PREMESSA. La Commissione d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha dedicato la seduta del 31 gennaio 2019 all’audizione del Ministro dell’Ambiente Sergio Costa. L’audizione in oggetto non si sofferma su un focus specifico, bensì tratta diverse tematiche in questa sede sintetizzate (video completo dell’audizione).
L’ottimizzazione delle procedure di bonifica dei Siti di Interesse Nazionale (SIN) e dei Siti di Interesse Regionale (SIR). Il Ministero dell’Ambiente, ai sensi dell’articolo 252 del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), ha competenza a individuare con proprio decreto – e d’intesa con le Regioni interessate – i SIN ai fini della successiva bonifica, perimetrare i terreni che verranno ricompresi nell’area SIN e, ove sia possibile risalirvi, a individuare anche i responsabili dell’inquinamento. Attualmente la vigilanza del Ministero si esplica su 41 siti, ivi compreso l’officina grandi riparazioni ETR di Bologna, che è stato perimetrato con decreto direttoriale del settembre del 2018. La complessità procedurale delle attività di bonifica dei SIN – problematica già emersa nell’ambito dei lavori della precedente commissione – fa sorgere la necessità di avviare un processo di razionalizzazione, ottimizzazione e potenziamento dei procedimenti amministrativi, anche al fine di rendere incisiva l’attività di vigilanza e di controllo. Per questo, il Ministro ha dichiarato di aver iniziato un lavoro di standardizzazione e tipizzazione dei procedimenti attraverso la formalizzazione di istruzioni operative interne, l’utilizzo di strumenti di informatizzazione e la definizione di protocolli operativi di natura tecnica. In ordine ai SIR, (al momento sono 7 quelli monitorati), il Ministero dell’Ambiente sta costruendo un sistema di affiancamento a quelle Regioni “che hanno necessità, urgenze o intenzione di affrontare di petto questa vicenda dei siti di interesse regionale e magari hanno qualche difficoltà”. Si tratta, in particolare, di mettere a disposizione di tutti i Presidenti delle Regioni una task force di tecnici, delle strutture che affiancano il Ministero dell’Ambiente, quale, ad esempio, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). In aggiunta a questo, il Ministro Costa ha previsto – nell’ambito dell’approvazione dell’ultima legge di bilancio (L. 145/2018) – l’individuazione dei cosiddetti “siti orfani”, ovvero non una categoria parallela ai SIR e ai SIN, ma un “gruppo” di discariche delle quali si è persa la conoscenza del responsabile: “Avendo fatto una classificazione giuridica di questi, ed avendo quindi individuato cosa sono” – sottolinea il Ministro – “si è potuto mettere un chip economico in bilancio e di conseguenza si può finalmente agire. È chiaro che chi agisce è lo Stato, non può agire nessun altro, perché ormai il principio del «chi inquina paga» non è applicabile, però almeno non vengono lasciate esposte alla fede pubblica”.
I Criteri Ambientali Minimi (CAM). Un altro argomento oggetto di attenzione di questa audizione sono stati i Criteri Ambientali Minimi. Nell’ambito della sua relazione, il Ministro ha toccato alcuni punti che tornano utili per comprendere la portata del suo lavoro in materia, che si pone come obbiettivo quello di rendere agevole la corretta applicazione dei CAM, ovverosia i “requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato”. L’adozione di questi si inserisce nel Green Public Procurement (GPP), cioè “l’approccio in base al quale le amministrazioni pubbliche integrano i criteri ambientali in tutte le fasi del processo di acquisto, incoraggiando la diffusione di tecnologie ambientali e lo sviluppo di prodotti validi sotto il profilo ambientale, attraverso la ricerca e la scelta dei risultati e delle soluzioni che hanno il minor impatto possibile sull’ambiente lungo l’intero ciclo di vita”. Gli obbiettivi di tale approccio, introdotto in Italia con il Piano Nazionale d’azione sul GPP, sono: la riduzione degli impatti ambientali, la tutela e il miglioramento della competitività delle imprese, lo stimolo all’innovazione e alla nuova tecnologia, la razionalizzazione della spesa pubblica, la diffusione di modelli di consumo e di acquisto sostenibili, l’efficienza e il risparmio di risorse naturali, la riduzione dei rifiuti prodotti, e la riduzione di sostanze pericolose. Le difficoltà applicative dei CAM, rendono urgente l’avvio delle attività previste dal progetto CReIAMO PA nell’ambito del PON Governance relativo ai CAM. Inoltre, il Ministro segnala che è stato rinnovato l’accordo con Unioncamere per promuovere un’azione di informazione a livello territoriale, ed annuncia che ha siglato un altro accordo con l’ANAC per avere il controllo degli appalti statali e regionali.
La gestione dei fanghi di depurazione delle acque reflue in agricoltura. La disciplina giuridica sullo smaltimento dei fanghi svolge una funzione importante per l’efficienza del servizio di depurazione, che si configura come servizio di pubblica utilità. Alcune Regioni hanno emanato specifici provvedimenti normativi, atti a disciplinare gli spandimenti dei fanghi in agricoltura, però non uniformemente tra loro. Mancano quindi a livello nazionale dei parametri unici da prendere a riferimento per valutare l’idoneità di un fango rispetto al suo eventuale utilizzo nel mondo agricolo. In particolare, per i parametri non disciplinati a livello nazionale, la recente giurisprudenza – Corte di Cassazione nel 2011 e TAR Lombardia nel 2018 – ha individuato quale normativa di riferimento applicabile quella stabilita dalla tabella 1, allegato 5 del Titolo V, parte IV del Codice dell’ambiente in materia di bonifiche dei terreni contaminati. Tale orientamento giurisprudenziale ha determinato il blocco dei conferimenti e degli spandimenti in tutta Italia creando una crisi di portata nazionale poiché gli impianti di depurazione in funzione non hanno la capacità tecnica di produrre fanghi rientranti nei limiti indicati dal giudice. Si tratta di una questione più volte sollevata da più presidenti di Regione, che hanno rappresentato questo rischio di emergenza. Il Ministero dell’Ambiente è quindi intervenuto con il testo confluito nell’articolo 41 del “decreto Genova” (D.L. 109/2018), che ha inteso superare il concetto emergenziale, riconducendo la gestione dei fanghi esclusivamente alle prescrizioni della pertinente normativa e introducendo al contempo parametri di riferimento. Ora, al fine di creare una norma che superi strutturalmente l’emergenza, dopo il decreto, il Ministro Costa ha costituito in seno al dicastero da lui diretto un gruppo di lavoro per strutturare una norma ordinaria.
L’End of waste e i falsi end of waste. La relazione del Ministro dell’Ambiente tocca anche la tematica di estrema rilevanza (soprattutto per l’economia circolare) dell’end of waste – cessazione della qualifica di rifiuto – prevista dall’articolo 184-ter del Codice dell’ambiente. Secondo tale norma, “un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a operazioni di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, che soddisfino determinati criteri, tra i quali in particolare l’assenza di impatti complessivi negativi sull’ambiente”. Tali criteri vengono ricavati dalla disciplina comunitaria o, in mancanza di essa, sono fissati dal Ministero dell’Ambiente con propri decreti, caso per caso, per specifiche tipologie di rifiuto, includendo anche eventuali valori limite. Sul tema, il Ministro Costa si pronuncia soprattutto al fine di rappresentare l’emergenza che si è determinata a seguito della nota sentenza del Consiglio di Stato n. 1229 del febbraio 2018 con la quale è stato negato alle Regioni il potere di declassificare il rifiuto in sede di autorizzazione, in ragione del fatto che la disciplina dei rifiuti ricade nella materia della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117, comma 2, lett. s), Cost.), di competenza esclusiva dello Stato. Questa sentenza ha dunque rimesso in discussione le procedure di autorizzazioni regionali ai sensi dell’articolo 208 del Codice dell’ambiente per il riciclo di tutte le categorie di rifiuto che non siano già contemplate da criteri end of waste nazionali o comunitari, ovvero non siano contenute nel Decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, che stabilisce i parametri guida per circa 200 procedure di recupero e per altrettante tipologie di rifiuti. Tale elenco ministeriale viene utilizzato ormai da vent’anni da Province e Regioni come testo di riferimento anche per valutare le richieste di autorizzazione per gli impianti di riciclo. Sempre nella medesima relazione, il Ministro illustra anche le problematiche relative ai falsi end of waste, ovvero quei “rifiuti industriali complessi e contaminati che, mediante vari giri di false attestazioni e certificati, vengono rivenduti come materiale recuperato e pronto per un nuovo ciclo produttivo. Le aziende (ovviamente criminali) interessate a tale attività illecita simulano lo svolgimento di procedure di bonifica, mentre in realtà i rifiuti subiscono soltanto una macinatura o una tritovagliatura. Gli elementi che emergono da tali modalità di gestione sono principalmente due: si evita di sostenere i costi necessari per un corretto trattamento dei rifiuti in termini di trasporto, smaltimento e recupero del medesimo rifiuto; vengono utilizzati nel settore dei lavori pubblici materiali che dovrebbero essere diversamente smaltiti in quanto rifiuti, ma che invece vengono utilizzati come materie prime false, e spesso vengono trovati nei sottofondi stradali, autostradali e ferroviari, generando anche un sistema di false fatturazioni. Conseguentemente a questi due aspetti, il recupero dei rifiuti diventa un’attività pericolosa in quanto si rischia di veicolare nei cicli di produzione sostanze contaminanti o di mettere i rifiuti contaminanti a contatto con le matrici sensibili. Il Ministro ha chiesto all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza “di andare oltre il loro ordinario e di fare uno sforzo supplementare di controllo e di analisi in questo senso”.
Il traffico illegale di indumenti usati. Il traffico illegale degli indumenti usati, altra problematica da non sottovalutare, può seguire principalmente tre direttrici. La prima consiste nella raccolta di indumenti usati donati ad associazioni di beneficienza “farlocche”: in questo caso, tali capi vengono venduti illegalmente sul mercato (nazionale e internazionale) dei vestiti usati, e quelli in perfetto stato sono addirittura rivenduti come nuovi da privati mediante siti web specializzati o da venditori ambulanti. La seconda direttrice consiste nella commercializzazione al dettaglio degli abiti usati regolarmente acquistati da ditte autorizzate che, simulando trattamenti (come l’igienizzazione) che poi non fanno, sono posti sul mercato con tutti i rischi sanitari che ne derivano. La terza riguarda il riutilizzo delle materie prime pregiate contenute negli abiti usati (lana, cotone, lino) nella produzione di nuovi capi di abbigliamento senza l’apposita etichettatura. A fattor comune di tutti e tre i casi, si assiste poi allo smaltimento illegale delle frazioni residuali, che sono abbandonati lungo i cigli delle strade o nelle campagne. Anche per far fronte a questo problema, il Ministro ha dato mandato all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza di incrementare i controlli e di fare una valutazione di tipo fiscale che aiuta molto a bloccare questa illecita gestione.
Il traffico illecito di bioplastiche. La normativa italiana in materia di bioplastiche vieta e sanziona la commercializzazione dei sacchetti della spesa monouso non ecocompatibili e dunque non conformi alla normativa europea. Anche se l’industria italiana si è rapidamente adeguata a tale quadro normativo – tanto che solo nel 2017 si contano circa 50.000 tonnellate di shopper legali prodotte – il volume dei sacchetti illegali immesso nel mercato rimane ancora molto significativo (si pensi che nel 2017 si stimavano circa 42.500 tonnellate di buste). I sacchetti illegali, scomparsi dalla grande distribuzione per ovvi motivi collegati al controllo sempre più marcato, sono ancora oggi particolarmente diffusi nei mercati rionali e nella piccola distribuzione in virtù del fatto che costano un decimo di quelli biodegradabili. Al fine di far fronte a tale problematica, il Ministro dell’Ambiente ha dato mandato alle Forze di polizia di incrementare i controlli e le investigazioni in questo campo, ottenendo già come primo risultato il sequestro di 90 tonnellate di shopper illegali e sanzioni amministrative per 180.000 euro.
La prevenzione nella produzione dei rifiuti e la norma “Salvamare”. Una problematica che negli ultimi anni ha assunto le dimensioni di una sfida globale è quella relativa alla presenza dei rifiuti (soprattutto plastici) nell’ambiente marino. Al fine di contribuire al risanamento del Mediterraneo – un mare particolarmente esposto al problema della plastica in quanto trattasi di un mare semichiuso, – il 4 aprile 2019 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il disegno di legge “Salvamare” (al momento dell’audizione era ancora in stato di elaborazione), la cui ratio consiste nel diffondere modelli comportamentali virtuosi rivolti alla prevenzione del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti negli ecosistemi marini e alla loro corretta gestione. Il progetto (AC 1939), introducendo il concetto di “pesca accidentale” (concetto sconosciuto al Codice dell’ambiente), in pratica consentirebbe ai pescatori di portare a terra (e di smaltire negli impianti portuali di raccolta) la plastica accidentalmente finita nelle reti durante le operazioni di pesca. Attualmente i pescatori sono difatti costretti a ributtare la plastica in mare perché altrimenti compirebbero il reato di trasporto illecito di rifiuti, sarebbero considerati produttori di rifiuti e dovrebbero anche pagare per lo smaltimento. Atteso il ruolo chiave che la proposta governativa attribuisce ai pescatori nell’attività di raccolta dei rifiuti a mare, il Dicastero dell’Ambiente ritiene di dover agire in due direzioni: chiarire il quadro normativo di riferimento evitando profili sanzionatori per i pescatori che effettuano la cosiddetta raccolta accidentale durante l’attività di pesca; e incrementare la consapevolezza tra tali operatori economici della necessità di un ambiente marino pulito. A tal fine, sottolinea il Ministro Costa, “è necessario stimolare la partecipazione dei pescatori alla raccolta volontaria durante le proprie attività quotidiane e al contempo promuovere l’avvio di campagne di sensibilizzazione per incentivare l’attività di pulizia del mare da parte dei cittadini, dei soggetti pubblici e privati, ma anche da parte delle associazioni che già lo fanno”. Nell’ambito di questa ed altre iniziative plastic free, il Ministro ha lanciato dal 2018 la campagna “Io sono ambiente”, e ha firmato un protocollo d’intesa con il MIUR in ordine alla formazione ambientale nelle scuole con l’idea di far diventare questo progetto – oggi ancora extracurriculare – una formazione di tipo intracurriculare.
La presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) in Veneto. Un altro tema delicato ed estremamente significativo al quale il Ministro ha dedicato parte della sua relazione è quello relativo alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) rilevata nelle acque della zona del Bacino del Po a seguito di alcune ricerche ambientali effettuate a partire dal 2013 su incarico del Ministero dell’Ambiente. L’origine della contaminazione delle falde idriche di Padova, Vicenza e Verona è stata individuata negli scarichi dell’azienda chimica Miteni Spa, sita nel comune di Trissino, in provincia di Vicenza. Le acque che tale azienda scaricava (già a partire dal 1990) nel depuratore consortile e nel torrente contenevano PFOA (acido perfluoroottansulfonico) e PFOS (acido perfluoroottanoico), sostanze organiche altamente pericolose che si accumulano nell’organismo umano e si comportano – secondo recenti ricerche del CNR – da interferenti endocrini e da sospetti cancerogeni. Nonostante l’obbligo giuridico di effettuare la comunicazione della contaminazione, la Miteni non ha informato gli enti preposti, e l’unica ragione di tale comportamento è ravvisata nella volontà della società di occultare l’inquinamento del sito industriale e della falda sottostante, sottraendosi così all’onere di sostenere le ingenti spese per la rimozione e lo smaltimento del terreno inquinato, e per lo smantellamento di parte dell’impianto produttivo. Al fine di fronteggiare le dovute attività di bonifica, il Ministero dell’Ambiente ha ufficialmente avviato – con la firma di un dovuto decreto – il trasferimento delle risorse economiche necessarie, impegnando a favore del Commissario delegato della Regione Veneto Nicola Dell’Acqua la somma di 56.800.000 euro, più altri 23.200.000 euro per interventi individuati dalla Regione. Quanto alla quantificazione del danno cagionato, l’ISPRA ha comunicato che questo risulta essere di circa 136,8 milioni di euro. Avendo questo dato, il Ministro Costa ha esplicitato la possibilità di costituirsi con l’Avvocatura di Stato nel procedimento a carico della ditta responsabile dell’inquinamento al fine di far rientrare questi soldi nelle casse dello Stato; soldi utili a finanziare le procedure di bonifica e a riparare altri danni. Il Ministro ha inoltre costituito un tavolo di tecnici presso il Ministero dell’Ambiente che sta lavorando alla fissazione dei limiti nazionali delle acque di scarico PFAS in tutte le matrici ambientali (suolo e acqua, ma soprattutto acqua), tavolo in cui sono presenti la Regione Veneto, il Ministero della Salute, l’ISPRA, e l’Istituto Superiore di Sanità.
I Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE). La gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche riveste particolare rilievo tra le attività del Ministero. Tali apparecchi, contenendo sostanze altamente pericolose per la salute, per l’ambiente e per l’atmosfera (si pensi a mercurio, cadmio, cromo, ai PCB e ai gas refrigeranti), richiedono particolari accortezze nell’ambito del loro processo di smaltimento, che risulta essere particolarmente critico. Per questo, le attività del Ministero dell’Ambiente sono mirate alla realizzazione di condizioni che favoriscano l’incremento delle quantità raccolte e avviate al riciclo. Nell’ambito della sua relazione, il Ministro Costa ha spiegato come dai RAEE le aziende specializzate ricavano significative quantità di ferro, alluminio, rame e plastica. Le corrette procedure di recupero garantiscono la riduzione degli impatti ambientali causati dal rilascio in atmosfera delle sostanze inquinanti e i loro contenuti, nonché un risparmio sui costi energetici di estrazione, lavorazione e trasporto delle materie prime vergini. Il problema risiede nel fatto che non sempre vengono rispettate le corrette procedure per lo smaltimento degli scarti delle operazioni di recupero. Nasce, quindi, un illegale mercato parallelo di materie prime riutilizzabili ottenute con procedimenti illegali, che abbattono i costi di recupero, ma provocano danni sensibili all’ambiente e alla società. Al fine di far fronte al problema, il Ministero dell’Ambiente sta attuando una serie di provvedimenti mirati ad introdurre un effetto di indirizzo e deterrente, che dissuada gli operatori illegali del settore ad adottare modalità di commercializzazione e di recupero dei RAEE difformi da quelle indicate dalle norme di riferimento. Inoltre, sta avviando una campagna di sensibilizzazione in materia tesa ad informare che – grazie al Decreto Ministeriale del 31 maggio 2016, n. 121, definito anche “decreto Uno contro zero” – i cittadini hanno la possibilità di smaltire gratuitamente i loro RAEE di grandezza inferiore ai 25 cm (smartphone, mp3 player, rasoi elettrici, tablet, orologi, lampadine, ecc.) presso qualunque rivenditore di apparecchiature elettroniche con superficie di almeno 400 metri quadri, senza essere costretti ad acquistare un nuovo prodotto equivalente.
I commissari hanno quindi posto una serie di domande specifiche – sui temi affrontati nella relazione così come anche su altri – cui il Ministro si è impegnato a rispondere per iscritto o in una successiva audizione.
(a cura di Sara Giovannelli, studentessa del Master APC dell’Università di Pisa)