Premessa. Il Consiglio di Stato, con la sentenza 5460/2022 di riforma della pronuncia di primo grado del TAR Lazio 12285/2021, ha annullato il decreto di scioglimento del Comune di Guardavalle.
Su 371 decreti di scioglimenti emanati dal 1991 ad oggi, si tratta del 24° annullamento disposto dai giudici amministrativi (il 6,5% del totale). L’ultimo precedente risaliva al 2016, con l’annullamento dello scioglimento del Comune di Joppolo (VV).
L’accesso al Comune di Guardavalle e il decreto di scioglimento. Come ricostruito anche dai giudici di Palazzo Spada, l’accesso al Comune di Guardavalle ebbe origine dall’inchiesta giornalistica di un noto programma televisivo nazionale, che si era interessato della vicenda relativa alla statua del Santo patrono, collocata nella piazza del Paese, e donata al Comune da una famiglia mafiosa.
Si deve sottolineare che nella stragrande maggioranza dei casi il lavoro della Commissione d’accesso trae origine da inchieste giudiziarie. Nel caso di specie, invece, va rilevato come non gravassero, sui soggetti dell’Amministrazione, procedimenti penali né per reati attinenti alla criminalità organizzata né per altri reati.
Il lavoro della Commissione d’accesso era culminato nel DPR del 23/02/2021 con cui il Comune era stato sciolto.
In primo grado, il TAR del Lazio, con la pronuncia 12285/2021, aveva rigettato le censure dei ricorrenti del Come sciolto, confermando così il decreto.
I requisiti di scioglimento. In prima battuta il Consiglio di Stato ripercorre, confermandolo, l’orientamento giurisprudenziale in merito ai requisiti dello scioglimento.
Prescrive la legge, innanzitutto, che ai fini dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose è necessario che gli elementi indicativi di collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso siano “concreti, univoci e rilevanti”, da valutare non in modo atomistico bensì complessivamente.
Nel nostro sistema, l’istituto dello scioglimento si pone quale misura di carattere straordinario, con l’obiettivo di offrire uno strumento di tutela avanzata in particolari situazioni ambientali nei confronti del controllo e dell’ingerenza delle organizzazioni criminali sull’azione amministrativa degli enti locali, in presenza anche di situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo, evitando con immediatezza che l’amministrazione dell’ente locale rimanga permeabile all’influenza della criminalità organizzata.
All’Amministrazione procedente sono riconosciuti ampi margini sulla valutazione degli elementi indice di collegamenti diretti o indiretti fra i vertici dell’ente e la criminalità organizzata, o di forme di condizionamento.
I motivi dello scioglimento. Ribadito l’orientamento ormai consolidato in giurisprudenza in merito alle caratteristiche dello scioglimento, i giudici si soffermano sui sei elementi che erano stati ritenuti, nel DPR e in primo grado, “concreti, univoci e rilevanti” ai fini dello scioglimento, spiegando perché nel caso di specie non potessero invece essere considerati tali.
La vicenda della statua del Santo patrono. Con riferimento alla vicenda da cui era scaturito l’accesso al Comune, il CDS ricorda, in primo luogo, come tale statua fosse stata collocata nel 2007, diversi anni prima, dunque, anche rispetto al precedente mandato dello stesso sindaco (2013).
La circostanza che, fuori onda rispetto all’intervista portata all’attenzione dell’opinione pubblica, il Sindaco abbia rivelato i suoi timori per la propria incolumità personale in caso di rimozione non vale, secondo il Collegio, a provare la capacità delle locali cosche di condizionare la vita sociale e politica dell’ente comunale. Peraltro hanno ricordato i giudici che, pochi giorni dopo il servizio e prima della sua stessa messa in onda, il Consiglio comunale ha deliberato la rimozione della statua stessa.
Appalti. Con riferimento alla vicenda degli appalti, il CDS non la ritiene idonea a fondare lo scioglimento perché, a fronte dei dati prodotti dagli amministratori locali “sciolti” appellanti non smentiti dall’amministrazione centrale resistente, non può dirsi via stata una violazione del principio di rotazione.
Nello specifico, durante il primo mandato all’imprenditore sospettato di essere contiguo ad ambienti mafiosi sono stati affidati due appalti con procedura negoziata su ventotto, per meno dell’1% del totale degli importi dei lavori messi a gara; quelli senza gara, perché urgenti, nessun affidamento è stato disposto in favore del medesimo soggetto, mentre uno solo lo è stato in favore di uno dei due figli, la cui impresa era all’epoca regolarmente inserita nella white list e per la quale l’interdittiva è scattata solo successivamente. Durante il secondo mandato, invece, tali soggetti non hanno beneficiato di alcun affidamento, né a mezzo gara, né diretto.
Non vi sono i presupposti, dunque, secondo il CDS, per poter affermare che si è verificato una violazione del principio di rotazione. La mancata programmazione può, d’altro canto, essere considerata indice di inadeguata amministrazione, ma non di infiltrazione mafiosa.
Per un approfondimento sul tema degli appalti e della mancata programmazione si rimanda al paragrafo “Il condizionamento dell’attività amministrativa: gli appalti e alcuni settori rilevanti” di questa scheda.
I servizi boschivi. Con riferimento alle violazioni in materia di servizi boschivi (nel DPR si è contestata la mancanza di pianificazione; il TAR in primo grado si concentra su un singolo affidamento disposto in assenza della verifica dei requisiti antimafia), i giudici di Palazzo Spada respingono il ragionamento logico che, dalla mancata pianificazione in materia, deduce l’agevolazione dei tagliatori abusivi, giudicati nel DPR vicini alla mafia senza che siano dedotte circostanze fattuali a riscontro di tale affermazione.
Il Collegio valorizza, inoltre, le difese degli amministratori locali appellanti che affermano di aver indetto per quattro volte la procedura di vendita dei lotti boschivi, senza risultati (le procedure sono andate sempre deserte), e di aver comunque denunciato alla Forestale le deturpazioni del patrimonio boschivo.
Con riferimento a quest’ultimo punto, si tenga comunque conto che la giurisprudenza ha costantemente affermato che le azioni degli Enti locali conformi alla legalità non valgono a contemperare eventuali violazioni, in quanto si tratta comunque di attività doverosa. Per un approfondimento si rimanda al paragrafo “L’assenza di un bilanciamento tra circostanze favorevoli e sfavorevoli” di questa scheda.
I tributi. Un’altra vicenda non in grado, secondo il CDS, di fondare lo scioglimento dell’Ente locale è quella della riscossione tributaria.
Premesso che la gestione di questo servizio è stata affidata a un soggetto terzo per conto dell’Unione di Comuni, i dati non farebbero emergere un problema di mancata riscossione (che sarebbe, invece, in linea con la media nazionale) bensì di evasione fiscale, elemento che denota, a detta del Collegio, uno scarso senso civico dei cittadini ma che, di per sé, non rivela un condizionamento mafioso.
L’abusivismo edilizio. Anche i casi di abusivismo edilizio non sono idonei, secondo il CDS, a provare il condizionamento mafioso nel Comune rilevante ai fini del suo scioglimento. In particolare, il TAR aveva concentrato la sua attenzione sugli accertamenti in conformità, che erano stati effettuati, secondo il loro giudizio, allo scopo di accondiscendere alle pretese di soggetti legati alle consorterie criminali.
Il CDS anche in questo caso respinge tale ricostruzione: mancano, infatti, indizi ulteriori atti ad ingenerare il dubbio di sviamenti di potere o di altre illegittimità provvedimentali; in questo quadro, secondo i giudici di Palazzo Spada, il rilascio a soggetti vicini ad altri collegati alla criminalità organizzata di due accertamenti di conformità, doveroso in presenza dei presupposti di legge (la cosiddetta doppia conformità), non può essere considerato indice univoco di un tentativo di condizionamento della (o di collegamento con la) mafia.
Le concessioni demaniali. Ultima vicenda considerata è, infine, quella relativa a due concessioni demaniali che, secondo il DPR, farebbero capo a soggetti vicini o intranei alla criminalità organizzata.
La smentita degli amministratori locali “sciolti” appellanti non viene ulteriormente contestata dall’amministrazione statale resistente: riconosce così il CDS che “i titolari di quelle concessioni sono sempre stati in possesso di informazioni antimafia liberatorie e che quelle concessioni sono state finanche prorogate dalla Commissione straordinaria insediatasi dopo lo scioglimento del consiglio comunale”.
Conclusioni. Con il supporto motivazionale appena esaminato, concludono i giudici del CDS che le circostanze fattuali non restituiscono un quadro sufficientemente probante, sia pure nella logica del più probabile che non, del condizionamento o del collegamento mafioso, bensì di una gestione non particolarmente efficiente ed efficace dell’attività amministrativa, che non può però giustificare lo scioglimento degli organi elettivi.