Premessa. Nel mese di settembre del 2022 la Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere ha approvato la relazione finale sulla DIFFUSIONE DELLE VARIE FORME DI CRIMINALITA’ ORGANIZZATA NELLA REGIONE PUGLIA.
La relazione propone un iniziale quadro generale dove si evidenzia l’alta operatività delle mafie in Puglia e si analizzano gli aspetti problematici legati al contesto sociale, economico e politico che contribuiscono al proliferare di queste forme di illegalità. Prima di entrare nello specifico, il dossier ripercorre alcune tappe storiche sul fenomeno della criminalità organizzata correlato alla Sacra Corona Unita (organizzazione criminale che ha cercato di costruire una formazione connotata regionalmente e in grado di aggregare la maggior parte delle famiglie e dei gruppi delinquenziali del territorio). L’attenzione su questa organizzazione rischia di trascurare l’operatività di altre organizzazioni mafiose che non afferiscono al network della SCU, ma che risultano più attive e pericolose. Infatti, dalle rielaborazioni grafiche realizzate a partire dai dati contenuti nelle relazioni semestrali della DIA si evince come dal 1980 al 2000 i territori delle province di Bari, Foggia, Brindisi, Taranto e Lecce, posti sotto l’influenza delle mafie sono sempre più in aumento.
La Sacra Corona Unita. La formazione dei fenomeni mafiosi pugliesi evidenzia come le traiettorie di emersione e anche affermazione delle mafie autoctone siano collegate alle dinamiche criminali di quelle tradizionali. Nel processo di affermazione della criminalità pugliese ricoprono un ruolo importante alcuni esponenti di Cosa Nostra presenti sul territorio, della Camorra napoletana e della ‘ndrangheta presenti nelle carceri pugliesi. Questi elementi insieme ad altri fattori legati al contesto hanno scatenato dagli anni Settanta in poi processi di mafizzazione della criminalità pugliese nei vari contesti territoriali. Un altro fattore che ha contribuito a questa accelerazione è riconducibile all’attività della Nuova Camorra Organizzata (N.C.O) di Raffaele Cutolo. Quest’ultima ha tentato un’espansione verso la Puglia per colonizzare le coste dell’Adriatico per la loro posizione strategica per intrattenere i traffici legati al contrabbando con le coste della Jugoslavia e dell’Albania. I gruppi della NCO trasferiscono quindi l’attività di contrabbando dei tabacchi dal Tirreno alle coste pugliesi, affermandosi così una strategia di diffusione camorristica orientata alla costruzione di alleanze permanenti con la malavita pugliese. Raffaele Cutolo indirizza le sue mire nei territori di Foggia, Taranto, Lecce fino ad arrivare al 1979 con una sostanziale affiliazione di decine di criminali foggiani alla NCO. Lo stesso accade poco dopo a Galatina, un paese in provincia di Lecce, fino ad arrivare nel 1981 quando nasce la Nuova Camorra Pugliese, sul modello di quella campana e ad essa subordinata. La gerarchia di questa organizzazione era composta dai principali esponenti delle organizzazioni locali legati alle mafie tradizionali. Troviamo, Giuseppe Iannelli, operante su Foggia, legato alla ‘ndrangheta e scelto da Raffaele Cutolo come responsabile e referente; Giosuè Rizzi, operante su Foggia; Cosimo Cappellari, attivo su Cerignola e vicino ai Cutoliani; i fratelli Modeo, operanti su Taranto e Pino Rigoli, sul territorio di Brindisi e affiliato alla cosca calabrese dei Bellocco.
Tutti gli esponenti condividevano l’aspirazione alla formazione di un’unica compagine criminale autonoma, attiva sulla regione e parallela a quella campana e sotto la sua protezione. La Nuova Camorra Pugliese si presentava infatti parallela alla NCO e subordinata sotto l’aspetto economico: la Nuova Camorra Pugliese versava alla NCO circa il 40-50% dei proventi dei propri affari.
Con la crisi della NCO e l’insoddisfazione dei gruppi pugliesi nei confronti delle imposizioni di Raffaele Cutolo sui proventi delle attività illecite, alcuni di questi gruppi si svincolano dal ceppo campano con l’obiettivo di consociarsi in un’unica organizzazione regionalizzata. Questo tentativo di unificazione avviene all’interno del carcere di Bari dove Giuseppe Rogoli, affiliato alla ‘ndrina dei Bellocco di Rosarno, fonda la Sacra Corona Unita (la ‘ndrina è la cellula base della struttura ‘ndranghetista, formata da più persone imparentate fra loro: più ‘ndrine possono formare una locale, una struttura stanziata su un determinato territorio, comandata da un capolocale e che deve contare almeno 49 affiliati). Questa organizzazione è articolata secondo una suddivisione del territorio a livello regione con Bari e Foggia da un lato e Salento, Brindisi e Taranto dall’altro; inoltre prevede un controllo gerarchico dell’organizzazione e una struttura verticistica, ispirata al modello di cosa nostra. Si prevede quindi una cupola, un rappresentante per ogni provincia e una serie di sottocapi per i vari gruppi uniti da un sistema di norme e rituali di affiliazione.
Il fondatore della S.C.U., Giuseppe Rogoli, inizia a perdere credibilità e inizia così il processo di frammentazione che porta alla creazione di nuove consorterie criminali indipendenti. Nel Salento si formano i seguenti gruppi: Famiglia Salentina Libera, Remo Lecce Libera, Nuova Famiglia Salentina e La Rosa dei Venti. Sul versante barese si trovano La Rosa, i clan baresi, Diomede, la Faida di Bari. Infine, nella provincia di Foggia si osservano la Società Foggiana, la Mafia del Gargano e i Gruppi del Tavoliere.
Oggi la geografia criminale pugliese si presenta articolata in tre macro-configurazioni criminali, attive su territori differenti. Nello specifico troviamo la Sacra Corona Unita, organizzazione più tradizionale e presente tra le province di Brindisi, Lecce e Taranto; le Compagini baresi, insieme non strutturato di clan, operativi a Bari avente relazioni con i gruppi delinquenziali della provincia di Barletta-Andria-Trani; infine, le mafie foggiane, articolate in clan, non per forza in relazione tra loro, e attivi su differenti territori: la mafia del Gargano, la Società foggiana e la mafia del Tavoliere.
Il caporalato. In generale, le organizzazioni mafiose pugliese sono dedite ad attività di tradizionale ambito mafioso, come pratiche estorsive e traffico internazionale di stupefacenti sull’asse italo-albanese. Per quanto concerne il settore delle estorsioni si registra una costante operatività dei gruppi mafiosi facendo uso al ricorso di strategie intimidatorie ai danni di imprenditori e commercianti. Vi è un elevato ricorso all’utilizzo della violenza anche a danno di dipendenti o funzionari delle pubbliche amministrazioni e forze dell’ordine; risulta meno spiccata la dimensione del controllo territoriale. Tra i traffici illeciti sono presenti le attività del contrabbando, di riciclaggio di proventi nell’economia legale, turismo e il settore dei rifiuti. Le organizzazioni criminali sono attive anche nel campo dell’usura e del caporalato collaborando anche con mafie straniere in affari relativi al traffico di armi, droga, all’immigrazione clandestina e al settore agroalimentare.
La Commissione in questo dossier sottolinea come il fenomeno del caporalato sia persistente sul territorio pugliese e riconducibile ad associazione a delinquere tradizionali pugliesi e sottolinea la gravità che la persistenza di questa condotta ha per lo stato della sicurezza pubblica. Il ricorso a canali di reclutamento di braccianti agricoli a giornata non è segno solo di arretratezza nei rapporti economici ma anche un fattore di vulnerabilità complessiva del territorio. La DDA di Bari condusse un’importante indagine, chiamata Terra Promessa, contro un’associazione transnazionale di caporali nella regione della Capitanata (provincia di Foggia), dove vennero condannati cinque capicellula per aver ridotto centinaia di braccianti in stato di schiavitù. Il caporalato che si pratica nelle province di Foggia, Brindisi e Lecce è il terminale di una catena di attività criminali che inizia nei paesi di provenienza dei lavorati immigrati come Africa subsahariana, Maghreb, Bulgaria e Romania, che sfrutta lo stato di bisogno delle popolazioni.
Alla gestione dei braccianti quindi reclutamento, trasferimento e assoggettamento violento, provvedono i gruppi criminali che si sono formati per cogliere l’opportunità rappresentata dalla domanda di mano d’opera a prezzo irrisorio. Domanda che persiste nel territorio foggiano e lecchese e come dimostrano le ispezioni del NIL (Nucleo Ispettivo sul Lavoro) in collaborazione con l’Arma territoriale, sono numerose le esecuzioni di misure cautelari messe in campo. Nel mese di giugno e luglio 2022 le operazioni congiunte del NIL e dell’Arma di Lecce hanno evidenziato come ben 35 aziende su 43 controllate, non risultano rispettare la normativa fondamentale sul lavoro. I risultati di queste ispezioni hanno constato come ci sia una gravissima crisi della legalità.
La relazione prosegue con un’analisi sulla situazione della criminalità organizzata sul territorio di Foggia, dove si evince la diretta relazione tra la camorra cutoliana e le mafie pugliesi. Le mafie foggiane sono suddivise in tre sottogruppi, quali la mafia del Gargano, la Società foggiana e la mafia dei Cerignolani. Questa differenza organizzativa è condizionata dalle caratteristiche dei territori controllati. Nel Gargano si è in presenza di una mafia feroce, violenza dove le attività più redditizie sono il traffico di droga, arma, rete estorsiva e quindi un forte controllo del territorio. Nel capoluogo invece, i gruppi criminali, mostrano un volto molto violento di ispirazione cutoliana facendo del traffico di droga e dell’estorsione le attività cardine, mostrando interesse anche nel settore ricreativo, delle onoranze funebri, nell’agro alimentare, nei rifiuti e nel turismo. Si parla di uno scenario mafioso in costante evoluzione che ha inglobato molto delle espressioni criminali del territorio foggiano, allargando il raggio di azione sulle coste del Gargano, in Abruzzo e in Molise, instaurando anche relazioni con i clan camorristici del Casertano, con esponenti dell’ndrangheta e con organizzazioni criminali dell’est Europa e dell’Albania. In generale, le mafie foggiane presentano un’elevata capacità di penetrazione nel tessuto imprenditoriale locale e nella P.A.
Dopo questa prima parte introduttiva emergono alcuni aspetti che hanno caratterizzano l’evoluzione storica delle mafie pugliesi. Sicuramente, sono state condizionate dalle mire espansionistiche delle mafie tradizionali ma anche influenzate da rivendicazioni autonomistiche da parte di gruppi autoctoni. Anche il processo di mafizzazione della criminalità mostra delle differenze rispetto a quanto accaduto nelle regioni del nord poiché in Puglia, si è assistito alla creazione di diverse organizzazioni mafiose locali.
Le audizioni. La presenza di fenomeni criminali capillari sulle province pugliesi ha richiesto tecniche di analisi che fossero in grado di mettere insieme lo sguardo alla specificità dei territori con le loro caratteristiche storiche e antropologiche senza tralasciare lo studio della trasversalità geografica di questi fenomeni. Per ottenere ciò, sono state di fondamentale importanza le audizioni di alcune personalità, tra cui Procuratori della Repubblica, Procuratori della Direzione distrettuale antimafia, magistrati, commissari straordinari. La logica di queste audizioni è stata di acquisire informazioni dal generale al particolare. Infatti, alcune audizioni hanno approfondito il quadro conoscitivo più generale del fenomeno mafioso pugliese, mentre altre hanno esaminato le compagini mafiose attive sulle province pugliesi con una particolare attenzione sulla zona di Foggia.
Da un primo quadro generale emerge come nonostante le marcate differenze tra le diverse formazioni criminali, tutte mostrano dinamiche evolutive volte verso una maggiore autonomia rispetto alle mafie tradizionali come ‘ndrangheta e camorra alle quali erano subordinate. Le risposte dello Stato si sono articolare nell’istituzione di presidi investigativi come la nuova sezione operativa della Direzione investigativa antimafia a Foggia e nell’istituzione da parte della procura di Bari di una squadra investigativa in comune con l’Albania (questo in risposta alle specializzazioni nel settore del narcotraffico). Altro aspetto che hanno evidenziato le audizioni è il crescente rapporto tra le attività legali e illegali che si consta nell’infiltrazioni in settori lucrativi come quello del gioco d’azzardo. Inoltre, è emerso dalle dichiarazioni del capo-reparto DIA come queste compagini criminali sappiano intercettare i contributi pubblici destinati a settori importanti come quello degli uliveti.
Nel corso delle audizioni sul territorio di Foggia, il prefetto Massimo Mariani ha sottolineato il ruolo rivestito, come azione di contrasto, dal sistema delle interdittive antimafia e ha rimarcato le importanti operazioni realizzate in sinergia con l’autorità giudiziaria per il ripristino della legalità sul territorio foggiano. Il prefetto ha evidenziato il miglioramento, attestato da alcuni dati relativi alla delittuosità della provincia di Foggia, della percezione di sicurezza da parte dei cittadini. La Polizia di Stato ha promosso una grande campagna di legalità sul territorio con l’obiettivo di sollecitare una rivoluzione culturale volta ad avvicinare le persone allo Stato. Il territorio di maggior preoccupazione resta il Gargano, in quanto è uno dei principali luoghi di traffico e spaccio di stupefacenti dove, come rimarcato dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Foggia, lo Stato viene percepito lontano.
Un altro aspetto, emerso dalle audizioni, sono le considerazioni dei rappresentati delle associazioni datoriali locali che hanno illustrato le loro difficoltà ad operare in un territorio così problematico; questi hanno ammesso la totale assenza di protocolli di legalità o di sostegno nelle rispettive associazioni. Inoltre, le evidenze delle indagini degli ultimi anni hanno fatto emergere l’esistenza della zona grigia tra mafia e operatori economici, cioè una sorta di zona mediana in cui è difficile distinguere chi è vittima dei criminali e chi ne è diventato socio.
Nel corso delle audizioni è intervenuto anche il procuratore della Repubblica di Bari, Giuseppe Volpe, che ha ricordato la frammentazione della criminalità organizzata sul territorio. Quest’ultimo ha sottolineato come la mafia barese sia un’organizzazione criminale che ha attitudine a fare soldi attraverso le scommesse online. (Tramite l’indagine Lenel.com le direzioni distrettuali di Catania e Reggio Calabria hanno mostrato una modalità operativa particolarmente innovativa da parte dei clan baresi in quanto hanno assunto nel settore delle scommesse online un’efficace competenza tecnica).
La provincia di Foggia. La relazione prosegue con l’analisi della situazione territoriale della provincia di Foggia in merito alla situazione criminale. I contenuti degli interventi del dottor Giuseppe Gatti, in qualità di sostituto procuratore della direzione distrettuale di Bari, sono stati utili alla comprensione e ricostruzione della geografia e degli assetti criminali dei territori della Capitanata. Il momento cruciale della storia delle mafie foggiane si identifica nella strage del 9 agosto 2017. Questo episodio rappresenta anche un punto di svolta in termini di risposta repressiva da parte dello Stato perché la strategia di contrasto alle mafie foggiane cambia in modo radicale concentrandosi sul versante delle risorse e strutture e quello del metodo. Nello specifico, vi è stato un aumento di risorse, mezzi e reparti operativi di tutte le forze dell’ordine e si è innescata una nuova metodologia di lavoro fondata sulla cooperazione e sinergia istituzionale tra gli uffici operanti a livello nazionale e locale. Si è venuta a creare così la Squadra Stato, che ha contribuito al compimento di 60 operazioni antimafia con 400 misure cautelari, 67 interdittive e 5 decreti di scioglimento di comuni per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi.
Con l’operazione Grande Carro (2020) si documenta il salto di qualità della mafia foggiana, la cui forza risiede nella capacità di tenere assieme tradizione e modernità quindi un modello di organizzazione familiare e di azione militare fondato sull’uso della violenza mutuato dal familismo mafioso della ‘ndrangheta e dalla ferocia della camorra cutoliana e una sempre più spiccata vocazione agli affari. Emblematici di questa evoluzione imprenditoriale sono gli investimenti sia in ambito nazionale sia internazionale. Nel dossier viene messa in risalto anche la capacità di questa mafia nella penetrazione nei circuiti economico-imprenditoriali e nella sfera pubblica e democratica.
Con l’operazione Decima Bis (2020, una delle operazioni più importanti effettuate contro la società foggiana), si comprendono altri aspetti fondamentali delle compagini criminali. Nello specifico emergono tre fattori: un’oppressione estorsiva di tipo ambientale, l’assoggettamento e condizionamento di molteplici settori economici e la proiezione verso il mondo imprenditoriale, politico e amministrativo. Di particolare importanza risulta l’infiltrazione mafiosa nel settore dell’edilizia pubblica; come emerge dalle audizioni dell’Ing. Pippo Cavaliere, consigliere comunale del Comune di Foggia, il settore degli alloggi popolari di Foggia risulta essere controllato dalla compagine mafiosa che è in grado di gestire l’assegnazione abusiva dei suddetti alloggi.
Questa operazione ha permesso anche di approfondire l’assetto organizzativo della società foggiana fondato su una struttura federata suddivisa in batterie. Ognuna è autonoma sul proprio territorio e nei propri affari ma legata alle altre batterie attraverso una rete di alleanze trasversali. La tenuta di questa struttura è garantita dalle regole cardine dell’organizzazione ovvero il dovere di corrispondere gli stipendi agli associati, di assistere economicamente i detenuti e le famiglie e utilizzare una cassa mafiosa. Si configura così un vero e proprio welfare mafioso.
La relazione prosegue con l’analisi di due questioni che meritano un approfondimento. La prima concerne la nomina di direttore del Parco nazionale Gargano; quindi, fa riferimento ai requisiti di presentabilità di chi accede a cariche pubbliche. Nello specifico la persona designata era stata dichiarata incandidabile con un’ordinanza della Corte di Cassazione del 2017 ma nel corso delle audizioni, il presidente del Parco dichiarava che non era a conoscenza del pronunciamento della Corte e che non vi erano motivi ostativi o di inopportunità alla nomina. La seconda questione riguarda l’omicidio di Francesco Marcone, direttore dell’Ufficio del Registro di Foggia nel 1995. Un episodio che costituisce un unicum a livello nazionale poiché non sono stati individuati né i mandanti né gli esecutori e quindi non vi è ancor’oggi nessun accertamento giudiziario sulla partecipazione della criminalità organizzata al fatto delittuoso. L’analisi del contesto (modalità esecutive e omertà) fanno però ritenere plausibile un ruolo della criminalità organizzata. Alla luce di queste due questioni la suddetta Commissione ritiene opportuno che vengano effettuati degli interventi volti alla prevenzione e contrasto dei fenomeni di infiltrazione e condizionamento mafioso.
La provincia di Barletta-Andria-Trani (BAT). La relazione prosegue analizzando la capacità della società foggiana di espandersi oltre la provincia e colonizzare territori limitrofi. Si fa specifico riferimento ai comuni compresi nella provincia di Barletta, Andria e Trani (BAT), che si trova difronte a una realtà mafiosa potente e violenta. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trani, Renato Nitti, ha evidenziato come questa provincia sia al primo posto tra le province pugliesi nelle statistiche giudiziarie per tasso di criminalità e ai primi posti per numero di reati violenti. Il procuratore evidenzia come anche il numero di denunce per furto sia elevato e come continua a essere avvertita una scarsa presenza dello Stato e anche una sottovalutazione del fenomeno.
A nord di questa provincia vi sono le proiezioni delle mafie foggiane e della criminalità organizzata di Cerignola; mentre a sud vi sono penetrazioni della mafia barese.
Attraverso l’operazione Pandora è stato documentato come il clan Capriati, una delle più potenti organizzazione mafiosi baresi, sia riuscito a costituire delle sue articolazioni nei comuni di Bisceglie e Terlizzi. A questi fenomeni, si aggiunge anche la presenza di organizzazioni mafiose autoctone. Particolarmente significativa è la recente operazione Medusa che ha colpito esponenti di un sodalizio operanti in Trani, dedito al narcotraffico e capace di sviluppare una pressione estorsiva su costruttori e pubblici esercenti.
La mafia barese. Le formazioni criminali baresi sono principalmente costruite su base familiare. Infatti, ogni clan prende il nome della famiglia cui appartiene. I vari clan per potersi garantire un controllo efficace del territorio e una maggiore efficienza anche nelle attività, cominciarono ad affiliare persone esterne alle famiglie e solo dopo un periodo di prova, chiamato cammino, dove le nuove leve svolgevano piccoli compiti come lo spaccio di sostanze stupefacenti, per entrare a tutti gli effetti nell’organizzazione, gli veniva chiesto di compiere fatti di sangue per capire se erano meritevoli di partecipare all’attività mafiosa e quindi ne condividevano gli ideali.
Caratterista della mafia barese, è il ruolo svolto dalle figure femminili che sono parti integranti dell’associazione. Nel 2006, è stata accertata dalla Cassazione, l’esistenza di un’associazione mafiosa composta da solo donne baresi che gestiva in autonomia attività di estorsione all’interno del borgo antico di Bari.
In generale, il modello cui si ispirano è quello della camorra napoletana. Infatti, si evidenziano clan diversi che operano in autonomia e che non disdegnano di farsi la guerra se necessario ai loro obiettivi. Le guerre di mafia a Bari sono endemiche. Il clan più importante sul territorio barese è quello della famiglia Strisciuglio che si caratterizza per la sua struttura più evoluta e articolata rispetto alle altre, infatti, possiede la riserva di violenza della camorra napoletana e l’organizzazione federativa ‘ndranghetista. Inoltre, questo clan non esercita la propria influenza su un solo quartiere, ma ne controlla diversi persino in Provincia di Bari. Questa anomalia rappresentata da questo clan risiede proprio nel fatto che rappresenta un clan giovane dove non vi è spazio per le dinastie familiari. Questo clan è stato anche il clan più colpito da operazioni antimafia e da misure repressive ma risulta essere sempre alla ribalta. Questo perché, il clan ha una fortissima capacità di presa sulle giovani generazioni nella sua adesione a un modello di mafia popolare aperta, alla portata di tutti. È una mafia che fa della ferocia ostentata e della violenza il proprio sigillo identitario. Questo sistema è stato confermato dalla recente operazione Vortice Maestrale che ha messo in evidenza come la strada e il carcere siano l’unico grande spazio comune in cui il clan vive e prospera. Dalla stessa operazione è emerso come la mafia barese ha una capacità innata nel riempire il vuoto educativo, presente nel territorio barese, con contenuti di matrice criminale e di sopraffazione.
La missione a Taranto. Nel corso delle audizioni, il procuratore della Repubblica Carlo Maria Corrado Capristo, ha evidenziato come la criminalità organizzata di stampo mafioso sul territorio di Taranto, abbia perso la sua struttura verticistica, consolidando una presenza orizzontale, definita mafiosità zonale, tendente alla spartizione del territorio di competenza. Il procurato ha inoltre evidenziato come la presenza mafiosa su questo territorio si può constatare tramite tre attività spia quali usura, estorsione e traffico di stupefacenti, ai quali si sono affiancati lo smaltimento illecito di rifiuti e la gestione del settore gioco/scommesse.
Altri fenomeni emersi su questo territorio riguardano il coinvolgimento di amministratori locali in indagini di mafia, dove il procuratore ha ricordato come nel 2017 siano state emesse 30 ordinanze di custodia cautela nella città di Avetrana e Manduria, e la crescita delle associazioni di stampo para-familiare dedite al traffico di stupefacenti. Quest’ultimo ha conosciuto una crescita importante negli ultimi anni, specialmente incentrato sull’approvvigionamento di cocaina ed eroina.
Nel proseguire dell’audizione il procuratore aggiunto Maurizio Carbone, ha ricordato come accanto alla presenza di una criminalità organizzata di tipo mafioso, resta diffusa e ampia la criminalità comune che è legata alle attività portuali e doganali, alla contraffazione e al caporalato. Anche il sistema della corruzione è molto diffuso in città in particolar modo nel settore degli appalti dell’Asl e della Mariana militare di Taranto.
Ricostruzione teorica e giudiziaria. Le associazioni criminali di stampo mafioso nell’area foggiana hanno assunto caratteristiche proprie ed esprimo dinamiche conosciute negli ambienti investigativi. Il processo Iscaro-Saburo, sulla mafia garganica, aveva già evidenziato circa vent’anni fa, un quadro criminale esteso e consolidato. Proprio per questo motivo la Commissione ha evidenziato gli elementi distintivi delle mafie foggiane riguardo a genesi, evoluzione e permanenza sociale e territoriale. Queste associazioni criminali foggiane vedono la compresenza di modelli organizzativi e operativi disgiunti e legati ad altre compagini criminali. In particolare, si evidenzia un modus agendi di tipo camorristico, basato sulla violenza e una tendenziale impermeabilità rispetto alle forze dell’ordine e agli organi giudiziari, tipicamente ‘ndranghetista. Dalla ricostruzione giudiziaria di molte vicende, si evince come il grado di violenza è caratterizzato da una diffusa brutalità e da una ricerca della platealità dell’atto. Infatti, queste mafie si presentano come soggetti criminalmente credibili e temibili, la cui esistenza e le cui richieste non possono essere eluse. Vi è inoltre una tipicità di agire come una sorta di potere militare alla conquista e allo sfruttamento materiale del territorio. Emerge come l’intervento mafioso è stato percepito come una vera e propria risorsa; diversi imprenditori ittici sull’orlo del fallimento sono stati acquisiti ben volentieri dall’organizzazione mafiosa, che moltiplicava gli utili e risolveva i problemi, instaurando un rapporto di riconoscenza.
Il dossier prosegue sottolineando l’importanza che ha svolto l’analisi degli atti dei procedimenti penali aperti in tema di reati mafiosi, che costituiscono una fotografia sia della presenza sia dello sviluppo storico dell’attività mafiosa nel territorio pugliese. È emerso come sul territorio siano stati utilizzati strumenti tipici mafiosi come estorsione e usura, col fine di piegare le imprese agli interessi dei gruppi criminali. È stata successivamente rilevato un cambio di metodologia operativa che accantona i metodi mafiosi classici (violenza e intimidazione) e predilige presentarsi come un’alternativa ai servizi e al ruolo dello Stato infiltrandosi nelle forze di polizia e nell’economia legale.
Dall’analisi degli atti si evince anche una differente modalità di azione delle mafie nel territorio. In particolare, i gruppi criminali di Foggia si concentrano sulle estorsioni; nel Gargano e nella zona di Lecce e Brindisi i gruppi criminali sono dediti al traffico di droga, mentre a Cerignola si registrano assalti ai portavalori e rapine alle banche.
Attraverso l’operazione Rinascimento e Decima bis, si evince come ci sia una certa reticenza da parte degli imprenditori e commercianti taglieggiati dai clan ad abbattere il velo di omertà e rivolgersi alle forze di polizia per denunciare. L’attività di indagine ha consentito di accertare come la società foggiana abbia abbandonato progressivamente una dimensione cruenta, per assumere le vesti di associazione mafiosa in grado di inquinare con le proprie forze il tessuto economico e sociale del territorio foggiano seguendo la strada di una mafia imprenditoriale.
L’istituto dello scioglimento per infiltrazione mafiosa. La relazione nella parte finale analizza l’infiltrazione delle mafie pugliesi nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Nella prima parte affronta l’istituto di scioglimento per infiltrazione mafiosa. Esso è uno strumento di carattere preventivo volto a evitare che l’azione amministrativa sia sviata dai condizionamenti mafiosi. È una misura caratterizzata da importanti aspetti di prevenzione sociale e ha come destinatari gli organi elettivi rivelatesi inidonei a gestire la cosa pubblica. La natura giuridica di questo istituto è quindi di tutelare la corretta gestione e funzionalità dell’ente nell’interesse della collettività.
I presupposti dello scioglimento sono rintracciabili nell’art. 143 del TUEL, che sancisce che i consigli comunali e provinciali siano sciolti quando emergono elementi concreti, univoci e rilevanti su collegamenti con la criminalità organizzata tali da determinare un’alterazione del funzionamento dell’ente e quindi compromettendo l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione, principi sanciti nell’art. 97 della nostra Costituzione.
La relazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo del 2019 rileva come il fenomeno di infiltrazione mafiosa nell’esercizio delle pubbliche funzioni nel territorio della provincia di Foggia sia molto diffuso. Dal 1991, sono stati interessati dalla misura di scioglimento 24 amministrazioni comunali. Foggia, è il primo capoluogo di provincia sciolto per mafia in Puglia e secondo in Italia. Questo evidenzia la capacità delle organizzazioni criminali di penetrare e condizionare il tessuto economico e politico-istituzionale. Assieme a Foggia nel 2021, sono stata applicate altre misure di scioglimento nella provincia di Lecce e Brindisi. La Puglia rappresenta la quarta regione italiana per numero di amministrazioni comunali sciolte per infiltrazione mafiosa. Si evidenzia inoltre, come l’accresciuto numero di scioglimenti registrato negli ultimi anni, è determinato dall’intensificazione delle attività di contrasto istituzionale contro le mafie da parte della magistratura pugliese.
Ipotesi di intervento. La parte conclusiva della relazione cerca di analizzare delle prospettive e ipotesi di intervento per il contrasto di questi fenomeni. Ci si chiede quindi quali iniziative possono essere introdotte per contrastare l’emergere di condizioni che portano allo scioglimento dei comuni. Sicuramente una prima manovra da introdurre riguarda la formazione periodica e obbligatoria del personale direttivo e dirigenziale degli enti locali che potrebbe concretizzarsi con corsi di aggiornamento biennali volti ad una formazione etica del pubblico dipendente. Altre due azioni riguardano invece l’abrogazione in parte o la modifica dell’art. 110 comma 1 e 2 del TUEL che sancisce gli incarichi a contratto e il rafforzamento dello Sportello unico per le attività produttive (SUAP). Infine, la commissione propone come ultima area di intervento quella dell’abusivismo edilizio in quanto le azioni di contrasto verso questo settore sono caranti e visto che alle trasformazioni urbanistico-edilizie la criminalità organizzata di stampo mafioso è sempre stata interessata sia come soggetto appaltatore che come fruitore del prodotto dell’illecita attività edificatoria. Un primo strumento da utilizzare in questo settore è la diretta applicazione dell’art. 48 del T.U. edilizia che sancisce il divieto a tutte le aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture per l’esecuzione di opere prive di permesso di costruire o di SCIA sostitutiva.
(a cura di Martina Maria Tenti)