Premessa.  La Commissione bicamerale sul ciclo dei rifiuti, al termine di un lungo ciclo di audizioni, ha approvato il 23 giugno 2016 la relazione finale (Doc. XXIII, n. 17) sulla regione Veneto, che esamina in modo approfondito la situazione nelle diverse province: qui di seguito sono sintetizzati i contenuti.

Quadro generale

Gestione dei rifiuti urbani. “Il Veneto rappresenta, già da alcuni anni, una eccellenza, sia per i risultati ottenuti con la raccolta differenziata ed il recupero/riciclaggio dei principali materiali intercettati, sia per i valori di produzione pro capite di rifiuti urbani. Dai dati desunti dal Rapporto rifiuti urbani 2014 di Ispra, nel 2014 risulta che il Veneto ha raggiunto, insieme al Trentino Alto Adige, una percentuale di raccolta differenziata pari al 64,6 per cento, a fronte di un valore medio delle regioni del nord del 54,4 per cento e di una media nazionale del 42,3 per cento”

“Nel Veneto il sistema di raccolta secco-umido  interessa il 99 per cento dei comuni ed ha contribuito in maniera significativa al raggiungimento degli elevati valori di raccolta differenziata. Tale sistema di raccolta inoltre permette di raggiungere livelli molto alti di intercettazione della frazione organica, con valori pro capite quasi doppi rispetto alla media nazionale. Sul territorio regionale sono operativi 26 impianti di compostaggio e digestione anaerobica autorizzati in procedura ordinaria ed una sessantina di impianti di compostaggio che recuperano in procedura semplificata o autorizzazione unica ambientale (AUA). La potenzialità complessiva degli impianti risulta quasi il doppio rispetto al fabbisogno regionale di trattamento dell’organico proveniente dalle raccolte differenziate e, pertanto, oltre alla frazione organica di origine regionale, ricevono tali frazioni anche da altre regioni (soprattutto da Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige ed Emilia-Romagna)”.

Gestione dei rifiuti speciali. “La produzione dei rifiuti speciali nel 2013 è stata di circa 13,8 milioni di tonnellate così suddivise: 874.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, 7.800.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi, esclusi i rifiuti da costruzione e demolizione (C&D) e circa 5.000.000 di tonnellate di rifiuti da costruzione e demolizione non pericolosi (C&DNP). Le principali tipologie di rifiuti speciali pericolosi prodotti sono le seguenti: CER 19 trattamento rifiuti e acque, CER 17 rifiuti da costruzione e demolizione, CER 07 settore chimica organica. Le principali tipologie di rifiuti speciali non pericolosi prodotti sono le seguenti: CER 19 trattamento rifiuti e acque, CER 10 da processi termici, CER 01 estrazione e lavorazione pietra, CER 12 da lavorazione metalli. Complessivamente nel 2013 sono state gestite circa 14,7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, di cui quasi 750.000 tonnellate di rifiuti pericolosi, 8,9 milioni di tonnellate di rifiuti non pericolosi e 5,1 milioni di tonnellate di C&D non pericolosi”.

Flussi import/export. “I flussi in uscita sono costituiti prevalentemente da RS pericolosi destinati all’estero. Si tratta di CER 17 contenenti amianto e terre e rocce da scavo provenienti da siti contaminati e di CER 19 rifiuti provenienti da trattamento rifiuti, acque e bonifiche. I flussi in entrata sono costituiti da RS non pericolosi. Sia dall’estero che dall’Italia si importano CER 170405 ferro e acciaio derivante da C&D, CER 10 rifiuti da processi termici e CER 12 rifiuti da trattamento metalli e plastiche”.

La città metropolitana di Venezia

Produzione di rifiuti e raccolta differenziata. “Nella provincia di Venezia, la raccolta differenziata ha raggiunto, nel 2014, la percentuale del 52 per cento ed è stata avviata a impianti di recupero. Sul punto va considerato che la provincia di Venezia conta 44 comuni, con un numero di abitanti, nell’anno 2013, di 859.235 unità, ma con presenze turistiche di circa 34 milioni di unità”.

Le discariche e gli impianti. “Nella provincia di Venezia, ora città metropolitana, sono presenti 5 discariche per rifiuti urbani, di cui 4 in fase di chiusura e una in attività, nonché due discariche per rifiuti non pericolosi speciali, ubicate nei pressi del Petrolchimico di Porto Marghera, di cui una è chiusa, mentre quella ancora in attività ha un’autorizzazione AIA definitiva e ben n. 214 impianti di trattamento di rifiuti, in procedura ordinaria o semplificata ovvero anche in A.I.A.

“Sono inoltre presenti 39 impianti di depurazione pubblici sopra i 1.000 abitanti equivalenti (a.e.), dei quali 2 impianti con Autorizzazione Integrata Ambientale e 8 con potenzialità superiore a 50.000 a.e., oltre ad una sessantina di vasche Imhoff. Le criticità degli impianti di depurazione sono relative allo stato delle reti fognarie, che risultano spesso miste, e non adeguatamente dimensionate, con conseguenti sforamenti a monte del depuratore e ai limiti legati al bacino scolante nella Laguna di Venezia”.

Le opere di bonifica e le criticità. “Entrambe le opere essenziali alla bonifica e allo sviluppo di un’area altamente industrializzata e altrettanto inquinata, come quella della laguna di Venezia sono ben lungi dall’essere realizzate, dal momento che: 1) non sono stati completati i marginamenti delle macroisole di Porto Marghera, allo scopo di fermare la fuoriuscita e lo sversamento in laguna delle acque inquinate; 2) è stata realizzata solo parzialmente dalla SIFA la raccolta, il drenaggio e l’emungimento delle acque di falda delle macroisole; 3) non sono state realizzate la discarica e gli impianti di trattamento previsti nell’Accordo di Programma “Moranzani”, destinate ad ospitare a Malcontenta, in località “Moranzani”, oltre 3 milioni di metri cubi di fanghi inquinati, anche pericolosi, scavati dai canali industriali, a causa del mancato interramento degli elettrodotti di Terna ed Enel a Malcontenta”.

Siti contaminati. “Numerosi sono i siti contaminati dall’amianto posti in evidenza dall’ARPA Veneto. Sono diversi i siti in cui sono stati rinvenuti frammenti di amianto frammisti, con genesi diversa, in terreni o in aree soggette a riporto di materiali inerti, tra i quali meritano di essere menzionati: l’Autoparco di via Drizzagno, Scorzè, il Cantiere del nuovo Palazzo del Cinema al lido di Venezia, il Cantiere della città della moda Fiesso d’Artico, l’area della Clodiainvest srl, in località Brondolo di Chioggia, il Parco Don Sturzo Mestre con bonifica e parziale rimozione a carico del comune di Venezia, i numerosi abbandoni di amianto presso il Lido di Venezia – Malamocco, con interventi di rimozione a carico del comune. Altra criticità che ha interessato la provincia di Venezia, e non solo, deriva da numerosi incendi, dolosi o accidentali, relativi a ditte che gestiscono rifiuti o a rifiuti abbandonati, contenenti anche amianto. Numerosi sono gli abbandoni di rifiuti per cessata attività o fallimento. Nella relazione dell’ARPA Veneto vengono menzionate alcune situazioni concernenti aree industriali dismesse, che una volta abbandonate, sono divenute discariche a cielo aperto. Si tratta di una criticità comune al territorio regionale e presente anche in quello veneziano, legata alle dismesse attività industriali o a fallimenti, dove a carico degli enti pubblici rimangono i costosi interventi di bonifica”.

“In conclusione va sottolineato che nell’intero territorio comunale (non ricompreso nella perimetrazione S.I.N.) sono ben 240 i siti nei quali è stata accertata la contaminazione dei suoli e/o delle acque di falda, a dimostrazione della preoccupante estensione del fenomeno di compromissione che storicamente interessa l’area veneziana, mentre nell’intera provincia di Venezia i siti da bonificare sono, complessivamente 439, di dimensioni variabili, di cui 113 riguardano punti vendita di carburanti”.

La provincia di Padova

Produzione di rifiuti e raccolta differenziata. “La provincia di Padova comprende 104 comuni per un totale di 937.000 abitanti e che, sulla base del dato fornito dall’ARPA Veneto, nell’anno 2013 ha prodotto 424,359 tonnellate di rifiuti solidi urbani, pari ad un quantitativo procapite di 453 kg/abitante/anno, con una raccolta differenziata che ha raggiunto la percentuale del 62,2 per cento, avviata a impianti di recupero”.

Sui rifiuti speciali “vi è una capacità di trattamento commisurata alla produzione dei rifiuti, che è pari a circa 2 milioni di tonnellate, la maggior parte dei quali derivanti dal trattamento di rifiuti e delle acque, nonché dalle attività di costruzione e demolizione. I vari impianti autorizzati nel territorio provinciale consentono il trattamento di equivalenti volumi e soddisfano, pressoché, tutte le tipologie di rifiuto speciale, salvo la carenza, presente peraltro a livello regionale, di impianti per il trattamento definitivo di materiali contenenti amianto, con la conseguente necessità di esportare fuori regione questi rifiuti, ai fini del loro corretto smaltimento”.

Le discariche e gli impianti. “Nella provincia di Padova vi sono 200 impianti di trattamento di rifiuti, in procedura ordinaria o semplificata, ovvero anche in AIA., oltre a un impianto di termodistruzione di rifiuti urbani nel comune di Padova. Merita di essere sottolineato in modo positivo il fatto che nella provincia di Padova il sistema di gestione dei rifiuti urbani è retto da alcuni impianti ritenuti strategici, che consentono l’autosufficienza. Sul territorio insistono, oltre a un impianto di termodistruzione nel comune di Padova, due discariche ancora operative, cioè la GEA, nel comune di Sant’Urbano, che presenta una potenzialità residua, al 31 dicembre 2013, di circa 763.000 tonnellate, corrispondenti ad un vita residua di circa 5/6 anni; la S.E.S.A., nel comune di Este, che ha una potenzialità, al 31 dicembre 2013, di 19.000 metri cubi, corrispondenti ad una vita residua di un anno circa. Vi è infine la discarica di Campodarsego, non più operativa, che ha cessato i conferimenti nel 2012 e, attualmente, si trova nella fase della sistemazione per la chiusura formale”.

“La discarica di Ponte San Nicolò, in località Roncajette, presenta delle criticità, nonostante sia stata sottoposta nel tempo a interventi di bonifica e di messa in sicurezza. Ad oggi, la discarica è stata ripristinata nella sua funzionalità di drenaggio e, di recente, è stato approvato il progetto di chiusura post mortem, con la ribaulatura della stessa per circa 4- 500.000 metri cubi di materiali, non rifiuti, che sono stati destinati a completare le operazioni di post mortem. Pertanto, la situazione della discarica, pur avendo rappresentato una criticità, viene considerata sotto controllo dal direttore provinciale ARPA di Padova”.

La provincia di Verona

Produzione di rifiuti e raccolta differenziata. La provincia di Verona è distribuita su un territorio variegato, comprensivo di pianura, colline e zone montuose, con una superficie di 3.121 chilometri quadri, in cui vivono circa 1.167.000 abitanti (densità 295 ab/chilometri quadri), suddivisi in 98 comuni. La provincia di Verona produce ogni anno tonnellate circa 435.000 di rifiuti solidi urbani (RSU) ed è la seconda provincia della regione a produrre più rifiuti. Per quanto attiene, in particolare, la provincia di Verona, dalla relazione dell’ARPA Veneto del 23 ottobre 2014  risulta che nell’anno 2013sono state prodotte complessivamente 435.133 tonnellate di rifiuti urbani, pari ad un quantitativo pro-capite di 472 kg/abitante/anno. La raccolta differenziata si attesta al 65,2 per cento del totale prodotto e corrisponde a 269.948 tonnellate avviate ad impianti di recupero presenti nella regione”

Gli impianti e le discariche. Dei 26 impianti a “procedura ordinaria” che operano in Veneto, 9 si situano in provincia di Verona per il compostaggio e 3 di essi anche per la digestione anaerobica e sono situati nei comuni di Isola della Scala e Villa Bartolomea. Per quanto riguarda gli impianti di recupero della frazione organica, il sistema nel territorio provinciale veronese ha una potenzialità elevata rispetto al fabbisogno interno, per cui è in grado di trattare rifiuto organico di altre realtà territoriali. Sono presenti inoltre 5 discariche per rifiuti non pericolosi, di cui una pubblica autorizzata allo smaltimento dei rifiuti urbani (Legnago), nonché 5 discariche per rifiuti inerti.

Le criticità su discariche di rifiuti urbani. Citiamo ad esempio la discarica di Ca’ Filissine nel comune di Pescantina è ubicata alle porte della Valpolicella, zona collinare rinomata a livello mondiale per la produzione vitivinicola. “Nel 2006 la discarica è stata oggetto di un provvedimento di sequestro preventivo da parte del gip del tribunale di Verona per il sospetto inquinamento delle acque di falda, invase dal percolato. Nel mese di marzo del 2007 i consulenti tecnici della procura della Repubblica in Verona hanno individuato, quale unica fonte dell’inquinamento della falda acquifera, la discarica Cà Filissine, a causa della rottura del manto di impermeabilizzazione della stessa discarica sul fondo e sulle pareti… Nella carenza di un costante e adeguato allontanamento del percolato, non solo, i suoi livelli in discarica sono progressivamente saliti sino alle quote attuali medie di oltre trenta metri, ma il percolato viene continuamente alimentato anche dalle acque meteoriche, che incidono sull’area di discarica. Allo stato attuale, quindi, il prelievo del percolato risulta fermo per mancanza di risorse da parte del comune di Pescantina, che ha chiesto il “fondo di rotazione” alla regione Veneto, ipotizzando un progetto di sostenibilità economica con una tassa di scopo”.

Altre criticità sono evidenziate sulle discariche di Cà Baldassarre nel comune di Valeggio e di Torretta di Legnago

Le criticità su discariche di rifiuti speciali. Si cita ad esempio La discarica di Ca’ Capri, nel comune di Sona. “La discarica è stata sottoposta a sequestro penale nel mese di ottobre 2007, in quanto venivano versati rifiuti pericolosi contenenti idrocarburi, ed è stata dissequestrata nel mese di marzo 2014. Nella discarica che avrebbe dovuto contenere solo rifiuti fluff, cioè, la parte non metallica che residua dalla distruzione delle autovetture, era stata certificata una quantità in uscita di diossina, con temperature che superavano i 400 gradi centigradi, per effetto degli oli combustibili, che bruciavano all’interno della stessa. Allo stato, a seguito di ricorsi presentati da Legambiente, il Consiglio di Stato ha annullato l’AIA già ottenuta dalla discarica, che dal mese di luglio 2014 è priva di autorizzazione”.

Il caso Sun Oil Italiana. “Altra criticità è quella che ha investito l’impianto di trattamento di rifiuti liquidi della società Sun Oil Italiana, posto nel comune di Sona. Si tratta di impianto, che non aveva mai ricevuto l’autorizzazione all’esercizio, sicché tutti i rifiuti introitati costituiscono deposito abusivo e devono essere smaltiti. Finché nel 2006 non è sopraggiunto il sequestro preventivo del gip del tribunale di Verona, ben 99 aziende hanno conferito, in modo illecito, i loro rifiuti liquidi alla Sun Oil Italiana, cosicché, ad aprile 2015, risultavano ancora in deposito circa 25.000 metri cubi di tali rifiuti. Solo a partire dal mese di maggio 2015, con l’intervento dell’ARPA e del comune di Sona, è stato instaurato con la proprietà, nel nuovo assetto sociale, un percorso che prevede la caratterizzazione dei rifiuti ancora stoccati, finalizzato al loro successivo recupero o smaltimento”.

La provincia di Vicenza

Produzione di rifiuti e raccolta differenziata. Il territorio è caratterizzato da un’alta concentrazione di attività produttive, anche di rilevante impatto ambientale. Su tutte spiccano il polo conciario di Arzignano, il settore orafo e il settore siderurgico. Dalla relazione dell’ARPA Veneto risulta che, nell’anno 2013, nella provincia di Vicenza sono state prodotte complessivamente 344.199 tonnellate di rifiuti urbani, pari a un quantitativo procapite di 396 kg/ab/anno. La raccolta differenziata si attesta al 65,2 per cento del totale prodotto e corrisponde a 224.408 tonnellate avviate ad impianti di recupero presenti nella regione.

“L’incidenza della produzione di rifiuti speciali, rispetto al dato regionale, è pari al 32 per cento per i rifiuti pericolosi, mentre per i rifiuti non pericolosi è pari al 18 per cento. Il valore della produzione è il risultato delle elaborazioni eseguite sui dati raccolti attraverso le dichiarazioni MUD, che consentono la contabilizzazione dei rifiuti prodotti e gestiti”.

Gli impianti e le discariche. “La situazione impiantistica (aggiornata al 31 dicembre 2013) nella provincia di Vicenza consta 102 impianti autorizzati in procedura ordinaria e 124 in regime semplificato per recupero materia, 6 impianti in regime semplificato per recupero energia, 12 impianti in AIA (di cui 9 di trattamento chimico fisico biologico) e 8 in procedura ordinaria per il pretrattamento, un inceneritore per rifiuti urbani (Schio) e 3 inceneritori per rifiuti speciali, che smaltiscono prevalentemente rifiuti liquidi pericolosi in conto proprio. Sono presenti inoltre 7 discariche per rifiuti non pericolosi, di cui 2 pubbliche autorizzate allo smaltimento dei rifiuti urbani (Asiago e Grumolo delle Abbadesse) e 15 discariche per rifiuti inerti.

Criticità. “Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi, l’unico dato riportato dal prefetto di Vicenza nella sua relazione alla Commissione, è quello connesso al sito delle Acciaierie Beltrame e alle segnalazioni del portale radioattivo installato, che nel corso degli anni ha rilevato nei carichi di rottami in ingresso la presenza di scorie di piccole dimensioni (come quadranti fosforescenti, punte di parafulmini e simili) e/o di limitata emissione, materiali che sono stati subito confinati e poi smaltiti secondo la normativa in vigore.

Il prefetto di Vicenza e il Corpo forestale dello Stato, nelle rispettive relazioni, hanno posto in evidenza la particolare criticità di discariche abusive in zona Caldogno, a seguito di depositi incontrollati di rifiuti avvenuti negli anni ’60 – ’70. La problematica emergenziale concerne la presenza nella stessa area di una falda superficiale che è risultata inquinata. L’acqua di falda, usata anche per uso potabile, continua ad essere prelevata dai pozzi per usi irrigui e non alimentari, con probabili ricadute negative per le colture, mentre non è stato possibile verificare l’inquinamento anche della falda profonda. Tuttavia, la mancata connessione pare più imputabile alla dislocazione dei pozzi spia situati in punti poco significativi, più che alla verifica dell’effettiva salubrità dell’acqua della stessa falda profonda.

Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vicenza, dottor Antonino Cappelleri, nel corso della sua audizione del 20 dicembre 2014, ha riferito che sicuramente la provincia di Vicenza è stata interessata, anche di recente, da fenomeni di scarichi abusivi e di inserimenti abusivi di scorie, anche pericolose, in determinati siti”.

L’emergenza ambientale nell’ex discarica di rifiuti speciali Co.r.s.e.a. nel comune di Sarcedo. “Si tratta di una discarica di seconda categoria, tipo B, per rifiuti industriali speciali, assimilabili agli urbani prodotti dalle aziende consorziate, che ha operato dal 1993, dopo il rilascio da parte della provincia di Vicenza della relativa autorizzazione, fino all’anno 2004. Premesso che l’impianto insiste in una zona ad alta vulnerabilità, per quanto riguarda le acque sotterranee, ampiamente utilizzate per scopi idropotabili, è accaduto che l’allontanamento del percolato non è stato eseguito con la continuità richiesta dal decreto di autorizzazione e, quindi, non è stato garantito il battente massimo di un metro, come da prescrizione. A causa di tale omissione, si è generato il pericolo di cedimento dei fronti e la successiva fuoriuscita del percolato dal corpo della discarica. In effetti, in alcuni casi il pericolo si è concretizzato e ciò ha determinato la necessità di procedere ad interventi di emergenza, che non hanno comunque impedito una parziale contaminazione delle matrici ambientali senza, peraltro, compromissioni delle acque utilizzate per uso potabile”.

La provincia di Treviso

Produzione di rifiuti e raccolta differenziata. Nell’anno 2013, nella provincia di Treviso, composta da 95 comuni, con 888.849 abitanti e una densità di 358 abitanti per km quadrati, sono state prodotte complessivamente 315.871 tonnellate di rifiuti urbani, pari a un quantitativo procapite di 355 kg/ab/anno. Di tale quota, il 75,8 per cento rappresenta la raccolta differenziata, avviata ad impianti di recupero.

Impianti e discariche. Nel territorio provinciale sono presenti ben n. 282 impianti di trattamento di rifiuti, in procedura ordinaria o semplificata ovvero anche in AIA. Il territorio provinciale si caratterizza per l’esistenza di numerose cave, attualmente, 65 attive e 174 estinte.

Criticità. A partire dal 2009 sono stati effettuati rilievi morfobatimetrici dei fondali di tredici cave in falda (di fatto, venti laghi di cava, con una estensione variabile per un totale di circa tre milioni di metri quadri), con controlli dei volumi estrattivi mediante l’uso di un ecoscandaglio multifascio grazie al quale è stato possibile rilevare che, nel periodo 2008-2013, le quantità di materiale scavato è ammontato a ben 358.000 metri cubi, in difformità ai vigenti provvedimenti. Di conseguenza la provincia di Treviso ha comminato sanzioni di vario importo ai responsabili, titolari delle concessioni di cave e degli scavi abusivi.

In via generale, la trasformazione di cave in discariche in presenza di zone di risorgiva e con terreni permeabili è da vietare senza possibilità di deroga alcuna, sia per i rischi insiti in modo naturale nell’attività di discarica, sia per quelli connessi alla dispersione nell’acqua anche di piccoli quantitativi di inquinanti. Inoltre il territorio trevigiano è interessato da un grave inquinamento da mercurio nelle falde profonde di un’ampia area, posta a sud di Treviso.

Nel territorio provinciale vi sono ben ventidue discariche non attive per rifiuti non pericolosi o pre-inerti, accomunati dal fatto che, a causa del fallimento dei soggetti gestori, in molti casi la gestione post-mortem è destinata a rimanere in capo alla provincia e ai comuni, con i conseguenti problemi economici in carico al pubblico. Vi sono, inoltre, otto siti contaminati, le cui bonifiche sono in corso d’opera, seppure nel difficile quadro economico. Altre criticità riguardano gli impianti di gestione dei rifiuti, alcuni dei quali, a causa delle giacenze di rifiuti inerti, superano i quantitativi stabiliti dai provvedimenti di autorizzazione, per via della crisi del settore edile, mentre altri impianti hanno il problema di come allontanare il materiale che ha cessato la qualifica di rifiuto, nel caso di fallimento delle imprese.

La provincia di Belluno

Produzione di rifiuti e raccolta differenziata. La provincia di Belluno è distribuita su un territorio prevalentemente montuoso, con una superficie di 3.678 km quadri, in cui vivono 245.569 abitanti, suddivisi in 69 comuni. Il bellunese ha una scarsa concentrazione di attività industriali ed è nota per l’occhialeria (Luxottica), quindi, con industrie a basso impatto ambientale. Dalla relazione dell’ARPA Veneto risulta che, nell’anno 2013, nella provincia di Belluno sono state prodotte complessivamente 85.288 tonnellate di rifiuti urbani, pari ad un quantitativo pro capite di 407 kg/ab/anno. La raccolta differenziata si attesta intorno al 68,5 per cento e corrisponde a 58.455 tonnellate di rifiuti avviate a impianti di recupero presenti prevalentemente nella regione.

Impianti e discariche. 12 impianti autorizzati in procedura ordinaria e 22 in regime semplificato per recupero materia. 2 impianti in regime semplificato per recupero energia. 3 impianti in procedura AIA, di cui uno di trattamento meccanico biologico e due di trattamento chimico fisico per il pretrattamento. Per quanto riguarda invece gli impianti di discarica, ne risultano presenti complessivamente 16.

Criticità. La relazione del Corpo forestale dello Stato segnala, con riferimento all’anno 2013, numerosi episodi di illeciti amministrativi rilevati a carico di singoli cittadini per abbandono di rifiuti, assimilabili ai rifiuti domestici, sanzionati in via amministrativa, e conclude affermando che tali condotte abusive sono per lo più riconducibili ad azioni individuali, escluso ogni riferimento a condotte di tipo criminoso da parte di associazioni a delinquere, mentre la particolare orografia del bellunese, di fatto, impedisce il fenomeno dell’interramento dei rifiuti tossici o nocivi. Particolare rilevanza assume il fenomeno del versamento dei residui delle lavorazioni galvaniche, specie nel settore degli occhiali, nei corsi d’acqua o nei bacini idroelettrici. Pochi i casi di accertata discarica abusiva.

A dispetto di un quadro tutto sommato tranquillo, come sopra rappresentato, si sono registrati episodi criminosi degni di rilievo e molto preoccupanti nel comune di Feltre, capoluogo della comunità montana feltrina (CMF), ora Unione montana feltrina (UMF), dove, tra il 2012 e il 2014, vi è stata una serie di incendi di natura dolosa, riguardanti in totale 38 cassonetti per lo smaltimento dei rifiuti, con particolare riguardo ai contenitori per il riciclo della carta.

La provincia di Rovigo

Produzione di rifiuti e raccolta differenziata. I dati di riferimento sono relativi al 2013 per il settore rifiuti urbani e 2012 per il settore rifiuti speciali. La produzione di rifiuti urbani nella provincia di Rovigo nel 2013 è stata pari a 124.988 tonnellate, corrispondente ad un quantitativo pro-capite di 514 kg/ab/anno. La raccolta differenziata, con 80.551 tonnellate, ha raggiunto la percentuale del 64,4 per cento, a fronte di un valore medio regionale è pari al 63,6 per cento. La quantità di rifiuti speciali gestiti nella provincia di Rovigo nel 2012, complessivamente, è pari a 428.310 tonnellate

Impianti e discariche. Nella provincia di Rovigo vi sono oltre un centinaio di impianti di trattamento di rifiuti, in procedura ordinaria o semplificata, ovvero anche in AIA, oltre a due discariche di rifiuti solidi urbani trattati, in fase di chiusura. . Vi è inoltre un termovalorizzatore, in Villadose, presso un’industria che produce antibiotici e provvede all’incenerimento dei rifiuti prodotti. Merita di essere sottolineato, in modo positivo, il fatto che nella provincia di Rovigo il sistema di gestione dei rifiuti urbani e speciali è bene articolato ed è retto da vari impianti di trattamento e di recupero materie, che consentono l’autosufficienza.

Criticità. La principale caratteristica della provincia di Rovigo, a vocazione agricola, è l’elevata concentrazione di impianti di trattamento dei fanghi, del tutto sproporzionata rispetto al fabbisogno del territorio. Si tratta di fanghi che derivano dal trattamento di acque reflue, industriali e civili, comunque organici, che vengono lavorati e trasformati in materia prima, allo scopo del loro utilizzo nei terreni, in luogo dei composti chimici, per migliorarne la fertilità e le caratteristiche strutturali. Il problema è che la quantità dei fanghi inseriti negli impianti è troppo elevata rispetto alle richieste dei terreni. Si tratta di un mercato che non vede regolamentata né l’entrata, né l’uscita, nel senso che, mentre sussiste sicuramente un utile per l’imprenditore a ricevere i fanghi, viceversa, sussistono obiettive difficoltà di mercato a esitarli, dopo la loro lavorazione, dal momento che i terreni disponibili sono limitati, rispetto alle grandi quantità di fanghi lavorati, divenuti fertilizzanti da esitare, tant’è che gli imprenditori preferiscono regalarli o, addirittura, pagare pur di essere liberati di tali emendanti o, infine, disfarsene in modo illecito, senza cioè documentarne l’uscita nei registri di scarico

La centrale termoelettrica di Porto Tolle. La relazione affronta i problemi le gravi problematiche ambientali causate dalla centrale termoelettrica di Polesine Camerini (Porto Tolle), uno dei maggiori impianti di produzione di energia elettrica di proprietà di Enel spa, collocandosi tra i più grandi d’Europa, situata nella parte meridionale della regione Veneto. L’uso dell’olio combustibile denso (OCD), da parte dell’Enel nella centrale termoelettrica (CTE) di Porto Tolle ha determinato emissioni in atmosfera dei seguenti inquinanti: ossidi di zolfo (principalmente SO2), ossidi di azoto (NOX), polveri, metalli, microinquinanti organici e gas serra (CO2). Dalla documentazione ufficiale dell’ARPA Veneto (acquisita dalla procura di Rovigo) risulta che l’apporto della CTE di Porto Tolle incideva per oltre il 50 per cento sull’inquinamento dell’intera provincia di Rovigo. La dottoressa Manuela Fasolato, già sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rovigo, nel corso dell’audizione del 15 ottobre 2015, ha riferito che il danno cagionato dalla centrale termoelettrica di Porto Tolle sul territorio è stato quello del totale, pesante impoverimento della biodiversità, per via del bioaccumulo. Attualmente, vi è una ripresa accertata da una consulenza da lei disposta nel 2009, utilizzando anche l’ARPA, dopo che la centrale aveva cominciato a emettere meno sostanze inquinanti e, cioè, a partire dall’anno 2005 in poi. Invero, il territorio contaminato, grazie un processo di resilienza, che consiste nella possibilità propria del territorio di risanare da sé i danni subiti, è già in ripresa rispetto ai danni patiti, posto che, come si è verificato in situazioni analoghe, è altamente improbabile un degrado irreversibile.

Considerazioni finali

La miscelazione dei rifiuti. Nel territorio regionale sono presenti circa 1.500 impianti di trattamento rifiuti (compresi gli impianti industriali, che utilizzano rifiuti per recupero di energia e materia), che operano in diverso regime autorizzativo: articolo 216 (procedure semplificate), articolo 208 (autorizzazione ordinaria) e in AIA (assoggettati alle disposizioni di cui alla parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 e s.m.i., titolo III-BIS). Si tratta di un numero enorme di impianti, difficile da controllare, nonostante le buone intenzioni dell’ARPA Veneto.

Nonostante la presenza di un numero così elevato di impianti, in grado di trattare una grande varietà di rifiuti speciali, il fenomeno tipico del Veneto, acclarato dalle numerose inchieste giudiziarie, è quello di una impresa, regolarmente autorizzata, la quale, in violazione delle autorizzazioni dell’AIA, normalmente concesse per la gestione di particolari rifiuti non pericolosi, adotta, una serie di comportamenti devianti rispetto alla struttura normativa e alle prescrizioni fissate in sede amministrativa. Si verifica, cioè, che l’impresa riceva rifiuti, anche pericolosi, comunque non compresi nel codice CER per cui è stata autorizzata e provveda alla loro successiva miscelazione con i rifiuti per cui è autorizzata, com’è accaduto in pressoché tutti i casi di gestione illecita di rifiuti sottoposti all’esame della Commissione di inchiesta nel corso di questa relazione.

Il “giro-bolla”. Un numero sempre più consistente di imprese trovano nelle pieghe di una norma o nelle pieghe di alcune prescrizioni e nelle pieghe dei controlli, un chiaro vantaggio economico, che si traduce nella eliminazione e/o riduzione dei costi di smaltimento dei rifiuti speciali, per cui operano in maniera difforme da quella prevista, sicché il vero problema del Veneto è la distorsione che avviene sul mercato normale. Tra le modalità con le quali viene effettuato lo smaltimento illegale di consistenti quantitativi di rifiuti, anche pericolosi, vi è la pratica del cosiddetto “giro bolla”, cioè dell’operazione di sostituzione del documento originario di accompagnamento di un rifiuto, contenente un determinato codice CER, con uno riportante indicazioni false e di comodo, con codice CER mutato, tale da poterne accelerare lo smaltimento mediante l’utilizzo di omologhe o notifiche già in essere, ovvero autorizzate presso determinati impianti.

L’utilizzo di rifiuti non recuperabili. E’ venuta in evidenza la filiera del recupero, utilizzata quale ulteriore e più subdola tecnica di occultamento dei rifiuti. Invero, il recupero dei rifiuti, correttamente posto quale obiettivo strategico dalle stesse norme comunitarie, diventa pericolosamente una potenziale occasione – in alcuni casi un’attività certa – per introdurre in maniera illecita rifiuti che recuperabili non sono, con la conseguenza di veicolare nei cicli di produzione contaminanti non presenti nelle materie prime sostituite, ovvero nel metterli a contatto con matrici sensibili (suolo e sottosuolo) nel caso in cui le materie “recuperate” vengano utilizzate, per esempio, nel campo delle costruzioni. Queste imprese si muovono in piena autonomia, al di fuori di contesti organizzati di stampo mafioso.

La filiera dell’illecito. Le numerose inchieste giudiziarie esaminate in questa relazione comprovano che molto spesso il comportamento scorretto nella filiera parte fin dalla fase di produzione del rifiuto: il produttore non rispetta le regole del deposito temporaneo e gestisce i propri scarti, senza attuare la necessaria differenziazione; l’impianto di destinazione, quindi, li riceve sotto una codifica non rappresentativa, li sottopone a un trattamento di recupero fittizio, dal quale risulta una certa percentuale di recupero (spesso minore del 10 per cento) e infine destina in discarica quasi l’intero carico. In tal modo, il rifiuto viene qualificato come sovvallo della selezione e quindi usufruisce del pagamento dell’ecotassa in misura ridotta, secondo una disposizione regionale che stabilisce tale agevolazione.

 

Discussione in Assemblea.

L’Assemblea della Camera ha discusso la relazione il 12 settembre 2016  ed il 14 settembre 2016, approvando al termine la seguente risoluzione (6-00257), a firma Bratti, Zolezzi, Zaratti, Pastorelli (All.to 1). Il Senato ha discusso la relazione l’8 novembre 2016  e il 9 novembre 2016, approvando al termine una risoluzione (All.to 2).

All.to 1

La Camera,
esaminata la relazione di approfondimento sulla situazione territoriale della regione Veneto (Doc. XXIII, n. 17), approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esse correlati nella seduta del 23 giugno 2016;
premesso che:
l’attività di indagine conoscitiva sulla regione Veneto ha affrontato in modo analitico le numerose criticità emerse, come rilevate nel corso delle tre missioni effettuate nella regione e segnalate alla Commissione nel corso delle numerose audizioni svolte, con particolare riferimento da ultimo, a quelle concernenti la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle province di Vicenza, Verona e Padova, che interessano una popolazione complessiva di oltre 250.000 abitanti;
il lavoro della Commissione parte dalla constatazione che nel territorio re- gionale insistono ben 1.500 impianti di trattamento di rifiuti speciali, il cui puntuale controllo risulta difficile da realizzare malgrado l’impegno dell’ARPA Veneto, con la conseguenza che, nelle pieghe delle verifiche e dei controlli effettuati, vengono comunque conferiti presso molti impianti rifiuti, anche pericolosi, che non potrebbero essere ricevuti in quanto non ricompresi nel relativo codice CER, ma che in virtù di un meccanismo illecito noto come «giro bolla», a seguito di operazioni di illecita miscelazione, vengono poi smaltiti presso altri impianti compiacenti mediante la falsificazione dei documenti di accompagnamento;
più in generale, al fine di contrastare il proliferare di impianti a bassa tecnologia e, viceversa, favorire operatori che investono in tecnologie più innovative, la Commissione ravvisa l’utilità di prevedere un riferimento normativo puntuale con riguardo al confine tra trattamento di recupero e trattamento di smaltimento, oppure una norma che stabilisca una percentuale minima di recupero, al di sotto della quale il trattamento non può dirsi appartenente alla filiera del recupero, diventando, piuttosto, un pretrattamento effettuato su un rifiuto destinato allo smaltimento;
in tale contesto si evidenzia il fatto che l’anzidetto fenomeno è risultato molto diffuso nella regione Veneto, laddove, peraltro, il complesso delle vicende giudiziarie rappresentato nella relazione da conto di un sistema illecito di smaltimento di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, da parte di un numero considerevole di aziende industriali venete produttrici che appare altamente pervasivo, significativo per dimensione, nonché alternativo a quello legale; un sistema che, malgrado l’assenza della criminalità organizzata, posta in evidenza dai magistrati della DDA di Venezia, sconta tuttavia un atteggiamento di diffusa omertà tra gli operatori economici; tale sistema, volto solo al perseguimento del mero profitto, emerge evidente dal fatto che miscele di rifiuti pericolosi sono state ampiamente immesse sul mercato come materia prima secondaria e diffusamente utilizzate, tra l’altro, anche in opere pubbliche, come i sottofondi di rilevati stradali e ferroviari;
esempio più recente ed eclatante del fenomeno anzidetto è dato dalle recenti vicende giudiziarie, che vedono il coinvolgimento di tutte le imprese indagate che hanno operato nella realizzazione dell’autostrada A/31, cosiddetta «Valdastico Sud», che collega Vicenza a Rovigo (attualmente sono nella fase iniziale del rinvio a giudizio innanzi al tribunale di Venezia tre distinti procedimenti penali promossi dalla direzione distrettuale antimafia, che investono numerosi lotti dell’autostrada e molte imprese fornitrici dei materiali utilizzati, in cui le perizie, eseguite in sede di incidente probatorio, hanno posto in evidenza la qualità di rifiuto di tali materiali);
con le modalità anzidette, non solo rifiuti pericolosi che avrebbero dovuti essere sottoposti a trattamento hanno invece avuto una diversa destinazione, ma operatori economici, i quali avrebbero dovuto pagare per il loro smaltimento, hanno viceversa ottenuto un guadagno; nel caso di specie, il problema non sembra destinato ad esaurirsi con la ultimazione del primo tronco autostradale della «Valdastico Sud», in quanto è già prevista la costruzione di un secondo tronco autostradale, denominato «Valdastico Nord», destinato a collegare Vicenza con Trento, per un costo stimato di circa 2.000 milioni di euro, sicché sussiste il concreto rischio che, in mancanza di una più puntuale attenzione da parte della stazione appaltante sulla qualità dei materiali utilizzati, anche tale secondo tratto autostradale potrebbe essere realizzato con le stesse illecite modalità del primo tratto;
si contano nella regione Veneto 485 siti contaminati, tra i quali vanno ricompresi numerosi siti in cui hanno operato società che per lunghi anni hanno gestito illecitamente i rifiuti speciali, anche pericolosi, e che dopo il sequestro degli impianti da parte dell’autorità giudiziaria sono state dichiarate fallite;
in tutti i casi anzidetti, i costi – anche per molte decine di milioni di euro – connessi alle attività di allontanamento dei rifiuti pericolosi, alla messa in sicurezza, al ripristino e alla successiva bonifica dei siti contaminati, sono rimasti a carico degli enti territoriali, i quali, tuttavia, sono sprovvisti delle risorse necessarie per sostenere tali spese, con la conseguenza che, dopo l’allontanamento totale o parziale dei rifiuti più pericolosi, tali siti versano tuttora in stato di abbandono in attesa di fondi, così aggravando il degrado ambientale del territorio regionale;
allo scopo di fronteggiare in modo adeguato tale situazione sarebbe opportuno prevedere, oltre al rilascio di adeguate polizze fideiussorie da parte delle società o degli enti che gestiscono gli impianti e/o le discariche, soprattutto, l’accantonamento obbligatorio da parte delle stesse di quote del corrispettivo versato dalle aziende che conferiscono i rifiuti, in modo da costituire un fondo di riserva per affrontare le successive operazioni di messa in sicurezza e di bonifica dei siti;
preso atto della situazione drammatica in cui versa la discarica di Ca’ Filissine, nel comune di Pescantina, in provincia di Verona, gestita dalla Daneco Impianti, la quale, dopo una gestione dissennata della discarica – che ne ha determinato la rottura del fondo impermeabile, con la fuoriuscita di enormi quantità di percolato, fino a superare i trenta metri di altezza – ha abbandonato la partita, lasciando al piccolo comune di Pescantina e alla regione Veneto gli oneri connessi alla messa in sicurezza della discarica;
una quantità rilevante di fanghi di depurazione, proveniente anche dal trattamento delle acque reflue urbane, risulta largamente in eccesso rispetto alle effettive esigenze del mercato e viene distribuito, spesso non trattato adeguatamente, sui terreni agricoli; in tale contesto si inserisce la vicenda della società Co.im.po.Srl, sita in Adria, località di Cà Emo, dove lo scorso 22 settembre 2014, a seguito dello sversamento di acido solforico, si verificava una reazione chimica dalla quale scaturiva una nube tossica che provocava la morte di quattro lavoratori addetti all’operazione anzidetta;
numerose vicende giudiziarie hanno interessato la centrale termoelettrica di Polesine Camerini e, al di là delle responsabilità penali, che hanno visto il coinvolgimento dei vertici dell’Enel che gestiva l’impianto, ci si attende che la stessa società provveda alle bonifiche necessarie in tempi rapidi;
di notevole rilevanza è stata la vicenda giudiziaria dell’ingegnere Fabio Fior – dirigente generale della Direzione Tutela Ambiente della regione Veneto fino al mese di agosto 2010 e, successivamente, dirigente del Settore Energia fino alla data del suo arresto, avvenuto nel mese di ottobre 2014, e solo di recente dimessosi – condannato dal gup presso il Tribunale di Venezia, con sentenza n. 1251/15 del 21 ottobre 2015 per una serie di reati, che vanno dall’abuso d’ufficio, al falso e all’associazione per delinquere, in funzione della consumazione di reati ambientali da parte di imprenditori che gestivano impianti di trattamento di rifiuti;
inoltre, il Fior è stato rinviato a giudizio davanti al tribunale di Padova per i reati di abuso d’ufficio, falso e peculato, consumati in Padova nel periodo compreso tra il 2 marzo 2006 e il 12 gennaio 2012, mediante l’utilizzo di fondi regionali dell’importo di cinque milioni di euro, in virtù di più delibere regolarmente approvate dalla stessa regione, per la realizzazione della forestazione di una discarica posta nel comune di Sant’Urbano (PD), che viceversa non è stata realizzata del tutto;
la documentazione acquisita consente di affermare: 1) che il Fior ha potuto, per tanti lunghi anni, consumare i reati contestati e ritenuti dal gup, grazie alle coperture politiche e amministrative di cui egli godeva; 2) che, comunque, l’attività delittuosa del Fior è proseguita anche oltre e ininterrottamente fino al mese di ottobre 2014, quando è stato arrestato; va altresì tenuto presente che buona parte delle aziende a cui è riferibile il Fior stanno ancora operando nel settore ambientale in Veneto e altrove;
infine, particolare attenzione la relazione dedica all’inquinamento da PFAS nella Valle del Chiampo, che vede un inquinamento della falda sotterranea e dei corsi d’acqua superficiali, esteso per circa 160 Kmq, con il coinvolgimento di ambiti territoriali compresi nelle province di Vicenza, Verona e Padova, la cui origine è stata individuata dall’ARPA Veneto negli scarichi dell’azienda chimica Miteni Spa, posta nel comune di Trissino (VI), che da anni produce – e continua tuttora a produrre – sostanze perfluotoalchiliche (PFAS);
in via generale, la situazione appare molto grave poiché le sostanze perfluoroalchiliche sono composti molto pericolosi, accertati ormai da anni a livello mondiale, che interagiscono fortemente con il metabolismo animale e umano, con il rischio di conseguenze dannose per l’ambiente e per la stessa popolazione;
allo scopo di fornire una valutazione di tali rischi il più possibile completa e dettagliata, anche alla luce delle esperienze di altri Paesi e degli studi scientifici sinora effettuati dalla comunità nazionale e internazionale, la Commissione di inchiesta ha disposto un supplemento di indagini, i cui risultati sono di prossima pubblicazione;
la fa propria e impegna il Governo, per quanto di competenza, a intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni evidenziate nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, in raccordo e leale collaborazione con i competenti organismi nazionali, le regioni e gli enti territoriali interessati.

All.to 2

Senato – Risoluzione 6-00214 n. 100 del 09 novembre 2016 PUPPATO, DE PETRIS

Il Senato,

esaminata la relazione di approfondimento sulla situazione territoriale della Regione Veneto (Doc. XXIII, n. 17), approvata all’unanimità dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e sugli illeciti ambientali ad esse correlati nella seduta del 23 giugno 2016;

premesso che:

l’attività di indagine conoscitiva sulla Regione Veneto ha affrontato in modo analitico le numerose criticità emerse, come rilevate nel corso delle tre missioni effettuate nella Regione e segnalate alla Commissione nel corso delle numerose audizioni svolte, con particolare riferimento, da ultimo, a quelle concernenti la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle province di Vicenza, Verona e Padova, che interessano una popolazione complessiva di oltre 250.000 abitanti;

il lavoro della Commissione parte dalla constatazione che nel territorio regionale insistono ben 1.500 impianti di trattamento di rifiuti speciali, il cui puntuale controllo risulta difficile da realizzare malgrado l’impegno dell’ARPA Veneto, con la conseguenza che, nelle pieghe delle verifiche e dei controlli effettuati, vengono comunque conferiti presso molti impianti rifiuti, anche pericolosi, che non potrebbero essere ricevuti in quanto non ricompresi nel relativo codice CER, ma che in virtù di un meccanismo illecito noto come “giro bolla”, a seguito di operazioni di illecita miscelazione, vengono poi smaltiti presso altri impianti compiacenti mediante la falsificazione dei documenti di accompagnamento;

più in generale, al fine di contrastare il proliferare di impianti a bassa tecnologia e, viceversa, favorire operatori che investono in tecnologie più innovative, la Commissione ravvisa l’utilità di prevedere un riferimento normativo puntuale con riguardo al confine tra trattamento di recupero e trattamento di smaltimento, oppure una norma che stabilisca una percentuale minima di recupero, al di sotto della quale il trattamento non può dirsi appartenente alla filiera del recupero, diventando, piuttosto, un pretrattamento effettuato su un rifiuto destinato allo smaltimento;

in tale contesto si evidenzia il fatto che l’anzidetto fenomeno è risultato molto diffuso nella Regione Veneto, laddove, peraltro, il complesso delle vicende giudiziarie rappresentato nella relazione dà conto di un sistema illecito di smaltimento di rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, da parte di un numero considerevole di aziende;

industriali venete produttrici che appare altamente pervasivo, significativo per dimensione, nonché alternativo a quello legale; un sistema che, malgrado l’assenza della criminalità organizzata, posta in evidenza dai magistrati della DDA di Venezia, sconta tuttavia un atteggiamento di diffusa omertà tra gli operatori economici; tale sistema, volto solo al perseguimento del mero profitto, emerge evidente dal fatto che miscele di rifiuti pericolosi sono state ampiamente immesse sul mercato come materia prima secondaria e diffusamente utilizzate, tra l’altro, anche in opere pubbliche, come i sottofondi di rilevati stradali e ferroviari;

esempio più recente ed eclatante del fenomeno anzidetto è dato dalle recenti vicende giudiziarie, che vedono il coinvolgimento di tutte le imprese indagate che hanno operato nella realizzazione dell’autostrada A/31, cosiddetta “Valdastico Sud”, che collega Vicenza a Rovigo (attualmente sono nella fase iniziale del rinvio a giudizio innanzi al tribunale di Venezia tre distinti procedimenti penali promossi dalla direzione distrettuale antimafia, che investono numerosi lotti dell’autostrada e molte imprese fornitrici dei materiali utilizzati, in cui le perizie, eseguite in sede di incidente probatorio, hanno posto in evidenza la qualità di rifiuto di tali materiali);

con le modalità anzidette, non solo rifiuti pericolosi che avrebbero dovuti essere sottoposti a trattamento hanno invece avuto una diversa destinazione, ma operatori economici, i quali avrebbero dovuto pagare per il loro smaltimento, hanno viceversa ottenuto un guadagno; nel caso di specie, il problema non sembra destinato ad esaurirsi con la ultimazione del primo tronco autostradale della “Valdastico Sud”, in quanto è già prevista la costruzione di un secondo tronco autostradale, denominato “Valdastico Nord”, destinato a collegare Vicenza con Trento, per un costo stimato di circa 2.000 milioni di euro, sicché sussiste il concreto rischio che, in mancanza di una più puntuale attenzione da parte della stazione appaltante sulla qualità dei materiali utilizzati, anche tale secondo tratto autostradale potrebbe essere realizzato con le stesse illecite modalità del primo tratto;

per evitare la proliferazione e la prosecuzione di comportamenti sistemici illegittimi di grande pericolosità ecologica e sanitaria, prevedere di inserire negli ecoreati il sequestro per equivalente ritenuto dalle forze dell’ordine e magistratura nonché dai sindaci strumento utile da inserire nella predetta legge di recente approvazione;

si contano nella Regione Veneto 485 siti contaminati, tra i quali vanno ricompresi numerosi siti in cui hanno operato società che per lunghi anni hanno gestito illecitamente i rifiuti speciali, anche pericolosi, e che dopo il sequestro degli impianti da parte dell’autorità giudiziaria sono state dichiarate fallite;

in tutti i casi anzidetti, i costi – anche per molte decine di milioni di euro – connessi alle attività di allontanamento dei rifiuti pericolosi, alla messa in sicurezza, al ripristino e alla successiva bonifica dei siti contaminati, sono rimasti a carico degli enti territoriali, i quali, tuttavia, sono sprovvisti delle risorse necessarie per sostenere tali spese, con la conseguenza che, dopo l’allontanamento totale o parziale dei rifiuti più pericolosi, tali siti versano tuttora in stato di abbandono in attesa di fondi, così aggravando il degrado ambientale del territorio regionale;

allo scopo di fronteggiare in modo adeguato tale situazione sarebbe opportuno prevedere, oltre al rilascio di adeguate polizze fideiussorie da parte delle società o degli enti che gestiscono gli impianti e/o le discariche, soprattutto, l’accantonamento obbligatorio da parte delle stesse di quote del corrispettivo versato dalle aziende che conferiscono i rifiuti, in modo da costituire un fondo di riserva per affrontare le successive operazioni di messa in sicurezza e di bonifica dei siti;

preso atto della situazione drammatica in cui versa la discarica di Ca’ Filissine, nel comune di Pescantina, in provincia di Verona, gestita dalla Daneco Impianti, la quale, dopo una gestione dissennata della discarica – che ne ha determinato la rottura del fondo impermeabile, con la fuoriuscita di enormi quantità di percolato, fino a superare i trenta metri di altezza – ha abbandonato la partita, lasciando al piccolo comune di Pescantina e alla Regione Veneto gli oneri connessi alla messa in sicurezza della discarica;

una quantità rilevante di fanghi di depurazione proveniente anche dal trattamento delle acque reflue urbane, risulta largamente in eccesso rispetto alle effettive esigenze del mercato e viene distribuito, spesso non trattato adeguatamente, sui terreni agricoli; in tale contesto si inserisce la vicenda della società Co.im.po. Srl, sita in Adria, località di Cà Emo, dove lo scorso 22 settembre 2014, a seguito dello sversamento di acido solforico, si verificava una reazione chimica dalla quale scaturiva una nube tossica che provocava la morte di quattro lavoratori addetti all’operazione anzidetta;

numerose vicende giudiziarie hanno interessato la centrale termoelettrica di Polesine Camerini e, al di là delle responsabilità penali, che hanno visto il coinvolgimento dei vertici dell’ENEL che gestiva l’impianto, ci si attende che la stessa società provveda alle bonifiche necessarie in tempi rapidi;

di notevole rilevanza è stata la vicenda giudiziaria dell’ingegnere Fabio Fior – dirigente generale della Direzione tutela ambiente della Regione Veneto fino al mese di agosto 2010 e, successivamente, dirigente del settore energia fino alla data del suo arresto, avvenuto nel mese di ottobre 2014, e solo di recente dimessosi – condannato dal GUP presso il tribunale di Venezia, con sentenza n. 1251 del 21 ottobre 2015 per una serie di reati, che vanno dall’abuso d’ufficio, al falso e all’associazione per delinquere, in funzione della consumazione di reati ambientali da parte di imprenditori che gestivano impianti di trattamento di rifiuti, per evitare il proliferare di un sistema;

inoltre, il Fior è stato rinviato a giudizio davanti al tribunale di Padova per i reati di abuso d’ufficio, falso e peculato, consumati in Padova nel periodo compreso tra il 2 marzo 2006 e il 12 gennaio 2012, mediante l’utilizzo di fondi regionali dell’importo di cinque milioni di euro, in virtù di più delibere regolarmente approvate dalla stessa Regione, per la realizzazione della forestazione di una discarica posta nel comune di Sant’Urbano (PD), che viceversa non è stata realizzata del tutto;

la documentazione acquisita consente di affermare: 1) che il Fior ha potuto, per tanti lunghi anni, consumare i reati contestati e ritenuti dal GUP, grazie alle coperture politiche e amministrative di cui egli godeva; 2) che, comunque, l’attività delittuosa del Fior è proseguita anche oltre e ininterrottamente fino al mese di ottobre 2014, quando è stato arrestato; va altresì tenuto presente che buona parte delle aziende a cui è riferibile il Fior stanno ancora operando nel settore ambientale in Veneto e altrove;

infine, particolare attenzione la relazione dedica all’inquinamento da PFAS nella Valle del Chiampo, che vede un inquinamento della falda sotterranea e dei corsi d’acqua superficiali, esteso per circa 160 chilometri quadrati, con il coinvolgimento di ambiti territoriali compresi nelle province di Vicenza, Verona e Padova, la cui origine è stata individuata dall’ARPA Veneto negli scarichi dell’azienda chimica Miteni SpA, posta nel comune di Trissino (VI), che da anni produce – e continua tuttora a produrre – sostanze perfluoroalchiliche (PFAS);

in via generale, la situazione appare molto grave poiché le sostanze perfluoroalchiliche sono composti molto pericolosi, accertati ormai da anni a livello mondiale, che interagiscono fortemente con il metabolismo animale e umano, con il rischio di conseguenze dannose per l’ambiente e per la stessa popolazione;

allo scopo di fornire una valutazione di tali rischi il più possibile completa e dettagliata, anche alla luce delle esperienze di altri Paesi e degli studi scientifici sinora effettuati dalla comunità nazionale e internazionale, la Commissione di inchiesta ha disposto un supplemento di indagini, i cui risultati sono di prossima pubblicazione,

la fa propria e impegna il Governo, per quanto di competenza, a intraprendere ogni iniziativa utile al fine di risolvere le questioni evidenziate nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, in raccordo e leale collaborazione con i competenti organismi nazionali, le Regioni e gli enti territoriali interessati.

(ultimo aggiornamento 19 novembre 2016)