PREMESSA

Nel corso della seduta del 15 settembre 2022 è stata presentata e approvata all’unanimità la Relazione conclusiva sulle attività svolte nel corso della XVIII Legislatura.

L’attività della Commissione si è espressa principalmente in audizioni, missioni, sopralluoghi e acquisizioni di documentazione. La principale metodologia di lavoro della Commissione è stata quella dell’audizione, a tal proposito sono stati uditi rappresentanti di diversi enti, in modo che l’ampiezza e la varietà di questi interventi hanno di molto aumentato il patrimonio conoscitivo. In aggiunta a questa metodologia sono state realizzate anche missioni sul territorio nazionale ed estero. Laddove si palesava un più sostanzioso contributo, sono stati definiti Protocolli d’intesa e collaborazioni istituzionali.

 

RELAZIONI APPROVATE

Relazione territoriale sulla regione Umbria

Per quanto riguarda la regione Umbria, la Commissione ha esaminato i problemi relativi al ciclo dei rifiuti, allo stato di salute delle acque, alle criticità ambientali rilevanti e alla prevenzione di illeciti.

Sul ciclo dei rifiuti emerge una scarsa pianificazione a medio/lungo termine della gestione dei rifiuti urbani che si basa sul conferimento in discarica. La raccolta differenziata è scarsamente qualitativa e quindi produce molti scarti. È stata individuata inoltre una carenza impiantistica per il trattamento di alcuni rifiuti nella fase di post-raccolta.

Per la tutela delle acque su cinque agglomerati umbri rientranti nelle procedure di infrazione, tre non risultano ancora conformi. Il sistema depurativo dei piccoli centri non assicura lo stesso livello di copertura dei grandi centri che hanno raggiunto l’obiettivo di copertura fognaria di almeno il 95%. Un altro problema relativo alle acque è la presenza di clorurati in falda (cancerogeni) che sono una conseguenza storica della lavorazione dei metalli in superficie. Nello specifico la situazione dell’inquinamento di falda riguarda gli impianti ternani di AST, gli allevamenti suinicoli e l’utilizzo di reflui zootecnici che al posto di essere usati per la fertirrigazione, talora vengono scaricati nei fiumi.

Emerge anche il tema della prevenzione e repressione degli illeciti, principalmente commessi da piccole e medie imprese che calcolano apprezzabili le sanzioni derivate da un comportamento illegale rispetto ai costi di una gestione pro-lege. Dalle analisi della Commissione emerge un limitato coinvolgimento nel fenomeno degli incendi negli impianti di trattamento dei rifiuti.

In ultimo viene esaminata nello specifico la situazione ambientale della “conca ternana”, area tra Terni e Narni dove ha sede la Acciai Speciali Terni, l’azienda più importante del territorio; essa nella prima fase del ciclo produttivo genera una scoria che viene smaltita in una discarica apposita, dove sono state rilevate infiltrazioni di acqua contaminata da metalli pesanti a causa dell’assenza di uno strato impermeabile della discarica (situazione ancora sotto indagine). Sempre nella “conca” un’altra questione è quella del Sito di Interesse Nazionale Terni-Papigno, area fortemente industrializzata e di forte pregio paesaggistico e ambientale, che nel tempo inglobato processi produttivi di forte impatto dove in passato hanno dato luogo a un concreto rischio per l’ecosistema. In queste e altre vicende è mancato un ruolo attivo del Ministero dell’Ambiente.

 

2.2 Emergenza epidemiologica COVID-19 e ciclo dei rifiuti

La Commissione ha lavorato analizzando la connessione tra l’emergenza COVID-19 e il ciclo dei rifiuti legati ad essa per fornire, vista l’eccezionalità della situazione, un quadro di ciò che si verificato, valutazioni e raccomandazioni orientate al futuro.

Complessivamente la scelta da parte del Governo è stata quella di riconoscere ampia facoltà di intervento alle singole Regioni, il che ha creato una disciplina regolamentare non uniforme sul territorio nazionale.

L’emergenza non ha aumentato in maniera decisiva la produzione di rifiuti ma ha acuito gli effetti della mancata destinazione per specifiche tipologie di rifiuti attualmente non gestite a livello nazionale per mancanza di impianti idonei.

In primo luogo, abbiamo i materiali “indotti” dall’emergenza epidemiologica, e in secondo luogo la produzione di rifiuti nelle fasi di nuova normalità dopo l’emergenza. Le valutazioni riguardo il ciclo dei rifiuti devono distinguere gli effetti della prima fase dell’emergenza dagli effetti di medio periodo.

Il tema attuale è diventato quello di avviare la ricerca scientifica, l’elaborazione tecnologica e l’innovazione organizzativa delle imprese e della pubblica amministrazione per mantenere un adeguato livello di gestione dei rifiuti a cui va associato il mantenimento dei principi nazionali ed europei di economia circolare, valutando possibili modifiche alle nostre abitudini, come la raccolta e trattamento dei rifiuti ospedalieri, l’attività di soggetti pubblici con competenze tecniche e scientifiche, la chiusura del ciclo dei rifiuti che dovrà considerare le criticità dei sistemi nazionali e la costruzione di una filiera economica del trattamento di materia.

La pandemia ha amplificato la diffusa richiesta di semplificazione burocratica sull’ambiente.

 

2.3 Sulla contaminazione da mercurio del fiume Paglia

Nel 2020 è stata inviata al Ministero dell’ambiente una richiesta di trasmettere alla Commissione una serie di informazioni riguardante il tema della contaminazione nel fiume Paglia e delle attività messe in atto. La nota rispondeva in maniera poco approfondita solo ad alcuni punti interrogativi. Da questa emerge che il Ministero non aveva alcun ruolo specifico, tolto quello di finanziatore dell’intervento e che nell’ambito dell’accordo di programma con i Comuni interessati, è stato finanziato un progetto che prevede l’asportazione dei terreni contaminati, la demolizione di manufatti contaminati, l’impermeabilizzazione di aree non diversamente trattabili, interventi specifici di decontaminazione e il controllo idraulico di tutta l’area.

Quest’intervento è stato realizzato e la provincia di Siena ha disposto un monitoraggio post operam. La contaminazione in falda è determinata dal sito minerario adiacente nel quale deve essere ancora ultimata la bonifica. L’inquinamento presente nell’area del monte Amiata appare riferito all’attività estrattiva nelle miniere del sito, ora esaurite. La Regione Toscana, con riferimento all’ipotesi che si possa essere di fronte a una contaminazione diffusa, vuole approfondire tale prospettiva per meglio disciplinare gli aspetti ambientali, urbanistici ed edilizi.

Partendo dal riconosciuto carattere sovraregionale della contaminazione derivante dal territorio del monte Amiata, la riunione del tavolo interistituzionale evidenzia come la questione abbia bisogno di una visione integrata per la risoluzione del problema e quindi inquadrata in due cardini normativi: la direttiva quadro acque e la normativa sui SIN. In questa occasione si è raccomandato di redigere un cronoprogramma delle azioni da attuare negli anni a venire e di valutare l’istanza presso il MATTM per il SIN.

Nel 2018 si è nuovamente convocato il tavolo, ed è emersa la necessità di approfondire la presenza di mercurio e procedere ad una successiva fase di monitoraggio per analizzare la dinamica evolutiva del fenomeno sotto indagine, in più la possibilità per le tre regioni di condividere un comunicato per informare delle attività in corso. Si considera inoltre la possibilità di una gestione a livello centrale del problema.

 

2.4 Sulle garanzie finanziarie nel settore delle discariche

Il problema della prestazione delle garanzie finanziarie è di rilevanza nazionale. Una iniziale criticità si riscontra in riferimento alla scelta dei soggetti garanti che, nel caso di imprese straniere, lasciano dubbi sull’effettiva solvibilità.

Il mercato di queste garanzie finanziarie si basa soprattutto sull’utilizzo di polizze assicurative.

È intanto necessario un adeguamento delle norme statali che si basino su tre punti:

  • riconosciuta competenza in materia a seguito dell’intervento della Corte costituzionale;
  • necessità di coerenza con le norme sovranazionali sulle discariche;
  • riconoscimento di una ineffettività dell’istituto così come attualmente disciplinato.

Insieme alle norme possono essere introdotti modelli di contratto con l’intervento attivo degli enti del mondo bancario e assicurativo e con il coordinamento insieme agli organi di controllo pubblico; a tal proposito dovrebbe essere riconosciuto e costruito un ruolo del Sistema nazionale di protezione ambientale, per l’inscindibile relazione tra aspetti tecnici ed economici e finanziari.

I fenomeni illeciti necessitano di un contrasto basato in primo luogo sulla conoscenza e successivamente sul coordinamento tra banche dati, monitoraggi e controlli più concreti della pubblica amministrazione.

Sull’argomento possono essere formulate alcune premesse e indirizzi.

Premesse:

  • l’ultimo recepimento della direttiva a riguardo non si è occupato delle garanzie finanziarie;
  • manca un intervento normativo regolamentare;
  • l’approccio normativo deve essere complessivo, chiaro e non a margine di altri provvedimenti;
  • le competenze in materia nell’ambito dell’amministrazione attiva e dei controlli devono essere determinate con chiarezza e assistite con risorse ad hoc.

Indirizzi:

  • a livello di normativa comunitaria, si potrebbero affiancare alle garanzie fideiussorie altre forme di garanzie equivalenti senza che esse si scontrino con la normativa già esistente;
  • è ipotizzabile l’obbligo a carico dei gestori, di mantenere parte dei ricavi in fondi segretati, con lo scopo di coprire i costi connessi alla post-gestione di una discarica, mitigando il rischio per gli operatori finanziari che prestano la garanzia;
  • istituzione di un fondo di garanzia che è ipotizzabile con una destinazione di risorse pubbliche;
  • un possibile sistema misto che parallelamente alle garanzie introduca l’accantonamento;
  • attualmente l’orizzonte temporale della polizza fideiussoria è trentennale, che è un tempo limitante nel trovare soggetti disposti a legarsi per questo periodo, normative regionali e prassi si sono orientate su durate quinquennali;
  • metodologie di controllo volte a superare la divisione tra aspetti ambientali e finanziari.

Questi indirizzi elaborati dalla Commissione vogliono essere un primo spunto per l’esame di soggetti pubblici e privati.

 

2.5 Sull’inquinamento derivante dall’utilizzo di gessi rossi prodotti a Scarlino

Il biossido di titanio e l’anatasio (che è una forma di biossido) a livello mondiale trovano impiego nelle pitture, nella fabbricazione di materie plastiche, nel settore cartario, nella fabbricazione di gomme ecc. In Italia il biossido di titanio è prodotto nello stabilimento di Scarlino dalla Venator Italy S.r.l., ex Tioxide Europe S.r.l.

I “gessi rossi” sono un rifiuto che si produce tramite l’unione dei residui delle marmettole della provincia di Carrara e dei fanghi rossi della provincia di Grosseto, i quali vengono poi smaltiti nella ex cava di Poggio Speranzona nel comune di Follonica. Gli scarti di lavorazione che danno origine ai gessi sono la tionite e il solfato di calcio, il loro smaltimento origina criticità: una tonnellata di biossido di titanio produce come scarto sei tonnellate di gesso rosso, circa 200mila tonnellate all’anno.

L’autorizzazione all’uso dei gessi rossi per il ripristino dell’ex cava di Poggio è stata concessa dopo accordo volontario tra regione Toscana, la provincia di Grosseto, i comuni di Grosseto, Follonica, Gavorrano, Massa Marittima, Scarlino, Roccastrada, ARPAT, ASL, Tioxide Europe e le organizzazioni sindacali di categoria; per il recupero dello scarto è stata autorizzata la società Follonica Cave e Miniere S.r.l., successivamente la Gestione Complesso agricolo Forestale Regionale “Bandite di Scarlino”, e in ultimo alla Sepin S.r.l. Nel 2004 è iniziato lo scarico di gessi rossi.

Il recupero ambientale doveva essere condizionato rispetto a certi limiti:

  • rispetto delle CSC;
  • rispetto del test di cessione.

Tutti i controlli di ARPA hanno evidenziato il mancato rispetto di queste prescrizioni che sono imputabili alla Venator, alle Bandite di Scarlino e alla Sepin, e ad esse viene contestato:

  • il superamento del test di cessione per i Cloruri Nichel e Rame;
  • il superamento delle CSC per Cromo e Vanadio.

Nonostante il mancato rispetto, né ARPA (che per altro aveva condotto le analisi), né altre autorità competenti hanno chiesto di ripristinare lo stato dei luoghi dove erano stati depositati i gessi. Per 15 anni è stato consentito lo scarico. Attraverso atti normativi e nuove autorizzazioni sono stati eliminati i limiti sui Cloruri, il Cromo e il Vanadio, cioè sulle sostanze che avevano reso i gessi non conformi, ma il loro corretto smaltimento dovrebbe essere effettuato in discariche a scopo e impermeabilizzate. Visto l’esaurimento della cava utilizzata finora, si è individuata quella di Bertolina dove però la condizione è critica, viste le fratture presenti sul fondo.

I gessi rossi sono da considerarsi rifiuti perché il biossido di titanio è stato riclassificato come sostanza pericolosa in quanto cancerogena. In alternativa alla discarica bisognerebbe pensare ad un processo produttivo che produca minori quantità di queste sostanze o sostanze maggiormente riutilizzabili. A questo riguardo sono già in corso studi a partire dal solfato ferroso epta-idrato: un impianto di queto tipo è già stato avviato dalla Tioxide nel 2015.

 

2.6 Sulla gestione dei rifiuti radioattivi in Italia e sulle attività connesse

Il quadro generale sull’argomento appare in evoluzione soprattutto per le ultime spinte ricevute col decreto 101 del 2020 e la pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee per realizzare il Deposito nazionale.

A carattere generale si possono riscontrare alcune criticità in materia: l’organizzazione e la dotazione di risorse all’ISIN, la scelta del Deposito nazionale che è rimasta arenata per diversi anni, il governo per molto tempo non ha emesso provvedimenti attuativi di leggi già in vigore soprattutto quando era richiesta una concertazione di più Ministeri, sono stati interrotti interventi di bonifica di alcuni depositi di rifiuti radioattivi, manca una norma primaria che regoli i residui da attività lavorative che contengono radionuclidi, le procedure di infrazione dal parte della Commissione europea contro l’Italia per il mancato o scarso recepimento di direttive in materia di sicurezza, radioprotezione e gestione di questi rifiuti, il non rispetto dei programmi di disattivazione degli impianti una volta prodotti dalla Sogin e l’incertezza nella prosecuzione di programmi per la gestione del combustibile esaurito.

La Commissione ha preso atto dello stato di avanzamento delle attività di interesse, constatando in moti casi dei ritardi. Un problema importante è quello di risolvere le situazioni che portano a ritardi o mancata applicazione dei provvedimenti legislativi. La Commissione ha ritenuto di avere svolto un’azione di stimolo nei confronti degli organismi interpellati.

 

2.7 SIN Venezia – Porto Marghera e sui dragaggi dei grandi canali di navigazione portuale

  1. Il contesto attuale

La Laguna di Venezia presenta una situazione critica poiché a fronte di una perdita annua di sedimenti, non viene svolta alcuna attività di ripascimento di barene, velme e bassi fondali, col rischio di un irreversibile danno ambientale. I canali, per lo più artificiali, tendono a riempirsi e per consentirne la navigabilità occorrerebbe una manutenzione ordinaria che negli anni non è stata eseguita, necessitando ora di una manutenzione straordinaria. Il fabbisogno annuo di deposito di sedimenti, che viene indirizzata prevalentemente presso l’Isola delle Tresse, è insufficiente a contenere anche i fanghi derivanti dalla manutenzione straordinaria, in quanto riesce a coprire solo quella ordinaria dei canali della Laguna.

La classificazione dei fanghi, secondo il livello di inquinamento

Nonostante sarebbe naturale che i fanghi non inquinati dei canali venissero utilizzati per il ripascimento della laguna, questo è inesistente, creando una confusione tra i diversi fanghi così da non poterli utilizzare per le necessità che occorrono. La separazione dei fanghi è attuata dal Protocollo d’Intesa del 1991 che li divide in 4 classi in base ai limiti di materiali inquinanti presenti: “entro colonna A”, “entro colonna B”, “entro colonna C”, “oltre colonna C pericolosi” (che vanno smaltiti al di fuori della laguna), e “oltre colonna C non pericolosi”. Sin dal 2016 è stato predisposto un nuovo protocollo più aggiornato dal Provveditorato interregionale per le opere pubbliche, che però non ha ancora avuto il via libera da parte del Ministero dell’ambiente e quello delle infrastrutture e dei trasporti. I soggetti che hanno preso parte alla definizione di questo nuovo protocollo sono anche esperti in materia e i documenti sono stati condivisi con le amministrazioni locali interessate.

Le competenze: provveditorato interregionale per le opere pubbliche, autorità di sistema portuale e Capitaneria di Porto

Secondo il Protocollo del ’93, il Provveditorato autorizza l’escavo dei canali, il trasporto e il conferimento delle aliquote di sedimento in classe B e C ed emette le bolle di trasporto. L’Autorità di sistema portuale, invece, effettua in modo sistematico la caratterizzazione dei fondali, inviando i sedimenti ai laboratori di analisi ed effettua il dragaggio delle aree portuali e dei canali, mentendo la loro navigabilità. La Capitaneria di porto invece sorveglia e si accerta che non ci siano violazioni in materia di tutela delle acque ed effettua controlli sulla destinazione dei fanghi dragati.

Le vasche di colmata di Isola delle Tresse

I primi conferimenti presso l’Isola, per i fanghi “entro colonna C”, risalgono al ‘94, vi possono però essere conferiti anche quelli “entro colonna B”. Il concessionario dell’impianto dell’isola, la Tressetre S.c.p.a., ha sollevato il problema della mancata separazione dei due diversi fanghi nelle vasche di stoccaggio. Vista la capacità dell’Isola in esaurimento, nel 2019 venne presentato un progetto per innalzare l’Isola in modo da aumentare la capacità di stoccaggio, anche se così facendo il problema sarebbe stato solo posticipato di 1-2 anni.

La vasca di colmata di Molo Sali

La suddetta vasca è destinata ai fanghi “oltre colonna C non pericolosi”, e negli anni sono stati portati a Molo Sali una quantità esigua rispetto alla capacità massima. Per un breve lasso di tempo vennero portati anche fanghi “entro colonna C” ed “entro colonna B”. La cassa di colmata è in manutenzione straordinaria e quindi ne sono bloccati i conferimenti. È stato pubblicato un atto aggiuntivo per cui la vasca può contenere anche i fanghi “entro colonna C”. L’Autorità di sistema portuale predispose un progetto di ricovero del canale Malamocco-Marghera, tuttavia, essa ha ritenuto di sottoporre il progetto a VIA, si è quindi passati al Ministero dell’ambiente che non ha ancora fornito alcuna risposta.

L’”Area 23 ettari”

In quest’area vengono conferiti solo sedimenti “oltre colonna C pericolosi”; anche qui è presente un grosso disavanzo di spazio.

Il canale Malamocco-Marghera

Il fermo dell’attività di dragaggio del canale in questione ha causato l’innalzamento del fondo che non lo rende percorribile da grandi navi, portando a un declassamento del porto e creando una vera e propria emergenza commerciale. L’impossibilità di procedere con la manutenzione è stata causata da più fattori: esaurimento della capacità di stoccaggio dell’Isola delle Tresse, mancanza di siti dove conferire i fanghi “entro colonna B” e l’impossibilità di riutilizzare sedimenti “entro colonna A” per la ricostruzione di barene. La Capitaneria di porto ha segnalato la necessità di intervenire, vista l’ultima manutenzione del canale risalente al 2014. Nel 2018 iniziarono i lavori per una parte del canale, e una quota dei fanghi “entro colonna C” ed “entro colonna B” erano stati stipati a Molo Sari.

Il canale Vittorio Emanuele III

Questo canale versa in situazione peggiore rispetto al precedente. Esso congiunge la città di Porto Marghera con il canale della Giudecca. Attualmente il fondo del canale è più altro di 4-5 metri rispetto al consentito dal piano regolatore portuale creando seri problemi: le navi da crociera possono passare solo dal canale della Giudecca senza avere vie alternative e quindi passando davanti a S Marco. Secondo l’Autorità di sistema portuale ci sarebbe bisogno di una manutenzione straordinaria che costerebbe 30-40 mln di euro e produrrebbe 1,5 mln di metri cubi di fanghi, entrambi aspetti limitanti.

La possibile soluzione del problema e l’”Accordo di Programma Moranzani”

L’Accordo di Moranzani è stato assunto nel 2008 e prevede una serie di interventi di riqualificazione ambientale nell’area di Malcontenta. L’Accordo nasce dall’esigenza di trovare un sito di conferimento del dragaggio dei canali portuali, il Vallone Moranzani, area all’interno dell’ambito portuale, dove è già stato realizzato un intervento di messa in sicurezza permanente. I fanghi “oltre colonna C non pericolosi” arriverebbero dallo scavo dei canali industriali di Venezia-Porto Marghera; per riempire il Vallone durante il ripristino ambientale della zona è necessario trasportare anche fanghi “entro colonna C” ed “entro colonna B”, poiché solo i primi non riempirebbero il Vallone.

Il porto di Chioggia

Col decreto legislativo 169 del 2016 si è creato un sistema unico per il porto Laguna di Venezia. Sistema composto da due porti per servire in modo complementare il mercato. Lo strumento a livello macro è il DPSS, che prevede una pianificazione complessiva degli scali di Venezia e Chioggia, le quali adotteranno piani regolatori singoli. Anche il porto di Chioggia necessita di dragaggi, servirebbero a tale scopo 200 mln di euro con una massa di sedimenti di 6/7 mln di metri cubi; sempre per entrambi i motivi attualmente appare un intervento infattibile, considerato anche il fatto che la situazione del canale Vittorio Emanuele III versa in una situazione molto più critica.

Considerazioni finali

Quello che si può trarre dai problemi analizzati dalla Commissione, è una reale mancanza di una regia e di un forte coordinamento su tutte le tematiche riguardanti la Laguna. Le varie competenze sono divise in tropi uffici e il Provveditorato è ampiamente sottorganico. Il DPCM che avrebbe dovuto essere adottato entro il 2015 individuava funzioni, risorse umane, finanziarie e strumentali da assegnare alla Città metropolitana di Venezia in relazione alle funzioni ivi trasferite. Questa sembra l’unica via d’uscita dalla situazione di stallo che imprigiona la Laguna.

Le novità legislative intervenute: l’Autorità per la Laguna di Venezia

Questa nuova Autorità è stata approvata col “decreto agosto” del 2020; si tratta di un ente pubblico, di rilevanza nazionale, che dispone di propria autonomia ammnistrativa, organizzativa, finanziaria e di bilancio ed è sottoposto a sorveglianza dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Ha funzioni relative alla salvaguardia della città e della zona lagunare di Venezia e prenderà il posto del Consorzio Nuova Venezia, prendendo in gestione anche il MOSE. Assorbirà tutte le competenze del Provveditorato, prenderà i suoi dipendenti, e inoltre il Governo gli ha assegnato un aumento del personale.

Le novità legislative intervenute: il nuovo Piano fanghi

L’ultima novità è costituita dalla nuova disciplina riguardo i fanghi; tuttavia, essa ha posto una nuova disciplina per le autorizzazioni al dragaggio dei fanghi molto più complessa; sulle domande di autorizzazione deve intervenire dapprima una Commissione composta da tecnici di diversi enti. Questa sembra comunque essere indirizzata alla sola manutenzione ordinaria.

 

2.8 Sull’evoluzione del fenomeno degli incendi negli impianti di gestione dei rifiuti

Il lavoro della Commissione a riguardo nasce dalla mancanza di un report organico e realmente documentato sul fenomeno. Il lavoro si è incentrato sulle tipologie più significative di fatti rilevanti; in molti casi l’evento incendiario è stato l’occasione di approfondire le indagini, rilevando ulteriori illeciti. Ultimamente sono aumentate le attività di controllo utili a prevenire i fatti illeciti con un maggiore impegno di tutti i soggetti che si occupano della prevenzione.

Una grossa criticità emersa è stata quella della gestione dei dati che è eseguita da più soggetti pubblici con modalità differenti, il che non restituisce un quadro affidabile e comune del fenomeno.

Gli incedi non riguardano soltanto gli impianti di trattamento ma più in generale tutto il ciclo dei rifiuti. In più si aggiungono il tema dell’adeguatezza delle risorse per il Sistema nazionale di protezione dell’ambiente, i problemi di adeguamento antincendio degli impianti di trattamento e gestione dei rifiuti, e a monte la produzione dei rifiuti che non incontrano filiere economicamente virtuose per valorizzare la materia (come alcuni tipi di plastiche).

 

2.9 Relazione sulle procedure di localizzazione del deposito unico nazionale dei rifiuti radioattivi

I soggetti protagonisti nella realizzazione del Deposito nazionale si muovono per portare avanti il processo di consultazione sulla CNAPI e ad affrontare problemi rilevanti che si possono presentare. L’individuazione delle aree potenzialmente idonee si basa su aspetti oggettivi legati alla sicurezza, all’economia, e potrebbe diventare un’occasione di confronto sulle potenzialità di sviluppo di quelle aree.

C’è una necessità di portare a termine il processo di acquisizione delle risorse dall’ISIN, di produrre guide tecniche, di fornire indicazioni più precise sulle modalità di autorizzazione, di pianificare le attività di ricerca che è più opportuno attuare, di seguire l’andamento degli accordi internazionali, di caratterizzare e quantificare quanto prima i rifiuti radioattivi e di rendere pubblici elementi sugli studi di sicurezza preliminari.

Su tutte le decisioni che riguardano la sicurezza nucleare e la radioprotezione c’è sempre un’ampia partecipazione dell’Autorità di regolamentazione competente. Tutti gli aspetti visti richiedono sempre risorse finanziare. Va inoltre valutata la proposta del MiTE di istituire un tavolo tecnico per definire linee guida e criteri generali d’intervento.

 

2.10 Relazione sulla diffusione delle sostanze perfluoroalchiliche

Lo stabilimento chimico di Trissino in provincia di Vicenza, ha subito una serie di passaggi societari nel tempo; costruito nel 1966 è nato per ricerche nel campo delle applicazioni tessili, aumentando la sua specializzazione nell’utilizzo di atomi di Fluoro, producendo per anni perfluoroderivati con varie applicazioni nella farmaceutica, nell’agrochimica ecc.

Degno di nota è il procedimento arbitrale internazionale in corso perché durante una di queste cessioni sarebbero state celate al successivo acquirente informazioni riguardanti le criticità ambientali. Nel 2020 la Provincia di Vicenza ha ordinato alle società proprietarie dello stabilimento di partecipare alla bonifica dell’area; ad oggi i lavori di bonifica procedono regolarmente e compatibilmente con le attività di smontaggio e asporto degli impianti industriali. La bonifica del sito è però molto complessa; l’applicazione di una serie di barriere idrauliche dovrebbero provvedere a ridurre l’inquinamento e questo lavoro ha consentito di individuare una parte della falda superiore meno inquinata rispetto a quella inferiore. Nel corso del tempo l’inquinamento non è scomparso anche se sta diminuendo molto lentamente, questo spiega la preoccupazione degli enti di controllo.

La percentuale completamente “lavata” degli impianti è di circa il 30%; insieme a questo, un’altra opera da eseguire è la messa in opera del palancolato che dovrebbe costituire una barriera fisica molto importante coadiuvando il lavoro di quelle idrauliche. Nel frattempo, davanti al Tribunale di Vicenza è in corso un procedimento penale per i reati di avvelenamento delle acque di falda e superficiali, disastro ambientale e altri reati dove sono imputati i vertici delle società che hanno prodotto l’inquinamento.

L’altra società produttrice di sostanze perfluoroalchiliche in Italia è la Solvey Polymers di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria. Riguardo questa la Corte di Cassazione ha ritenuto responsabili del reato di disastro ambientale i dirigenti della Solvey. Attualmente è in corso un ulteriore procedimento penale contro dirigenti e direttori della Solvey riguardo la tenuta degli impianti dello stabilimento e della tenuta della barriera idraulica.

Ad oggi non risulta nessun progetto per realizzare efficaci impianti di trattamento per la riduzione dei PFAS, anzi la situazione sembra essere in stallo. La recente autorizzazione AIA rilasciata dalla provincia di Alessandria alla Solvey fissa dei limiti troppo alti, in contrasto con la norma sul principio di precauzione e con i pareri dell’ISS.

Per le loro caratteristiche i PFAS sono molto persistenti nell’ambiente e contaminano il suolo, l’aria e le acque, inoltre passano nell’uomo, dove sono suscettibili di sviluppare numerose malattie con gravi danni alla salute. In alcuni studi epidemiologici si verifica un’aumentata incidenza di tumori.

La Regione Veneto a riguardo ha disposto una ricerca sulla popolazione nella zona rossa del Veneto, rilevando un eccesso statisticamente significativo di mortalità, e di complicanze durante la gravidanza, anche se in questa indagine non c’è correlazione di incidenza di tumori ad eccezione di quelli sui polmoni. Sempre il Veneto ha commissionato all’ISS un’indagine sugli alimenti contenti sostanze perfluoroalchiliche. L’esposizione agli alimenti contaminati desta preoccupazione.

Solo risanando l’ambiente dal quale la popolazione attinge le risorse è possibile eliminare gli effetti nocivi sulla salute, e per farlo c’è bisogno di limiti che al momento non sono presenti nella normativa italiana, impedendo così di intervenire nelle bonifiche. Solo il Veneto ha fissato dei limiti, anche se incompleti, che però hanno permesso di inserire carboni attivi sui pozzi dai quali viene attinta l’acqua da distribuire per uso potabile, a scopo decontaminante.

 

2.11 Sui dragaggi nelle aree portuali e sul fenomeno dell’abbandono dei relitti

Il divario tra le operazioni di dragaggio attuate e quelle che dovrebbero essere realizzate sul territorio italiano è enorme. Un’importante svolta a riguardo, soprattutto per l’aspetto delle autorizzazioni, potrebbe arrivare dal PNRR con le misure per snellire la pubblica amministrazione. Una novità del 2021 è stata l’istituzione del Piano nazionale dei dragaggi sostenibili che li definisce come interventi di pubblica utilità, urgenti e dove siano consentite modifiche al piano regolatore portuale. Molte questioni restano ancora aperte soprattutto sul tema dei sedimenti e della liberalizzazione dell’immersione dei materiali di escavo. Per promuovere investimenti a favore di economia circolare le amministrazioni possono autorizzare dei materiali da escavo di fondali che ad oggi sono caratterizzati su specifiche analisi chimico-fisiche e vengono classificati in cinque classi di qualità, cui sono collegate le varie opzioni di gestione del sedimento dragato. Il ripascimento potrebbe essere una buona risposta di economia circolare anche vista la situazione di erosione delle nostre coste.

Per quanto riguarda il recupero dei relitti sono ancora tantissimi quelli abbandonati sulle coste della penisola. Essi oltre a pregiudicare la sicurezza del traffico portuale racchiudono problemi ambientai legati alla dispersione di idrocarburi e di altre sostanze tossiche. La qualificazione giuridica della nave abbandonata è un altro punto da dirimere. Non è sufficiente considerarlo un rifiuto generico perché non trova una classificazione in quanto tale nel catalogo CER, e quando la trova non valgono per le navi in quanto tali ma solo per quelle destinate alla demolizione.

Alla luce di queste problematiche la Commissione spera che si possa riprendere il disegno di legge intitolato “Disposizioni in materia di rimozione e riciclaggio dei relitti navali e delle navi abbandonate nei porti nazionali”. Si segnala inoltre, la recente istituzione di un fondo finalizzato alla rimozione dei relitti, anche se assai modesto.

 

2.12 Sulla depurazione delle acque reflue urbane della Regione Sicilia

Nel corso dell’inchiesta della Commissione sono venute a galla enormidisfunzioni del ciclo delle acque della regione Sicilia. Il caos normativo, le inadempienze, le omissioni amministrative, hanno privato i cittadini di efficienti servizi nonostante le salate tariffe a fronte di un servizio scarso (solo il 61 % degli abitanti è servito da impianti di depurazione). Molte inefficienze sono da contestare agli enti preposti, anche se è d’obbligo tenere in considerazione le mancanze di risorse economiche e il deficit di personale che rappresenta un problema. Gioca inoltre un ruolo importante anche lo scarso interesse e partecipazione alle attività necessarie da parte dei sindaci.

La scarsa frequenza della manutenzione ordinaria e straordinaria è un ulteriore motivo che alimenta le disfunzioni strutturali. I pochi controlli presso gli impianti di trattamento delle acque reflue evidenziano gravi criticità.

L’autorità giudiziaria è più volte intervenuta per cercare di arginare gli illeciti, così come è intervenuta l’Unione Europea con quattro procedure di infrazione per inosservanza della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane. L’intreccio malsano tra incapacità politica, incapacità gestionali/amministrative e connivenze tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata aumenta il livello di criticità.

Si aggiunge anche il trattamento dei fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue, con difficoltà a trovare impianti a causa della chiusura o del rifiuto di essi. Questa mancata gestione porta i fanghi ad essere rifiuti destinati ad altre zone del paese. La stessa DDA è più volte intervenuta come con le operazioni “Metauros” e “Mazzetta Sicula” per la gestione del rifiuto e le connessioni criminali.

 

2.13 Relazione su rifiuti tessili e indumenti usati

Il settore della raccolta e recupero degli indumenti usati presenta realtà illecite documentate dall’attività giudiziaria. Oltre al classico reato dei roghi si affianca l’accumulazione in balle di indumenti che vengono abbandonati o spediti all’estero per essere illecitamente smaltiti. Il baricentro criminale di questi illeciti si trova nell’asse Prato- Ercolano/Caserta e Tunisi. Il sistema criminale trova comunque una sua stabilità poiché le aziende coinvolte dispongono delle autorizzazioni necessarie. Il primo anello della filiera è rappresentato dalle cooperative Onlus.

Anci e Utilitalia propongono la costituzione di un albo di operatori qualificati a ricevere le raccolte di indumenti usati, pubblicando linee guida per l’affidamento della gestione dei rifiuti tessili che forniscono soluzioni concrete per tutte le stazioni appaltanti. Il MiTE dovrebbe non vincolare i produttori a coinvolgere nelle governance dei loro organismi collettivi, gli operatori della raccolta e del recupero e occorre nondimeno contrastare la costituzione di cartelli territoriali che limitano la scelta di fornitori. Non essendo soggetti pubblici essi sono vincolati a una normativa particolare che non gli permette di eseguire né una due diligence, né di acquisire la documentazione antimafia. Una nota positiva è che ad oggi debbono essere iscritte nelle white list tutte le aziende che vogliono contrattare con la pubblica amministrazione. Un ulteriore contributo potrebbe arrivare dalla sensibilizzazione delle amministrazioni per avviare controlli che evitino la raccolta di abiti usati e accessori, al di furi dei canali di servizio di igiene urbana autorizzato. Gli stessi comuni potrebbero dotarsi di protocolli di legalità.

Gli indumenti di cui il proprietario si disfa vengono classificati come rifiuti urbani, mentre non presentano questa dicitura quelli destinati direttamente a soggetti bisognevoli.

Dai regolamenti comunali emerge che la raccolta differenziata dovrebbe essere affidata unicamente a soggetti che assumono l’incarico direttamente da amministrazioni comunali, previa apposita gara. Si potrebbe pensare ad un’architettura organizzativa dove uno o più soggetti si riuniscano assumendo l’incarico, lasciando all’azienda capofila l’onere sulla gestione complessiva delle operazioni.

Gli abiti usati che non vengono raccolti da aziende autorizzate sono molti, andando a sottrarsi alle pratiche di raccolta differenziata, che è proprio il momento di infiltrazione criminale. Sarebbe utile prevedere un sistema che si basi sul quantitativo raccolto per versare il giusto prezzo all’amministrazione, tenendo conto anche delle oscillazioni di mercato.

Anche in questo settore lo scambio dei dati tra amministrazioni risulta essenziale per una migliore cooperazione.

 

2.14 Sul fenomeno dei flussi paralleli illeciti e abbandono di rifiuti

Le criticità maggiormente riscontrate sono: le discrepanze tra le previsioni del TUA e alcune norme di settore correlate, la difficoltà di conferimento di alcuni rifiuti ai centri di raccolta e la carenza di una capillare ed efficace impiantistica di trattamento post-raccolta.

INERTI

La Direttiva EU sull’economia circolare ha ribadito l’uso di pratiche che prevengano la produzione di rifiuti incentivando la frantumazione e selezioni direttamente in loco.

INGOMBRANTI

Per la risoluzione andrebbero eseguite le seguenti azioni:

  • premialità o sconti sulla TaRi per soggetti che conferiscono i detti rifiuti nelle isole ecologiche;
  • aumentare i contri di raccolta;
  • aumentare i centri di riuso;
  • incentivare l’accesso alle isole ecologiche;
  • fare in modo che i centri di raccolta accolgano il maggior numero di tipologie di rifiuti in modo da scoraggiare lo smaltimento illegale;
  • contrastare normativamente il rovistaggio, incentivando la micro-imprenditoria lecita;
  • determinare linee guida perla gestione degli spazi destinati alla preparazione per il riutilizzo;
  • informare i cittadini delle possibilità esistenti circa una corretta gestione dei rifiuti;
  • mantenere la gratuità del servizio di raccolta a domicilio.

RAEE

Riguardo ai rifiuti elettronici le criticità emerse dovrebbero essere affrontate tramite le seguenti strategie:

  • incentivare lo sviluppo degli impianti di trattamento e recupero dell’intera filiera dei RAEE;
  • incentivare l’accesso alle isole ecologiche con una forte campagna informativa e intensificando la raccolta a domicilio;
  • snellire le pratiche burocratiche dei meccanismi “uno contro zero” e” uno contro uno”;
  • adeguare la normativa relativa al contributo verso i venditori online di AEE;
  • per quanto riguarda i pannelli fotovoltaici, a livello operativo sarebbe opportuno usare un regime “uno contro zero”.

 

2.15 Sulle garanzie finanziarie nel settore delle discariche. Analisi dei dati

La relazione è complementare a quella precedente sulla stessa tematica delle garanzie finanziarie.

Sono state rilevate un gran numero di garanzie non prestate senza che generalmente siano stati indicati i motivi dell’assenza. La maggior criticità risiede nell’ente pubblico che rischia di far fronte con proprie risorse, alle inadempienze dei gestori delle discariche. Inoltre, si crea una situazione pesante per i contribuenti, su cui vengono caricati i costi straordinari.

I gestori degli impianti riferiscono che la modalità cauzionale sia impraticabile vista la gravosità economica. Nella maggior parte dei casi i garanti sono abilitati all’esercizio delle relative attività, c’è però una bassa propensione degli enti locali ad effettuare le opportune verifiche sugli emittenti delle garanzie. La Commissione suggerisce, in base ai dati raccolti, che in futuro ci siano nuovi rilevamenti per esaminare le tendenze, in base a una modifica legislativa o anche in assenza di essa.

 

2.16 Sul mercato illegale delle buste di plastica-shopper

La legge 123 del 2017 entrata in vigore nello stesso anno disciplina i sacchetti in platica e bioplastica e impone di utilizzare solo quelli biodegradabili e compostabili. Nonostante questi ultimi siano i più utilizzate sul mercato, è ancora diffusa la fornitura di buste non a norma. Spesso la produzione di tali sacchetti avviene nelle stesse aziende che producono quelli biodegradabili, per occupare una porzione di mercato diversa, e trarne maggior profitto. Spesso i personaggi che smerciano questo tipo di sacchetti non a norma sono anonimi e si presentano personalmente senza rilasciare ricevute o quant’altro, comportamento riconducibile a un contesto di criminalità. Alla luce delle ottime risultanze di cooperazione tra la Commissione e le FFPP, sarebbe auspicabile un coordinamento nazionale mettendo a disposizione l’esperienza maturata negli anni.

 

2.17 Sulla situazione delle bonifiche e della gestione dei rifiuti presso gli impianti ex ILVA-Taranto e nelle aree contermini

Il quadro generale sulla gestione degli impianti dell’ex ILVA di Taranto dimostra il frazionamento delle competenze, la mancanza di una visione d’insieme e la difficoltà di dialogo tra i soggetti pubblici competenti sul tema.

Un primo quadro della situazione d’inquinamento identifica due aree:

  • quella del sottosuolo e della falda, dove l’obiettivo della bonifica è stata la rimozione delle sorgenti di inquinamento che sono terminate, in corso o in progetto;
  • quella relativa all’ammissione in atmosfera degli inquinanti provenienti dall’impianto siderurgico.

Il tema dello sviluppo economico e sociale dell’area, compromesso dalle passività ambientali presenti, potrebbe rendere critico l’inserimento di nuove attività produttive, a riguardo si auspica una ulteriore valutazione strategica ambientale sul possibile sviluppo dell’area.

 

2.18 Sull’attuazione della legge 22 maggio 2015 n. 68 in materia di delitti contro l’ambiente

Quella che va considerata una buona legge, necessita di una condivisione di intenti tra funzione legislativa e di controllo parlamentare, potere esecutivo, giurisdizionale nonché tra tutti gli attori istituzionali della tutela dell’ambiente. È una buona legge soprattutto in prospettiva di prevenzione dei reati, anche se l’effettività della tutela sconta lacune nell’attuazione sotto alcuni profili di implementazione normativa e organizzativa. Si tratta di una legge potenzialmente destinata ad acquisire progressiva efficacia. I temi trattati sono: la funzione primaria di prevenzione generale di illeciti, la formazione adeguata per i soggetti coinvolti, le garanzie di uniforme applicazione sul territorio nazionale, il destino delle risorse prodotte dal sistema delle prescrizioni e delle sanzioni penali, lo scambio e della circolazione delle informazioni in materia ambientale, l’approccio a eventuali modifiche della legge.

 

2.19 Sugli aspetti ambientali della gestione di miniere e cave

In Italia, cave e miniere rappresentano un insieme di attività storicamente radicate, che hanno prodotto e producono una eredità negativa, e, nonostante ciò, prive di un quadro normativo coerente ed efficace per contrastare questa situazione. A questa carenza concorrono la vetustà di alcune norme e la devoluzione di compiti alle Regioni, nonostante si necessiti di una visione nazionale e sovranazionale. Le cave hanno una situazione soggetta a una certa stabilità gestionale, discorso diverso invece per le miniere. Esse, soprattutto con lo sviluppo moderno della green economy, hanno trovato un rinnovato interesse, poiché in queste si possono trovare quantitativi di elementi che un tempo non erano ricercati. A livello europeo sono già state pubblicate linee guida per il recupero e riutilizzo dei rifiuti estrattivi storici. Le miniere non più attive sono i testimoni attuali di un passato che non deve andare perduto ma che può essere valorizzato e sfruttato in ambito turistico-culturale come i diffusi tentativi di creazione di musei, parchi minerari, ecomusei ecc. questi operano sul territorio nazionale senza precisi riferimenti normativi.

 

2.20 Sul traffico illecito di rifiuti in Tunisia

Un ingente quantitativo di rifiuti prodotti dall’azienda SRA fu traferito in Tunisia verso un impianto di recupero in realtà inesistente; essi non contenevano più alcun componente recuperabile, ma attraverso l’artifizio di dichiararli invece recuperabili, la SRA ridusse di quattro volte il costo dello smaltimento regolare che avrebbe invece sostenuto in Italia. Diversi artifizi fraudolenti furono messi in atto: dalla falsa individuazione dell’autorità tunisina per autorizzare il trasporto, alla complicità di funzionari tunisini, alla negligenza e superficialità dei funzionari della regione Campania. C’era piena contezza del fatto che i rifiuti erano irrecuperabili. Grazie alla Commissione d’inchiesta l’ARPA è riuscita ad eseguire il sopralluogo nell’impianto di SRA trovando irregolarità nella gestione dei rifiuti.

 

  1. Conclusioni

Il lavoro della Commissione è durato quasi quattro anni ed essa è stata in grado di svolgere con ampiezza ed efficacia i compiti attribuitigli dalla legge. Le 20 relazione approvate ne sono la riprova, nonostante l’avvento della pandemia da COVID-19 che ha creato problematiche davanti alle quali essa non si è fermata. In particolare, la rinunzia alle missioni in Italia e all’estero durante la pandemia è stata una grave perdita di una metodologia di lavoro chiave.

Da parte della Commissione c’è stata massima attuazione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato. L’impostazione del lavoro della Commissione ha progressivamente superato la distinzione di relazioni territoriali e relazioni tematiche, privilegiando la focalizzazione sui singoli problemi. Lo scioglimento anticipato delle Camere e la pandemia hanno impedito inoltre approfondimenti già pianificati su altri temi come la connessione dei traffici transfrontalieri dei rifiuti con le morti di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, avvenuta a Mogadiscio nel 1994, e un’inchiesta sui rifiuti petrolchimici con riferimento alla Basilicata. La Commissione ha rilevato due direzioni di possibile ulteriore approfondimento durante la prossima Legislatura: una segnata dai molteplici problemi locali irrisolti, l’altra dall’esistenza di problemi di ordine generale, la cui mancata o errata soluzione può produrre fenomeni illeciti.

Finché si produrranno inutilmente così tanti rifiuti ci saranno sempre problemi nel gestirli, problemi di illegalità e ambientali. In generale le inchieste mostrano un’insufficiente risposta regionale in termini di conoscenza, gestione delle informazioni e controlli.

Oltre all’analisi teorica delle problematiche, la Commissione ha agito con esiti pratici e tangibili come: la rinuncia all’utilizzo dei guanti come presidio contro il COVID-19, l’estensione dell’allarme sulle sostanze perfluoroalchiliche anche al di fuori della regione Veneto, il sequestro di un impianto che produceva buste di plastica fuori norma in connessione con i Carabinieri e la Polizia Locale.

La Commissione infine ritiene di aver fornito un patrimonio conoscitivo costituente fonte di orientamento nelle materie indicate nella legge istitutiva, utile allo svolgimento dei compiti del Parlamento e del Governo, delle Regioni e delle Autonomie, dei soggetti pubblici, nonché dell’autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria; e costituente strumento di orientamento per scelte ambientalmente corrette e coerenti delle imprese e di conoscenza destinata ai cittadini.

 

(a cura di Riccardo Datteo,
corso di laurea magistrale in Amministrazioni e Politiche Pubbliche – Università di Milano)