Premessa. La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha approvato il 19 luglio 2016 una Relazione sul ciclo dei rifiuti in Sicilia, attraverso l’acquisizione di documenti ed informazioni assunte nel corso delle missioni effettuate in diverse occasioni.

Cenni storici dell’emergenza finanziaria nel settore rifiuti. “La prima dichiarazione dello stato di emergenza per la gestione dei rifiuti in Sicilia risale al 1999 – ricostruisce la Commissione –  Il commissariamento divenne lo strumento attraverso il quale il governo Cuffaro pianificò la costruzione di quattro termovalorizzatori, impianti che avrebbero dovuto servire a bruciare l’80 per cento dei rifiuti prodotti in Sicilia. Tale piano fallì e i quattro inceneritori non vennero mai costruiti.  La strategia regionale prevedeva altresì la costituzione di 27 ATO rifiuti e delle relative società d’ambito, nate nel novembre 2002, che avevano il compito di gestire il ciclo dei rifiuti negli ambiti territoriali ottimali. Siffatto modello organizzativo ha portato la Regione siciliana ad un’emergenza finanziaria gravissima. Molti enti locali depennarono dai propri capitoli di bilancio la voce “gestione dei rifiuti” e, attraverso accordi sindacali trasferirono alle società d’ambito il proprio personale addetto all’igiene urbana. In poche parole, le società d’ambito divennero in molti casi un ‘ammortizzatore sociale’ usato dalle forze politiche per il controllo del consenso”.

“Dopo la fine della prima fase commissariale, la Regione siciliana, con la legge regionale 16 dicembre 2008, n.19, istituì il dipartimento regionale acqua e rifiuti che dal 1° gennaio 2010 sostituì l’Agenzia regionale rifiuti ed acque (ARRA). Durante il 2008 la crisi finanziaria di quasi tutti gli ATO venne alla luce in tutta la sua drammaticità, tant’è che il 9 luglio del 2008 il governo Lombardo, con DA n. 2171, istituì, ai sensi della legge regionale n. 19 del 2005, un fondo di rotazione che in teoria avrebbe dovuto essere finalizzato alla infrastrutturazione della gestione, ma di fatto venne impiegato solamente per pagare stipendi e parte dei debiti già accumulati dalle società d’ambito.  Si tratta di 800 milioni di euro elargiti in due anni dalla Regione siciliana a favore del sistema degli ATO che, secondo quanto previsto dalla normativa di riferimento, dovrebbero essere recuperati dai comuni. Tale piano di rientro resta ad oggi di dubbia fattibilità”.

Emergenza continua. “La gestione dei rifiuti in Sicilia, dal 2010 in poi, è connotata per le continue emergenze da affrontare – sottolineano i commissari –  La fase emergenziale aperta dal Governo nazionale nel 2010 aveva come principale obiettivo quello di predisporre un nuovo piano rifiuti: a distanza di sei anni l’iter non è ancora concluso. Sulla questione relativa al piano ci sono state diverse opinioni riguardanti l’effettiva o presunta conclusione dell’iter di approvazione. A fare chiarezza su questo punto è stata la Commissione europea con l’apertura di una procedura di infrazione. In sintesi si può affermare che tutto ciò che riguarda: la capacità di smaltimento delle discariche, il trattamento dei rifiuti, la costituzione delle SRR, la raccolta differenziata dei comuni, l’impiantistica a supporto del riciclo e molto altro ancora è regolamentato attraverso provvedimenti di somma urgenza che, di volta in volta, contengono deroghe a diverse norme regionali, leggi nazionali e soprattutto direttive europee. Nella sostanza, negli ultimi anni, si è passati dalle ordinanze del commissario di Governo a quelle del presidente della Regione. Strumenti diversi che hanno portato ad identici risultati”.

“Il 4 maggio 2016, attraverso la delibera di giunta n. 174, il presidente Crocetta ha ufficialmente chiesto ai competenti organi dello Stato la dichiarazione dello stato di emergenza per la grave situazione del sistema dei rifiuti nel territorio della Regione siciliana, per un periodo di dodici mesi. Purtuttavia il Governo nazionale non ha concesso lo status speciale alla Regione siciliana ma gli ha consentito di emanare ulteriori ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi del comma 4 dell’articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006”.

Il piano rifiuti. “Il piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato redatto dopo la nomina del presidente della Regione siciliana quale commissario delegato.   Il piano è stato approvato con decreto del Ministero dell’ambiente dell’11 luglio 2012. Va sottolineata la specificazione per cui “il piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di valutazione ambientale strategica (VAS)”. Il crono programma previsto nel piano del 2012 è stato del tutto disatteso giacché conteneva un preciso schema in forza del quale, entro gennaio 2014, sarebbe dovuta cessare l’emergenza nella Regione siciliana.  Invece ancora oggi permane la fase straordinaria dal momento che il ciclo dei rifiuti viene disciplinato attraverso le ordinanze contingibili ed urgenti.

“A più riprese la stessa Commissione europea aveva chiarito la necessità per la Sicilia di dotarsi di un nuovo piano rifiuti.  Basti pensare che con nota del 12 marzo 2015 Bruxelles precisava: ‘questi servizi chiederanno alle autorità italiane di chiarire in quale misura sia stato attuato il piano di gestione dei rifiuti della Sicilia adottato nel 2012 e di garantire che il prossimo piano sia concepito e attuato in modo da ottenere un significativo aumento della raccolta differenziata, del recupero e del riciclaggio’.   La procedura di infrazione dimostra come secondo la Commissione europea la Regione siciliana non abbia ancora valutato e riesaminato il proprio piano”.

La situazione attuale. “Il Presidente del Consiglio dei ministri, di fronte all’inoperatività della Regione siciliana, il 7 agosto 2015 ha inviato una diffida affinché il presidente pro tempore approvi, entro 60 giorni, il piano regionale di gestione dei rifiuti adeguato alle prescrizioni definite in sede di VAS dal decreto del Ministero dell’ambiente n. 100 del 28 maggio 2015.   In risposta alla diffida, con deliberazione della giunta regionale n. 2 del 18 gennaio 2016, è stato approvato l’adeguamento del piano regionale rifiuti alle prescrizioni di cui al decreto ministeriale n. 100 del 28 maggio 2015. Si evidenzia come questo atto riguardi i rifiuti urbani e quindi non includa un rapporto sullo stato della gestione dei rifiuti speciali. Sulla questione della VAS (Valutazione Ambientale Strategica) bisogna aggiungere che con nota del 28 aprile 2015 la Regione siciliana ha comunicato al Ministero dell’ambiente che è in corso la procedura di aggiornamento del piano e che tale aggiornamento verrà sottoposto alla verifica di assoggettabilità a VAS regionale. Su tale procedura però non si sono avuti riscontri”. In base al decreto legislativo 152 del 2006, “la VAS costituisce per i piani e programmi a cui si applicano le disposizioni del presente decreto, parte integrante del procedimento di adozione ed approvazione. I provvedimenti amministrativi di approvazione adottati senza la previa valutazione ambientale strategica, ove prescritta, sono annullabili per violazione di legge”.

La criticità delle discariche. In merito alle discariche la Relazione riferisce di una situazione di “quotidiana emergenza”, legata anche alla difficile situazione finanziaria. Ai tempi del primo commissariamento (1999) i problemi erano legati all’inesistenza della raccolta differenziata, appena l’un per cento, e al moltiplicarsi delle discariche, il cui iter di selezione viene descritto così dalla Commissione: “Si individuava un terreno, si scavava una buca e si interravano i rifiuti. Erano per la maggior parte invasi autorizzati dai comuni ovvero dai prefetti, giacché siti di emergenza, e proprio per tale ragione nella tariffa di conferimento non era prevista né la quota relativa alla gestione della discarica né quella inerente la sua messa in sicurezza ambientale. Erano in sostanza degli sversatoi senza controlli e recinzioni”.

Dalle minidiscariche alle maxidiscariche comunali. All’epoca Erano state conteggiate 325 discariche, praticamente una per ciascun comune della Sicilia (390). “Resta da capire, ad oggi, come sono gestite queste ex discariche, in particolare per quanto riguarda il post mortem e le bonifiche…. Negli anni si è passati dalle minidiscariche comunali alle maxi discariche, tuttavia la situazione è rimasta molto critica giacché la raccolta differenziata è ancora molto bassa e l’impiantistica è inadeguata. A ciò deve aggiungersi che diversi invasi hanno subito dei provvedimenti restrittivi adottati a seguito delle conclusioni emerse dal lavoro della commissione di verifica degli iter istruttori delle discariche”.

La situazione di emergenza è riesplosa nel 2015, a seguito dell’l’esaurimento delle volumetrie autorizzate per diverse discariche e dell’impossibilità di rendere operative le piattaforme pubbliche ubicate a Gela, Messina ed Enna.  “A distanza di quasi un anno – scrive la Commissione – l’impossibilità di trattare tutti i rifiuti indifferenziati continua ad essere una delle vere e proprie emergenze della Regione siciliana”.

Il corto circuito finanziario degli ATO. “Durante le tre missioni in Sicilia e le audizioni svolte a Roma – si legge nella Relazione –  diversi componenti della Commissione parlamentare di inchiesta hanno più volte sollevato la questione relativa alla quantificazione del debito complessivo degli ATO, ma deve prendersi atto del fatto che le risposte sono state vaghe ed imprecise. Allorquando, invece, sono state fornite delle cifre, queste sono risultate stime al ribasso poiché l’entità esatta è difficilmente quantificabile”.

Nel corso della precedente legislatura la Commissione precisò, riportando le dichiarazioni dell’allora Presidente regionale Lombardo, che il deficit era quantificabile in circa 800 milioni di euro. La Corte dei Conti nel 2009 indicò la cifra di 900 milioni ed evidenziò alcune cause:

– l’eccesso di personale rispetto alle reali esigenze;

– l’elevato numero dei componenti dei consigli di amministrazione con elevata indennità;

– la grave difficoltà degli ATO nel riscuotere i crediti sia dai cittadini utenti, sia dagli stessi comuni con l’emergere di un diffuso contenzioso;

– il mancato versamento agli ATO delle tariffe riscosse dai comuni.

L’attuale situazione debitoria. “La Regione siciliana ha precisato che, al 31 luglio 2015, a fronte di un importo complessivo pari a oltre 722,4 milioni di euro che la stessa Regione ha destinato al comparto dei rifiuti – dei quali sono stati effettivamente erogati 662,9 milioni di euro -, risultano recuperati a carico della finanza locale 117,8 milioni di euro pari al 17,8 per cento. L’esposizione debitoria che, quindi, ne deriva a titolo di anticipazioni ammonta, al netto dei recuperi medio tempore effettuati dalla Regione, a 545,1 milioni di euro. Tali importi, che vanno ben oltre i livelli di sostenibilità, risultano spesso non correttamente contabilizzati dagli enti locali e finiscono per costituire una consistente ‘posta occulta’, ovvero debito fuori bilancio in un contesto finanziario locale già di per sé fortemente problematico.  La Corte dei conti – sezione di controllo per la Regione siciliana, inoltre, ha fornito la situazione debitoria delle società d’ambito, aggiornata al 15 giugno 2015, che è quantificabile in euro 1.053.717.774”.

Dagli ATO agli SSR. La legge regionale 8 aprile 2010 ha riformato il servizio di gestione, con l’obiettivo di passare agli SRR (Società di Regolamentazione Rifiuti) che prevede:

– riorganizzazione gli ATO  in circoscrizioni territoriali e non più in enti gestori (che passano da 27 a 10)

– la costituzione delle SRR, organismi deputati a redigere i piani d’ambito ed il relativo piano economico finanziario di supporto, nonché ad organizzare all’interno dì ogni ATO la gestione integrata dei rifiuti e controllare l’attività dei soggetti affidatari;

– il conferimento ai comuni della titolarità, nei rispettivi territori, a stipulare contratti di appalto per l’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti con i soggetti individuati dalle SRR;

– Al 30 settembre 2013 la cessazione di ogni attività di gestione del ciclo integrato dei rifiuti da parte delle attuali società e consorzi d’ambito.

“Purtroppo – sottolinea la Commissione – il passaggio dagli ATO alle SRR è ancora lontano dall’essere completato. Tanto è vero che, ancora oggi, esistono gli ambiti territoriali ottimali, ognuno dei quali ha un commissario gestore ed uno liquidatore”.

Il giudizio dell’ANAC.  L’Autorità Anticorruzione ha redatto una relazione avente come oggetto “la gestione del ciclo dei rifiuti nella Regione siciliana”, individuando alcune aree di particolare criticità nel settore della gestione rifiuti in Sicilia.

a) La mancata attuazione del sistema delineato dalla legge regionale n. 9 del 2010. “La disciplina sui rifiuti contenuta nella legge regionale n. 9 del 2010 si è dimostrata non solo contraddittoria, ma anche difficilmente applicabile. I cinque interventi di modifica, non sono, tuttavia, da soli sufficienti a determinare il reale grado di instabilità e conseguente inapplicabilità legislativa, legata – ad avviso dell’Autorità – a ulteriori criticità. La prima concerne la gestione della fase transitoria: l’incapacità della Regione di programmare i tempi di entrata in vigore della nuova disciplina e i ritardi – a volte colpevoli – delle amministrazioni comunali spingono a sistematici differimenti”. L’ANAC inoltre, citando alcune circolari assessoriali, stigmatizza “il modus operandi che ha ingenerato un sostanziale svuotamento del principio di unicità della gestione integrata dei rifiuti, come delineato dal Codice dell’ambiente”.

b) La programmazione multilivello. “A fianco della normativa legislativa si collocano, poi, gli atti amministrativi generali di pianificazione e programmazione del ciclo dei rifiuti e di localizzazione degli impianti. Questi piani si susseguono – sostanzialmente – su tre livelli territoriali interessati: regionale (piano regionale di gestione dei rifiuti), d’ambito ottimale (ogni SRR adotta il proprio piano d’ambito) e comunale (ogni ARO presenta un autonomo piano d’intervento). I rapporti tra livelli di governo sono improntati alla logica della pianificazione a cascata, per cui l’esercizio delle competenze da parte del livello inferiore presuppone che quello superiore abbia esercitato le proprie, con i conseguenti rischi di paralisi decisionale”.

c) La natura giuridica della SRR. “Nonostante l’esperienza fallimentare delle 27 società d’ambito, il legislatore regionale ha tuttavia confermato il mantenimento della forma di società consortile di capitali (SpA o Srl) per l’ente di governo dell’ATO. Alla nuova SRR partecipano obbligatoriamente i comuni per il 95 per cento delle quote e la provincia di riferimento territoriale per il restante 5 per cento. Le nuove SRR sono connotate dalle medesime criticità proprie delle ex società d’ambito. Si suggerisce la loro trasformazione in enti di diritto pubblico”.

Conclusioni. La Commissione sottolinea l’esistenza di un sistema di illegalità diffuso e radicato, favorito dal mancato esercizio delle competenze regionali in materia di programmazione e controllo, che è alla base di tutte le gravi disfunzioni nella gestione dei rifiuti che continuano a registrarsi anche oggi: in questo contesto le organizzazioni mafiose, come confermato dalle indagini giudiziarie, hanno cercato di ottenere i massimi vantaggi economici sia da una non corretta gestione delle gare di appalto sia dallo smaltimento illecito dei rifiuti, sfruttando la propria efficiente rete di rapporti e complicità con gli apparati pubblici e anche le gravi lacune registrate nella realizzate delle white list da parte delle prefetture.

La Commissione sottolinea infine la necessità di un coordinamento tra le diverse procure per analizzare le relazioni tra le società che hanno gestito i rifiuti sia in Sicilia che in altre Regioni italiane, al fine di evitare la reiterazione di condotte criminose.

Discussione in Assemblea

L’Assemblea della Camera ha discusso la relazione il 12 settembre 2016 ed il 14 settembre 2016, approvando la seguente risoluzione (6-00258), a firma Bratti, Polverini, Zolezzi, Zaratti, Pastorelli (All.to 1). Il Senato ha discusso la relazione l’8 novembre 2016  e il 9 novembre 2016, approvando al termine una risoluzione (All.to 2).

All.to 1

La Camera,
esaminata la relazione territoriale sulla situazione nella Regione siciliana (Doc. XXIII, n. 20), approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati nella seduta del 19 luglio 2016;
premesso che:
la prima dichiarazione dello stato di emergenza per la gestione dei rifiuti in Sicilia risale al 1999, giacché il Governo nazionale, con l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 2983 del 1999, volle porre fine al «modello» di smaltimento rappresentato dalla esistenza di una discarica per ogni singolo comune, per introdurre un sistema di gestione conforme a quanto stabilito dall’allora vigente decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (il cosiddetto decreto Ronchi); se l’obiettivo di chiudere le discariche comunali venne raggiunto, purtuttavia il risultato pratico fu la loro sostituzione con discariche più grandi. Questi invasi, peraltro, sono stati gestiti per la maggior parte da soggetti privati che – così come dimostrato successivamente dalla commissione ispettiva per la verifica degli iter amministrativi con cui sono state rilasciate le autorizzazioni alle discariche di rifiuti urbani private in esercizio – hanno ricevuto assensi molto discutibili. L’attività di indagine regionale si è svolta sugli impianti gestiti a Siculiana (AG) dalla ditta Catanzaro Costruzioni, a Motta Sant’Anastasia (CT) dalla ditta Oikos S.r.l., a Mazzarà Sant’Andrea (ME) dalla ditta Tirreno Ambiente S.p.a, a Catania dalla ditta Sicula Trasporti S.r.l. I risultati della commissione ispettiva sono stati utilizzati da uffici della procura per attività di indagine che hanno poi portato anche all’emanazione di provvedimenti cautelari personali e reali. Questi fatti, già di per se inquietanti, sono ancora più gravi visto che ci troviamo di fronte ad un sistema di gestione dei rifiuti basato, da diversi lustri, sul «sistema discariche», quindi appare evidente come le continue emergenze abbiano favorito economicamente i gestori privati di questi invasi che, per di più, sono stati favoriti finanche da una gestione pubblica quasi inesistente, anche se la discarica di Bellolampo rappresenta, di converso, un esempio negativo di gestione di un impianto per lo smaltimento dei rifiuti;
la situazione attuale, fatta di continue emergenze, risente pesantemente di scellerate scelte effettuate dal 2002 in poi; infatti, da una parte quella di costruire quei quattro mega inceneritori ha compromesso lo sviluppo della raccolta differenziata, dall’altra la costituzione dei 27 ATO ha esautorato i comuni dalle proprie competenze, altresì provocando una gravissima crisi finanziaria, conseguente alla deficitaria e non trasparente gestione di queste società che, è bene sottolinearlo, sono state uno strumento in mano alla politica locale per il controllo del consenso;
la pesante eredità di cui al punto precedente non è stata superata, tant’è che oggi molti territori siciliani sono invasi dai rifiuti e la circostanza che possa rendersi necessario portare i rifiuti fuori regione è la prova più lampante dell’attuale crisi di sistema;
le illegalità connesse al ciclo dei rifiuti relative alla Regione siciliana hanno trovato – e continuano a trovare – terreno fertile poiché le competenze regionali, ossia la programmazione e il controllo, sono state utilizzate in maniera a dir poco inefficace;
sulla mancanza di una seria programmazione si segnala come i poteri derogatori, applicati prima con le ordinanze del Governo, poi con quelle di somma urgenza del Presidente della Regione, non hanno raggiunto i risultati previsti nonostante questi strumenti emergenziali siano stati utilizzati per diversi lustri; inoltre, la procedura di infrazione europea 2015/2165 (Piani regionali di gestione dei rifiuti: violazione degli articoli 28(1) o 30(1) o 33(1) della Direttiva 2008/98/CE), che riguarda anche la Regione siciliana, conferma che una delle principali criticità rilevate nell’intero sistema è rappresentata dall’incapacità delle diverse giunte succedutesi nel tempo – mista a completa mancanza di volontà politica e amministrativa – di predisporre la programmazione del ciclo integrato di gestione dei rifiuti e di portare avanti un qualsivoglia approccio pianificatorio, procedendo invece con misure straordinarie ed emergenziali, senza dare alcuna prospettiva effettiva di sblocco della situazione nel medio-lungo periodo;
sempre sulla mancanza di programmazione si sottolinea come il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – «rispondendo a una richiesta della Regione siciliana – ha ritenuto di essere chiamato a farsi carico della grave situazione esistente nell’Isola, accordando, ai sensi del comma 4 dell’articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l’intesa all’adozione da parte del presidente della Regione Rosario Crocetta di una nuova ordinanza contingibile e urgente, la 5/rif del 7 giugno 2016, e come tale ordinanza sia stata caratterizzata da numerose prescrizioni, imposte dal Ministero quali condizioni per il rilascio della sopra menzionata intesa, aventi quale obiettivo quello di garantire un progressivo rientro ad un regime ordinario partendo innanzitutto dal rigoroso rispetto della normativa comunitaria di settore. Nei fatti, pertanto, sebbene si continui a operare in un regime derogatorio, le prescrizioni del Ministero vincolano la regione a realizzare nel breve termine le azioni indispensabili per affrontare l’emergenza e, al contempo, tracciare una strada per uscire dal regime straordinario e avviarsi alla normalità;
ancora sulla mancata programmazione si evidenzia come nell’ordinanza n. 5/rif. del Presidente della Regione, a differenza di come già accaduto in precedenza (ad esempio con riferimento al cosiddetto «piano stralcio»), si è cercato di dare tempi stringenti ma realistici affinché la Regione riesca a ripartire senza l’aspirazione di fare in sei mesi quanto non si è riusciti a realizzare in diversi anni;
sui mancati controlli regionali si segnala come, sia la vicenda dei quattro inceneritori, sia quella più recente, relativa alla verifica delle autorizzazioni per le discariche private, non solo mostrano quanto questa competenza regionale sia stata per molti lustri disattesa, ma da prova di quanto nella Regione siciliana sia ramificata la corruzione, giacché tali vicende sono caratteristiche di un modus operandi illegittimo, illegale e, quindi, criminale;
sulla vicenda dei quattro inceneritori è da segnalare, anzitutto, come le organizzazioni di stampo mafioso abbiano avuto un’elevata capacità di avere contezza degli affari, evidentemente attraverso un’area di contiguità estremamente estesa, che riguarda interi settori delle professioni, della politica e delle pubbliche amministrazioni; inoltre, il relativo accordo tra il mondo politico amministrativo, il mondo economico e le associazioni criminali non ha avuto conferma a livello processuale giacché, come precisato dai magistrati palermitani, le condotte sono ormai risalenti ed eventuali ipotesi di reato sarebbero comunque estinte per maturata prescrizione. Invero, rimangono fonti convergenti in merito alle gravissime anomalie del bando di gara e del procedimento, oltre che delle fasi successive concernenti la risoluzione delle convenzioni stipulate con gli ATI; nel caso di specie le indicazioni e gli accertamenti esposti nella relazione territoriale sulla Sicilia dalla Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della precedente legislatura potevano divenire suscettibili di essere apprezzate in termini di rilevanza come notizia di reato, così come la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che di fatto, già nel 2007, aveva dichiarato il bando illegittimo;
sui mancati controlli regionali, inoltre, si segnala come l’assessore Marino – visto che l’intero ciclo dei rifiuti si sorregge sulle maxi discariche e tenuto conto dell’elevato inquinamento delle zone limitrofe – abbia messo in discussione l’operato delle amministrazioni precedenti, altresì istituendo la commissione ispettiva per la verifica degli iter amministrativi con cui sono state rilasciate le autorizzazioni alle discariche di rifiuti urbani private in esercizio e per la verifica delle tariffe da queste applicate; sul punto bisogna evidenziare come:
a) questo segmento procedimentale ha fatto apparire emergenti una serie di problematiche attinenti al rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali, problematiche la cui significanza ha assunto un rilievo centrale, in quanto su di esse si fondava sostanzialmente l’intero sistema di smaltimento dei rifiuti in Sicilia;
b) i risultati della commissione ispettiva sono stati utilizzati da uffici di procura per attività di indagine che hanno poi portato anche all’emanazione di provvedimenti cautelari personali e reali;
c) alla luce dei risultati esposti, la Regione siciliana ha deciso di trasferire, con propria legge, la competenza alla valutazione e al rilascio dell’AIA dall’assessorato al territorio e all’ambiente (dipartimento dell’ambiente) all’assessorato dell’energia e dei servizi di pubblica utilità (dipartimento dell’acqua e dei rifiuti); su questo c’è da segnalare come nell’esecuzione dei compiti di valutazione riattribuiti all’assessorato all’energia si è verificato un fenomeno che si sarebbe anche potuto considerare ordinario ove fosse avvenuto in circostanze diverse, ma che ha assunto connotazioni abnormi nel caso specifico; ci si riferisce in particolare all’ostracismo degli uffici che avrebbero dovuto trasmettere la documentazione al dipartimento dell’acqua e dei rifiuti, cui era stata affidata la nuova competenza in materia di istruttoria e rilascio dell’AIA;
d) come confermato anche da importanti indagini giudiziarie per corruzione effettuate dalla procura della Repubblica di Palermo, i fatti di corruzione che si sono consumati in un ufficio cardine nel settore dei rifiuti, ovverosia quello competente al rilascio delle autorizzazioni, sono di tal gravità che da essi si può ragionevolmente presumere una permanente deviazione delle funzioni pubbliche in favore di imprese private operanti nel settore dei rifiuti; il quadro di corruttela venuto alla luce è pertanto, senza ombra di dubbio, caratterizzato da estremi di devastante gravità, avendo fatto emergere tutte le patologie di una impropria interazione tra funzionari pubblici e imprese private;
e) le indagini segnalate alla Commissione hanno consentito di mettere in luce come in questo settore connotato da una stratificazione normativa e da un complesso e macchinoso apparato burocratico, le diverse fasi della procedura amministrativa permettono al funzionario infedele di avere gioco facile sia nel rilascio dei provvedimenti che nell’agevolare gli imprenditori, anche nell’ordinaria attività di controllo e monitoraggio da parte della pubblica amministrazione, sulle concrete modalità di gestione delle discariche e dello smaltimento dei rifiuti;
ulteriore dato emerso nel corso dell’inchiesta è la ricorrenza delle medesime società operanti nel settore dello smaltimento dei rifiuti in diverse inchieste giudiziarie e, ciononostante, la loro perdurante operatività nel settore in numerose parti d’Italia; nel corso della sua attività, infatti, la Commissione ha riscontrato come alcune importanti aziende sono impegnate in attività riconducibili alla gestione dei rifiuti in più parti di Italia, a volte anche venendo coinvolte in indagini giudiziarie;
sempre con riferimento alle indi trazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, il controllo del territorio, tipico dell’associazione mafiosa, ha reso possibile la realizzazione di discariche abusive di vaste proporzioni, prive di qualsiasi autorizzazione, site in territori nella immediata disponibilità di esponenti della cosca mafiosa; traffici di rifiuti di così ampie dimensioni sono stati resi possibili, evidentemente, dalla mancanza di adeguati controlli da parte degli organi preposti, non essendo pensabile che ingenti quantitativi di rifiuti possano circolare senza alcun tipo di controllo sul territorio siciliano, per poi giungere a destinazione in un sito non autorizzato; per ciò che concerne il sistema, per così dire, «lecito», l’infiltrazione avviene in modo più subdolo; le infiltrazioni, cioè, sopravvengono in un secondo tempo, ovvero nel noleggio a freddo, nei subappalti, nelle assunzioni e anche nelle truffe e nelle corruzioni che vengono consumate nell’ambito della gestione del ciclo dei rifiuti;
le innumerevoli carenze nella gestione del ciclo dei rifiuti costituiscono altrettante opportunità per la criminalità di stampo mafioso di infiltrarsi in questo settore, approfittando delle gravissime inefficienze amministrative, tante volte orchestrate ad arte, nonché delle corruttele che si consumano negli uffici pubblici; significativo è quanto rappresentato da numerosi magistrati nel corso delle audizioni in merito ad una sorta di attività di «supplenza» che la magistratura è in qualche modo costretta a svolgere rispetto alle gravi inefficienze della pubblica amministrazione; in tale contesto deve essere considerata meritoria l’attività della magistratura in Sicilia, laddove anche dopo l’applicazione di misure cautelari reali su impianti e discariche di grandi dimensioni ha assunto su di sé l’onere, congiuntamente agli organi amministrativi, a ricondurre la gestione degli impianti nella legalità. Va inoltre segnalata l’efficacia degli interventi effettuati dall’ANAC attraverso il commissariamento della società e del contratto di appalto inerente alla gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nel comune di Catania e di tutti i contratti e convenzioni relativi al conferimento dei rifiuti nella discarica del comune di Motta Sant’Anastasia;
non può non farsi riferimento alle gravi e prolungate inefficienze del sistema di depurazione della maggior parte dei comuni siciliani, talché molti reflui provenienti dai centri abitati vengono riversati direttamente nel corpo ricettore, con processi di depurazione a volte inesistenti, a volte largamente incompleti e dunque con uno scarico massivo di sostanze inquinanti nei fiumi e nel mare della Regione; anche in questi casi – siano essi determinati da inerzia amministrativa, microillegalità o gravi illeciti – si è registrata un’anomala quanto necessaria azione di «supplenza» da parte della magistratura;
va segnalata l’inadeguatezza dell’attuale normativa, sotto il profilo applicativo, relativa alle white list istituite presso le prefetture; vi sono casi di società che, ai fini del rilascio di provvedimenti autorizzatori, hanno sottoscritto patti di integrità con la Regione ma che non risultano iscritte alla white list della competente prefettura; conseguentemente, in tali situazioni risulta elusa l’attività di controllo operata dalle prefetture in materia di prevenzione del fenomeno mafioso, laddove i prefetti hanno segnalato che nella maggior parte dei casi non vi è il tempo di effettuare gli approfondimenti necessari per valutare l’iscrivibilità o meno di un’impresa nella white list e, nonostante le possibili incertezze, le imprese hanno titolo per operare per il fatto stesso di esservi iscritte. In tal senso le forze di polizia hanno evidenziato come non sempre sia possibile fornire ai prefetti informazioni dettagliate, scaturenti spesso da indagini in corso, coperte quindi da segreto istruttorio e non ostensibili. Conclusivamente, sulla questione della white list, il problema, che va risolto, è la sfasatura tra i tempi e le modalità di accertamento dei presupposti per l’iscrizione e la necessaria celerità del procedimento amministrativo, che non può comunque essere letta quale ostacolo ai rapporti economico/imprenditoriali;
l’inchiesta condotta dalla Commissione evidenzia come ormai le sinergie tra le criminalità organizzate, compresa quella siciliana, abbiano da tempo oltrepassato i «propri» confini geografici, inserendosi prepotentemente nel ricco business dello smaltimento. In particolare, la vicenda di Mazzarà Sant’Andrea dimostra i collegamenti esistenti tra mafia siciliana, ‘ndrangheta calabrese e criminali piemontesi, disegnando un quadro inquietante di rapporti tra le diverse «società criminali», sempre più volte a superare i rispettivi ambiti territoriali per riunirsi, attraverso la costituzione di società di varia natura, in un sistema integrato di criminalità;
alta deve essere l’attenzione verso quell’imprenditoria del settore che, utilizzando la bandiera dell’antimafia, ha costruito veri e propri monopoli industriali;
la fa propria e impegna il Governo, per quanto di competenza, ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni evidenziate nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, in raccordo e leale collaborazione con i competenti organismi nazionali, le Regioni e gli enti territoriali interessati.
(Testo modificato nel corso della seduta)

All.to 2

Senato – Risoluzione 6-00217 n. 301 (09 novembre 2016) PUPPATO, ARRIGONI, DE PETRIS

Il Senato,

esaminata la relazione territoriale sulla situazione nella Regione Siciliana (Doc. XXIII, n. 20), approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati nella seduta del 19 luglio 2016;

premesso che:

la prima dichiarazione dello stato di emergenza per la gestione dei rifiuti in Sicilia risale al 1999, giacché il Governo nazionale, con l’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 2983 del 1999, volle porre fine al «modello» di smaltimento rappresentato dalla esistenza di una discarica per ogni singolo comune, per introdurre un sistema di gestione conforme a quanto stabilito dall’allora vigente decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (il cosiddetto decreto Ronchi); se l’obiettivo di chiudere le discariche comunali venne raggiunto, purtuttavia il risultato pratico fu la loro sostituzione con discariche più grandi. Questi invasi, peraltro, sono stati gestiti per la maggior parte da soggetti privati che – così come dimostrato successivamente dalla commissione ispettiva per la verifica degli iter amministrativi con cui sono state rilasciate le autorizzazioni alle discariche di rifiuti urbani private in esercizio – hanno ricevuto assensi molto discutibili. L’attività di indagine regionale si è svolta sugli impianti gestiti a Siculiana (AG) dalla ditta Catanzaro Costruzioni, a Motta Sant’Anastasia (CT) dalla ditta Oikos S.r.l., a Mazzarà Sant’Andrea (ME) dalla ditta Tirreno Ambiente S.p.A., a Catania dalla ditta Sicula Trasporti S.r.l. I risultati della commissione ispettiva sono stati utilizzati da uffici della procura per attività di indagine che hanno poi portato anche all’emanazione di provvedimenti cautelari personali e reali. Questi fatti, già di per sé inquietanti, sono ancora più gravi visto che ci troviamo di fronte ad un sistema di gestione dei rifiuti basato, da diversi lustri, sul «sistema discariche», quindi appare evidente come le continue emergenze abbiano favorito economicamente i gestori privati di questi invasi che, per di più, sono stati favoriti finanche da una gestione pubblica quasi inesistente, anche se la discarica di Bellolampo rappresenta, di converso, un esempio negativo di gestione di un impianto per lo smaltimento dei rifiuti;

la situazione attuale, fatta di continue emergenze, risente pesantemente di scellerate scelte effettuate dal 2002 in poi; infatti, da una parte quella di costruire quei quattro mega inceneritori ha compromesso lo sviluppo della raccolta differenziata, dall’altra la costituzione dei 27 ATO ha esautorato i comuni dalle proprie competenze, altresì provocando una gravissima crisi finanziaria, conseguente alla deficitaria e non trasparente gestione di queste società che, è bene sottolinearlo, sono state uno strumento in mano alla politica locale per il controllo del consenso;

la pesante eredità di cui al punto precedente non è stata superata, tant’è che oggi molti territori siciliani sono invasi dai rifiuti e la circostanza che possa rendersi necessario portare i rifiuti fuori Regione è la prova più lampante dell’attuale crisi di sistema;

le illegalità connesse al ciclo dei rifiuti relative alla Regione Siciliana hanno trovato – e continuano a trovare – terreno fertile poiché le competenze regionali, ossia la programmazione e il controllo, sono state utilizzate in maniera a dir poco inefficace;

sulla mancanza di una seria programmazione si segnala come i poteri derogatori, applicati prima con le ordinanze del Governo, poi con quelle di somma urgenza del presidente della Regione, non hanno raggiunto i risultati previsti nonostante questi strumenti emergenziali siano stati utilizzati per diversi lustri; inoltre, la procedura di infrazione europea 2015/2165 (Piani regionali di gestione dei rifiuti: violazione degli articoli 28(1) o 30(1) o 33(1) della direttiva 2008/98/CE), che riguarda anche la Regione Siciliana, conferma che una delle principali criticità rilevate nell’intero sistema è rappresentata dall’incapacità delle diverse giunte succedutesi nel tempo – mista a completa mancanza di volontà politica e amministrativa – di predisporre la programmazione del ciclo integrato di gestione dei rifiuti e di portare avanti un qualsivoglia approccio pianificatorio, procedendo invece con misure straordinarie ed emergenziali, senza dare alcuna prospettiva effettiva di sblocco della situazione nel medio-lungo periodo;

sempre sulla mancanza di programmazione si sottolinea come il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare – rispondendo a una richiesta della Regione Siciliana – ha ritenuto di essere chiamato a farsi carico della grave situazione esistente nell’Isola, accordando, ai sensi del comma 4 dell’articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l’intesa all’adozione da parte del presidente della Regione Rosario Crocetta di una nuova ordinanza contingibile e urgente, la 5/rif. del 7 giugno 2016, e come tale ordinanza sia stata caratterizzata da numerose prescrizioni, imposte dal Ministero quali condizioni per il rilascio della sopra menzionata intesa, aventi quale obiettivo quello di garantire un progressivo rientro ad un regime ordinario partendo innanzitutto dal rigoroso rispetto della normativa comunitaria di settore. Nei fatti, pertanto, sebbene si continui a operare in un regime derogatorio, le prescrizioni del Ministero vincolano la Regione a realizzare nel breve termine le azioni indispensabili per affrontare l’emergenza e, al contempo, tracciare una strada per uscire dal regime straordinario e avviarsi alla normalità;

ancora sulla mancata programmazione si evidenzia come nell’ordinanza n. 5/rif. del presidente della Regione, a differenza di come già accaduto in precedenza (ad esempio con riferimento al cosiddetto «piano stralcio»), si è cercato di dare tempi stringenti ma realistici affinché la Regione riesca a ripartire senza l’aspirazione di fare in sei mesi quanto non si è riusciti a realizzare in diversi anni;

sui mancati controlli regionali si segnala come, sia la vicenda dei quattro inceneritori, sia quella più recente, relativa alla verifica delle autorizzazioni per le discariche private, non solo mostrano quanto questa competenza regionale sia stata per molti lustri disattesa, ma dà prova di quanto nella Regione Siciliana sia ramificata la corruzione, giacché tali vicende sono caratteristiche di un modus operandi illegittimo, illegale e, quindi, criminale;

sulla vicenda dei quattro inceneritori è da segnalare, anzitutto, come le organizzazioni di stampo mafioso abbiano avuto un’elevata capacità di avere contezza degli affari, evidentemente attraverso un’area di contiguità estremamente estesa, che riguarda interi settori delle professioni, della politica e delle pubbliche amministrazioni; inoltre, il relativo accordo tra il mondo politico amministrativo, il mondo economico e le associazioni criminali non ha avuto conferma a livello processuale giacché, come precisato dai magistrati palermitani, le condotte sono ormai risalenti ed eventuali ipotesi di reato sarebbero comunque estinte per maturata prescrizione. Invero, rimangono fonti convergenti in merito alle gravissime anomalie del bando di gara e del procedimento, oltre che delle fasi successive concernenti la risoluzione delle convenzioni stipulate con gli ATI; nel caso di specie le indicazioni e gli accertamenti esposti nella relazione territoriale sulla Sicilia dalla Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti della precedente legislatura potevano divenire suscettibili di essere apprezzate in termini di rilevanza come notizia di reato, così come la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che di fatto, già nel 2007, aveva dichiarato il bando illegittimo;

sui mancati controlli regionali, inoltre, si segnala come l’assessore Marino – visto che l’intero ciclo dei rifiuti si sorregge sulle maxi discariche e tenuto conto dell’elevato inquinamento delle zone limitrofe – abbia messo in discussione l’operato delle amministrazioni precedenti, altresì istituendo la commissione ispettiva per la verifica degli iter amministrativi con cui sono state rilasciate le autorizzazioni alle discariche di rifiuti urbani private in esercizio e per la verifica delle tariffe da queste applicate; sul punto bisogna evidenziare come:

  1. a) questo segmento procedimentale ha fatto apparire emergenti una serie di problematiche attinenti al rilascio delle autorizzazioni integrate ambientali, problematiche la cui significanza ha assunto un rilievo centrale, in quanto su di esse si fondava sostanzialmente l’intero sistema di smaltimento dei rifiuti in Sicilia;
  2. b) i risultati della commissione ispettiva sono stati utilizzati da uffici di procura per le attività di indagine che hanno poi portato anche all’emanazione di provvedimenti cautelari personali e reali;
  3. c) alla luce dei risultati esposti, la Regione Siciliana ha deciso di trasferire, con propria legge, la competenza alla valutazione e al rilascio dell’AIA dall’assessorato al territorio e all’ambiente (dipartimento dell’ambiente) all’assessorato dell’energia e dei servizi di pubblica utilità (dipartimento dell’acqua e dei rifiuti); su questo c’è da segnalare come nell’esecuzione dei compiti di valutazione riattribuiti all’assessorato all’energia si sia verificato un fenomeno che si sarebbe anche potuto considerare ordinario ove fosse avvenuto in circostanze diverse, ma che ha assunto connotazioni abnormi nel caso specifico; ci si riferisce in particolare all’ostracismo degli uffici che avrebbero dovuto trasmettere la documentazione al dipartimento dell’acqua e dei rifiuti, cui era stata affidata la nuova competenza in materia di istruttoria e rilascio dell’AIA;
  4. d) come confermato anche da importanti indagini giudiziarie per corruzione effettuate dalla procura della Repubblica di Palermo, i fatti di corruzione che si sono consumati in un ufficio cardine nel settore dei rifiuti, ovverosia quello competente al rilascio delle autorizzazioni, sono di tal gravità che da essi si può ragionevolmente presumere una permanente deviazione delle funzioni pubbliche in favore di imprese private operanti nel settore dei rifiuti; il quadro di corruttela venuto alla luce è pertanto, senza ombra di dubbio, caratterizzato da estremi di devastante gravità, avendo fatto emergere tutte le patologie di una impropria interazione tra funzionari pubblici e imprese private;
  5. e) le indagini segnalate alla Commissione hanno consentito di mettere in luce come in questo settore, connotato da una stratificazione normativa e da un complesso e macchinoso apparato burocratico, le diverse fasi della procedura amministrativa permettono al funzionario infedele di avere gioco facile sia nel rilascio dei provvedimenti che nell’agevolare gli imprenditori, anche nell’ordinaria attività di controllo e monitoraggio da parte della pubblica amministrazione, sulle concrete modalità di gestione delle discariche e dello smaltimento dei rifiuti;

ulteriore dato emerso nel corso dell’inchiesta è la ricorrenza delle medesime società operanti nel settore dello smaltimento dei rifiuti in diverse inchieste giudiziarie e, ciononostante, la loro perdurante operatività nel settore in numerose parti d’Italia; nel corso della sua attività, infatti, la Commissione ha riscontrato come alcune importanti aziende sono impegnate in attività riconducibili alla gestione dei rifiuti in più parti di Italia, a volte anche venendo coinvolte in indagini giudiziarie;

sempre con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso nel settore dei rifiuti, il controllo del territorio, tipico dell’associazione mafiosa, ha reso possibile la realizzazione di discariche abusive di vaste proporzioni, prive di qualsiasi autorizzazione, site in territori nella immediata disponibilità di esponenti della cosca mafiosa; traffici di rifiuti di così ampie dimensioni sono stati resi possibili, evidentemente, dalla mancanza di adeguati controlli da parte degli organi preposti, non essendo pensabile che ingenti quantitativi di rifiuti possano circolare senza alcun tipo di controllo sul territorio siciliano, per poi giungere a destinazione in un sito non autorizzato; per ciò che concerne il sistema, per così dire, «lecito», l’infiltrazione avviene in modo più subdolo; le infiltrazioni, cioè, sopravvengono in un secondo tempo, ovvero nel noleggio a freddo, nei subappalti, nelle assunzioni e anche nelle truffe e nelle corruzioni che vengono consumate nell’ambito della gestione del ciclo dei rifiuti;

le innumerevoli carenze nella gestione del ciclo dei rifiuti costituiscono altrettante opportunità per la criminalità di stampo mafioso di infiltrarsi in questo settore, approfittando delle gravissime inefficienze amministrative, tante volte orchestrate ad arte, nonché delle corruttele che si consumano negli uffici pubblici; significativo è quanto rappresentato da numerosi magistrati nel corso delle audizioni in merito ad una sorta di attività di «supplenza» che la magistratura è in qualche modo costretta a svolgere rispetto alle gravi inefficienze della pubblica amministrazione; in tale contesto deve essere considerata meritoria l’attività della magistratura in Sicilia, laddove anche dopo l’applicazione di misure cautelari reali su impianti e discariche di grandi dimensioni ha assunto su di sé l’onere, congiuntamente agli organi amministrativi, di ricondurre la gestione degli impianti nella legalità. Va inoltre segnalata l’efficacia degli interventi effettuati dall’ANAC attraverso il commissariamento della società e del contratto di appalto inerente alla gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nel comune di Catania e di tutti i contratti e convenzioni relativi al conferimento dei rifiuti nella discarica del comune di Motta Sant’Anastasia;

non può non farsi riferimento alle gravi e prolungate inefficienze del sistema di depurazione della maggior parte dei comuni siciliani, talché molti reflui provenienti dai centri abitati vengono riversati direttamente nel corpo ricettore, con processi di depurazione a volte inesistenti, a volte largamente incompleti e dunque con uno scarico massivo di sostanze inquinanti nei fiumi e nel mare della Regione; anche in questi casi – siano essi determinati da inerzia amministrativa, microillegalità o gravi illeciti – si è registrata un’anomala quanto necessaria azione di «supplenza» da parte della magistratura;

va segnalata l’inadeguatezza dell’attuale normativa, sotto il profilo applicativo, relativa alle white list istituite presso le prefetture; vi sono casi di società che, ai fini del rilascio di provvedimenti autorizzatori, hanno sottoscritto patti di integrità con la Regione ma che non risultano iscritte alla white list della competente prefettura; conseguentemente, in tali situazioni risulta elusa l’attività di controllo operata dalle prefetture in materia di prevenzione del fenomeno mafioso, laddove i prefetti hanno segnalato che nella maggior parte dei casi non vi è il tempo di effettuare gli approfondimenti necessari per valutare l’iscrivibilità o meno di un’impresa nella white list e, nonostante le possibili incertezze, le imprese hanno titolo per operare per il fatto stesso di esservi iscritte. In tal senso le forze di polizia hanno evidenziato come non sempre sia possibile fornire ai prefetti informazioni dettagliate, scaturenti spesso da indagini in corso, coperte quindi da segreto istruttorio e non ostensibili. Conclusivamente, sulla questione della white list, il problema, che va risolto, è la sfasatura tra i tempi e le modalità di accertamento dei presupposti per l’iscrizione e la necessaria celerità del procedimento amministrativo, che non può comunque essere letta quale ostacolo ai rapporti economico/imprenditoriali;

l’inchiesta condotta dalla Commissione evidenzia come ormai le sinergie tra le criminalità organizzate, compresa quella siciliana, abbiano da tempo oltrepassato i «propri» confini geografici, inserendosi prepotentemente nel ricco business dello smaltimento. In particolare, la vicenda di Mazzarà Sant’Andrea dimostra i collegamenti esistenti tra mafia siciliana, ‘ndrangheta calabrese e criminali piemontesi, disegnando un quadro inquietante di rapporti tra le diverse «società criminali», sempre più volte a superare i rispettivi ambiti territoriali per riunirsi, attraverso la costituzione di società di varia natura, in un sistema integrato di criminalità;

alta deve essere l’attenzione verso quell’imprenditoria del settore che, utilizzando la bandiera dell’antimafia, ha costruito veri e propri monopoli industriali;

la fa propria e impegna il Governo, per quanto di competenza, ad intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni evidenziate nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, in raccordo e leale collaborazione con i competenti organismi nazionali, le Regioni e gli enti territoriali interessati.

 

(ultimo aggiornamento: 10 novembre 2016)

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)