Premessa. La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie ha approvato, nella seduta del 21 febbraio 2018, una relazione sulla morte di Attilio Manca, giovane urologo di origini siciliane ritrovato senza vita, in circostanze mai chiarite, la mattina del 12 febbraio 2004 nella sua abitazione di Viterbo (doc. XXIII, n. 45). La vicenda è, da anni, al centro di una campagna mediatica secondo la quale il medico sarebbe stato vittima di un omicidio maturato in contesti criminali del Messinese collegati all’allora latitante Bernardo Provenzano. Secondo tale ipotesi, peraltro, sarebbero stati messi in atto dei depistaggi con la complicità delle istituzioni. Cogliendo le numerose sollecitazioni perché sia finalmente accertata la verità e sia fatta giustizia, la Commissione ha perciò inteso offrire il proprio contributo alla corretta ricostruzione dei fatti. Sullo stesso tema è stata presentata anche una relazione di minoranza (doc. XXIII, n. 45bis).
Indagini inconcludenti e lacune investigative. All’atto del ritrovamento del corpo sembrò subito plausibile che la causa della morte fosse rinvenibile in un’eccessiva assunzione di eroina, in quanto vennero individuate nell’abitazione anche due siringhe. Le indagini della procura di Viterbo non portarono a risultati significativi e il pubblico ministero chiese ripetutamente l’archiviazione del caso; richiesta infine accolta dal Gip, dopo numerosi ulteriori accertamenti, il 26 luglio 2013, a quasi dieci anni di distanza dalla morte del giovane medico: «tutti gli elementi ad oggi acquisiti […] convergono a confermare l’ipotesi che Manca Attilio sia deceduto per volontaria assunzione di sostanze stupefacenti […], (mentre) l’ipotesi omicidiaria ad opera di appartenenti alla mafia in collegamento con Bernardo Provenzano […] si fonda su elementi di mera supposizione». I familiari del Manca, pur convenendo sulle cause della morte, hanno da sempre sostenuto che l’overdose di eroina fosse tutt’altro che volontaria ma sia stata, invece, l’effetto di un’azione di costrizione da parte di terzi. Sarebbe stato, cioè, un escamotage per celare l’omicidio dell’urologo, voluto e realizzato da ambienti mafiosi e per motivazioni collegate alla latitanza del suddetto boss. Ad alimentare tale ipotesi contribuirono senz’altro anche alcune lacune nell’azione degli inquirenti, nonché il non certo puntuale operato di colei che effettuò l’esame autoptico. Quanto al primo aspetto, in nessun modo sembra sia stato possibile stabilire cosa abbia fatto e dove sia stato Attilio Manca l’intera giornata dell’11 febbraio. Da una serie di telefonate e testimonianze, può solo stabilirsi che nel pomeriggio del 10 febbraio egli si diresse a Roma, ove con certezza è possibile soltanto affermare che incontrò la donna poi accusata di avergli fornito l’eroina che gli causò la morte. Altrettanto certo è che quella stessa sera il Manca fece ritorno alla sua abitazione di Viterbo, e a dimostrarlo fu l’invio di un sms intorno alle 23. Da allora e fino al ritrovamento del cadavere, tuttavia, non si ha più alcuna notizia circa le attività del soggetto. Negligente fu, poi, l’operato del medico legale, che rese di fatto impossibile stabilire con certezza l’orario della morte del de cuius. Nonostante ciò, e come anche evidenziato nel corso dell’audizione in Commissione il 12 febbraio 2014 dal procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, e dal procuratore aggiunto, Michele Prestipino (già titolari, con altri, a Palermo delle indagini per la cattura dello stesso Provenzano), non è mai emerso alcun rapporto tra le cure approntate a Bernardo Provenzano per il suo tumore alla prostata e il dottor Attilio Manca. A distanza di dieci anni dall’evento, la procura di Viterbo ha promosso un processo a carico di una donna, imputandole la cessione delle dosi di eroina che hanno causato la morte del medico, nonché la morte come conseguenza di altro delitto; imputazione, la seconda, dichiarata prescritta per decorrenza dei termini. Nella sentenza del 29 marzo 2017, con la quale tale donna veniva condannata alla pena della reclusione di 5 anni e 4 mesi, oltre alla multa di 18 mila euro, il giudice, dopo un’analisi particolareggiata delle risultanze, evidenziava che il dottor Manca doveva ritenersi un assuntore di eroina, che costui, il 10 febbraio 2004, aveva acquistato lo stupefacente dalla donna, e che, infine, dopo essersi volontariamente inoculato due siringhe di droga, era deceduto per overdose. Solo dopo l’ultima archiviazione del procedimento pendente a Viterbo sulla morte dell’urologo, la procura distrettuale antimafia di Roma, nell’aprile del 2015, ha aperto un nuovo procedimento sul caso, ora in fase di attesa della pronuncia del Gip, dopo la recente richiesta di archiviazione.
Le conclusioni della Commissione. «Dall’esame degli atti finora disponibili, deve concludersi che, allo stato, non si evidenziano elementi sufficienti per ribaltare le risultanze raggiunte sino a oggi dall’autorità giudiziaria», queste le conclusioni cui è giunta la Commissione antimafia al termine della valutazione del caso. Secondo la relazione di minoranza, invece, l’operato della Commissione «ben poteva continuare con l’espletamento di ulteriori audizioni e con l’acquisizione di documenti utili all’approfondimento del caso, che si auspica verranno portati avanti nella prossima legislatura»; la relazione di minoranza si conclude, quindi, con un corposo elenco degli approfondimenti auspicati.
(a cura di Luca Fiordelmondo, Master APC dell’Università di Pisa)