Premessa. Una sezione della Relazione finale della Commissione Parlamentare Antimafia della XVIII legislatura è dedicata alle norme in tema di documentazione antimafia contenute nel Codice Antimafia, a partire dal presupposto che tale sistema “costituisce uno dei fondamentali strumenti predisposti dal nostro ordinamento per il contrasto alla criminalità organizzata e, in particolare, per prevenire le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche” in relazione sia ai rapporti tra Pubblica Amministrazione e privati sia a quelli tra privati tout court.
I principali strumenti. La Relazione condensa, nelle prime pagine, un utile riepilogo dei principali strumenti che il legislatore ha previsto nel sistema della documentazione antimafia. In particolare:
- La comunicazione antimafia: strumento dal contenuto strettamente vincolato che delinea, in caso di esito interdittivo, una situazione di permeabilità mafiosa cristallizzata in un provvedimento giurisdizionale. La comunicazione antimafia viene acquisita mediante la consultazione della Banca dati nazionale unica della documentazione amministrativa.
- L’informazione antimafia: strumento che si caratterizza per un duplice contenuto: vincolato, nella parte in cui consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di un provvedimento applicativo di una misura di prevenzione o di una sentenza di condanna per i delitti di cui agli artt. 51 comma 3-bis p.p.; discrezionale, nella parte in cui il prefetto esprime un giudizio motivato sul rischio di una possibile infiltrazione mafiosa all’interno dell’impresa. La finalità dell’informazione antimafia risiede nella predisposizione di valutazioni e accertamenti flessibili e adeguabili alle circostanze, a partire dall’assunto che tali sono anche i mezzi che utilizzano le mafie.
- Le white list: elenchi istituiti presso ogni Prefettura di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti in alcuni delicati settori considerati più a rischio di infiltrazioni mafiose. In tali casi, è sempre previsto che siano disposte, a prescindere dalle soglie di valore (che caratterizzano altri strumenti) le verifiche antimafia più pregnanti (non solto l’accertamento dell’assenza delle cause di decadenza di cui all’art. 67 del Codice antimafia, ma anche l’insussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa). In sintesi, i presupposti che legittimano il diniego della iscrizione nella white list equivalgono a quelli che comportano l’adozione della informazione interdittiva. L’iscrizione alla white list si consegue previa istanza del privato.
Il sistema di monitoraggio antimafia. Un altro punto centrale è quello del sistema di monitoraggio antimafia. Esso si articola a livello sia centrale che periferico, in particolare con i Gruppi Interforze costituiti presso le Prefetture. In particolare, sottolinea la Relazione, l’attività dei Gruppi interforze è decisiva nell’esercizio della funzione di prevenzione delle infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti. Essa si articola in tre fasi:
- la fase che precede l’aggiudicazione, con la mappatura dell’attuale proprietà delle aree interessate dall’insediamento dell’opera e dei relativi passaggi di mano avvenuti negli anni precedenti;
- la fase della individuazione delle società e imprese interessate, a qualunque titolo, alla realizzazione dell’opera;
- la fase della realizzazione dell’opera, nella quale i Gruppi interforze sono deputati specificamente all’attività di vigilanza sui cantieri e alla loro tutela da possibili forme di aggressione criminale, con gli accessi ispettivi nei cantieri.
È stata evidenziata, in sede di audizione, l’importanza di convocazioni frequenti delle riunioni di questi organismi presso le Prefetture.
Il DL 152/2021. La Relazione si focalizza, poi, sulle modifiche introdotte dal DL 152/2021 (in particolare in tema di contraddittorio e di misure di prevenzione collaborativa). Per un approfondimento sui relativi contenuti si rinvia alla scheda di sintesi curata da Avviso Pubblico.
Sul punto, la Commissione avanza alcune perplessità: esiste il rischio che le due innovazioni normative comportino una dilatazione dei tempi ben al di là di quelli normativamente previsti per l’espletamento del contraddittorio, un ulteriore aggravio e complicazione della istruttoria, già di per sé parecchio complessa, e un aumento del contenzioso, atteso che ogni elemento respinto dalle Prefetture perché ritenuto surrettizio, formerà oggetto di impugnazione.
L’informazione antimafia. Tra gli strumenti oggetto di focus specifico da parte della Commissione Antimafia, un ruolo di prim’ordine è innanzitutto riservato alle informazioni antimafia definite vere e proprie frontiere avanzate della prevenzione antimafia con funzione di massima anticipazione della soglia di tutela. A fronte della considerazione, infatti, che le minacce di infiltrazione sono asimmetriche, imprevedibili, flessibili e sofisticate (anche al fine di eludere le investigazioni), emerge la necessità che anche il modello di azione di prevenzione e contrasto sia il più possibile elastico. È questa, dunque, la ragione fondamentale per cui, nel sistema dell’informazione antimafia, le situazioni indizianti dalle quali desumere il pericolo di infiltrazione e condizionamento non sono tassativamente indicate (“tipizzate”) dal legislatore.
Si tratta di un sistema che, da più parti, è stato oggetto di rilievi critici nel corso degli anni.
Durante l’audizione di Franco Frattini (allora Presidente della III Sezione del Consiglio di Stato) è emerso, anzitutto, come nella giurisprudenza del Consiglio di Stato sia stato escluso che l’informazione interdittiva del Prefetto fondata su elementi non “tipizzati” costituisca norma in bianco o delega all’arbitrio dell’autorità amministrativa, escludendo così anche ogni parallelismo con la sentenza della Corte di Strasburgo in merito alla disciplina delle misure di prevenzione personali.
È stato poi sottolineato che a garanzia di ogni possibile arbitrio soccorre l’obbligo di motivazione e il sindacato pieno del giudice amministrativo. Peraltro, l’ampia giurisprudenza del Consiglio di Stato in materia rappresenta uno sforzo di tipizzazione delle situazioni indiziarie non previamente individuate dal legislatore, con l’esercizio di una funzione riconosciuta dalla stessa Corte costituzionale. Una mole di pronunce che ha consentito un affinamento delle stesse tecniche prefettizie, i cui provvedimenti sono confermati nel 90% dei casi in sede giudiziaria.
Tra le proposte emerse, vanno segnalate quelle di:
- reinserire all’articolo 87, comma 1, del Codice antimafia l’inciso che consentiva la richiesta di informativa anche da parte di soggetti privati (persone fisiche, imprese, associazioni o consorzi);
- prevedere un accertamento in ordine al territorio ove il soggetto economico per il quale è richiesta l’informativa effettivamente opera, e quantomeno un raccordo operativo tra il prefetto del luogo ove ha sede l’impresa, competente all’emanazione della informativa antimafia, e il prefetto del luogo (o dei luoghi) ove effettivamente l’impresa svolge la sua attività.
L’attività dei Prefetti e i numeri della BDNA. La Commissione ha acquisito, dal Ministero dell’Interno, alcuni dati relativi alla Banca dati nazionale unica antimafia. Dal 2016 al 2020, in particolare, sono state:
- censite 553.899 imprese;
- rilasciate 268.969 comunicazioni antimafia liberatorie nel 2016, 289.874 nel 2017, 321.029 nel 2018 e 310.353 nel 2019;
- rilasciate 30.342 informazioni antimafia liberatorie nel 2016, 86.310 nel 2017, 117.191 nel 2018 e 99.839 nel 2019;
- rilasciate 406 comunicazioni antimafia interdittive nel 2016, 446 nel 2017, 329 nel 2018 e 686 nel 2019;
- rilasciate 327 informazioni antimafia interdittive nel 2016, 381 nel 2017, 306 nel 2018 e 536 nel 2019.
Oltre al dato aggregato, le audizioni dei Prefetti delle principali città italiane hanno evidenziato una serie di criticità e ritardi, soprattutto correlate all’elevato numero di richieste che pervengono alle Prefetture, relative alle comunicazioni e alle informazioni antimafia e alle iscrizioni nelle white list. In tal senso, si è evidenziato il caso di Roma (ma i Prefetti auditi di altre grandi città confermano il trend), dove nel 2020-2021 sono pervenute complessivamente 82.799 richieste di documentazione antimafia (richieste di comunicazioni e di informazioni) e 1.250 richieste di iscrizioni/rinnovi in white list. Nello stesso arco temporale sono state rilasciate 36.498 certificazioni e 610 iscrizioni/rinnovi in white list; 13 i provvedimenti interdittivi emessi. Oltre il 50% delle richieste, dunque, non risultano essere state evase nel termine di 30 giorni.
Nel corso delle audizioni è stato rilevato anche che dalla semplice consultazione dei siti di numerose Prefetture, l’elenco delle imprese richiedenti l’iscrizione nelle white list, permette di constatare preoccupanti situazioni di arretrato, risultando in fase istruttoria anche centinaia di pratiche, molte delle quali risalenti nel tempo.
Tale condizione non è priva di conseguenze: una volta scaduto il termine di 30 giorni prescritto dalla legge per il rilascio della documentazione da parte del Prefetto, le Pubbliche Amministrazioni e gli enti richiedenti procederanno in assenza della comunicazione o della informazione antimafia. In tal caso la legge prevede che, qualora successivamente venga emessa una comunicazione o una informazione interdittiva, si proceda alla revoca dei contributi, agevolazioni e finanziamenti concessi, delle autorizzazioni e delle concessioni, nonché al recesso dai contratti.
Analogamente, anche il mancato completamento entro il termine di 90 giorni dell’istruttoria relativa alle richieste di iscrizione alla white list comporta che l’impresa si consideri iscritta sotto condizione e le Pubbliche Amministrazioni e gli enti pubblici potranno contrarre con la stessa anche in assenza delle verifiche antimafia.
Le organizzazioni criminali sono a conoscenza di questi ritardi e sembrano giovarsene, se è vero, come sottolineato in alcune audizioni, che è in atto una vera e propria strategia delle organizzazioni criminali per stabilire o spostare la sede legale delle imprese loro riconducibili in modo da eludere la normativa sulla documentazione antimafia, specialmente verso territori ricadenti nella sfera di competenza delle Prefetture destinatarie di numeri elevati di richieste (Roma su tutti).
È emerso, inoltre, anche un problema di carenza di organici: nei 105 uffici territoriali risultavano mancanti 414 viceprefetti e 5161 dirigenti e funzionari amministrativi (dati 2022). Le scoperture di organico risultano in termini percentuali più elevate nelle province del sud.
La tempestività nel rilascio della documentazione antimafia e il buon funzionamento dell’intero sistema appaiono ancor più rilevanti in relazione agli interventi del PNRR, rispetto ai quali, evidenzia la Relazione, occorre intervenire efficacemente per prevenire le azioni infiltrative della criminalità organizzata. In questo senso viene citata anche la circolare del Ministero dell’interno, rivolta ai Prefetti, del 13 giugno 2022 n. 38877 avente ad oggetto Contrasto delle infiltrazioni mafiose nell’ambito della realizzazione delle progettualità inerenti al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Tra le buone prassi, invece, è stata sottolineata l’intensa attività svolta dalle diverse Prefetture nella promozione di protocolli di legalità, ossia di quegli accordi con cui la Stazioni appaltanti assumono l’obbligo di inserire nei bandi e negli altri atti di indizione di gare, quale condizione per la partecipazione, l’accettazione preventiva da parte degli operatori economici di determinate clausole intese alla prevenzione, al controllo e al contrasto delle attività criminali, nonché alla verifica della sicurezza e della regolarità dei luoghi di lavoro.
Le proposte. Al termine della Relazione vengono, dunque, elencate una serie di proposte per migliorare il complesso della disciplina in tema di documentazione antimafia. Tra queste:
- Modificare il criterio per individuare la Prefettura competente a rilasciare la documentazione antimafia: essa andrebbe opportunamente individuata ancorando la competenza non già all’elemento formale costituito dal luogo di residenza o sede legale, quanto piuttosto al dato sostanziale del luogo sede dei principali affari del soggetto da verificare.
- Effettuare un robusto potenziamento e un efficientamento delle risorse umane e strumentali degli uffici antimafia delle Prefetture e degli organi investigativi di cui esse si avvalgono.
- Prevedere, per i Gruppi Interforze Antimafia, personale dedicato, comunque appartenente alle diverse forze di polizia, ma sgravato dagli ordinari compiti istituzionali.
- Istituzionalizzare la sinergia tra Prefetture e Procure della Repubblica, allo stato rimessa all’iniziativa dei vertici dei singoli uffici.
- Prevedere interventi di efficientamento del sistema, primo fra tutti un adeguato rafforzamento e una migliore strutturazione sul piano organizzativo delle risorse umane e strumentali destinate alle Prefetture e alle forze dell’ordine di cui esse si avvalgono.