Premessa. Al termine di un lungo ciclo di audizioni condotte tra il 2016 e il 2017 con gli stakeholders del settore, le istituzioni competenti e una missione di studio a Bruxelles per incontri con la Direzione CNECT della Commissione Europea, la Commissione parlamentare di inchiesta sulla contraffazione ha approvato una Relazione sul tema della contraffazione sul Web (doc. XXII-bis, n. 9). Di seguito sono sintetizzate conclusioni e proposte contenute nella Relazione.

La normativa comunitaria. Viene messo in evidenza come in materia di contrasto alla contraffazione nel commercio elettronico la normativa internazionale mostri alcune lacune, in primo luogo l’assenza di accordi internazionali, sostituiti sotto forma di supplenza dalle prassi giurisprudenziali utilizzate negli Stati Uniti, a cui le grandi aziende che operano nel settore dell’economia digitale si conformano. La normativa comunitaria è considerata obsoleta e non in grado di rispondere alle esigenze di un mercato che si sviluppa a ritmi sempre più incalzanti. In particolare per la Commissione appare insufficiente la direttiva europea sull’e-commerce, che limiterebbe notevolmente le responsabilità dirette per le aziende digitali nel campo della prevenzione e del contrasto. D’altro canto le legislazioni nazionali, non potendo derogare dal dettato comunitario, non possono agire e incidere concretamente sotto questo aspetto. La Commissione ritiene inoltre che vada sostenuta ogni azione a livello europeo per la creazione di un organismo internazionale in grado di regolare gli aspetti delle attività sul Web, a cominciare dalla tutela dei diritti dei terzi rispetto agli illeciti. Un primo passo sarebbe proprio la revisione della normativa comunitaria sull’e-commerce.

Modifiche a livello europeo. La Commissione fa suo un suggerimento arrivato dagli stakeholder durante le audizioni, ovvero il superamento della procedura di Notice and Take Down e l’approdo verso il Notice and Stay Down: si tratta di superare il concetto di mera segnalazione delle violazioni (di tipo reattivo) e approdare ad un sistema in cui il contenuto illecito una volta rimosso non possa essere più ricaricato (proattivo e preventivo). Secondo la Commissione un ruolo importante in tale senso può essere svolto anche dalle associazioni rappresentative delle singole categorie merceologiche e dei consumatori, con il supporto delle forze dell’ordine.  “La tutela degli IPR (la proprietà intellettuale, ndr) – scrive la Commissione – appare più difficoltosa rispetto a quella del diritto d’autore…per le merci l’identificazione del falso è già di per sé difficile rispetto a prodotti imitati con perizia, quando il controllo deve essere effettuato sui prodotti fisici. Ma è ancora più difficile su merci vendute in rete, perché spesso queste non sono nella disponibilità degli ISP (fornitore di servizi internet, ndr) e perché quindi è necessario svolgere complesse indagini solo su annunci di vendita e si tratta di esaminare parametri quali la sussistenza di licenze di vendita, l’identità degli operatori, ecc.”.

Dovere di diligenza. Una strada indicata dalla Commissione è l’introduzione del Duty of Care (dovere di diligenza, ndr) che comprende l’introduzione di regole di gestione chiare ed uniformi per le segnalazioni effettuate dai titolari di diritti; l’attuazione di ogni misura al fine di impedire il ripetersi di attività illecite attraverso le loro piattaforme; ottenere l’impegno degli intermediari a introdurre misure volte a impedire l’upload di contenuti lesivi dei diritti, “fatta salva l’assenza di impatto sulle libertà fondamentali”.

L’alfabetizzazione del cittadino. Alla base di ogni proposta di modifica a livello normativo vi è la necessità di sensibilizzare il cittadino – consumatore su questi temi. Dalle audizioni è emersa infatti una scarsa percezione del problema a livello di opinione pubblica, sia dal punto di vista economico (danno ai circuiti legali, compreso il lavoro regolare) che della tutela della salute (possibilità di acquistare online prodotti lesivi, realizzati con materiali tossici).

Fingerprint. Un’altra proposta di tutela preventiva è la creazione di una sorta di black list, rifiutando la creazione di nuovi profili e disattivando gli IP degli utenti il cui account è stato bloccato, attraverso strumenti automatici in grado di rilevare se tali soggetti, utilizzando lo stesso device o indirizzo IP, cerchino di ricreare un profilo per svolgere lo stesso tipo di attività, associando a questi soggetti un’impronta digitale (Fingerprint).

Altre proposte. Tra le altre proposte avanzate dalla Commissione:

  • Certificazione dei siti e delle piattaforme di vendita online
  • Inserire il blocco congiunto dell’indirizzo IP con il DNS (Domain Name System), funzione di internet che trasforma un nome dell’URL in un indirizzo IP
  • Diversificare le procedure, nell’adozione delle misure proattive e reattive, in base al tipo di piattaforma (hosting pubblicitari e non, motori di ricerca e social network)
  • Valutare la possibilità di far divenire una prassi consolidata la procedura elaborata dalla Procura di Milano, che consente decreti di sequestro ed oscuramento dei siti “in bianco”, con estensione agli altri siti aperti a seguito delle operazioni di reindirizzamento, senza necessità di ulteriori provvedimenti giudiziari
  • Sviluppare l’approccio “Follow the money”, più volte discusso con gli stakeholder durante le audizioni
  • Promuovere un maggior grado di responsabilità per le agenzie pubblicitarie
  • Stimolare accordi tra aziende e fornitori di servizi su internet
  • Superare l’obbligo di contrassegno SIAE per i prodotti fisici, considerati una “zavorra” rispetto ai medesimi prodotti acquistati online e che ne sono esenti.

Il dibattito in Assemblea. L’Aula di Montecitorio ha discusso la relazione della Commissione il 17 luglio 2017, approvando il 13 settembre 2017 una risoluzione (6-00337) con cui esprime consenso alle conclusioni della Commissione.

 

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)