Premessa. La Commissione parlamentare di inchiesta, nell’ambito degli approfondimenti svolti sulla gestione del ciclo dei rifiuti in Basilicata, ha ascoltato in audizione il 13 aprile 2016  il comandante dei Carabinieri per la tutela dell’ambiente, Sergio Pascali, e il comandante del Noe di Potenza, Luigi Vaglio. Il 4 maggio 2016 sono stati ascoltati i rappresentanti di Tecnoparco Val Basento Spa. Il  26 maggio 2016 sono stati ascoltati i rappresentanti delle aziende del settore Oil & Gas della Val d’Agri.

La Commissione aveva predisposto una missione in Basilicata per il mese di luglio, con riferimento a due siti di interesse nazionale da bonificare, su cui svolgere il relativo approfondimento. Le recenti notizie sulle indagini condotte dalla Procura di Potenza sul centro olii Tempa Rossa, coordinate dalla DDA, hanno portato la Commissione alla decisione di anticiparne i tempi. Il comandante Pascali specifica che in audizione riferisce dell’indagine riguardante il COVA, il Centro Oli Val d’Agri dell’ENI, poiché l’indagine Tempa Rossa tocca un altro sito, curato dalla Squadra Mobile di Potenza.

L’indagine sul centro COVA dell’ENI. Le indagini iniziate nel 2013, a cui sono seguiti dei provvedimenti restrittivi, hanno evidenziato una serie di irregolarità relative ad un illecito smaltimento delle acque di strato con sostanze gassose, ammina e glicole tretilenico, provenienti dall’attività estrattiva. Il rifiuto pericoloso sarebbe stato declassificato “con altro codice che consentiva uno smaltimento sostenendo minori oneri”. Minori spese quantificate in circa 80 euro a tonnellata, per un risparmio totale che “si aggira tra i 40 e i 100 milioni di euro in un periodo di circa un anno, da settembre 2013 a settembre 2014”.  In base ad altre attività di indagine sulle emissioni in atmosfera, condotte tramite l’uso di intercettazioni, è emersa “una serie innumerevole di omissioni dei dirigenti, che non segnalavano all’organo competente, la regione Basilicata, la provincia, i comuni, il cosiddetto sforamento, che veniva rilevato dai sensori posti sui camini (208 segnalazioni in un anno, ndr)… Venivano riferite in maniera frammentaria, assolutamente non rispondente al vero, cercando di omettere il mal funzionamento di tutta l’impalcatura impiantistica, perché al malfunzionamento naturalmente dovevano seguire degli interventi mirati con il blocco dell’attività estrattiva”.

Le violazioni contestate. La parola è poi passata a Luigi Vaglio, comandante del NOE di Potenza. Le indagini, nate a seguito delle segnalazioni ripetute dei residenti “nei pressi dell’impianto di smaltimento Tecnoparco Val Basento”, hanno riguardato tre filoni fondamentali: le emissioni in atmosfera, il pozzo di reiniezione, denominato Costa Molina 2, i rifiuti liquidi prodotti dal Centro. A seguito di questi tre filoni di indagine sono state contestate numerose violazioni. Delle prescrizioni AIA, Autorizzazione Integrata Ambientale, per le emissioni in atmosfera, dello smaltimento dei reflui in merito al pozzo di reiniezione e ai rifiuti liquidi prodotti, due aspetti strettamente legati. “Per quanto riguarda il pozzo di reiniezione, abbiamo evidenziato a carico dei funzionari e responsabili del distretto meridionale ENI e del COVA di Viggiano reati che riguardano lo smaltimento illecito, l’omissione d’atti d’ufficio e un abuso d’ufficio…Per quanto riguarda le acque di separazione smaltite come rifiuti negli impianti di depurazione ubicati nel territorio del centro-sud Italia (Foggia, Reggio Calabria, Cosenza, Barletta, Andria, Trani e Ascoli Piceno, ndr), la circostanza ha consentito di individuare gli elementi costitutivi del delitto ex articolo 260, le attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti”.

L’ipotesi di danni alla salute. Su sollecitazione dei commissari l’audizione entra nel merito dell’ipotesi di disastro ambientale e viene specificato che tale reato non è stato contestato dall’autorità giudiziaria. Dalle indagini non è emerso alcun inquinamento delle acque di falda, mentre su eventuali danni alla salute viene sottolineato che è in corso un’indagine epidemiologica “relativa a una serie di valutazioni per eventi che nel corso del tempo hanno colpito soggetti che sono intervenuti all’interno del COVA di Viggiano, riportando conseguenze sanitarie… Soltanto all’esito di questa perizia si potrà valutare con maggior concretezza, con maggiori dati di fatto, effetti lesivi per la comunità lucana”.

La società Tecnoparco e gli impianti di Pisticci . La Commissione si è recata in missione in Basilicata dal 19 al 22 aprile 2016, per approfondire le vicende relative alle attività di prospezione, estrazione e trasporto di idrocarburi in Val d’Agri e in Val Basento. La società Tecnoparco, i cui rappresentati sono stati auditi il 4 maggio 2016, nasce nel 1987 per attuare il progetto di riconversione industriale dell’area di Pisticci, in provincia di Matera. Le attività della società “sono la vendita di servizi e di utility a quelle aziende che sono rimaste all’interno dell’area della Valle del Basento”, l’attività di smaltimento di rifiuti e acque di produzione provenienti da stabilimenti ENI e la gestione di una centrale termoelettrica alimentata con olio di palma. Va ricordato che l’indagine sopracitata, condotta dalla DDA di Potenza sullo smaltimento illecito di rifiuti, aveva portato al sequestro di alcuni impianti di Tecnoparco a Pisticci.

Il responsabile dei servizi ambientali di Tecnoparco, in merito allo smaltimento delle acque di produzione, sottolinea come “effettuavamo una serie di controlli, tra l’altro con particolare attenzione alla tematica connessa alla presenza di idrocarburi, e per due motivi. Si trattava dell’inquinante principale, più critico, anche più pericoloso, che poteva essere contenuto all’interno di questo tipo di acque, che tra l’altro derivavano dall’estrazione di idrocarburi”. Sulla misurazione di possibili elementi di radioattività, viene specificato che “queste acque di strato contengono dei radionuclidi di tipo naturale. Su questo tema si è aperto un dibattito per capire se queste acque fossero o meno pericolose, e in questo dibattito è entrata ISPRA, l’Istituto di radioprotezione, che ha effettuato tra il novembre 2014 e il gennaio 2015 una serie di accertamenti, verificando appunto che non esisteva nessuna rilevanza radiologica”.

Altri controlli. Sollecitato dalle domande dai commissari, in merito ai possibili controlli effettuati sulla presenza di ammina nelle acque di produzione, viene spiegato che “non siamo andati a cercare specificamente la n-metildietanolammina, ma delle sostanze molto più pericolose, la cui presenza in concentrazioni molto più basse poteva attribuire la caratteristica di pericolosità al rifiuto”. Sui controlli ‘esterni’ si evidenzia come la presenza dell’ARPA, dal 2012 al 2014, sia stata “abbastanza intensa…Ha campionato non solo i rifiuti liquidi prodotti da ENI, ma anche le acque reflue del nostro depuratore, quindi ha seguìto tutto, monitorato l’intero processo di depurazione, ovviamente non solo per i radionuclidi, ma ha fatto anche altre determinazioni analitiche, ha monitorato i nostri fanghi, i fanghi di scarto che derivano dalle attività di depurazione, e ha fatto anche una serie di monitoraggi sulle matrici ambientali, il fiume, le acque di falda e il canale”. Sono stati coinvolti inoltre “il Corpo forestale dello Stato, la polizia provinciale, la polizia comunale”. Tecnoparco cita complessivamente circa 70 controlli nel biennio 2013-2014.

Le ripercussioni sul blocco delle attività in Val d’Angri. Il 26 maggio sono stati ascoltati alcuni rappresentanti delle aziende che operano nell’indotto della Val d’Agri e che impiegano circa 1800 lavoratori, offrendo servizi a supporto dell’attività di ENI. I rappresentanti sottolineano le difficoltà che stanno affrontando le aziende, a seguito del blocco delle attività dovuto all’indagine sopracitata. “Se il fermo dovesse prolungarsi oltre settembre, per noi sarebbe veramente complicato: il 70 per cento delle aziende morirebbe…in Val d’Agri lavorano multinazionali che operano in tutto il mondo, e quindi conoscono questa tipologia di attività e sono strutturate per farla, ma anche società medie e medio-piccole italiane, che hanno elevato il loro standard di qualità e di efficienza”. Vengono sottolineate anche le difficoltà incontrate dalle aziende coinvolte dall’indotto diretto: “Tutte le strutture commerciali della zona hanno visto una contrazione tra il 30 e il 60 per cento del loro volume d’affari”. I rappresentanti ascoltati pongono l’accento sui tempi (“ripartire tra sei mesi significa non ripartire”), chiedendo di stringere sulla ripartenza delle attività, nel rispetto della sicurezza e della salute.

A precisa domanda dei commissari, su eventuali indagini a carico di dipendenti di aziende dell’indotto, viene spiegato che “dalle intercettazioni credo ci siano delle persone indagate tra gli operatori, anche tra i dipendenti. Non saprei dirle di più”. Viene chiesto se, prima dell’intervento della magistratura, ci fosse qualche elemento per ritenere che qualcosa non andava nel Centro Val d’Angri. Le risposte dei rappresentanti sono tutte sostanzialmente negative.

Nel rispondere alle sollecitazioni dei rappresentanti delle aziende, il Presidente della Commissione, pur sottolineando che non è potere della Commissione sbloccare le attività, dichiara quanto segue: “Abbiamo le condizioni per chiudere a breve una relazione che consegneremo al Parlamento tutto, e chiederemo magari un percorso abbreviato per la discussione. Proveremo a fare tutto quello che è nelle nostre possibilità secondo i compiti attribuiti dalla legge, al di là della nostra singola volontà”.

 

(ultimo aggiornamento: 16 giugno 2016)

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)