PREMESSA. Il Ministro dell’Interno ha trasmesso alle Camere il 10 marzo 2022 la Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel primo semestre del 2021, della quale si riportano i punti salienti.

In particolare, l’attenzione è focalizzata sulle connotazioni strutturali e sulle linee evolutive delle principali mafie italiane (‘ndrangheta, Cosa nostra, Camorra, mafie pugliesi e lucane) e straniere, sul tema degli appalti pubblici e sulle attività di prevenzione del riciclaggio.

 

‘NDRANGHETA. La ‘ndrangheta, nel corso del primo semestre del 2021, ha mostrato la sua capacità di saper intercettare le condizioni di sofferenza e di sfruttarle a proprio vantaggio, volgendo in opportunità le situazioni emergenziali, orientando i propri investimenti nei settori in cui era più vantaggioso farlo e massimizzando i relativi profitti.

Il contesto generale, caratterizzato dall’emergenza pandemica, ha avuto pesanti ripercussioni anche sull’economia calabrese. Per le imprese questo ha significato soprattutto un’espansione del bisogno di liquidità, solo in parte soddisfatto dalle misure adottate a livello statale: questa condizione ha incrementato, per le organizzazioni mafiose, le opportunità di infiltrazione nell’economia, con l’erogazione di “aiuti” in grado, almeno inizialmente, di risollevare alcune attività, cedendo tuttavia il passo al subentro dei mafiosi negli asset proprietari a scopo di riciclaggio. Il quadro è completato dalla minaccia usuraria, volta all’impossessamento delle imprese interessate: questo fenomeno sconta, peraltro, una notevole cifra oscura a causa della scarsa propensione alla denuncia delle vittime.

Analoghe attenzioni sono state rivolte nei confronti della situazione di crisi del mercato del lavoro, che colpisce in primo luogo giovani, donne e soggetti meno istruiti, e delle famiglie, per le quali si è registrato un forte rallentamento dei finanziamenti a loro destinati. Le forme welfare mafioso erogate nei loro confronti innesca una dinamica di dipendenza nel medio periodo, ad esempio rispetto al reclutamento di soggetti disponibili ad essere coinvolti nelle operazioni criminali o a seguire le indicazioni elettorali al momento opportuno.

Per quanto concerne gli ambiti al centro degli interessi mafiosi, tra quelli a maggiore rischio di infiltrazione la relazione elenca: il settore delle costruzioni, degli autotrasporti, della raccolta di materiali inerti, delle pulizie, della ristorazione, della gestione di impianti sportivi e strutture alberghiere, del commercio al dettaglio, dei servizi funebri e il settore sanitario. Rispetto a quest’ultimo, in particolare, vale la pena sottolineare gli esiti dell’Operazione Chirone, che ha messo in luce l’interessamento mafioso nella fornitura di materiale sanitario all’interno dell’ASP di Reggio Calabria.

Quel che emerge è, dunque, la vocazione spiccatamente affaristico-imprenditoriale di una ‘ndrangheta silente, votata a raggiungere i propri scopi e a massimizzare le occasioni di profitto, facendo ricorso alla violenza solo se necessario. La struttura organizzativa della ‘ndrangheta si fonda su una base familiare coesa, derivante sia dai legami parentali interni all’organizzazione, sia dal senso di appartenenza accresciuto dal ricorso alle ritualità di affiliazione.

Un ruolo specifico in questo senso è svolto da quella che la Relazione definisce come una vera e propria attività di propaganda criminale, che colpisce in primo luogo l’immaginario collettivo dei giovani, e che attinge anche, in modo strumentale, alla simbologia religiosa. Questa impostazione vede, negli ultimi anni, una parziale inversione di tendenza dovuta alla crescita costante del numero dei collaboratori di giustizia interni alle cosche calabresi, un fenomeno che era residuale fino a qualche anno fa, e che ha consentito di eseguire una serie di misure restrittive nei confronti di appartenenti ai clan.

Uno dei veri punti di forza della ‘ndrangheta è rappresentato dalla capacità di tessere un ampio spettro di relazioni. Le cosche calabresi, ad esempio, “assicurano una sempre più solida affidabilità ai sodalizi criminali stranieri relazionandosi pariteticamente, da diversi decenni, con le più qualificate organizzazioni del narcotraffico sudamericano”. Il mercato degli stupefacenti, peraltro, non sembra aver subito flessioni nemmeno con le restrizioni sanitarie determinate dalla pandemia.

A ciò si aggiungono i rapporti con le altre organizzazioni mafiose e criminali italiane, improntati ad una collaborazione di tipo più utilitaristico e legata a situazioni contingenti, ma non per questo meno significativa (tra le operazioni più diffuse, ad esempio, quella delle truffe carosello). I rapporti esterni ‘ndranghetisti riguardano anche la cd. area grigia (politica, imprenditoria, mondo delle professioni, strutture burocratiche e amministrative). Sono legami centrali perché consentono ai clan di conseguire una serie di appalti e di commesse pubbliche, anche attraverso forme diffuse di corruzione. Per riprende le parole di Gratteri, infatti, “la ‘ndrangheta spara meno però corrompe di più, ha sempre rapporti con il mondo dell’imprenditoria e della politica”.

A dimostrazione di ciò vanno citati anche gli scioglimenti di consigli comunali in Calabria e i frequenti episodi di inquinamento elettorale che emergono dalle inchieste giudiziarie: non senza conseguenze perché, come noto, “la presenza della ‘ndrangheta nei contesti socio-territoriali dei territori di origine e di elezione rappresenta un ostacolo per lo sviluppo sociale ed economico di quelle aree dal punto di vista sia individuale che collettivo”.

Nei territori di non tradizionale insediamento, la ‘ndrangheta mostra una notevole capacità di adattamento ai contesti in cui opera, adottando una strategia di sommersione che spesso prescinde anche dal controllo del territorio. Al nord, la relazione elenca 46 locali di ‘ndrangheta attivi, di cui 25 in Lombardia, 16 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino-Alto Adige.

All’estero, l’insediamento avviene prediligendo quei territori caratterizzati da legislazioni “a maglie larghe” in cui, quindi, risulta più facile reinvestire i proventi delle attività illecite. Un segno delle capacità insediative all’estero è rappresentato “dai lunghi periodi di latitanza trascorsi dai boss calabresi fuori dal nostro Paese”.

 

ORGANIZZAZIONI MAFIOSE SICILIANE. La situazione nell’Isola si caratterizza per la compresenza sia di mafie autoctone che di mafie allogene, in un quadro articolato. Nel versante occidentale, in particolare, è egemone Cosa Nostra, anche se non si può negare il ruolo, soprattutto nella città di Palermo, ricoperto dai clan nigeriani. Nel versante orientale, invece, troviamo soprattutto la Stidda, affiancata anche da altre organizzazioni mafiose non riconducibili a Cosa Nostra, oltre anche qui la presenza della mafia di origine nigeriana.

La relazione si concentra anche sui rapporti che intercorrono tra queste organizzazioni, destinate evidentemente a occupare lo stesso territorio. La coesistenza tra queste strutture diventa, in alcuni casi e rispetto ad alcuni settori, anche convivenza, soprattutto se sul territorio le varie organizzazioni riescono a raggiungere accordi utilitaristici. Emerge, quindi, la predilezione per la conclusione di affari, rinunciando alla violenza.

Per quanto riguarda i sodalizi di origine centroafricana, forti soprattutto nella città di Palermo, la relazione segnala come questi abbiano oramai raggiunto una sorta di vantaggio competitivo rispetto alle altre organizzazioni in una serie di operazioni (compreso il traffico di stupefacenti, ma non solo: si fa riferimento anche alla tratta degli esseri umani e all’immigrazione clandestina).

La situazione di Cosa Nostra sconta, invece, ancora alcune difficoltà dovute alle costanti azioni giudiziarie di contrasto. In particolare, la struttura collegiale di vertice non risulta operativa e famiglie e mandamenti mafiosi faticano a recuperare terreno a causa della forte pressione di indagini, arresti e misure ablatorie contro il patrimonio.

In assenza della catena di vertice collegiale, e nell’ambito di una vera e propria crisi di leadership regionale e provinciale, si è affermato un modello di gestione di tipo orizzontale, che delinea le strategie generali e si occupa della risoluzione di problematiche varie. Il sistema delle reggenze che si è dovuto adottare ha comportato una inedita flessibilità nella definizione delle competenze territoriali di famiglie e mandamenti, che talvolta si risolvono anche in nuovi accordi e prefigurano nuovi equilibri di potere.

Tale approdo non è comunque stabile: quando, scontate le pene, ritornano nei territori i “vecchi” uomini d’onore, si manifesta quello che la relazione definisce come un vero e proprio gap generazionale con chi ha assunto nel frattempo ruoli operativi. La differenza di approccio potrebbe nel corso del tempo “polarizzare la dialettica tutta interna a cosa nostra e focalizzare in futuro risorse ed energie in lotte intestine”.

Sul piano delle attività, centrale rimane nelle strategie di Cosa Nostra il peso della pressione estorsiva, segno di un’indole parassitaria ancora molto forte, ben presente anche durante i mesi del lockdown. Un altro punto di grande attenzione è quello relativo agli enti locali, al centro delle strategie mafiose soprattutto per l’opportunità di drenare risorse pubbliche. In questo caso, l’azione criminale fa ricorso anche ai meccanismi corruttivi. Cosa Nostra continua a mostrare una spiccata capacità di colmare ogni vuoto che sia lasciato dallo Stato, sfruttando le difficoltà che vede crescere intorno a sé e speculando su aziende e comunità in crisi.

Specialmente nel periodo caratterizzato dall’emergenza pandemica, Cosa Nostra ha dispiegato elementi riconducibili al cd. welfare mafioso, in grado di accrescere il consenso sociale verso la propria organizzazione e di acquisire una sorta di riserva di disponibilità da utilizzare al momento opportuno: un vero e proprio investimento per garantirsi in futuro il perpetuarsi del controllo sociale e territoriale dell’isola.

Tra i settori al centro degli interessi mafiosi, va registrato anche quello dei giochi e delle scommesse online. Cosa Nostra, in particolare, riesce a sfruttare “società di bookmaker con sede formale all’estero (prive di autorizzazione ad operare in Italia) per offrire servizi ad una fitta rete di agenzie e punti gioco ubicati nel territorio siciliano”. Si tratta di un’attività altamente remunerativa che presenta un basso rischio di esposizione all’attenzione delle forze di polizia e garantisce da un lato un forte controllo del territorio e dall’altro il raggiungimento di un elevato potere economico.

Per quel che concerne, infine, il mercato degli stupefacenti, va rilevato come questo campo costituisca la principale forma di arricchimento per tutte le organizzazioni mafiose siciliane, le quali, in ogni caso, non sono particolarmente propense al traffico internazionale.

 

CAMORRE. La situazione criminale in Campania risulta caratterizzata, secondo la Relazione, da “stabili equilibri criminali consolidatisi nel tempo”. Accanto ai grandi cartelli si muovono alcuni gruppi minori; ciò avviene in coordinata coabitazione con i primi, in un quadro di coordinazione gestionale delle organizzazioni camorristiche introno agli obiettivi comuni.

La struttura camorristica, in particolare, appare come un sistema basato su stratificati e complessi livelli decisionali, caratterizzato da una fitta rete di relazioni e con una struttura consolidata sul territorio, dotata in particolare di un direttorio per il coordinamento dei gruppi subordinati. Si tratta di un intricato mosaico di clan o federazione di clan in grado di far sentire la propria presenza sul territorio.

A Napoli lo scenario mafioso è dominato da due grandi cartelli (l’Alleanza di Secondigliano e i Mazzarella), cui altri gruppi sono poi a vario titolo associati (seguendo le linee direttive da questi impartite, pur mantenendo una parte di autonomia). A Salerno, invece, lo spazio è occupato da tre grandi famiglie casalesi (Schiavone, Bidognetti, Zagaria).

L’attività camorristica è sempre più votata a farsi impresa; a questo fine utilizza una serie di strumenti quali corruzione, riciclaggio, intimidazioni ambientali, collusioni. Anche per evitare di attirare troppo l’attenzione delle forze di polizia, le organizzazioni mafiose campane hanno ridotto le occasioni di violenza che, quando avvengono, sono perlopiù rivolte ad attuare forme di epurazione interna.

La relazione, quindi, in parte smentisce la ricostruzione di un’attività camorristica incentrata su una sequela di scontri violenti per conseguire un asfissiante controllo del territorio. Questa tendenza riguarda soprattutto i grandi centri urbani, come Napoli, dove comunque si registrano modelli evoluti e moderni di espansione in cui la leadership è assunta da professionisti che assumono posizioni di controllo.

Si tratta di un trend evidenziato anche dal Procuratore Generale Riello, che ha parlato di “borghesia camorristica”, in un contesto nel quale la criminalità mafiosa campana viene ritenuta un soggetto affidabile con molte entrature nei mondi dell’imprenditoria, della politica, della pubblica amministrazione. In questo contesto un ruolo centrale è dato dalle pratiche corruttive, tenuto conto che i mafiosi generalmente si inseriscono in circuiti già caratterizzati da queste tipologie di problemi. La strategia perseguita dai clan camorristici è, dunque, quella di inabissamento, evitando contrapposizioni e scontri violenti, puntando sulle capacità affaristiche e ricercando il coinvolgimento e la collusione di professionisti, funzionari ed amministratori infedeli.

In questo senso, centrale per i clan è la capacità di assicurarsi il controllo degli appalti pubblici, potendo contare su ingenti risorse economiche e in grado così di operare una forma di concorrenza sleale nei confronti degli operatori economici “sani”. Per questo, particolarmente emblematici della pericolosità camorristica sono i casi di accesso e di scioglimento degli Enti locali per infiltrazioni mafiose.

Allo stesso tempo, l’attenzione criminale è rivolta anche alle imprese in crisi di liquidità: nelle situazioni in cui queste non sono in grado di fare ricorso al normale mercato del credito, intervengono le organizzazioni mafiose, con prestiti a tassi usurari. La predilezione per il campo degli affari e delle imprese è testimoniata anche dall’elevato numero di interdittive antimafia. Nel periodo di competenza della Relazione, dalla sola Prefettura di Napoli sono stati emessi 41 provvedimenti di questo tipo.

Tra i settori dell’economia legale maggiormente influenzati dalla presenza camorristica troviamo: il turismo, la ristorazione, la filiera agro-alimentare, il ciclo dei rifiuti, la sanità, le pulizie, la gestione di stabilimenti balneari, l’edilizia, i servizi cimiteriali e di onoranze funebri, i servizi di vigilanza, custodia e trasporto.

Anche sul piano delle attività illecite l’elenco è ugualmente lungo: traffico di sostanze stupefacenti, prestito a usura, estorsioni, commercio di prodotti contraffatti, contrabbando di TLE5, esercizio abusivo del gioco e delle scommesse, truffe assicurative, telematiche e in danno degli anziani, traffico di beni culturali, reati contro l’ambiente, frodi fiscali attuate mediante la commercializzazione di prodotti petroliferi e carburanti.

Nel corso degli anni, alcune inchieste giudiziarie sono state senz’altro in grado di determinare un depotenziamento di alcune strutture, che tuttavia non hanno portato al collasso delle organizzazioni criminali. Emerge, infatti, una straordinaria capacità di riorganizzazione a partire dalla ricerca di forme di coesione e di consenso interno ed esterno.

Su questo punto la relazione sottolinea il ruolo della propaganda criminale che viene svolta sia attraverso la strumentalizzazione della simbologia religiosa, sia con l’uso dei social network che diventano lo scenario in cui vengono esaltate le doti criminali dei singoli e dei gruppi, e in cui si veicolano nuove forme di alleanza. La continuità camorristica è, in ogni caso, assicurata anche dalla capacità dei boss privati della libertà personale di continuare a condizionare le decisioni esterne. Talvolta ciò avviene anche per soggetti sottoposti al regime di 41-bis, soprattutto attraverso l’uso di telefoni cellulari.

 

ORGANIZZAZIONI CRIMINALI PUGLIESI. Le mafie pugliesi costituiscono una “summa di varie realtà”, caratterizzate da altalenanti rapporti di alleanza o conflittualità, che esprime una certa eterogeneità interna. Lo scenario criminale pugliese viene definito come vivace, caratterizzato cioè da un’ampia gamma di relazioni.

Tra le attività che contraddistinguono la strategia mafiosa la DIA sottolinea la proiezione verso l’infiltrazione nell’economia legale, sfruttando tutte le opportunità aperte nei flussi finanziari e nel libero mercato. La vocazione di impresa politico-criminale si traduce nella ricerca costante di legami con la cd. area grigia, finalizzata ad esprimere una vera e propria governance imprenditoriale sul territorio.

La capacità di permeare in modo silente il tessuto economico (ciò che emerge dal numero di interdittive antimafia emanate soprattutto nei settori agricolo, commerciale, turistico) si salda con le forme di infiltrazione negli Enti locali, anche attraverso l’implementazione di sistemi corruttivi nelle amministrazioni pubbliche. In questo senso la relazione elenca i casi di accesso e di scioglimento dei Consigli Comunali, tra cui spicca il Comune di Foggia (oltre ad alcune realtà nel salentino).

Sul piano delle attività criminali in senso stretto, le mafie pugliesi si caratterizzano per la capacità di instaurare collegamenti con altre organizzazioni mafiose, sia nazionali sia estere. Vale per i clan foggiani, in rapporti con le ‘ndrine calabresi (soprattutto per il mercato degli stupefacenti) e con la camorra (anche per quel che riguarda il traffico illecito di rifiuti e il contrabbando di idrocarburi), e per la Sacra Corona Unita.

In generale, le organizzazioni mafiose attive in Puglia sono in grado di finanziarsi, oltre che con il traffico di stupefacenti, anche attraverso attività illecite di contrabbando. Un focus è dedicato anche alle mafie tarantine che appaiono proiettate verso forme più evolute di attività illegali. I rapporti criminali riguardano, poi, anche le organizzazioni straniere. In particolare, la Relazione sottolinea il ruolo delle mafie pugliese nel sovraintendere i flussi di droga che dall’Adriatico transitano per la Regione e vanno verso le piazze di spaccio nazionali ed estere. Emblematici sono, in particolare, i rapporti con le organizzazioni albanesi.

La struttura delle mafie pugliesi viene posta sotto la lente d’ingrandimento anche per la capacità di strutturare interconnessioni operative fra i sodalizi attivi nelle città pugliesi e tra essi e quelli gravitanti in provincia. In questo senso, la Relazione sottolinea la sinergia tra le 3 batterie della società foggiana “prodromica alla pianificazione e gestione delle attività illecite attraverso l’adozione di modelli tendenzialmente federali che consentono la condivisione degli interessi economico-criminali”. Una mafia, dunque, quella pugliese, eterogenea e vivace, ma in grado di trovare forme di unità d’intenti al proprio interno, caratterizzata da una pluralità di fronti su cui è attiva e da un elevato numero di interlocutori.

 

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA LUCANA. In Basilicata lo scenario criminale è caratterizzato dalla compresenza sia della cd. mafia lucana sia delle altre organizzazioni mafiose, tanto italiane (per la vicinanza geografica) quanto straniere. La loro presenza è sostanzialmente avallata dai clan locali, nella prospettiva che queste forme di collaborazione possono aiutare la crescita delle prospettive delinquenziali, specialmente nel settore degli stupefacenti. È il caso, ad esempio, dei cd. “diavoli rosarnesi”, vero e proprio clan di ‘ndrangheta attivo a Policoro e Scanzano Jonico (Mt).

Oltre al traffico di droga, altre attività illecite che nella Relazione vengono sottolineate sono quelle estorsive, lo sfruttamento del lavoro nero, il commercio di gasolio ad uso agricolo, lo smaltimento di rifiuti, i reati legati al gioco (attirando anche interessi calabresi e campani) e gli episodi di minacce, intimidazioni e danneggiamenti a danno di rappresentanti delle Istituzioni, dipendenti pubblici e imprenditori. Si dimostra, quindi, quanto siano centrali le operazioni volte a condizionare l’operato degli Enti locali e a inquinare il tessuto economico regionale (confermato anche dal numero di interdittive).

La realtà criminale lucana va distinta in tre zone: quella materana, dove la situazione è paragonabile alle zone ad altissima densità mafiosa (es. napoletano, casertano, Calabria); quella metapontina dove operano gruppi interessati ad attività imprenditoriali nei settori della produzione e commercio di ortofrutta, del turismo e dell’edilizia e dove si registrano anche nuove aggregazioni e il contributo di cd. “nuove leve”; quella potentina, dove è prevalente la mimetizzazione nel contesto economico attraverso l’inquinamento di attività lecite.

Secondo la Relazione, la mafia lucana è orientata all’imitazione dei modelli strutturali delle più progredite organizzazioni criminali con forme più qualificate di infiltrazione dell’economia legale e degli ambiti politico-amministrativi.

 

LE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI STRANIERE. La Relazione analizza la presenza e l’attività delle varie organizzazioni criminali di origine straniera operanti nel territorio italiano; in particolare, vengono prese in esame le organizzazioni: albanesi, nigeriane, cinesi, romene, sudamericane, balcaniche, nord e centro africane, mediorientali e del sud est asiatico.

Per alcune di queste si può parlare di vera e propria struttura mafiosa: è il caso dei cults nigeriani, delle strutture criminali cinesi e di un sodalizio di matrice romena. A seconda della provenienza geografica, le varie organizzazioni presentano delle caratteristiche diverse, anche se sono comunque presenti forme di interazione tra di loro e con i clan di origine italiana. Nello specifico, al centro-nord le organizzazioni criminali straniere entrano in un rapporto di paritetica interazione con i gruppi mafiosi locali, mentre al sud prevale la subordinazione a questi ultimi. Non mancano, in ogni caso, le situazioni in cui i gruppi etnici conquistano forme di maggiore autonomia: è quello che sta avvenendo in Sicilia ad opera dei cults nigeriani.

Tra le attività maggiormente redditizie, spicca il traffico di droga, a cui si affianca la tratta degli esseri umani, l’organizzazione dell’immigrazione clandestina, lo sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero, l’accattonaggio. L’emergenza pandemica ha senz’altro ridotto gli ingressi in Italia e si è registrata anche una contrazione di quasi tutte le forme di delittuosità. In controtendenza sono tuttavia i numeri relativi ai reati informatici, un terreno in espansione e da tenere monitorato.

In ogni caso, rimane forte la capacità di penetrazione sociale, soprattutto nelle fasce sociali più deboli: anche le organizzazioni criminali straniere, caratterizzate da un approccio globale e da ampia disponibilità di liquidità, tendono ad approfittare delle situazioni di fragilità, sfruttando le occasioni di reclutare chi si trova nella necessità di provvedere ai bisogni primari.

 

APPALTI PUBBLICI. La relazione dedica un approfondimento al tema degli appalti pubblici. La DIA, nello specifico, svolge un ruolo attivo e di supporto ai Prefetti soprattutto per il rilascio della documentazione antimafia, vero e proprio presidio di legalità rispetto alle operazioni di riciclaggio, alle erogazioni di fondi pubblici e al controllo sull’affidabilità e l’integrità delle scelte della Pubblica Amministrazione. Centrale è il ruolo della Banca Dati Nazionale unica della documentazione Antimafia (BDNA) che consente agli addetti ai lavori di avere una cognizione ad ampio spettro e aggiornata della posizione antimafia delle imprese.

In tema di documentazione antimafia, inoltre, la relazione analizza le novità introdotte con il DL 152/2021 (qui una sintesi). Nell’ambito degli appalti pubblici, le mafie (assimilabili, secondo la DIA, a veri e propri gruppi societari), si inseriscono sia tramite imprese a loro affiliate o “vicine”, sia nel ruolo diretto di contraente dei committenti pubblici, sia in quello di sub appaltatore o di sub contraente.

Le occasioni di infiltrazione mafiosa coprono uno spettro a 360°: dalla fase di programmazione e progettazione, alla fase di esecuzione dell’appalto (imprese mafiose, varianti in corso d’opera) passando per la predisposizione del bando di gara. Centrale in tutte queste operazioni è il ruolo della corruzione. La relazione pone inoltre l’accento anche sul meccanismo della cd. “rotazione illecita” che permette di pilotare le offerte verso il massimo ribasso.

Per quel che concerne l’attività di monitoraggio eseguita nel corso del primo semestre 2021, la DIA ha focalizzato la propria attenzione sulle procedure di affidamento ed esecuzione degli appalti specialmente sui grandi lavori inerenti alle “Disposizioni urgenti per la città di Genova”, alla “Ricostruzione post sisma 2016” e alle cd. “Grandi opere”.

Sono state 933 le imprese monitorate (+19% sul primo semestre 2020), 11.597 gli accertamenti su persone fisiche a vario titolo collegate alle imprese e 39 i cantieri ispezionatiI provvedimenti antimafia interdittivi emessi dagli Uffici Territoriali del Governo, nel primo semestre 2021, sono stati 455, in crescita del 18,49% rispetto allo stesso periodo del 2020.

 

LA PREVENZIONE DEL RICICLAGGIO. La DIA svolge, inoltre, un ruolo di primo piano anche nell’analisi e nell’approfondimento investigativo delle segnalazioni di operazioni sospette (s.o.s.) al fine di prevenire l’utilizzo del sistema economico-finanziario a scopo di riciclaggio.

Nel corso del primo semestre 2021 la Direzione Investigativa Antimafia ha proceduto all’analisi di 68.534 segnalazioni che ha comportato l’esame di 690.030 posizioni segnalate o collegate di cui 482.620 persone fisiche e 207.410 giuridiche correlate a 863.346 operazioni finanziarie sospette. Tra queste sono state selezionate 11.915 segnalazioni di interesse della DIA, 2.459 delle quali di diretta attinenza alla criminalità mafiosa e 9.456 riferibili a fattispecie definibili reati spia/sentinella. La maggior parte delle segnalazioni sono state effettuate dagli enti creditizi (46% circa) e dagli istituti di moneta elettronica (28% circa); in crescita, inoltre, i punti di contatto di istituti di pagamento comunitario (dallo 0,01% del primo semestre 2020 al 15% del primo semestre 2021).

Sul piano geografico, Il maggior numero delle segnalazioni sospette potenzialmente attinenti alla criminalità organizzata risulta effettuato nelle regioni settentrionali (37%), seguite da quelle meridionali (29%), centrali (24%) e insulari (9%). Tra le regioni coinvolte, in testa si trova la Campania, seguita a stretto giro da Lombardia e Lazio.

 

CONCLUSIONI. Anche nel primo semestre 2021, le organizzazioni mafiose consolidano la tendenza ad occupare il mercato legale, specialmente in quegli ambiti imprenditoriali che risultano più fruttuosi per le attività di riciclaggio delle ingenti risorse liquide accumulate principalmente grazie al traffico di stupefacenti, all’usura e alle estorsioni. Sul piano delle attività illecite, inoltre, si confermano le forme di collaborazione tra organizzazioni mafiose di diversa matrice.

La relazione dedica un’attenzione particolare agli interessi mafiosi in tema di appalti pubblici. In quest’ambito è frequente il ricorso a meccanismi corruttivi e il dispiegamento di relazioni utilitaristiche per infiltrare le amministrazioni locali. La direzione è anche quella di estendere la capacità di controllo del territorio, accumulando consenso sociale laddove le occasioni di inquinamento degli appalti si traducono, ad esempio, in posti di lavoro distribuiti in ottica di fidelizzazione. Il tutto avviene con la complicità della cd. area grigia.

La relazione pone, inoltre, l’accento sulle mire mafiose che prevedibilmente interesseranno i fondi del PNRR. L’uso della violenza, d’altro canto, appare residuale: prevale per le organizzazioni mafiose l’opera di silente penetrazione del tessuto economico, con una strategia di mimetizzazione.

L’evoluzione mafiosa tocca, oggi, anche le moderne tecnologie: in particolare, è rivolta verso tutti quegli strumenti che permettono un rapido e invisibile passaggio di denaro; la relazione così evidenzia il ricorso a pagamenti effettuati con criptovalute quali i Bitcoin e più recentemente i Monero che non consentono il tracciamento e sfuggono al monitoraggio bancario.

Sul piano dei reati commessi, nel primo semestre 2021 è in calo quello di associazione mafiosa, mentre cresce l’associazione per delinquere semplice (al nord) e i tentati omicidi di matrice mafiosa (al sud). Per quel che concerne i delitti connessi con la gestione illecita dell’imprenditoria, sono in calo tutti i reati di corruzione, concussione, induzione indebita, riciclaggio e traffico di influenze illecite, mentre cresce (soprattutto al sud) il numero di reati relativi alla turbata libertà degli incanti. Tali dati, in ogni caso, non possono essere ricondotti esclusivamente al semestre di riferimento, in quanto costituiscono l’esito di operazioni e indagini generalmente condotte sul medio-lungo periodo. Sul piano delle estorsioni, infine, si segnala un incremento, che riguarda soprattutto il Nord: ciò a dimostrazione della propensione delle mafie a occuparsi dei territori con maggiori prospettive di crescita.

La relazione riporta anche le parole del Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, che ha precisato, nella sua relazione annuale, che si assiste “da un lato alla diminuzione delle istanze al Fondo di solidarietà da parte di vittime di estorsione e, dall’altro, nonostante le difficoltà operative riconducibili all’emergenza pandemica, ad un significativo incremento dell’ammontare delle somme concesse dal Comitato”.

(a cura di Marco De Pasquale)