URBANISTICA E MAFIE. UN ASPETTO DEL FENOMENO CHE VA APPROFONDITO. IL CONTRIBUTO DI MASSIMO CALZOLARI

Dove si sente l’odore di affari, senza troppo controllo, le mafie si infiltrano. Non manca nel loro elenco, l’attenzione ai progetti e alle risorse previste per la pianificazione urbanistica. In tutto il territorio nazionale cercano varchi di illegalità all’interno delle amministrazioni, per partecipare. Il modo per resistere c’è, a cominciare dalla consapevolezza del fenomeno.

C’è un tema finora poco studiato e sottovalutato, ma pregnante: il rapporto tra la pianificazione urbanistica e le mafie. Le ragioni per approfondire ci sono. Ce le mostrano i territori che ne hanno subito le conseguenze: la Palermo liberty, vittima dello scempio urbanistico di Salvo Lima e Vito Ciancimino; il centro storico napoletano, preda della speculazione edilizia che consolidò il potere della camorra quando era sindaco Achille Lauro; Agrigento con la denuncia profetica, di Pio La Torre sul modo in cui il Consiglio Comunale, esonerati i tecnici incaricati, redigeva di proprio pugno il Piano Regolatore sulle terre dei mafiosi e sulla frana; Milano della “Duomo Connection” fino a quei comuni che spesso hanno alla base dello scioglimento aspetti attinenti l’urbanistica (Brescello, Leinì, Bardonecchia).

La pianificazione territoriale e urbanistica esercitata dai comuni è senza dubbio il più efficace contrasto al fenomeno mafioso, ma al tempo stesso “mette in mostra” gli investimenti e attira le attenzioni dei poteri criminali. Laddove non è gestita, troviamo, diffusamente distribuiti, tessuti urbani abusivi, deregolati, informali, spesso sotto il controllo delle organizzazioni criminali. Non mancano anche dove la pianificazione urbanistica si pratica abitualmente “giochi sporchi”, sia nella fase di formazione dei piani – le scelte localizzative – sia nelle decisioni che attengono le destinazioni d’uso del suolo.

Accade pure in alcuni territori del nord del paese, dove i clan non controllano ancora il territorio: sono comunque forti le attenzioni delle organizzazioni sui programmi di trasformazione. Si manifestano in più modi: tentando di condizionare le scelte, introducendosi nel “ciclo del cemento” per crescere di peso e costruire relazioni con soggetti influenti, ambendo gradualmente alla più proficua gestione dell’immobiliare (controllo della rendita fondiaria). Le strategie di infiltrazione si adattano ai vari casi. In ogni modo, virtuoso esercizio della pianificazione o meno, le mafie “mettono le mani sulla città”, adattandosi alle condizioni che si pongono di fronte con tutta la tenacia che le circostanze impongono.

La ricerca della collusione con le istituzioni locali

Le mafie cercano nelle istituzioni locali “varchi di illegalità”, che permettano loro di costruire relazioni, scambi, vincoli di fiducia, obblighi e favori reciproci, non solo nei territori di “tradizionale insediamento”, ma anche nel Centro-Nord. Nei primi, la disaffezione degli enti all’attività di pianificazione, la presenza di amministratori collusi in posti chiave, le minacce ai tecnici che si oppongono alle illegalità – a tal proposito si veda la vicenda dell’urbanista Marina Marino, consulente a Campobello di Mazara, poi sciolto per infiltrazioni – lasciano campo libero all’abusivismo e all’attività criminale, generando effetti facilmente percepibili, sia nella morfologia urbana, sia nel tessuto sociale insediato controllato dai clan; nei secondi, invece, è la corruzione che apre le porte agli interessi mafiosi: qui gli effetti sulla città non si disvelano facilmente, perché si confondono molto bene con le altre speculazioni edilizie del mercato legale, o con gli effetti di pianificazioni approssimative disattente all’interesse comune e servili alla rendita fondiaria.

I risultati sono molto simili: le imprese mafiose fanno affari, si consolidano inquinando il tessuto sociale. Le recenti indagini ci dicono che un tempo era la mafia che cercava amministratori e politici per fare affari, non possedendo quella disponibilità di consulenti consenzienti e quella capacità imprenditoriale che adesso può vantare; ora può condizionare il voto, promettere soldi e potere ad amministratori corruttibili. I mafiosi ora sono ricercati dai politici locali – Lombardia, Piemonte, Liguria – per svolgere attività d’intermediazione rispetto a clientele, gruppi di elettori, o più in generale, proponendosi come referenti di presunti bacini di consenso del territorio.

L’affare è raggiungibile in tutti i procedimenti degli interventi: nasce dalla programmazione generale, si definisce con l’attuazione dei piani attuativi e settoriali, si conforma con i titoli edilizi, si realizza con l’edificazione. Tutti questi passaggi indistintamente, sono vulnerabili, quando il concetto di legalità è debole. Entrano in scena risorse finanziarie e consulenti; i professionisti della “zona grigia”, che possono agire, rispettando perfettamente le regole vigenti, redigendo progetti completi, sottoscrivendo accordi pubblico/privati e convenzioni urbanistiche formalmente corrette, ottenendo titoli abilitativi a costruire, senza mai svelare il celato malaffare. Le risorse economiche non sono un problema, disponendo di denaro da riciclare.

Regolazione e Deregolazione, comunque le mafie possono inserirsi

Le mafie non disdegnano i settori “regolati”, particolarmente in quei contesti territoriali in cui percepiscono che gli interessi personali prevalgono sui pubblici: condizione ottimale questa, per inserirvisi con probabilità di successo. Secondo gli studi sociologici, nelle regioni di “non tradizionale insediamento”, l’infiltrazione è agevolata negli ambiti economici a limitata concorrenza che generano rendite: ecco che allora le trasformazioni territoriali sono oggetto delle loro attenzioni, soprattutto in quelle aree contraddistinte da concetti labili di legalità.

Contesti “sregolati”, mancanza di controlli e di trasparenza, assenza di partecipazione attiva dei cittadini alle decisioni, presenza di “zone grigie”, comportamenti che si pongono sul confine “lecito/illecito”, sottovalutazione della capacità dei mafiosi di cogliere le occasioni che richiedono impiego di capitali, facili “consumi di suolo” dettati dalla mera logica del profitto: questi sono indicatori pericolosi che attraggono l’interesse mafioso e favoriscono l’infiltrazione. Non sono pochi gli imprenditori, tentati dalle vie facili, che aprono le porte delle proprie aziende a mafiosi, che accettano capitali e nuovi soci con caratteristiche incerte, particolarmente nei momenti di crisi.

L’urbanistica non è una scienza esatta: tecnica e politica sono interdipendenti. I Piani si conformano quando gli obiettivi politici trovano posto in spazi che li strutturano, purché nell’esclusivo interesse generale e nel pieno rispetto della legalità. È una disciplina dal contenuto discrezionale, non precisamente inscrivibile in un ambito predefinito che stabilisca il “vero o il falso”, però dispone di solide basi teoriche, segue metodologie sperimentate, si muove entro i limiti specificamente definiti da leggi e giurisprudenza. È una disciplina dal contenuto discrezionale, ma non arbitrario: la discrezionalità non può costituire un alibi al concedere tutto.

Che fare?

Tante le domande: potrebbe essere utile un definire parametri per monitorare l’attività urbanistica dei comuni? Istituire osservatori e banche dati in grado di prefigurare risultati come quelli ottenuti in materia di appalti pubblici? È possibile rendere più “resistenti” i Piani dall’aggressione del malaffare? Quali accorgimenti introdurre alla pianificazione salvaguardandone la natura e, al contempo, assicurando il necessario spazio alle scelte degli eletti? Può essere utile costruire “reti di solidarietà e sostegno” a quegli urbanisti in prima linea che non riescono a operare con la “necessaria serenità” su materie così complesse?

La Regione Emilia Romagna dispone di strumenti preventivi, da ultimo ha introdotto un articolo nella nuova legge urbanistica con cui impegna i soggetti della pianificazione di primo livello ad una serie di obblighi in primis a conformarsi alle Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. Inoltre, chi presenta un Accordo Operativo (da intendersi Piano Particolareggiato) con il Comune per l’attuazione di una trasformazione urbanistica deve dimostrare con un Piano Finanziario allegato agli elaborati tecnici, l’effettiva fattibilità degli interventi. Vedremo con l’applicazione se queste innovazioni saranno efficaci. Sull’argomento si può immaginare un forte impegno di Avviso Pubblico, in linea con quanto già sta facendo con comuni soci, università, ricercatori, studiosi, giornalisti, magistrati su altre questioni.

*Architetto, esperto in pianificazione territoriale e urbanistica, progettazione architettonica, restauro dei monumenti. Ha insegnato presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna quale responsabile del laboratorio di progettazione di Architettura tecnica. E’ stato assessore e sindaco del comune di Savignano sul Panaro.

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