Premessa. La Commissione sul ciclo dei rifiuti ha ascoltato in audizione il 17 febbraio 2016 il Comandante della Capitaneria di porto di Gaeta, Alberto Meoli, nell’ambito dell’approfondimento sul traffico transfrontaliero dei rifiuti.  Il 17 marzo 2016 è stato ascoltato il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Cassino, Luciano D’Emmanuele, nell’ambito dell’approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul ciclo dei rifiuti nel Lazio, con particolare riferimento alle situazioni che riguardano il porto di Gaeta. L’11 luglio 2016 è stata la volta del generale Sergio Pascali, comandante dei carabinieri per la tutela dell’ambiente, del colonnello dei carabinieri Giuseppe Battaglia, e del capitano dei carabinieri Gianfranco Cannarile. Il 19 luglio 2016 è stato ascoltato Mauro Meggiolaro, dirigente della società Merian Research

Il caso Gaeta. Il Comandante Meoli riferisce di un’importante operazione condotta nel mese di settembre, relativa allo stoccaggio di 4500 tonnellate di materiale ferroso sulla banchina del porto di Gaeta affidato all’impresa Interminal. I rottami ferrosi sono stati trattati secondo il regolamento del 2001, non più rifiuti ma “merce a tutti gli effetti”. L’accumulo di questa ingente quantità di materiali ferrosi preoccupava la popolazione locale in relazione alla vicinanza con il mare e ai possibili riflessi sulle attività ad esso collegate. I sopralluoghi hanno evidenziato il “pericolo di rotolamento direttamente in mare di alcuni rottami ferrosi” e “tracce di percolato di ossido che erano precipitate direttamente nel corpo idrico marino”.  Intervenuta l’autorità giudiziaria e svolti gli accertamenti su autorizzazioni e idoneità dell’area di stoccaggio è stato disposto il sequestro dell’intera area di stoccaggio per la presenza di 9 tonnellate di rifiuti pericolosi e non pericolosi (ammortizzatori sporchi d’olio, non cesoiati, contenitori sotto pressione chiusi, filtri d’olio e filtri nafta, pneumatici interi, materiale elettrico ed elettronico non bonificato) tra i materiali classificati come ferrosi.

L’indagine. Altre verifiche sulle autorizzazioni hanno portato a galla discrepanze sul sistema di raccolta di acque di lavaggio e di prima pioggia dell’impianto portuale e sulla relazione tecnica in cui “non erano previsti i rottami ferrosi tra i tipi di materiali per i quali l’impianto di bonifica dell’acqua di prima pioggia era autorizzato a trattare i percolamenti”. L’impianto di raccolta inoltre è risultato inutilizzabile, “perché il carico enorme dei rottami ferrosi aveva completamente ostruito le grate di raccolta dell’impianto di prima pioggia”.

Altre discrasie sono emerse relativamente alle nove aziende conferitrici dei materiali ferrosi. Se dal punto di vista amministrativo e documentale sono risultate tutte in regola, le alterazioni riguardavano i “quantitativi riportati da tali ditte nella dichiarazione di conformità iniziale dei singoli carichi e la dichiarazione di conformità finale”. Per quanto riguarda le autorizzazioni relative all’area portuale è emerso che il canone per l’autorizzazione provvisoria rilasciata era dieci volte inferiore rispetto al canone previsto per la banchina in cui i materiali sono stati posti. Inoltre la scelta dell’area individuata, ad un solo metro dal ciglio della banchina, è risultata in contraddizione con precedente ordinanza “che impediva il rilascio di autorizzazioni per lo stoccaggio delle merci nella fascia di 30 metri dal ciglio di banchina”. A seguito di tutte queste evidenze la Procura di Cassino ha agito nei confronti di quattro persone fisiche e tre giuridiche.

Sollecitato dalle domande dei commissari, il Comandante Meoli specifica che le nove ditte cui fa riferimento nella ricostruzione della vicenda avevano ricevuto mandato da un terzo soggetto, un broker che è stato oggetto di provvedimenti dall’autorità giudiziaria. Coinvolta nella vicenda una società di Malta che è risultata essere, parole del Comandante, “una scatola vuota, un ripostiglio”. Non risultano dalle indagini elementi di collegamento con la criminalità organizzata. A precisa domanda sulle attività di bonifica, il Comandante spiega essere stato effettuato un intervento di recupero dei materiali ferrosi finiti in mare. Le analisi relative alla presenza di percolato di ossido nel bacino di Gaeta, specifica Meoli, non hanno riscontrato valori preoccupanti che necessitassero di un intervento di bonifica specifico.

I provvedimenti della Procura. Il Procuratore della Repubblica D’Emmanuele ha integrato quanto già illustrato dal Comandante Meoli. In merito all’indagine chiusa lo scorso mese di dicembre, con una serie di richieste di rinvio a giudizio, sarebbe emerso ”un sistematico asservimento dei pubblici poteri facenti capo al dirigente della locale Autorità portuale”, raggiunto da misura interdittiva, “agli interessi di privati cittadini, e in particolare del legale rappresentante della Interminal”, società affidataria dell’ingente quantitativo di materiale ferroso. La Procura ha individuato una responsabilità amministrativa delle persone giuridiche “derivante dai reati ambientali” e presentato una richiesta di sequestro preventivo finalizzata alla confisca, accompagnata da altra richiesta di sequestro preventivo per i reati di pubblica amministrazione, nello specifico la corruzione. Il Tribunale del Riesame di Frosinone ha successivamente disposto i dissequestri e la Procura di Cassino ha presentato ricorso in Cassazione verso tale decisione.

La situazione sul territorio di Cassino. A specifica domanda del Presidente della Commissione su altri contesti relativi al ciclo dei rifiuti, il Procuratore riferisce che sulla situazione della discarica di Roccasecca, la quale presenta delle “problematicità”, e su eventuali interramenti di rifiuti nella zona di Cassino, sono in corso delle attività investigative. Sollecitato da un commissario riguardo al possibile trasporto di petcoke all’interno del porto di Gaeta, il Procuratore sottolinea che attualmente “l’attività all’interno del porto è monitorata e non presenta delle problematicità per l’arrivo e l’uscita del materiale dal porto di Gaeta”.

Criminalità ambientale “minaccia emergente”. Durante l’audizione dell’11 luglio viene ricordato che durante il semestre italiano di Presidenza dell’Unione europea è stata emanata “la nuova strategia di sicurezza interna che, per la prima volta, parla di minacce emergenti”. Accanto a criminalità organizzata, al terrorismo, alla tratta degli esseri umani, al traffico di droga, si pone l’accento sulla criminalità ambientale. Tra i comitati strategici e operativi messi in piedi dall’Unione Europea vi è anche l’EnviCrime, la rete europea che “promuove azioni e priorità specifiche di contrasto alla criminalità ambientale”. Sempre durante il Semestre italiano di Presidenza il comando dei carabinieri per la tutela dell’ambiente è stato incaricato a produrre e a condurre un’azione europea contro il traffico illecito di rifiuti, considerato “il ramo più minaccioso della criminalità ambientale…. Per fornire risposta a quest’interrogativo, la Presidenza italiana implementava un progetto che, partendo da un’analisi di fondo, potesse realizzare un’attività congiunta di polizia in grado di palesare l’attualità, la gravità e la transnazionalità del fenomeno attraverso una lente d’ingrandimento fornita dalla specifica esperienza italiana”.

Joint police operation. Per organizzare questa attività congiunta di polizia, supportata da Europol, l’obiettivo principale è stato “far applicare nei Paesi aderenti la nostra iniziale metodologia di lavoro, fornendo ai partecipanti delle linee guida comuni per effettuare delle ispezioni simultanee con l’acquisizione di campioni e, se necessario, successive verifiche e approfondimenti investigativi”. L’attività congiunta, i cui risultati derivano da una serie di operazioni condotte nel novembre 2014, ha condotto al sequestro di oltre 11 tonnellate di rifiuti.

“Il riscontro più comune emerso dalle condotte accertate confermava il modus operandi più noto e classico, se anche sotto una pelle diversa e mutando le caratteristiche a seconda dei cicli e dei percorsi produttivi, costituito dalla falsificazione dei documenti connessi al trasporto, ovvero dalla falsificazione dell’identificazione stessa del rifiuto. È infatti condotta comune il trasportare illecitamente un rifiuto – soprattutto, trasportarlo attraverso Paesi che rappresentano un buco, una falla nel sistema dei controlli perché magari privi di adeguata normativa di controllo – che viene lasciato così com’è ma, in realtà, è qualificato come non pericoloso o addirittura come materiale diverso, cioè come materia prima seconda, sottoprodotto, o comunque come qualcosa di commercialmente rilevante.  I dati e le informazioni raccolte durante tutta l’attività hanno costituito, poi, la base per la progettualità TECUM”.

Il progetto TECUM. Le componenti del progetto, illustrate durante l’audizione, sono quattro:

  • “Analisi dell’attività svolta nel 2014 in modo da comprendere nei diversi Paesi che tipo di legislazione c’è, che tipo di procedure investigative sono applicate, che sistemi ci sono per la condivisione delle informazioni a livello tecnico, cercando di comprendere dove sono igap procedurali, anche in termini di classificazione dei materiali”.
  • “Definire le vulnerabilità nel ciclo dei rifiuti attraverso confronti tra esperti che debbono arrivare a definire esattamente l’approccio operativo. L’obiettivo del progetto è paradossale ma consiste proprio nel trovare che cosa non va. Dobbiamo, infatti, dimostrare alla Commissione europea che la legislazione in vigore nei 27 Paesi non è funzionale alle operazioni”
  • “Sensibilizzazione mediante la campagna informativa richiesta esplicitamente dalla Commissione europea. Stiamo facendo ciò attraverso dei questionari che sono stati distribuiti da parte del Ministero dell’ambiente alla società civile, alle organizzazioni non governative, ai singoli, alle università. C’è poi un questionario più tecnico, per ipractitioner, per gli esperti, che abbiamo distribuito per il tramite dei gruppi di lavoro”
  • “Realizzare per il 2017 una nuova operazione congiunta internazionale similare a quella del 2014 ma più complessa, con obiettivi individuati nell’ambito del progetto stesso, con metodologie nuove e aperta anche alla partecipazione di Paesi terzi, esterni all’Unione europea, per far comprendere l’ulteriore dimensione, finora mai esplorata ma che sappiamo esistere, dell’esportazione di questi materiali verso Paesi terzi, la cui legislazione e le cui procedure sono ancora difformi, i quali attraverso triangolazioni varie possono divenire ricettacolo di materiali per il tramite di altri Paesi europei”.

La ricerca della Merian Research sull’Europa dell’Est. La società ha realizzato una ricerca sulle discariche di rifiuti solidi urbani in alcuni Paesi dell’Est Europa (con particolare riferimento a Romania, Bulgaria e Croazia), concentrandosi su alcune problematicità dal punto di vista ambientale, della corruzione o sospetto di riciclaggio di denaro e irregolarità nello smaltimento dei rifiuti.

“Sulla Romania si sono aperte una serie di questioni che hanno a che fare con la corruzione e con il sospetto riciclaggio di denaro, questioni che hanno coinvolto in passato alcuni soggetti imprenditoriali italiani – spiega Mauro Meggiolaro, dirigente della società – Abbiamo aggiornato parte della ricerca con le questioni relative all’appalto per lo smaltimento delle ecoballe in Campania…Siamo andati a ricostruire la struttura proprietaria di quest’impresa, che oggi è in mano a dei prestanome, che però fanno riferimento a un imprenditore rumeno…Si tratta di un personaggio che è stato coinvolto in vicende assieme ai fratelli Pileri, allo stesso Manlio Cerroni e ad altri personaggi citati all’interno della ricostruzione effettuata da questa Commissione parlamentare, già nel 2000, delle attività illecite connesse allo smaltimento dei rifiuti in Europa”.
La conclusione della ricerca ha un risultato “molto semplice”: nell’Unione Europea alcuni Paesi conferiscono in discarica fino al 90% dei rifiuti solidi urbani. Una delle possibili criticità è l’eventuale presenza tra questi di rifiuti speciali, tossico-nocivi. Si tratta di Paesi a rischio sul fronte del riciclaggio di denaro e per lo smaltimento illegale di rifiuti. Rischio che si lega al filo che unisce questi territori ad alcuni imprenditori italiani in grado di trasferire una gran mole di rifiuti. Un potenziale danno ambientale ed economico (Meggiolaro cita l’impatto sul turismo in Croazia di numerose discariche a cielo aperto).

In Croazia e Bulgaria la situazione è diversa rispetto alla Romania. “Abbiamo trovato una situazione diversa rispetto a quella rumena dal punto di vista del supposto coinvolgimento di organizzazioni criminali o mafiose che, da quanto siamo riusciti ad analizzare, sembra non esserci stato, oppure non è ancora stato oggetto di indagini.
Per la Bulgaria abbiamo grossi problemi dal punto di vista dell’inquinamento, quindi della tutela dell’ambiente e della salute… In Croazia abbiamo più di un caso serio; uno dei più gravi è nella periferia di Zagabria, vicino a una zona ad alta densità di popolazione, a causa di una discarica a cielo aperto. Vi sono poi altre piccole discariche, che però sono nelle vicinanze di località turistiche”.

 

(ultimo aggiornamento: 9 settembre 2016)

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)