per la difesa dell’organizzazione arretrata delle campagne. In Campania, al contrario, la camorra napoletana non è un fenomeno dei ceti medi, nè dei ceti proprietari, ma è innanzitutto un fenomeno della plebe napoletana, dedita alla criminalità urbana, che poi si estende nelle campagne, dove i camorristi assumono le vesti di sensali, mediatori di prodotti agricoli, ma non di difensori della proprietà. La camorra svolge una funzione di “giudice di pace” in alcune realtà dei quartieri napoletani, mentre fuori ha un’attività di mediazione delle merci. Conseguentemente, anche i movimenti assumono caratteri diversi: i fasci siciliani, ad esempio, non sonoè un movimento antimafia in senso stretto, ma si trovano comunque a scontrarsi anche con la mafia perché la rivendicazione dei contadini è la rivendicazione della terra e tra i difensori dello status quo ci sono i mafiosi: è da qui che trovano origine le centinaia di morti ammazzati in Sicilia.
Tutte le organizzazioni criminali si costituiscono come setta, con le loro rigide regole interne, riprendendo i riti della massoneria e della carboneria: attraverso di essi si viene così a nobilitare la violenza.
La repressione dei fenomeni di criminalità organizzata. Interessante è la ricostruzione dell’atteggiamento delle istituzioni nei confronti delle organizzazioni criminali. Per quanto riguarda la mafia si può parlare di sostanziale “impunità” almeno fino al 1982, perché la mafia agevolava la difesa della proprietà e degli assetti sociali della realtà siciliana. I provvedimenti repressivi assunti all’inizio del periodo fascista (in particolare dal prefetto Mori) in realtà durano solo pochi anni, con la messa in libertà di gran parte di coloro che erano stati condannati e con un provvedimento di amnistia. Solo con il maxiprocesso di Falcone si apre una stagione completamente nuova di dura repressione del fenomeno mafioso, testimoniato anche dall’elevato numero degli ergastoli comminati (500-600, a fronte dei soli 10 ergastoli del periodo precedente) e da un attacco senza precedenti all’organizzazione mafiosa; Stato e movimenti antimafia, uniti, riescono ad ottenere risultati importantissimi.
Per la camorra napoletana invece l’atteggiamento delle classi dirigenti è per lunghissimo tempo di “tolleranza”, di contenimento del fenomeno, nel fondato timore che una repressione delle molteplici attività illegali messe in atto avrebbe determinato forme incontrollabili di rivolta sociale. In alcuni periodi storici (ad esempio per l’arrivo di Garibaldi a Napoli), i capi camorra sono addirittura utilizzati per garantire l’ordine pubblico. Solo quando i delitti superano il livello di guardia (ma la camorra tende a ridurre al minimo i casi di violenza gratuita: e infatti il numero di omicidi, in particolare quelli dei rappresentanti delle istituzioni, è molto più basso rispetto alla Sicilia ed altre zone del nostro Paese) scattano periodicamente misure repressive molto dure, come ad esempio quelle messe in atto nel 1863 con la “legge Pica” o da Mussolini nella provincia di Caserta: i rapporti tra politica e camorra risultano meno stabili e duraturi rispetto a quelli tra politica e mafia. Ed un’altra fase di netta contrapposizione si registra negli anni ’80, su impulso dei movimenti di ribellione alla camorra, che si affiancano alle iniziative di sindacati, partiti e di alcuni esponenti della Chiesa: sono adottati importanti provvedimenti da parte della magistratura, nella quale si registra un grosso cambiamento anche generazionale.
Va sottolineato che ai provvedimenti assunti dalla magistratura si affiancano le iniziative di natura politica, che si concretizzano anche nello scioglimento delle amministrazioni comunali (ad esempio quelle di Palermo, Reggio Calabria e Napoli nella seconda metà del secolo scorso).
L’evoluzione delle mafie nell’Italia di oggi. Oggi non si può parlare più di “guerra” alle mafie come in passato, se non altro perché i colpi inferti ai gruppi criminali negli anni ’80 e ’90 sono stati notevolissimi e non c’è più quella violenza omicida fuori da ogni controllo che ha caratterizzato per tanti anni la nostra storia. Il venir meno del carattere “eversivo” della mafia non vuol dire che si debba abbassare la guardia, perché le organizzazioni criminali hanno cambiato strategia, inserendosi a pieno titolo nell’economia legale, sfruttando la complicità di una parte del mondo imprenditoriale e sviluppando una fortissima capacità di infiltrazione nelle istituzioni. Ad esempio, I casalesi hanno investito i proventi delle attività illegali nel cemento, nel settore edilizio, nella grande e piccola distribuzione e nella ristorazione.
E proprio tali attività sono funzionali ad ampliare il loro consenso. Le mafie “portano soldi” e facilitano lo sviluppo dell’economia: per questo possono essere viste con favore anche in aree territoriali diverse da quelle tradizionali. La camorra si legittima soprattutto per la sua capacità di garantire lavoro, sia pure illegale. Ma il consenso sociale fortissimo verso la camorra che si registrava, ad esempio, nella fase del contrabbando di sigarette diminuisce sensibilmente quando invece la camorra si dedica al traffico di droga. Ed un importante colpo alla credibilità tra la popolazione è dato anche dal traffico illecito dei rifiuti, in seguito alla scoperta dell’interramento di rifiuti tossici.
Il contributo di Libera all’interno del movimento antimafia. L’audizione di don Ciotti e dei suoi collaboratori, nell’illustrare le iniziative promosse dall’associazione Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie a partire dalla sua fondazione (1995) si è incentrata soprattutto sul ruolo di promozione e supporto svolto da Libera nei confronti delle associazioni nella gestione dei beni confiscati (ed in particolare delle cooperative sociali aderenti a Libera Terra che si occupano dell’inserimento sociale di soggetti svantaggiati): Libera infatti non gestisce direttamente tali beni (se non in un numero limitatissimo di casi), così come non riceve contributi pubblici, ma si limita a favorire la crescita di nuove cooperative e a dettare regole di comportamento, ulteriori rispetto agli obblighi di legge, atte a garantire la massima trasparenza nell’affidamento e nella gestione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Ed è inevitabile che – nonostante le verifiche periodiche effettuate da Libera con l’apporto delle strutture preposte (prefetture e questure in primis) – all’interno della rete di 1600 associazioni aderenti possano verificarsi situazioni critiche: lo testimoniano anche i casi di allontanamento di alcune cooperative dal consorzio Libera Terra.
E il dibattito in commissione si è pertanto sviluppato sugli strumenti necessari ad arginare, all’interno del movimento antimafia, i fenomeni di vera e propria infiltrazione da parte dei gruppi mafiosi per perseguire meglio la propria strategia di potere. Don Ciotti stesso ha d’altronde sottolineato più volte in passato i casi di utilizzo della bandiera dell’antimafia per motivi di interesse personale e di carriera: e in seduta segreta sono stati esposti alla commissione alcuni tentativi concreti di infiltrazione denunciati da Libera all’autorità giudiziaria.
Le analisi del giornalismo di inchiesta. L’intervento del giornalista Bolzoni, impegnato da moltissimi anni nelle inchieste sulle mafie, in particolare di quella siciliana, si è concentrato su due diversi fenomeni. Il primo riguarda la “mafia che si traveste da antimafia” e i gruppi criminali organizzati che utilizzano il movimento antimafia, infiltrandosi ad esempio nelle associazioni antiracket o sponsorizzando le manifestazioni per la legalità e contro le cosche mafiose, per continuare ad esercitare il loro potere. Un’operazione di mascheramento che solo a fatica sta emergendo in tutta la sua gravità. “La mafia cambia sempre, ma sempre rimanendo se stessa … pronta a ogni mutazione sociale… Già dieci anni fa la mafia cominciava a nascondersi dietro gli slogan dei propri nemici”: a tale riguardo Bolzoni denuncia duramente i vertici della Confindustria siciliana, che avrebbero dissipato le speranze di forte rinnovamento nate con la rivolta di alcuni imprenditori contro il racket. In pubblico si condannavano i boss mafiosi ma nei fatti avevano rapporti di interesse con loro: e in dieci anni Confindustria siciliana non avrebbe mai espulso imprenditori accusati di reati di mafia.
Discorso completamente diverso va invece fatto per gli errori e le inadeguatezze del movimento antimafia storico. Bolzoni mette l’accento soprattutto sul flusso di denaro pubblico a disposizione delle associazioni, che avrebbe favorito un processo di progressiva acquiescenza e “asservimento” nei confronti del potere di tante organizzazioni – piccole e grandi – nate per difendere forti ideali ma ora molto più attente ad ottenere finanziamenti: e le risorse pubbliche (aldilà delle finalità della legge) sarebbero state erogate spesso senza un reale controllo sulla loro destinazione effettiva. Molte associazioni non hanno avuto la sensibilità di individuare i soggetti con cui realizzare una proficua collaborazione: in taluni casi, l’antimafia è diventata solo un trampolino per fare carriera.
Nel dibattito in Commissione è emersa la volontà di approfondire ulteriormente le caratteristiche dei diversi movimenti antimafia e di indicare modalità innovative di contrasto alla mafia di oggi, che ha assunto forme molto diverse da quelle tradizionali e per questo è molto più difficile da individuare e combattere.
La lotta contro la mafia in Sicilia. Il 2 agosto 2016 ed il 4 ottobre 2016 si sono svolte le audizioni del presidente Rosario Crocetta, dedicate soprattutto all’approfondimento della situazione della mafia in Sicilia e del ruolo attuale del movimento civile dell’antimafia: a tale riguardo è stato posto l’accento sul rapporto della Giunta con la Confindustria siciliana, nelle sue diverse articolazioni, anche alla luce delle inchieste giudiziarie che hanno coinvolto i suoi vertici: con il rischio di trasformare la lotta alla mafia in uno strumento per garantire l’occupazione del potere economico e politico da parte dei gruppi affaristici e criminali.
L’audizione è stata l’occasione per illustrare l’azione scolta dalla Giunta Crocetta per contrastare la forte presenza della mafia in Sicilia nei diversi settori, favorita anche dall’apparato burocratico, a partire dalla difesa dei parchi naturali – ad es. a Pantelleria e Cefalù, recentemente colpiti da incendi dolosi – dalla speculazione edilizia e dall’appropriazione indebita da parte dei gruppi mafiosi dei terreni destinati ai pascoli (proprio con riferimento al parco di Nebrodi è stato svelato un sistema truffaldino di gestione dei fondi europei ed un esteso fenomeno di macellazione clandestina; ed il protocollo di legalità sottoscritto dalla regione è proprio volto a contrastare i forti interessi mafiosi al riguardo). E’ stata avviata da parte della Giunta una verifica a tappeto del possesso della certificazione antimafia da parte delle imprese coinvolte e delle concessioni demaniali. La Giunta ha provveduto al licenziamento di numerosi addetti al corpo forestale, responsabili di incendi e addirittura di protezione di boss mafiosi, e di ex Pip del Progetto emergenza Palermo, accusati di collusione con la mafia.
Il serrato dibattito in Commissione si è sviluppato con particolare riferimento all’efficacia delle politiche adottate per fronteggiare la gestione dei rifiuti ed il comparto sanitario (anche con riferimento alle forti polemiche derivanti dalle dimissioni dei due assessori) e l’emergenza idrica (si sono registrati anche per tali impianti numerosi incendi dolosi), alla luce della presenza di forti interessi mafiosi in quei settori e di numerosi casi di mala gestione.
(ultimo aggiornamento 13 dicembre 2016)