Premessa. Lo scioglimento degli Enti locali conseguente a fenomeni di ingerenza ed infiltrazione della criminalità organizzata  – oggi compiutamente disciplinato dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (artt. 143-146 del decreto legislativo n. 267 del 2000) – è una misura che ha visto un numero ingente di applicazioni, soprattutto negli ultimi dieci anni (cfr. grafico 1).

Il grafico, in particolare, evidenzia un andamento irregolare dei decreti sopra menzionati. Si registra un ricorso frequente all’istituto dello scioglimento nei suoi primi anni di attuazione (21 scioglimenti sia nel 1991 che nel 1992 e ben 34 nel 1993, contando anche quelli annullati), mentre negli anni a seguire gli scioglimenti sono stati molto più limitati, se si fa eccezione per il periodo 2012-2013. Successivamente, fino al 2016, i numeri sono andati stabilizzandosi su livelli in linea con il passato, mentre dal 2017 si è registrato un considerevole aumento del numero delle applicazioni con ben 21 amministrazioni sciolte nel 2017, 23 nel 2018, 21 nel 2019 e 11 nel 2020. Nel gennaio 2021 si è registrata l’applicazione di un decreto di scioglimento. A partire dal 1991 – anno di entrata in vigore di tale strumento normativo – sono dunque 352 i decreti di scioglimento emanati (compresi i 23 decreti annullati), e 222 quelli di proroga.

Per quanto riguarda gli esiti delle commissioni di accesso, dal 2010 ad oggi, in 54 occasioni si sono concluse con un decreto di archiviazione. Tredici si sono verificate nel biennio 2019-2020: San Giovanni in Gerace (Reggio Calabria), Baratili San Pietro (Oristano), Santu Lussurgiu (Oristano), Campana (Cosenza), Corsico (Milano), Roccabernarda (Crotone), Aosta, Avola (Siracusa), Cosoleto (Reggio Calabria), Eraclea (Venezia), Ciminà (Reggio Calabria), Villa San Giovanni (Reggio Calabria) e l’ASL Napoli 1 (in questa pagina sono disponibili tutte le tabelle riepilogative).

 

Decreti di scioglimento nel biennio 2019 – 2020

In questa scheda sono presi in esame i decreti di scioglimento emanati tra il gennaio 2019 e il dicembre 2020, tutti concentrati nelle regioni del Sud, fatta eccezione di Saint-Pierre in Valle d’Aosta. Ai fini di un’attenta valutazione delle dinamiche che regolano i rapporti tra clan malavitosi e tali amministrazioni sciolte, è risultata fondamentale l’analisi delle relazioni che accompagnano i decreti. In riferimento alle amministrazioni sciolte nel 2019, sono state poi contemplate le informazioni contenute nell’ultima relazione del Ministro dell’Interno sull’attività svolta dalle Commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti.

Gli scioglimenti disposti nel biennio 2019-2020 sono stati 32, di cui:
12 in Calabria, 10 in Sicilia, 4 in Puglia, 4 in Campania, 1 in Basilicata e 1 in Valle d’Aosta
(cfr. grafico 2).Tra le amministrazioni sciolte, rientrano gli organi di direzione generale dell’A.S.P. di Reggio Calabria e dell’A.S.P. di Catanzaro, aventi un bacino d’utenza pari rispettivamente a 553.861 e 370.000 abitanti. Con riferimento ai Comuni, invece, si tratta di una popolazione complessiva di circa 500mila abitanti non più amministrata da organi democraticamente eletti per la compromissione degli enti a causa di “contiguità compiacenti o soggiacenti” con le consorterie mafiose.

Le associazioni criminali continuano a manifestare una consolidata propensione a sviluppare i propri interessi soprattutto in contesti politico-amministrativi più piccoli. Nel campione osservato, cfr. grafico 3, sono 12 i Comuni sciolti al di sotto dei 5mila abitanti (Pratola Serra, Sant’Eufemia di Aspromonte, Maniace, Saint-Pierre, San Giorgio Morgeto, Mezzojuso, Africo, Torretta, Sinopoli, Stilo, Palizzi e Careri); 9 quelli compresi tra i 5 e i 20mila abitanti (Tortorici, Cutro, Pizzo, Amantea, Scorrano, Scanzano Jonico, Carmiano, San Cipirello e Mistretta); 7 quelli compresi tra i 20 e i 50mila abitanti (Partinico, Sant’Antimo, Orta di Atella, Misterbianco, Arzano, San Cataldo e Pachino); e 2 quelli con più di 50mila abitanti (Cerignola e Manfredonia, ai quali si devono aggiungere le due A.S.P. di Reggio Calabria e Catanzaro).

Un dato allarmante è suggerito dal numero di Amministrazioni sciolte più volte (cfr. tabella 1): per otto di esse si tratta del secondo scioglimento (Careri, l’A.S.P. Reggio Calabria, Sinopoli, Torretta, Orta di Atella, Misterbianco, Amantea e Sant’Antimo), mentre per altre due (Africo e Arzano) siamo addirittura al terzo provvedimento dissolutorio.

Le principali motivazioni degli scioglimenti

 Le Relazioni allegate ai decreti di commissariamento, dopo aver delineato la cornice criminale e il contesto ambientale ove si colloca l’ente, ricostruiscono le cause che hanno portato allo scioglimento. In tal senso, si soffermano tanto sulle inefficienze amministrative quanto sull’esistenza di collegamenti tra gli esponenti della criminalità organizzata egemone a livello territoriale e l’Ente locale stesso, con particolare riguardo ai rapporti tra gli amministratori e le consorterie criminali.

Le relazioni prefettizie evidenziano, in particolare, come l’uso distorto della cosa pubblica si concretizzi in favore di soggetti o imprese collegati direttamente o indirettamente alla criminalità. Un esempio è quello relativo al caso di San Giorgio Morgeto (Dpr 30/01/2020), sciolto per motivi legati all’esistenza di una fitta rete di parentele e amicizie tra amministratori – tra cui anche il primo cittadino – e gli esponenti delle consorterie locali che ha reso possibile l’ingerenza mafiosa in diversi settori comunali, tra cui appalti, lavori pubblici, gestione dei lotti boschivi, procedure per l’esercizio di noleggio auto con conducente e concessioni di terreni di proprietà comunale.

Tale ingerenza, come sottolineato in molte relazioni prefettizie, può manifestarsi anche in occasione delle elezioni amministrative, sia sotto forma di sostegno elettorale a liste o singoli candidati (come nel caso di Saint-Pierre in Valle d’Aosta), che attraverso episodi di intimidazioni e minacce che condizionano il clima elettorale (come nel caso di Careri in provincia di Reggio Calabria, sciolto a seguito di un’indagine che ha portato alla luce il gravissimo episodio relativo al ritrovamento di un proiettile inesploso dentro una scheda elettorale).

Il compimento degli illeciti di vario tipo da parte dei singoli clan criminali è solitamente favorito da una cattiva organizzazione dell’attività amministrativa e dal mancato coordinamento tra gli uffici comunali. Si pensi al caso di Mezzojuso, in provincia di Palermo (Dpr 16/12/2019), divenuto noto per la vicenda di tre sorelle, titolari di un’azienda agricola oggetto di estorsione, che hanno accusato l’amministrazione comunale di non averle sostenute. La relazione tratteggia tutta una serie di irregolarità, soprattutto in tema di legislazione antimafia, mettendo in risalto parentele di amministratori comunali con esponenti mafiosi. Tale intreccio e la violazione della normativa antimafia sono i due fattori che maggiormente hanno influito sull’affidamento di lavori, servizi, concessioni e licenze, in particolare nei settori dell’urbanistica, dell’edilizia e della riscossione dei tributi,  ad imprese colpite da interdittiva, oppure non iscritte nelle white list.

Dopo aver individuato le possibili configurazioni dei rapporti di dominio-subalternità, le singole commissioni di accesso lavorano per individuare in dettaglio quali sono gli atti amministrativi maggiormente propensi ad essere piegati agli interessi delle consorterie criminali.

In relazione al biennio 2019-2020 i settori nei quali sono state registrate corpose anomalie sono quello dei rifiuti, dei trasporti pubblici, della gestione degli immobili comunali (anche di quelli confiscati), delle autorizzazioni ambientali, delle concessioni edilizie, dei lavori di manutenzione nelle strutture sanitarie e nelle aree cimiteriali.

In questi termini, particolare rilievo viene dato ai numerosissimi casi di assegnazione diretta o proroga di appalti a ditte colpite da interdittiva antimafia e che avrebbero dovuto, pertanto, essere escluse da qualsiasi rapporto con gli organismi pubblici.

 

La ‘ndrangheta al nord:
il caso della Valle d’Aosta

Nel 2020 si è verificato il primo caso di scioglimento di un’amministrazione comunale in Valle D’Aosta. Si tratta di Saint-Pierre (Dpr 10/02/2020), un comune di circa 3.000 abitanti commissariato a seguito dell’istruttoria avviata dopo l’operazione Geenna della Direzione Distrettuale Antimafia di Torino, che ha messo in luce la radicata presenza della ‘ndrangheta calabrese sul territorio regionale, nonché la sua capacità di condizionamento dei centri di potere e governo.

In particolare, la relazione si sofferma sul ruolo cruciale esercitato dall’assessore comunale alle finanze del Comune di Saint-Pierre, eletto nel 2015 con l’appoggio dei clan locali e posto in custodia cautelare con l’accusa di concorso in associazione di tipo mafioso, nella gestione degli appalti. Viene in particolare posta all’attenzione la vicenda relativa all’appalto per il servizio di taxi bus per studenti delle frazioni montane del comune di Saint-Pierre: secondo le accuse mosse dalla DDA di Torino il sodalizio ‘ndranghetista al centro delle investigazioni ha “sollecitato” l’assessore al fine di garantire il mantenimento del servizio, in scadenza poco dopo le elezioni comunali del 2015, ad una impresa il cui socio accomandatario è uno stretto parente di un esponente dell’organizzazione criminale operante in Saint-Pierre.

Nella relazione del presidente della Regione si legge come “l’amministratore, pur non essendo titolare di attribuzioni in tale settore, avuta conoscenza della volontà dell’amministrazione di bandire una nuova gara per l’affidamento del servizio, si sia fattivamente attivato in favore dell’indicata ditta appaltatrice chiedendo notizie con gli altri esponenti della compagine politica locale in merito alle modalità di rinnovo dell’appalto del servizio, incontrandosi e confrontandosi  con esponenti di spicco della locale organizzazione criminale, tenuti costantemente informati dell’evoluzione della procedura”. La stessa relazione evidenza, inoltre, che la società appaltatrice ha ottenuto la proroga del contratto di appalto per un anno.

Le irregolarità concernenti tale affidamento sono continuate anche dopo che l’appalto è stato poi aggiudicato ad un’altra impresa. Nell’ambito delle audizioni disposte dalla commissione d’accesso è emerso che il precedente appaltatore avrebbe esercitato pressioni sul nuovo affidatario per svolgere al suo posto il servizio di taxi bus e che quest’ultimo, intimorito, si fosse rivolto agli organi competenti per incentivare controlli in modo di neutralizzare tali ingerenze.

Nonostante tali segnalazioni, l’Amministrazione non si sarebbe in alcun modo attivata affinché fosse assicurato il rispetto del principio di legalità. Le notizie acquisite dall’organo ispettivo hanno trovato fattuale riscontro nei successivi controlli effettuati nei quali è emerso che il mezzo utilizzato per il trasporto degli alunni fosse di proprietà dell’ex appaltatore, circostanza che attesta come l’ex affidatario continuasse di fatto a svolgere illegalmente il servizio.

Un altro elemento che attesta una gestione amministrativa avulsa dal rispetto delle regole è emersa anche nell’ambito dei controlli effettuati dall’organo ispettivo sui contratti di locazione relativi agli immobili comunali. Dall’indagine effettuata dalla commissione d’accesso è emerso come alcune autorimesse comunali fossero condotte in locazione da persone (legate alla citata cosca criminale) che non pagavano il canone d’affitto e che, in un caso, pur a fronte della situazione debitoria, il Comune abbia addirittura provveduto al rinnovo del contratto giunto a scadenza. Queste circostanze, come riportato nella relazione allegata al decreto “hanno determinato la perdita di credibilità dell’istituzione locale, nonché il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello stato per assicurare la riconduzione dell’ente alla legalità”.

 

Gli scioglimenti dellE A.S.P.
di Reggio Calabria e Catanzaro

Come anticipato, nel 2019, gli organi di direzione generale dell’A.S.P di Reggio Calabria (Dpr 11/03/2019) e dell’A.S.P. di Catanzaro (Dpr 13/09/2019) sono stati sciolti. In entrambi i casi le indagini hanno fatto emergere importanti indizi di ingerenza mafiosa nella gestione delle istituzioni sanitarie, arrecando così grave pregiudizio al regolare funzionamento dei servizi.

Nel caso dell’A.S.P. di Reggio Calabria, che ha visto un primo scioglimento già nel 2008, la commissione per la gestione straordinaria ha dovuto affrontare una situazione di complessa crisi, sia sul piano funzionale e organizzativo, sia sul piano economico-finanziario, caratterizzata da un elevatissimo indebitamento. Difatti, l’analisi effettuata in sede di accesso ha messo in luce forti criticità, come ad esempio l’omessa approvazione dei bilanci a decorrere dal 2013, la mancata tenuta di scritture contabili obbligatorie ed una ingente esposizione debitoria aggravata dall’incapacità dell’azienda di avere esatta contezza dei debiti pregressi e di provvedere tempestivamente al pagamento degli stessi.

Come evidenziato nel decreto di scioglimento e nella documentazione allegata, le risultanze delle operazioni di polizia giudiziaria hanno messo in luce che tale situazione è frutto di un accentuata propensione dei clan ‘ndranghetisti ad infiltrarsi nel settore della sanità pubblica al fine di orientarne la gestione delle risorse finanziarie a proprio vantaggio. Anche nell’attività amministrativa sono state accertate “diffuse inefficienze e irregolarità, oltre che una generalizzata situazione di grave disordine organizzativo”.

A tal proposito, le verifiche dell’organo ispettivo hanno riscontrato gravi inadempienze dell’azienda che ha sistematicamente omesso di richiedere le prescritte certificazioni antimafia, procedendo alla stipula di contratti con imprese in stato di amministrazione giudiziaria o già destinatarie di informative interdittive. La commissione d’indagine ha altresì evidenziato la mancata adozione da parte dell’azienda di norme finalizzate a rendere uniformi le procedure di affidamento dei lavori, servizi e forniture nel settore delle manutenzioni, il che ha permesso alle centrali di committenza di fare reiteratamente ricorso al metodo dell’affidamento diretto, anche al di fuori dei casi previsti dalla disciplina vigente, in contrasto con i principi di trasparenza e di tutela della concorrenza.

Anche nella gestione del patrimonio immobiliare sono state riscontrate diffuse irregolarità ed inefficienze. In particolare, il Prefetto ha evidenziato che “diversi immobili non risultano censiti al catasto o si trovano in stato di abbandono, e che non è mai stato approntato un piano finalizzato alla valorizzazione (o dismissione) dei beni non strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’azienda”.

Anche nel caso dell’A.S.P. di Catanzaro sono state registrate gravi irregolarità e disfunzioni nell’attività amministrativa. In particolare, le indagini hanno rilevato l’esistenza di due gruppi imprenditoriali riconducibili ad una locale cosca criminale che si sarebbe accaparrata il monopolio di alcuni servizi, come quello delle ambulanze e quelli relativi alla fornitura di materiali sanitari.

Tale forma di monopolio è favorita, da un lato, dai privilegiati rapporti intercorrenti tra esponenti della ‘ndrangheta locale e numerosi dipendenti dell’azienda sanitaria; dall’altro, da una notevole disorganizzazione e disordine amministrativo, come dimostrano le continue proroghe contrattuali utilizzate per sopperire all’esigenza di continuità di servizi anche essenziali, accompagnate dalla radicata assenza di richiesta delle informazioni antimafia.

Infatti, come è possibile leggere nella relazione allegata al decreto di scioglimento, l’ultima gara per l’affidamento del servizio sostitutivo delle ambulanze del 118 regolarmente bandita risale al 2009. Da quel momento, il servizio fu affidato ad una società riconducibile ad uno dei due gruppi imprenditoriali sopra citati, che ha continuato a gestirlo fino al mese di ottobre del 2017, data in cui è stata destinataria di un provvedimento interdittivo antimafia, a seguito della quale il servizio è stato affidato con «estrema urgenza» – e quindi anche in questo caso senza alcuna gara – ad un’altra società che non avrebbe potuto partecipare ad un’eventuale procedura selettiva in quanto in difetto del prescritto certificato di qualità.

(a cura di Sara Giovannelli, ricercatrice)