Premessa. La Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo ha diffuso la propria Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo luglio 2014 – giugno 2015, illustrata nel corso di un’audizione presso la Commissione antimafia. Di seguito viene sintetizzato il capitolo dedicato a Cosa nostra.

Una costante vitalità in una fase di transizione. La Direzione Nazionale Antimafia non concorda con le analisi svolte da altri osservatori che descrivono Cosa nostra destinata a inesorabile declino e in preda ad una cosiddetta “camorrizzazione”.  Descrive invece l’organizzazione siciliana come pervasa da una “costante vitalità”, tanto nel suo centro decisionale e operativo (Palermo) quanto in altre province, Trapani e Agrigento su tutte.  Resta centrale il “carattere di unitarietà dell’organizzazione” tanto che “le indagini dimostrano il continuo e costante tentativo di fare risorgere le strutture centrali di governo dell’organizzazione criminale” con particolare riferimento alla Commissione provinciale di Cosa nostra a Palermo, inteso come “organo di direzione dell’intera organizzazione”.

Una vitalità che non cancella lo stato di “grave crisi” dovuto alle attività investigative condotte nell’ultimo decennio e che hanno colpito “in maniera strutturale” l’organizzazione mafiosa. Dopo la fine della strategia della “sommersione” voluta da Bernardo Provenzano, oggi Cosa nostra  “continua a vivere una fase di transizione, non soltanto sotto il profilo della scelta di una nuova leadership ma anche sotto il profilo della ricerca di nuovi schemi organizzativi e di nuove strategie operative”.

C’è un passaggio della Relazione che si sofferma sul funzionamento dell’organizzazione mafiosa in tempo di crisi. “Va ribadito ancora una volta anche in questa sede come Cosa Nostra appaia dotata di una sorta di ‘costituzione formale’ e di una sua ‘costituzione materiale’. In alcuni momenti storici ha contato di più la sua costituzione materiale, nel senso che il governo dell’organizzazione è stato retto secondo le scelte dei capi ed a prescindere dal rispetto delle regole. Nel momento in cui l’azione investigativa dello Stato ha portato alla cattura di tali capi, se la cosiddetta costituzione materiale dell’organizzazione è entrata in crisi, la costituzione formale di Cosa Nostra ha ripreso importanza e tutt’ora consente alla struttura di sopravvivere anche in assenza di importanti capi riconosciuti in stato di libertà. Il ricorso alle vecchie e mai abrogate regole di vita dell’organizzazione consente, dunque, alla stessa di sopravvivere in momenti di crisi come l’attuale”.

La cooperazione delle famiglie di Palermo. La DNA analizza la strategia adottata dal centro decisionale e operativo di Cosa nostra a Palermo: “Una cooperazione di tipo orizzontale tra le famiglie mafiose volta a garantire la continuità della vita dell’organizzazione ed i suoi affari. Tra questi in particolare devono segnalarsi un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei ‘giochi’, sia di natura legale che illegale”. Se un mandamento è colpito da operazioni di polizia giudiziaria, viene svolta una “funzione vicaria degli assenti” da parte di esponenti di altre famiglie. Un superamento, sottolinea la DNA, del “tradizionale, strettissimo, legame dei mafiosi con il territorio”.

In merito al ritorno sulla scena di personaggi già condannati per 416-bis (associazione mafiosa) la DNA interroga il legislatore sull’opportunità di introdurre “un meccanismo sanzionatorio particolarmente rigoroso” per le ipotesi accertate di reiterazione del delitto di associazione mafiosa, allo scopo di evitare che “appartenenti all’organizzazione mafiosa dopo una prima condanna, tornino a delinquere reiterando in tal modo la capacità criminale propria e dell’organizzazione”.

La struttura e gli affari sul territorio. A Palermo, più precisamente nei mandamenti occidentali, l’attività di Cosa nostra si è dedicata ad una riorganizzazione resasi necessaria dopo l’opera di repressione condotta dalle forze dell’ordine e dalla magistratura. A livello di ‘affari’ l’organizzazione ha continuato a estorcere denaro attraverso l’imposizione del pizzo ad attività commerciali e ad imprese impegnate in lavori pubblici. Ha mantenuto i canali di infiltrazione nel tessuto sano dell’economia per riciclare i proventi illeciti.  “Si è anche registrato un notevole incremento del traffico di sostanze stupefacenti che essendo altamente remunerativo, assicura una immediata e ingente disponibilità economica necessaria soprattutto per il sostentamento delle famiglie dei numerosissimi detenuti” evidenzia la DNA. Dal punto di vista strutturale il territorio resta diviso in 15 mandamenti, 8 nel capoluogo e 7 nella provincia.

Nella provincia di Agrigento, dove si registrano infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni, la presenza di Cosa nostra resta “massiccia ed invasiva”. Il controllo del territorio si manifesta attraverso la gestione delle attività già elencate nel caso palermitano “e la sistematica pratica della occupazione imprenditoriale in tutti i settori delle opere costituiscono ancora il sistema più diretto e remunerativo per garantire ai coassociati ed all’intera organizzazione il raggiungimento degli scopi criminali tipici”. I mandamenti agrigentini mantengono rapporti storicamente e giudiziariamente accertati con consorterie mafiose che operano nell’America del Nord. Uscita vincitrice dal conflitto con le organizzazioni appartenenti alla cosiddetta Stidda, Cosa nostra resta un punto di riferimento “per la risoluzione di piccole e grandi controversie, tanto che sono radicati i comportamenti omertosi e di scarsa collaborazione con le forze dell’ordine, anche in occasione di gravi fatti delittuosi”. Fondamentale resta la collaborazione con la politica, in particolare con soggetti in grado “di dirigere, coordinare o intervenire in attività amministrative ed economiche ritenute di interesse per l’associazione mafiosa”. Oltre che nelle imprese di costruzione, si registrano interessi dell’organizzazione anche verso il settore della grande distribuzione e delle energie alternative.

Nella provincia di Trapani l’organizzazione mafiosa opera in continuità con i mandamenti palermitani. Cosa nostra resta “capillarmente radicata sul territorio ed in grado di condizionare pesantemente la realtà sociale, economica ed istituzionale”. L’alleanza di Cosa nostra trapanese con quella palermitana, risalente ai tempi di Totò Riina, era e resta così solida “da ricondurre i due sodalizi criminosi quasi sotto un’unica realtà criminale”. “Detta vicinanza – si legge nella Relazione –  si è rafforzata soprattutto dopo l’assunzione da parte di Matteo Messina Denaro del ruolo di rappresentante dell’intera provincia di Trapani, atteso che in territorio palermitano il Messina Denaro ha avuto da sempre solidi rapporti e precisi punti di riferimento, anche nella pericolosa cosca di Brancaccio”. Le famiglie mafiose sul territorio risultano essere 17 e operano in 4 mandamenti (Trapani, Alcamo, Castelvetrano e Mazara del Vallo). I rapporti dalle varie compagini sono oggi contrassegnate da una sorta di “pace” dovuta a due fattori: 1) lo sfaldamento delle strutture militari, colpite dalle attività investigative; 2) la capacità imprenditoriale di Cosa nostra trapanese che, sotto la guida di Messina Denaro, ha da tempo deciso di “indirizzare i propri interessi verso forme di guadagno e di reinvestimento apparentemente lecite, manifestando grande capacità di diversificazione dei suoi interessi verso forme nuove di investimento” nel settore dei subappalti, nel sistema delle forniture e della produzione e distribuzione degli inerti nel ramo dell’edilizia pubblica e privata, nell’indotto derivante dagli impianti di produzione di energie alternative “che hanno beneficiato di particolari forme di finanziamento pubblico agevolato”. Restano in piedi gli ‘affari’ legati a estorsioni, traffici di rifiuti e stupefacenti. Secondo uno studio della Fondazione Chinnici il racket costa alla Sicilia 1,3 punti percentuali del PIL.

Nella provincia di Messina la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto “presenta una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quella di Cosa nostra palermitana”. Per quanto concerne il territorio della cosiddetta “fascia tirrenica” le sentenze della magistratura “hanno riscontrato che il controllo pieno ed incondizionato del settore degli appalti pubblici ha costituito per anni il principale obiettivo della mafia barcellonese”. Sul settore jonico le organizzazioni del messinese intrattengono maggiori rapporti con la ‘ndrangheta e con Cosa nostra catanese. Più nel dettaglio a Messina gli interessi della locale criminalità organizzata si sono rivolti al riciclaggio dei proventi illeciti derivanti da traffico di stupefacenti e racket, allo scopo di creare “una vera e propria imprenditoria mafiosa, capace di realizzare con l’intimidazione forme di monopolio di importanti settori economici e di alterazione delle regole di mercato”.

Nelle province di Caltanissetta ed Enna si registrano “eventi di matrice mafiosa, strumentali al rafforzamento delle gerarchie e del predominio sul territorio dell’organizzazione stessa. Parallelamente, la Stidda continua a conservare influenza nei comprensori di Gela e Niscemi, spesso operando in accordo con le famiglie di Cosa Nostra presenti nello stesso territorio, con le quali si divide i profitti derivanti dalle attività illecite praticate, prime tra tutte le estorsioni, il traffico degli stupefacenti, l’usura e il controllo degli appalti”. Nella provincia di Catania opera “un insieme di gruppi organizzati ed internamente strutturati secondo una dimensione gerarchica, che perseguono programmi di intensa ramificazione di interessi di tipo criminale in ambiti territoriali più o meno ampi”. In merito ai rapporti tra le cosche catanesi e quelle palermitane, la DNA sottolinea il tentativo in corso da anni, sponsorizzato da alcune famiglie palermitane, di creare una seconda famiglia che possa soppiantare i Santapaola, clan ‘storico’ operante sul territorio.

 

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)