Le vicende dello scioglimento: dall’annullamento del decreto alla configurabilità della proroga

Alcuni casi di annullamento dei decreti di scioglimento. Se la maggioranza delle sentenze ha in generale confermato le scelte in tema di scioglimento dell’Amministrazione, ci sono però casi (meno del 10 per cento dei decreti di scioglimento) in cui Tar e Consiglio di Stato, pur con le limitazioni proprie di questo giudizio di legittimità, hanno disposto l’annullamento dei decreti di scioglimento. Non sono peraltro pochi i casi in cui il Consiglio di Stato ha successivamente riformato la precedente sentenza di annullamento del Tar.

Tra le motivazioni principali che conducono i giudici ad annullare lo scioglimento spicca, anzitutto, la considerazione della mancata individuazione degli elementi univoci, concreti e rilevanti in grado di dimostrare il collegamento o condizionamento mafioso (tra cui, chiaramente, l’emersione di provvedimenti illegittimi, come nel caso della sentenza 449/2008 relativa al Comune di S. Gennaro Vesuviano; un altro caso è quello del Comune di Joppolo: TAR Lazio 7786/2015 e CDS 876/2016).

Sul punto si vedano, inoltre, anche le sentenze CDS 3462/2010 (relativa al Comune di Amantea) e TAR Lazio 2386/2019 (Lamezia Terme) in cui i giudici richiedono che il legame tra l’operato dell’amministrazione e il vantaggio per le cosche, e quindi l’influenza di queste ultime sulla vita pubblica, sia fondatamente e univocamente percepibile: secondo questa interpretazione, lo scioglimento va considerato come un’extrema ratio.

In quest’ottica si pone quindi l’accento sulla differenza che intercorre tra semplice mala gestio della cosa pubblica e le infiltrazioni mafiose (TAR Lazio 3101/2019): non basterebbe, infatti, la dimostrazione che sono stati emanati degli atti illegittimi, essendo necessario un “quid pluris” costituto da obiettive risultanze relative a condotte attive od omissive condizionate dai clan che rendano plausibili le ipotesi di collusione (TAR Lazio, 2388/2019 su Marina di Gioiosa Ionica; in Appello il CDS, sentenza 6918/2019, ribalterà il giudizio dando rilievo all’ottica preventiva e al criterio della ricostruzione plausibile).

Con riferimento, inoltre, alle motivazioni dello scioglimento legate a parentele e rapporti con soggetti controindicati, il Consiglio di Stato ha annullato lo scioglimento del comune di S. Cipriano d’Aversa, sottolineando che l’esistenza di legami di parentela o frequentazione tra amministratori ed esponenti della criminalità (circostanza quasi inevitabile a causa dell’alta densità criminale presente nell’area interessata) non è ragione sufficiente a giustificare l’ipotesi di scioglimento se non accompagnata dalla dimostrazione di condizionamenti nell’aggiudicazione di appalti ed alle forniture affidati dall’amministrazione comunale ad imprese sospette e non in possesso della certificazione antimafia (in senso analogo anche la sentenza CDS 4792/2015 relativa al comune di Cirò).

Allo stesso modo, nelle sentenze di accoglimento del ricorso i giudici hanno affermato che, per procedere con lo scioglimento dell’Ente, non è sufficiente l’enfatizzazione dell’elemento del collocamento territoriale del Comune in questione: l’esito, secondo questa interpretazione, sarebbe infatti quello di perpetuare un pregiudizio territoriale (TAR Lazio, 3101/2019; ribalta questo assunto CDS 6207/2019 nel giudizio di appello).

In altri casi, l’annullamento del decreto di scioglimento è stato giustificato alla luce delle risultanze penali nel frattempo intercorse (e di cui, secondo un orientamento, bisogna tenere conto: TAR Lazio 3101/2019; la giurisprudenza prevalente ha però sempre ricondotto le valutazioni relative agli scioglimenti allo stato degli atti conosciuti al momento dell’emanazione del decreto). Le novità sono state utilizzate, ad esempio, quando il Consiglio di Stato (CDS 748/2016) ha ritenuto insufficienti gli elementi alla base dello scioglimento del comune di Ventimiglia, e ciò anche alla luce delle successive sentenze assolutorie del giudice penale nei confronti del Sindaco del Comune in quanto questi in alcun modo era consapevole di favorire gli interessi di alcune società legate alla ‘ndrangheta. In altri casi, invece, l’intervenuta assoluzione in sede penale di alcuni amministratori non ha condotto alla sospensione o all’annullamento del decreto di scioglimento, ritenendo sussistenti gli elementi fondanti la misura dissolutoria (si veda il caso del Comune di Badolato: ordinanza TAR Lazio 2898/2016, sentenza TAR Lazio 10049/2016; si veda anche il caso di Marina di Gioiosa Ionica: TAR Lazio 816/2018).

L’annullamento del decreto di scioglimento in alcuni casi viene motivato anche alla luce dell’insufficiente livello di coinvolgimento degli amministratori. Vi sono stati casi in cui, ad esempio, lo scioglimento dell’Ente locale non è stato in primo grado confermato in quanto il coinvolgimento di un solo amministratore, rimasto in carica per pochi mesi, non è stato ritenuto sufficiente per ritenere integrato il pericolo di condizionamento (TAR Lazio, 3187/2018; tale conclusione è stata poi ribaltata in appello: CDS 5970/2018); in altre occasioni si è dato invece rilievo alla circostanza dell’assenza di ruoli operativi in Giunta degli amministratori coinvolti (TAR Lazio, 2386/2019; in appello anche questo assunto viene rigettato: CDS 6435/2019).

Sulle richieste di risarcimento danni. L’annullamento del decreto di scioglimento ha condotto talora a richieste di risarcimento danni da parte dei soggetti interessati. A tale riguardo la sentenza CDS 3495/2018, nel respingere il ricorso presentato da un ex consigliere del comune di Monasterace, ha sottolineato l’assenza di colpa, nel caso in questione, da parte dell’Amministrazione (“mala fede o gravi irregolarità o riprovevoli o poco commendevoli mancanze”) che potrebbe giustificare un’azione di risarcimento danni (non essendo sufficiente la sola illegittimità dell’atto): la relazione allegata al decreto di scioglimento si caratterizzava infatti per un’analisi puntuale – anche se all’epoca ritenuta non sufficiente – degli elementi inerenti il condizionamento della criminalità organizzata sull’amministrazione comunale. In senso analogo anche la sentenza CDS 748/2015 riguardante il comune di Strongoli.

Lo stesso Consiglio di Stato  ha confermato la decisione del Tar Catanzaro che aveva respinto la richiesta di risarcimento danni dell’ex sindaco del comune di Sant’Onofrio (sciolto nel 2009), indicando la relazione prefettizia come uno degli elementi della fattispecie da cui derivava la pretesa risarcitoria: il giudice amministrativo non rileva alcuna negligenza o imperizia nella condotta dell’amministrazione, riaffermando la legittimità del provvedimento di scioglimento, nei cui confronti non era stato peraltro presentato ricorso.

Sulla proroga della Commissione Straordinaria. Il comma 10 dell’articolo 143 del TUEL prevede che, in casi eccezionali, l’originaria durata del lavoro della Commissione Straordinaria (tra i dodici e i diciotto mesi) possa essere prorogata fino a un massimo di ventiquattro mesi. Rispetto alla nozione di eccezionalità, TAR e CDS hanno assunto posizioni differenti: con riferimento alla proroga della Commissione Straordinaria insediata a seguito dello scioglimento del Comune di Parabita, infatti, in primo grado i giudici avevano sostenuto che non fosse sufficiente a integrare il requisito di eccezionalità una giustificazione fondata sulla mera continuazione dell’attività della Commissione, rendendosi invece necessaria l’individuazione elementi ulteriori rispetto a quelli che avevano dato vita al primo provvedimento (TAR Lazio, 5837/2019). Di diverso avviso invece il CDS (sentenza 7762/2019) che traccia una linea di continuità tra l’eccezionalità della proroga e quella che ha in origine condotto allo scioglimento, ritenendo in ogni caso giustificata la proroga nel caso in cui risulti necessario proseguire con l’azione di ripristino della legalità in presenza di criticità.

Anche rispetto alla legittimazione attiva a proporre ricorso in merito al provvedimento di proroga dell’attività della Commissione Straordinaria si riscontrano due differenti orientamenti: in primo grado, infatti, la legittimazione attiva è stata riconosciuta in capo agli ex amministratori ricorrenti sostenendo che, se da un lato questi non avrebbero comunque potuto recuperare la loro posizione (non discutendosi più dello scioglimento in sé dell’Ente), d’altro canto va comunque riconosciuto un loro interesse sul piano della tutela della loro immagine pubblica, oltre a quello relativo alla fissazione della data delle elezioni in vista di una loro possibile ricandidatura (TAR Lazio 5837/2019). In appello, questi argomenti sono stati smentiti, negando che da un’eventuale pronuncia di annullamento della proroga potrebbero discendere utilità di qualche tipo per i ricorrenti, nemmeno morali, dal momento che le irregolarità che hanno condotto allo scioglimento sono già state sancite in modo definitivo (CDS 7762/2019).

 

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