Il caso e la normativa. Il Comune di Roma, con l’ordinanza 111/2018 (che segue il Regolamento Sale da gioco e giochi leciti approvato con deliberazione 31/2017 del Consiglio comunale), ha introdotto le limitazioni orarie per sale e apparecchi da gioco, che possono restare aperte e in funzione dalle 9 alle 12 e dalle 18 alle 23.

L’ordinanza prevede anche che in caso di recidiva nella violazione di tali prescrizioni possa scattare la sospensione del funzionamento di tutti gli apparecchi collocati nel locale fino a cinque giorni.

Nel caso di specie, la Questura di Roma, in seguito all’accertamento di reiterate violazioni della disciplina sugli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco da parte di un esercizio pubblico, ha decretato la sospensione per sette giorni della licenza, con conseguente chiusura del locale.

Il locale interessato ha presentato ricorso avverso questo provvedimento, impugnando anche l’ordinanza e il Regolamento del Comune di Roma. Il TAR per il Lazio si è pronunciato, respingendo il ricorso, con la sentenza 6576/2021 che qui si analizza.

Le competenze della Questura in tema di sanzioni. Per prima cosa, il ricorrente contesta la possibilità stessa per la Questura di irrogare sanzioni in quanto, trattandosi della violazione di una disciplina comunale, solo l’Ente locale sarebbe deputato a procedere sul piano sanzionatorio; in ogni caso, rileva ancora il ricorrente, la Questura avrebbe comunque dovuto rispettare il limite massimo di sospensione (cinque giorni) individuato nell’ordinanza sindacale.

Il TAR respinge questa censura: richiamando la sentenza 1933/2018 del Consiglio di Stato, i giudici ricostruiscono il quadro delle competenze in materia di gioco e scommesse, riconoscendo che in questo caso sussiste “una pluralità di interessi pubblici e generali” (economico-finanziari, salute, ordine e sicurezza pubblica, quiete pubblica) e che la tutela di questi “risulta congruamente affidata a diversi poteri pubblici (…) che non confliggono tra loro proprio per le diversità finalità che essi perseguono e cui le rispettive competenze sono orientate”. Nello specifico, infatti, il potere del Sindaco di disciplinare gli orari (relativo agli interessi in senso lato della comunità) non interferisce con quello degli organi statali preposti alla tutela dell’ordine e della sicurezza.

Il livello di sinergia tra i poteri menzionati e la considerazione che l’articolo 10 del TULPS riconosce che “le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata” conducono il TAR a rigettare il motivo di ricorso sollevato dall’esercente, ribadendo anche che la Questura pacificamente può spingersi oltre i cinque giorni di sospensione previsti dal Comune, essendo il potere sanzionatorio questorile previsto da una norma di rango primario come è appunto l’articolo 10 del TULPS.

Nello specifico, inoltre, la sospensione per sette giorni appare ai giudici “significativa, adeguata e proporzionata, ed idonea a garantire un reale effetto di deterrenza e di afflittività, contemperando in modo non irragionevole l’interesse sanzionatorio dell’autorità sindacale ed il principio della libertà d’iniziativa economica”; d’altro canto, l’unico limite per le sanzioni della Questura previsto dall’articolo 9, comma 3 della legge 287/1991 (“la sospensione del titolo autorizzatorio … non può avere durata superiore a quindici giorni”) risulta pienamente rispettato.

Sull’Intesa in sede di Conferenza unificata. Un altro motivo di censura sollevato dal ricorrente attiene all’asserita violazione, da parte dell’ordinanza del Sindaco di Roma, delle indicazioni sui limiti orari contenute nell’Intesa siglata in sede di Conferenza Unificata Stato Autonomie locali.

Anche su questo punto il TAR, richiamando altre precedenti pronunce (per una ricostruzione della giurisprudenza del TAR Lazio e del Consiglio di Stato, si veda questa scheda e questa), rigetta le doglianze del ricorrente: decisiva è la considerazione che l’Intesa sia priva di valore cogente in quanto non recepita da alcun atto normativo e, pertanto, essa non può spiegare efficacia invalidante sull’ordinanza impugnata (per un approfondimento sull’Intesa si rimanda alla scheda contenuta nell’area riservata).

L’istruttoria e il principio di proporzionalità. Il ricorrente lamenta, inoltre, un difetto di istruttoria: secondo la sua tesi, la regolamentazione comunale produrrebbe effetti distorsivi, limitando in modo eccessivo l’iniziativa economica privata degli operatori economici nel settore delle scommesse senza assicurare un efficace contrasto della ludopatia.

Il TAR è di diverso avviso: anzitutto ribadisce che i dati tratti dal Sistema Informativo Regionale Dipendenze del Lazio presso i Ser.D (Servizi pubblici per le Dipendenze) delle ASL della Regione Lazio e lo studio scientifico “Dipendenze comportamentali/gioco d’azzardo patologico: progetto sperimentale nazionale di sorveglianza e coordinamento/monitoraggio degli interventi” curato dal Ministero della Salute, menzionati nell’ordinanza, costituiscono un’istruttoria adeguata; soprattutto, i giudici sottolineano la particolare insidiosità del gioco d’azzardo patologico anche sul versante della cifra oscura che caratterizza i dati ad esso relativi, sapendo che “i casi patologici di dipendenza dal gioco che sono emersi rappresentano soltanto una minima parte di quelli complessivi”.

Dinanzi a un quadro di tale gravità, l’intervento del Comune di Roma con riferimento alle limitazioni orarie e ai provvedimenti sanzionatori risulta per i giudici senz’altro giustificato, oltre che appropriato anche in ottica preventiva.

Viene pertanto rigettata, sulla base di queste argomentazioni, anche l’ulteriore censura del ricorrente relativa alla violazione del principio di proporzionalità.

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)