Premessa. La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha ascoltato il 19 gennaio 2016 l’ingegner Piero Capodieci, iniziando una serie di audizioni sul mercato del riciclo. Il 3 febbraio 2016 è stato audito il Direttore generale per il clima ed energia del Ministero dell’Ambiente, Maurizio Pernice, mentre l’ 8 febbraio 2016 si è svolta l’audizione del direttore dell’Agenzia delle dogane, Giuseppe Peleggi ed il 10 febbraio 2016 quella della direttrice dell’Agenzia delle entrate, Rossella Orlandi. Il 18 febbraio 2016 è stato ascoltato il Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Giovanni Pitruzzella. Qui di seguito si riporta una sintesi dei principali temi emersi nel corso del dibattito.
I rifiuti in Italia. Illustrando i numeri del ciclo dei rifiuti, l’ingegnere Capodieci spiega come l’Italia eccella in Europa come percentuali di recupero di materia. Su 153 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti il nostro Paese ne recupera il 76%. In Europa fa meglio solo la piccola Slovenia (80%). Per povertà di materie prime a disposizione siamo anche primi in Europa per quantità riciclate nel sistema industriale. Data la curva demografica italiana, aumentano gli abitanti che hanno capacità di spesa e di conseguenza salgono anche i rifiuti e la loro diversa tipologia. Nonostante questo, specifica l’ingegnere, la raccolta di Rifiuti Solidi Urbani nel 2014 è leggermente inferiore rispetto al 2002, dovuta “sia ad una minore sensibilità” dei cittadini, che ad una maggiore capacità di assorbimento. L’obiettivo che ci eravamo dati come Paese di tagliare il 5 per cento di rifiuti rispetto al 2010 è fallito.
La raccolta differenziata. Ombre sulla raccolta differenziata, l’Italia è molto lontana dagli obiettivi di legge. Nel 2009 doveva essere del 50% per salire al 65% nel 2012. Pur aumentando di quasi dieci punti nel giro di 4 anni, al 2014 siamo comunque fermi al 45%. L’ingegnere critica l’amministrazione degli obiettivi da parte dell’Italia, sottolineando come non si gestisca la transizione e, una volta fallito l’obiettivo, si concedano proroghe che hanno come unico risultato il concentrare gli sforzi nell’ultimo periodo, tanto la proroga è attesa e puntualmente arriva. Basterebbe, secondo l’ingegnere Capodieci, fissare obiettivi intermedi e gestire i periodi di transizione. La differenziata è a macchia di leopardo: Nord-Est virtuoso, Calabria e Sicilia maglie nere. La Sardegna viene citata come esempio positivo, capace di cambiare rotta dopo essere stata su livelli “non virtuosi”.
Il sistema dei consorzi. Il Direttore generale Pernice si concentra sul sistema attuale dei consorzi, introdotto con il decreto Ronchi del 1997, che si inserisce in una situazione dove esisteva già un sistema consortile che riguardava i contenitori di imballaggi in vetro e in plastica e in cui all’interno dei CDA svolgevano funzioni anche rappresentanti dei Ministeri dell’industria e dell’Ambiente. L’obiettivo era un sistema che avesse una funzione sussidiaria, di sostegno per garantire il sistema di raccolta e riciclaggio ma senza alterare la concorrenza. Il sistema così pensato, pur operando con regole privatistiche, doveva garantire un flusso finanziario; pertanto venne previsto l’obbligo per produttori e utilizzatori di partecipare al sistema consortile e, conseguentemente, versare il proprio contributo in denaro, prevedendo le relative sanzioni in caso di mancato pagamento. Venne istituito il CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) con il compito di coordinamento, raccordo e raccolta, e la previsione di un accordo quadro con l’ANCI. La concorrenza viene tutelata dal fatto che non c’è obbligo per i Comuni di rivolgersi al sistema consortile per gli imballaggi, ma solo l’obbligo di aderire al sistema consortile e di raggiungere gli obiettivi. Chi si organizza autonomamente non paga il contributo CONAI ma ha l’obbligo di sostenere gli oneri per la raccolta differenziata.
Le criticità del sistema. Il DG Pernice illustra alcune criticità riscontrate: la gestione privatistica nonostante il flusso di risorse pubbliche; l’eccessiva liquidità relativa agli avanzi di gestione (200 milioni di euro nel 2013); i costi dei CDA (nel 2013 pari a due milioni di euro annui). Secondo il DG il sistema, pur producendo buoni risultati nel complesso, necessita di verifiche per ottimizzare efficacia e costi. La Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione, contestando ai consorzi una posizione di monopolio sul mercato e di ostacolo alla concorrenza, perché i privati, se ricevono un contributo “stanno sul mercato in una situazione di vantaggio rispetto a tutti gli altri che da questo sistema sono esclusi”. Il DG, per i motivi esposti nel precedente paragrafo, contesta questa lettura data dalla Commissione. Sollecitato dai Commissari il DG ricorda di aver proposto uno Statuto che inseriva nuovamente nei CDA dei consorzi la presenza di un funzionario governativo dello Sviluppo Economico o dell’Ambiente, ma l’indicazione è stata bocciata da una sentenza del Consiglio di Stato. Sentenza che, secondo il DG, va contro la direttiva comunitaria sull’argomento.
La concorrenza e la posizione dominante del CONAI. Il Presidente dell’Antitrust riferisce di un deficit di concorrenza, tanto nel settore rifiuti quanto nel mercato del riciclo, che rischia di favorire comportamenti illeciti. In merito alla posizione dominante dei consorzi obbligatori, l’opinione dell’Authority è che essi “paralizzino la concorrenza”, ricordando come l’Antitrust abbia più volte “sottolineato la struttura sostanzialmente monopolistica del sistema italiano di assolvimento degli obblighi ambientali di riciclaggio e di recupero dei rifiuti di imballaggi”. Il Presidente evidenzia come la normativa europea del “chi inquina paga”, secondo cui chi produce l’imballaggio deve sopportare il costo dell’inquinamento provocato con l’immissione dello stesso nel mercato, sia stata recepita dall’Italia attraverso tre sistemi: l’adesione al CONAI, l’organizzazione di un sistema autonomo, la creazione di un sistema cauzionale di restituzione. Sistemi “solo sulla carta” perché non c’è una vera possibilità di scelta.
I limiti dell’impianto normativo. Secondo il Presidente dell’Antitrust infatti l’impianto normativo, in particolare il Testo Unico Ambientale, “è caratterizzato per un’evidente favore nei confronti delle forme di gestione che fanno capo al sistema consortile”, dunque ai CONAI. Tre le criticità più evidenti sottolineate dall’Antitrust: 1) Solo i produttori di imballaggi possono costituire sistemi autonomi; 2) il CONAI deve fornire un parere sulla creazione di ogni sistema alternativo, scatenando un evidente conflitto di interessi; 3) i sistemi autonomi devono organizzare la gestione dei propri rifiuti su tutto il territorio nazionale e hanno l’obbligo di raccogliere solo i rifiuti propri, causando dunque “uno svantaggio in termini di peso regolatorio per i sistemi alternativi”. Altro elemento di criticità evidenziato è il pagamento del CAC (contributo ambientale) a carico dei produttori di imballaggi. Il Presidente spiega che “nei fatti c’è una profonda differenza tra chi produce imballaggi primari” (che richiedono un processo di smaltimento costoso) “e chi produce imballaggi secondari e terziari” (che prevede dei costi di smaltimento inferiori). Il CONAI ha previsto il medesimo contributo su ogni tipo di imballaggio, indipendentemente dal costo sull’andamento al riciclo. “Materiali diversi, costi diversi, ma medesimo contributo”.
Tale sistema va contro il principio europeo del “chi inquina paga”, riduce in maniera determinante la concorrenza e disincentiva l’innovazione e la ricerca. In tal senso, evidenzia Pitruzzella, “se vogliamo veramente valorizzare il settore del riciclo, dobbiamo creare un set di incentivi che spingano le imprese a investire su materiali facilmente riutilizzabili. Uno di questi è l’incentivo fiscale…un altro è determinare una struttura dei costi che pesi di più su chi produce del materiale più difficilmente destinabile – o destinabile con costi maggiori – al riutilizzo, per premiare chi innova con imballaggi più facilmente riutilizzabili”. A domanda di un commissario sul perché della mancanza di sanzioni nei confronti di questa posizione dominante del CONAI, il Presidente ribadisce che l’Antitrust ha sostanzialmente le mani legate poiché la posizione dominante è determinata proprio dalle normative in vigore. L’Authority nel caso dei consorzi può andare a sanzionare solo “l’abuso di posizione dominante”, più complesso da dimostrare anche a livello di economicità della procedura.
I sequestri e il traffico illecito dei rifiuti. Il Direttore dell’Agenzia delle Dogane illustra i risultati delle attività di sequestro condotte in Italia nel 2015, sensibilmente aumentate rispetto all’anno precedente. Incremento riconducibile soprattutto ad un maxi sequestro avvenuto a Cagliari relativo a 2800 tonnellate di pastello di piombo (frantumazione del piombo contenuto nelle batterie esauste), ritenuto dalla Cassazione un rifiuto speciale pericoloso. A La Spezia invece sono stati sequestrati circa 1300 tonnellate di veicoli fuori uso e loro parti, siti in due distinti depositi abusivi. Proprio in Liguria si sono concentrati oltre un terzo (il 35%) del totale dei sequestri condotti dagli uffici doganali su scala nazionale, avendo i porti di Genova e La Spezia un “rapporto molto forte” con la Cina, Paese che, come spiegherà in seguito Peleggi, è destinatario di un forte flusso di traffici illeciti. Nel 2015 si è registrata una notevole diminuzione del sequestro di cascami e avanzi (plastica, metalli, gomme) che il Direttore riconduce ai tempi stretti di verifica (tre giorni) imposti dalla legge n.9 del 2014. Una problematica che dovrebbe essere superata, spiega Peleggi, con una norma inserita nel decreto in via di approvazione sul riordino delle aree portuali e che si rifa’ ai tempi meno stingenti garantiti dal regolamento comunitario.
In merito a cascami e avanzi di materie plastiche, il Direttore evidenzia l’aumento delle esportazioni in Cina, che rappresentano quasi la metà del totale (il 45%). Analoga tendenza è stata riscontrata per i cascami di carta e cartone. Sul rapporto Italia-Cina il Direttore sottolinea inoltre l’importanza della cooperazione tra l’Unione Europea e i singoli stati membri con Pechino, allo scopo di contrastare il traffico illecito di rifiuti. Contrasto che passa attraverso una verifica documentale accurata, resa difficile dalla legge sopracitata e da un mondo criminale che Pelaggi definisce “strutturato e organizzato”. I controlli nei porti e sul territorio italiano causano il dirottamento di parte delle esportazioni illecite verso i porti della Slovenia, diventati zona di transito verso l’approdo finale in Cina. I controlli tra Italia e Slovenia, paesi comunitari, sono resi più difficili dall’assenza di dichiarazione doganale in via telematica, che consente alle autorità di prepararsi a controlli in entrata e uscita.
Il ruolo dei broker. Per quanto concerne il ruolo dei broker, mediatori internazionali, durante l’audizione ha preso la parola Rocco Antonio Burdo, responsabile dell’Ufficio Intelligence, spiegando che questi soggetti (di nazionalità irlandese, olandese, tedesca e cinese) “stanno acquisendo la capacità di condizionare il mercato in termini di volumi trattati”. Operano con società “intestate a soggetti di nazionalità cinese con partita IVA italiana”. Queste società, soprattutto nel settore dei cascami e avanzi di plastica, sono dotate delle autorizzazioni rilasciate delle autorità cinesi. Una parziale deresponsabilizzazione di chi produce i rifiuti, favorita dal fatto che le Dogane non sono inserite nel SISTRI (Sistema di Conrollo e Tracciabilità dei Rifiuti) e non possono verificare il codice CER, il Catalogo Europeo dei rifiuti che ne consente la classificazione in base alla Direttiva comunitaria.
Un settore variegato e a rischio evasione. La Direttrice dell’Agenzia delle Entrate sottolinea che il settore dei rifiuti è a rischio evasione e che la pratica delle fatture gonfiate è diffusa nel settore trasporto. Attività che a loro volta possono condurre ad altri tipi di attività illecite: riciclaggio di denaro, corruzione, frode ambientale. Tra le armi a disposizione dei controlli c’è lo spesometro, il quale “attraverso controlli incrociati dei dati e delle comunicazioni sull’IVA, consente di evidenziare l’esistenza di fatture di acquisto emesse da parte di un soggetto che non presenta dichiarazioni”. Il settore del riciclo si presenta come centrale per l’economia, rappresentando fonte di approvvigionamento del sistema industriale e avendo forti ricadute sul piano occupazionale. La distribuzione territoriale delle imprese, evidenzia la Direttrice, risulta “variegata” nel settore del recupero. Al Sud il numero di operatori è simile al Nord- Ovest, nonostante “un volume d’affari pari a meno della metà e a un numero di occupati significativamente maggiore”. Analoghe differenze vengono riscontrate nel settore del commercio, soprattutto sul volume d’affari il cui valore al Sud è pari al 10% di quanto riscontrato nel Nord – Ovest.
L’attività di controllo e recupero. Snocciolando i dati sull’attività di controllo e recupero la Direttrice evidenzia come nel 2015 sia stato registrato “un totale di 11 milioni di maggiore imposta IVA constatata”, di cui 7 milioni di euro evasi nel settore del commercio all’ingrosso di rottami e sottoprodotti della lavorazione industriale dei metalli, “e di 61 milioni ai fini delle imposte dirette”. A questo dato va aggiunto “un aumento del 20 per cento del totale dei rilievi per un maggiore imponibile, ai fini delle imposte dirette rispetto alla media del triennio, di circa il 37 per cento.” Sono stati notificati all’Agenzia 658 accertamenti per 1512 soggetti, in linea con il numero dei controlli degli anni passati. Le sanzioni registrano una variazione positiva del 66 per cento. Allargando lo spettro al quadriennio 2012 – 2015, la Direttrice Orlandi sottolinea “la constatazione di 565 milioni di euro per maggiori imposte dirette, di 453 milioni di maggiore imposta IVA e 1 miliardo 117 milioni di euro per sanzioni”. A specifica domanda sui controlli relativi alla filiera dei Consorzi, la Direttrice risponde che non vengono fatti controlli preventivi ma successivi e che la percentuale di soggetti controllati è pari al 20%. Ad altra domanda relativa al settore più a rischio evasione all’interno della filiera del mercato del riciclo, la Orlandi sostiene che sia “molto alto nel settore della commercializzazione, del recupero e dell’utilizzo dei materiali metallici, in cui c’è una propensione ormai accertata all’utilizzo di fatture false o di fatture sovrastimate”. E’ in questo settore che si concentrano il 60% dei controlli condotti dall’Agenzia.
(ultimo aggiornamento: 29 febbraio 2016)
(a cura di Claudio Forleo, giornalista)