Il principio. Nei contesti sociali nei quali attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare un’“influenza reciproca” e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura, di soggezione o di tolleranza, con la conseguenza che i vari componenti del “clan” finiscono per subire l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione criminale anche nella gestione dell’impresa familiare. È questo il principio affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5410 del 14 settembre 2018.

Il caso. Nel 2014 una società operante nel settore del trasporto pubblico locale veniva colpita da un’informativa antimafia emessa dal Prefetto di Napoli (provvedimento che confermava, peraltro, una precedente interdittiva già emessa nel 2013). La società impugnava il provvedimento ma il Tar Campania respingeva il ricorso evidenziando come la contaminazione criminale dell’impresa si fondava, tra l’altro, su cointeressenze economiche tra la famiglia che deteneva il 50% del capitale sociale della società ed alcuni soggetti affiliati ad associazioni criminali di tipo camorristico. Nel 2015 il Prefetto disponeva anche l’applicazione, ai sensi dell’art. 32, comma 10 del decreto-legge n. 90/2014, della misura della straordinaria e temporanea gestione della società in relazione ad alcuni specifici contratti di trasporto pubblico regionale e provinciale, procedendo, a tali fini, alla nomina degli appositi commissari prefettizi. Nel 2016 la società chiedeva la revoca dell’interdittiva, in quanto si sarebbero verificate, nel frattempo, alcune modifiche della situazione di fatto tali da far venire meno le esigenze di prevenzione antimafia: il Prefetto, tuttavia, confermava nuovamente l’interdittiva e la società proponeva, da ultimo, ricorso avanti al Consiglio di Stato che, con la pronuncia in rassegna, ha definitivamente dichiarato infondato il ricorso.

Le indicazioni della giurisprudenza in merito all’interdittiva antimafia. Nella pronuncia in rassegna vengono richiamati alcuni dei più importanti principi già espressi dalla giurisprudenza amministrativa in tema di interdittiva antimafia. È stato infatti ricordato che:

-l’informativa emessa ai sensi degli artt. 84 e 91 del Codice antimafia di cui al d.lgs. n. 159/2011 presuppone l’accertamento di “concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa agevolare, anche in modo indiretto, le attività criminose o possa esserne in qualche modo condizionata”;

-l’interdittiva costituisce una misura finalizzata alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione: con essa il Prefetto ha il potere di escludere che, in presenza dei predetti elementi concreti, un imprenditore – benché dotato di adeguati mezzi economici e di un’adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle istituzioni e possa essere considerato “affidabile” tanto da poter diventare titolare di rapporti contrattuali con gli entri pubblici;

-il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del “più probabile che non”, ovverosia alla luce di una regola di giudizio che può essere integrata da dati di comune esperienza;

-per l’adozione del provvedimento interdittivo rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso dell’istruttoria prefettizia: una visione “parcellizzata” (di un singolo elemento o di alcuni elementi soltanto) avrebbe infatti l’inevitabile effetto di far perdere a ciascun singolo elemento la sua rilevanza nel complessivo legame sistematico rispetto agli altri fatti;

-non trattandosi di provvedimenti di carattere sanzionatorio, al sistema delle informative antimafia è estranea qualsiasi logica penalistica quella certezza probatoria che deve essere raggiunta al di là del ragionevole dubbio, né occorre l’accertamento di responsabilità penali quali il “concorso esterno” o la commissione di reati aggravati ai sensi dell’art. 7 della legge n. 203/1991: una simile logica probatoria vanificherebbe, infatti, la finalità anticipatoria dell’informativa, che rimane quella di prevenire un grave pericolo e non di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante. Gli elementi posti a base dell’informativa, pertanto, possono essere anche non penalmente rilevanti e possono non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali oppure, per converso, potrebbero anche essere già stati oggetto del giudizio penale con esito di proscioglimento o di assoluzione.

La rilevanza dei rapporti di parentela. In tale contesto, la pronuncia in rassegna affronta il tema dei legami tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa ed i relativi familiari che risultino essere affiliati, organici o contigui alle associazioni mafiose, evidenziando come l’interdittiva antimafia può dare rilievo a tali rapporti di parentela quando si tratti di legami che, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere – per la già richiamata logica del “più probabile che non” – che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto, ma anche solo di fatto), oppure che le decisioni relative alla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalle organizzazioni criminali attraverso la famiglia o da un affiliato alla mafia che vi possa interagire mediante un contatto o un proprio congiunto.

Nei contesti sociali nei quali attecchisce il fenomeno mafioso – prosegue il Consiglio di Stato – all’interno della famiglia si può infatti verificare un’“influenza reciproca” e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura, di soggezione o di tolleranza. Tale influenza può essere desunta non dall’erronea considerazione (che sarebbe in contrasto con i principi costituzionali) per cui il parente di un mafioso sia sempre e necessariamente anch’egli mafioso, ma per la doverosa considerazione che la complessa organizzazione della mafia assume la struttura tipica di un “clan”, ovverosia si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della “famiglia”, con la conseguenza che in una “famiglia” mafiosa anche il soggetto che non sia colpito da pregiudizio mafioso può subire, pur non volendo, l’influenza del “capofamiglia” e dell’associazione criminale. Possono quindi assumere una specifica rilevanza le circostanze obiettive (come, a titolo esemplificativo, la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti anche se si tratta di episodi che non hanno dato luogo a condanne in sede penale) e possono assumere rilievo le peculiari realtà locali, ben potendo l’informativa evidenziare come sia stata accertata l’esistenza – su un’area più o meno estesa – del controllo di una “famiglia” e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a maggior ragione quando questi ultimi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

Nel caso di specie oggetto della pronuncia in esame, l’impresa appellante si caratterizzava proprio per l’essere una società a conduzione familiare (come frequentemente avviene in Italia) e tale caratteristica assume per il Consiglio di Stato un particolare rilievo nell’ambito della prevenzione antimafia poiché, quando dietro la singola realtà d’impresa vi è un nucleo familiare particolarmente compatto e coeso, è più facile che coloro che apparentemente sembrano essere al di fuori delle singole realtà aziendali possano curarne (o continuare a curarne) la gestione e possano interferire in quest’ultima facendo leva sui più stretti congiunti. Proprio il nucleo familiare “allargato”, ma unito nel curare gli “affari” di famiglia, è infatti uno degli strumenti di cui più frequentemente si serve la criminalità organizzata di stampo mafioso per la penetrazione nell’economia legale, tanto è vero che con, la recente pronuncia n. 3/2018, l’Adunanza Plenaria dello stesso Consiglio di Stato ha evidenziato – proprio in relazione ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa e familiari che siano affiliati, organici oppure contigui alle associazioni mafiose – che il Prefetto può dare loro rilievo ai rapporti che, per la loro natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, per la già richiamata logica del “più probabile che non”, che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare. Anche il semplice spostamento di quote sociali tra familiari, oppure la sostituzione degli amministratori per i quali vi era il dubbio di collusione con la criminalità organizzata con familiari “puliti” – spesso giovani, e quindi figli, o nipoti dei boss o loro coniugi – sono state ritenute modalità tipiche utilizzate dalle imprese colpite dal provvedimento interdittivo al fine di eludere le misure di prevenzione antimafia.

Nel caso di specie sottoposto a ricorso, l’impossibilità di mantenere la titolarità del capitale della società a causa dell’informativa aveva determinato il trasferimento dell’azienda dal titolare ad una delle persone ad essa più vicine e fidate, attraverso la quale era stato possibile continuare a curarne la gestione: legittimamente, quindi, il Prefetto aveva considerato rilevante la presenza, seppur saltuaria, negli uffici della Società dell’ex amministratrice ed aveva considerato rilevante la sua presenza – unitamente al marito – a bordo di una vettura di proprietà della società appellante. Tali elementi confermavano, infatti, che la famiglia si era solo apparentemente e solo formalmente defilata dalla gestione dell’impresa ma che la stessa, nella sostanza, era fermamente decisa a continuare ad occuparsi delle sorti della società, ipotesi, quest’ultima, confermata dalla presenza di diversi suoi componenti nell’ambito della compagine sociale, con ruoli anche importanti che, in alcuni casi, i commissari prefettizi avevano dovuto loro togliere.

(a cura della dott.ssa Ilenia Filippetti, Responsabile Sezione Provveditorato della Regione Umbria, Presidente di Forum Appalti)

Sul tema dell’utilizzo della certificazione antimafia quale strumento di contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia vedi l’ampia documentazione presente nella sezione Mafie e antimafia del sito di Avviso Pubblico