PREMESSA. Mediante la sentenza n. 195 del 2019, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 28, comma 1, del decreto-legge n. 113 del 2018 (c.d. “decreto sicurezza”). Novellando l’articolo 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), che regola lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, tale norma, nell’ipotesi in cui non fossero sussistiti i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti, ma fossero comunque state perpetrate condotte tali da determinare la compromissione del buon andamento dell’amministrazione, attribuiva al prefetto il potere di individuare (nei limiti dell’area extra-penale) i prioritari interventi di risanamento e i conseguenti atti da assumere; in caso di reiterato inadempimento, al prefetto era inoltre attribuito il potere di sostituirsi all’amministrazione inadempiente per il tramite di un commissario ad acta.

IL RICORSO. Con ricorso del 1° febbraio 2019 la Regione Umbria ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra gli altri, del suddetto articolo, perché ritenuto, sotto molteplici aspetti, «gravemente lesivo dell’autonomia degli enti locali». Secondo la ricorrente, apparivano difatti troppo ampi i presupposti legittimanti l’esercizio dei poteri sostitutivi e di commissariamento da parte dei prefetti; un’ampiezza tale da determinare un eccesso di discrezionalità in capo alla rappresentanza dell’esecutivo statale sul territorio regionale. La Regione Umbria vedeva, altresì: incisa la propria competenza in materia di attribuzione di funzioni agli enti locali; impedito il funzionamento del principio di sussidiarietà verticale (secondo il quale certe funzioni debbono essere attratte dal livello territorialmente superiore solo laddove questo sia in grado di svolgerle meglio di quello di livello inferiore); quindi compromesso l’esercizio delle funzioni amministrative proprie riconosciute ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane.

LA DECISIONE. Come pure ricordato dalla Corte Costituzionale, prima dell’introduzione della previsione normativa in oggetto, non erano contemplate soluzioni intermedie tra lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale e la conclusione del procedimento per l’insussistenza di motivi atti a giustificare una misura dissolutoria. Il legislatore ha dunque tentato di colmare la lacuna inserendo nell’ordinamento uno strumento correttivo che fosse al tempo stesso meno invasivo dello scioglimento nonché più duttile degli ordinari interventi sostitutivi. Così facendo ha però disegnato «un potere prefettizio sostitutivo extra ordinem, ampiamente discrezionale, sulla base di presupposti generici e assai poco definiti, e per di più non mirati specificamente al contrasto della criminalità organizzata; ossia complessivamente in termini tali da non essere compatibili con l’autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali territoriali». Più nel dettaglio, il fatto che al prefetto non fosse attribuito un mero «potere d’impulso e sollecitatorio dell’adempimento di obblighi di legge […], bensì quello ben più incisivo della diretta individuazione, ampiamente discrezionale, di “prioritari interventi di risanamento” da cui sorge[va], per l’ente locale, l’obbligo di conformazione», ha portato la Corte alla necessità di ribadire un principio già sancito in una precedente pronuncia (sentenza n. 115 del 2011): «ogni potere amministrativo deve essere “determinato nel contenuto e nelle modalità, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa”». Peraltro, conclude il giudice delle leggi, «la garanzia costituzionale di autonomia degli enti locali territoriali (Comuni, Province e Città metropolitane) richiede non solo che i presupposti di tali poteri sostitutivi, incidenti nell’attività dell’ente, siano sufficientemente determinati dalla legge, ma anche che l’eventuale sostituzione a organi dell’ente rispetti il canone» di rango costituzionale implicante l’«assunzione a livello governativo della responsabilità per l’esercizio di tali poteri. Invece, la disposizione censurata lascia l’esercizio di un potere sostitutivo, che si è visto essere ampiamente discrezionale, al livello meramente amministrativo dei poteri del prefetto, senza alcun coinvolgimento del Governo (come nell’ipotesi del comma 1 dell’art. 143) e neppure del Ministro dell’interno (come nell’ipotesi del comma 5 della stessa disposizione)».

 

(a cura di Luca Fiordelmondo, Master APC dell’Università di Pisa)