Premessa. La Commissione monocamerale di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, istituita dalla Camera con delibera 17 novembre 2014, ha approvato il 3 maggio 2016, al termine di un lungo ciclo di audizioni e di sopralluoghi nei centri di accoglienza, un documento sull’attività svolta dalla Commissione dal 26 marzo 2015 al 31 gennaio 2016 (doc. XXII bis, n. 6) di cui sono qui sintetizzati gli aspetti più rilevanti.

Il quadro di riferimento normativo. In base alla normativa europea sul sistema di accoglienza (sul c.d. Dublino III leggi questa scheda) un solo Stato membro è competente per l’esame di una domanda di asilo. Se il richiedente asilo ha varcato illegalmente le frontiere di uno Stato membro, quest’ultimo è di norma competente per l’esame della sua domanda di asilo. Le impronte del richiedente asilo – regolare o irregolare che sia – devono necessariamente essere caricate anche nella banca dati Eurodac: ciò si scontra talora con il rifiuto di una porzione di migranti (i c.d. “transitanti”) di farsi immediatamente identificare in un Paese diverso da quello cui desiderano stabilirsi.

La funzione degli hotspot. Nell’ambito dell’Agenda europea sulla migrazione è stato previsto che nei Paesi soggetti a maggiori pressioni migratorie si debba procedere all’istituzione di hotspot, presso i quali gli Stati membri, con il sostegno delle agenzie europee dedicate (Frontex ed EASO) provvedono a svolgere tutte quelle complesse attività finalizzate all’identificazione dei migranti e alla successiva ricollocazione nei diversi Paesi, secondo criteri definiti dall’Unione europea (sui programmi di reinsediamento leggi questa scheda). Il Governo italiano, il 28 settembre 2015, ha presentato una roadmap, recante l’impegno a mettere in atto un nuovo approccio hotspot. Esso è sostanzialmente volto a canalizzare gli arrivi in una serie di porti di sbarco selezionati dove effettuare tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri, cui segue l’attribuzione della posizione giuridica del migrante attraverso l’identificazione della categoria di appartenenza. La relazione mette in evidenza le problematiche riscontrate, da un lato, nel rispetto puntuale della tempistica prevista dalla legge (non solo per il rilevante flusso di migranti ma anche per le resistenze, come sopra accennato, di una parte dei migranti a sottoporsi alle procedure di identificazione) e nelle procedure per il trattenimento del richiedente asilo; e, dall’altro, nel dare concreta attuazione ai provvedimenti di respingimento.

La relocation in Italia. La relazione descrive l’evoluzione del sistema italiano di accoglienza, così come delineato dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, in due fasi: una prima accoglienza, garantita dalle strutture temporanee, e una seconda accoglienza, ovvero la rete SPAR (per ulteriori approfondimenti leggi questa scheda).

La fase di prima accoglienza (una volta prestato soccorso e offerto i primari servizi alla persona, eventualmente già nei centri di prima assistenza costituiti prevalentemente nei luoghi interessati da sbarchi massicci) dovrebbe svolgersi in strutture appartenenti al circuito governativo (CARA/CDA e, in alcuni casi anche i CPSA, tendenzialmente sostituiti a regime dagli hub regionali), che formano un sistema capillare di centri di accoglienza per richiedenti asilo. In esse dovrebbero confluire i cittadini di Paesi terzi (già registrati e sottoposti alle procedure di foto-segnalamento) per consentire loro di formalizzare la domanda di protezione internazionale e quindi passare alle strutture di seconda accoglienza. La gestione segue le procedure di affidamento dei contratti pubblici. I centri possono essere gestiti da enti locali, anche associati, unioni o consorzi di comuni, enti pubblici o enti privati che operano nel settore dell’assistenza dei richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell’assistenza sociale.

Il sistema di accoglienza italiano a lungo termine, vale a dire la seconda fase dell’accoglienza (che include anche una serie di servizi quali l’istruzione, la formazione professionale, i corsi di lingua, la consulenza legale, l’assistenza medica – a quest’ultimo aspetto la relazione dedica un’approfondita analisi), è basato principalmente sulla progressiva implementazione del modello SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). Si tratta di un modello diffuso su tutto il territorio italiano, che impegna istituzioni centrali e locali, secondo una condivisione di responsabilità. In particolare, il sistema vede un ruolo centrale svolto, anche in questo caso, dal Ministero dell’Interno, che dirama periodicamente il bando, ma anche un ruolo delle autorità locali, che vi partecipano presentando progetti secondo criteri stabiliti da un decreto del medesimo Ministero. In altre parole, la rete SPRAR si fonda su domande di contributo da parte degli enti locali per la realizzazione dei progetti di accoglienza. La relazione sottolinea l’estrema importanza, anche alla luce delle diverse indagini giudiziarie, dei criteri di scelta dei partner sociali cui è affidata la gestione dei centri, al fine di garantire la massima trasparenza delle procedure di affidamento ed una qualità adeguata dei servizi, secondo standard omogenei, da perseguire anche attraverso una nuova formulazione dei bandi di gara e più rigide procedure di controllo.

Arrivi consistenti e ravvicinati di stranieri che giungono in Italia non possono essere assorbiti esclusivamente dal sistema di prima o seconda accoglienza come sopra delineato. Molti richiedenti asilo sono stati quindi sistemati in appartamenti o in altre strutture disponibili (denominate Centri di Accoglienza Straordinaria – CAS): ed il numero dei soggetti ospitati in tali strutture è cresciuto in maniera significativa, dando luogo a notevoli disfunzioni.

Un’attenzione specifica è dedicata dalla relazione alle problematiche riguardanti i minori non accompagnati e altre categorie di soggetti vulnerabili (donne incinte, vittime della tratta etc).

Le procedure di verifica del diritto di asilo. Il richiedente asilo, durante la procedura d’esame della sua domanda in sede amministrativa e giurisdizionale di primo grado, “è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della Commissione territoriale” (articolo 7 del decreto legislativo n. 142 del 2015). La relazione fornisce un quadro delle procedure di verifica delle domande da parte delle commissioni territoriali e della successiva fase del ricorso di fronte al giudice ordinario, evidenziandone gli attuali aspetti problematici, anche con riferimento alla mancata disponibilità di una banca dati aggiornata e affidabile che consenta un’adeguata e tempestiva valutazione delle domande (sui criteri per l’identificazione delle persone richiedenti protezione internazionale stabiliti dalla c.d. Direttiva qualifiche leggi questa scheda).

Il sistema dei rimpatri. Secondo la normativa vigente, uno straniero proveniente dalle frontiere esterne dello spazio Schengen, per entrare regolarmente in Italia, deve utilizzare un valico di frontiera ufficiale, essere munito di un documento valido e, nei casi previsti, essere in possesso di visto rilasciato dalle Autorità consolari italiane. La permanenza sul territorio, a sua volta, deve essere accompagnata da un titolo di soggiorno, che può essere concesso, nei casi più frequenti, per ragioni di studio, lavoro, cura o protezione internazionale. Ne consegue che tutti coloro che violano tali regole o ai quali non viene riconosciuta alcuna forma di status devono essere respinti o allontanati dallo Stato attraverso l’adozione di un provvedimento amministrativo che sarà di intensità graduale crescente, in relazione al singolo caso. La legislazione in materia di rimpatrio degli stranieri, per la sua dimensione comunitaria, è ovviamente influenzata da decisioni di organismi sovranazionali, e politicamente risente di alcuni fattori contingenti quali l’allarme terroristico di matrice islamica e la necessità di fronteggiare le grandi migrazioni della nostra epoca. La relazione si sofferma in particolare sui problemi legati all’assenza di accordi con i Paesi interessate e ai costi da sostenere.

Le più recenti modifiche al decreto legislativo n. 286 del 1989 (Testo Unico Immigrazione) sono volte a conferire strumenti più efficaci alle forze dell’ordine, prevedendo il potenziamento dei controlli alle frontiere, il rafforzamento del contrasto al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e l’introduzione del reato di ingresso e di soggiorno illegale nel territorio dello Stato. La depenalizzazione di tale ultima fattispecie criminosa (sanzionata con una pena pecuniaria) è stata oggetto di animato dibattito politico nelle prime settimane del 2016, in quanto a fronte di una scarsa efficacia deterrente, ne è stata evidenziato l’effetto pregiudizievole sul funzionamento della macchina giudiziaria. Infatti l’apertura di migliaia di procedimenti penali, oltre ad intasare gli Uffici giudiziari più esposti, costituirebbe addirittura un ostacolo per le già complesse indagini sui trafficanti di esseri umani, in quanto costringe gli organi inquirenti ad assumere informazioni dai migranti con le garanzie di legge previste per gli indagati, in primis l’assistenza di un difensore.

 

(A cura di Giulia Luciani, giornalista pubblicista)