Premessa. La quarta edizione del Rapporto Mafie nel Lazio, realizzato dall’Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio, prende in considerazione il periodo che va dal 1°gennaio al 31 dicembre 2018 (per l’edizione precedente del Rapporto clicca qui).

LE MAFIE “TRADIZIONALI” NELLA CAPITALE

Nella fase introduttiva del Rapporto, come nelle precedenti edizioni, si sottolinea la storica presenza delle organizzazioni mafiose “tradizionali” sul territorio regionale e nella città di Roma. Relativamente a Cosa nostra, si evidenzia come importanti esponenti di famiglie siciliane abbiano deciso negli ultimi anni di trasferirsi in pianta stabile nella Capitale. L’operazione “Druso – Extra fines” ha fatto emergere uno scenario imprenditoriale che sottolinea la dinamicità di famiglie storicamente legate a Cosa nostra attive sul territorio di Roma. In particolare i Guttadauro – imparentati con il latitante Matteo Messina Denaro – e i Rinzivillo avrebbero stretto un accordo di collaborazione per la gestione del mercato ittico, con riflessi sull’economia locale e nazionale. Un accordo favorito anche dalle reti di conoscenza nel mondo imprenditoriale e della ristorazione su cui possono contare in Italia e all’estero sia Francesco Guttadauro che Salvatore Rinzivillo. Ramificazioni del clan Rinzivillo emergono anche relativamente al Centro Agroalimentare (CAR) di Guidonia.

“I Rinzivillo esercitavano sugli imprenditori un’estorsione complessa, imponendo forniture e bloccando i prezzi, applicando il metodo mafioso nel recupero di asseriti crediti…Fra i destinatari delle pressioni esercitate dal clan anche uno degli imprenditori che gestiva un esercizio commerciale molto importante a Roma, il Caffè Veneto. Intercettazioni, pedinamenti e indagini documentano intimidazioni e minacce a cui il titolare è stato sottoposto nel tempo”.

Dalle indagini emerge purtroppo anche una rete di fiancheggiatori dei Rinzivillo tra esponenti delle forze dell’ordine, usati come “scudo” per proteggersi dalle indagini e occultare capitali all’estero. “L’indagine che fotografa la presenza romana dei Rinzivillo è una cartina di tornasole del processo di consolidamento di una nuova Cosa nostra, ancora sorretta dai riferimenti di importanti famiglie di mafia ma che ha fatto precise scelte sul presente: mimetizzarsi con il tessuto socio-economico, tessere relazioni con i professionisti romani e con i siciliani trasferiti a Roma, usare la riserva di violenza da tutti riconosciuta loro”.

In riferimento alla ‘Ndrangheta, si sottolinea come non vi sia attualmente prova dell’esistenza di “locali” – formazioni operative presenti fisicamente sul territorio – all’interno della città di Roma “ma al contempo la presenza e l’operatività delle cosche calabresi nella Capitale è fra le più insidiose per il futuro della città”, questo perché le ‘ndrine che operano sul territorio romano hanno alle spalle le famiglie della provincia di Reggio Calabria, le più potenti dell’intera organizzazione criminale. In particolare sono entrati nella gestione degli appalti in accordo con alcuni esponenti di punta della criminalità locale.

Le inchieste che si sono succedute nel corso degli anni riflettono una “storiografia criminale” delle ‘ndrine che, a partire dagli anni Novanta, ha avuto come fine principale quello di reinvestire sul territorio della Capitale gli elevatissimi proventi frutto dei numerosi traffici illeciti che la vedono protagonista – stupefacenti su tutti – senza però stabilire “le locali”, come invece è stato fatto nelle modalità di penetrazione e radicamento utilizzata nel Nord Italia, in particolare Lombardia e Piemonte.

La ‘ndrangheta a Roma è una organizzazione strutturata e flessibile, in grado di adattarsi alla realtà locale, mantenendo logiche e riti di affiliazione arcaici. Il Rapporto evidenzia “il ruolo rivestito nella Capitale dal clan Filippone di Melicucco, punto di riferimento per il narcotraffico di importanti sodalizi criminali nella Capitale nell’area di Montespaccato, come la famiglia Sgambati, il clan Casamonica, il gruppo Esposito radicato a Nettuno e San Basilio e altri clan della ‘ndrangheta come i Gallace da decenni radicati in Anzio, Nettuno ed Ardea”. Dal punto di vista del reinvestimento di capitali illeciti, le ‘ndrine a Roma non si muovono per aree ma seguono “il perimetro economico che stabilisce i confini fra un buon affare con minimo rischio e un investimento minore con il massimo rischio, da lasciare eventualmente alle ‘piccole mafie’ di Roma. Sia in un caso che nell’altro si tratta di investimenti che hanno un effetto moltiplicatore che soltanto la Capitale è in grado di generare”.

Per quanto concerne invece le Camorre, nel Rapporto si sottolinea la presenza di alcuni clan di “derivazione camorristica” e di relazioni con gruppi definiti “autonomi”. Viene citato su tutti il gruppo Vitagliano, in stretto contatto con ambienti criminali di Napoli, in grado di “colonizzare” attraverso numerose acquisizioni immobiliari e nel campo della ristorazione il quartiere Tiburtino, riciclando denaro del clan camorristico Amato-Pagano.

LE “PICCOLE MAFIE” DI ROMA

Il complesso scenario criminale della Capitale – accanto alle citate presenze delle cd. mafie storiche – si declina nelle manifestazioni di potere e interessi di altri gruppi autonomi che si avvalgono del metodo mafioso. Sono “piccole mafie” – romane e straniere – che con i gruppi più strutturati di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra intrattengono rapporti, così come con la malavita comune, con narcotrafficanti e broker, arrivando ad interfacciarsi con amministratori locali e professionisti.

I Casamonica. Il gruppo di origine sinti opera sul territorio da decenni: “Un gruppo composto da diverse famiglie: Casamonica, Di Silvio, Di Guglielmo, Di Rocco e Spada, Spinelli, tutte strettamente connesse fra loro sulla base di rapporti fra capostipiti, a loro volta sposati con appartenenti alle varie famiglie. Complessivamente parliamo di un migliaio di persone operanti illegalmente a Roma”.

I Casamonica hanno attraversato gli ultimi decenni, coltivando rapporti con tutte le mafie storiche, mantenendo il controllo di vari business illegali. La loro origine sinti crea un “isolamento linguistico” che rende complicata la conoscenza delle comunicazioni interne da parte degli investigatori. Una mafia autoctona con una forte tenuta interna, che ha garantito il rispetto delle regole e che ha permesso al brand “Casamonica” di essere riconoscibile sul territorio romano.

Sequestri di droga nella regione

Un clan impunito fino alle inchieste del 2017, che hanno fatto emergere anche alcune crepe interne ad una “galassia organizzata per cerchi concentrici” e che vede il proprio fortino nelle zone della Romanina – dove controllano il territorio e le piazze di spaccio secondo un modello organizzato con vedette e sistemi di difesa passiva – e di Porta Furba al Quadraro. I legami con gli Spada consentono loro di estendere la propria influenza e l’utilizzo del metodo mafioso anche in altri territori, tra cui Castelli Romani, Ciampino e Grottaferrata. I Casamonica sono fin qui stati in grado di esercitare un controllo del territorio molto efficace, incutendo un forte timore nella popolazione, tanto da portare vittime e testimoni delle loro attività illecite non solo a ritrattare o negare certi addebiti, ma ad informare puntualmente il clan delle attività investigative. Una forza e un potere di cui il gruppo criminale è ben consapevole.

“Questi ed altri gruppi fondano il loro potere criminale sul fatto di controllare porzioni di territorio, lo facevano loro a Porta Furba, lo abbiamo visto ad Ostia con gli Spada e i Fasciani, lo abbiamo visto a Montespaccato con i Gambacurta. È una costante di questi gruppi che operano nelle zone periferiche e semi periferiche della città di fondare il loro potere criminale sul controllo del territorio alla stregua di tutte le altre organizzazioni di stampo mafioso, anche quelle storiche” ha dichiarato il magistrato della DDA di Roma Michele Prestipino.

La situazione di Ostia. “Ostia è un ambiente particolarmente complesso, uno scacchiere criminale. Sul territorio operano simultaneamente diversi gruppi: gli Spada, i Triassi, i Fasciani, oltre ad una miriade di clan minori. Che a seconda delle circostanze stringono alleanze tra di loro oppure si scontrano. E quando avvengono queste frizioni abbiamo gambizzazioni oppure omicidi… In questo contesto le più grandi attività economico-criminali del litorale sono il traffico di stupefacenti e la gestione degli stabilimenti balneari” spiega il capitano Gianluca Ceccagnoli, comandante della seconda sezione del nucleo investigativo del Gruppo di Ostia.

Il quadro sopra delineato è rimasto costante negli ultimi tre decenni: Ostia si presenta come il territorio in cui “si stipulano accordi che valgono per tutta la Capitale” e si cementano alleanze, si custodiscono segreti sul cosiddetto “oro di Ostia”, la gestione degli stabilimenti balneari. Le famiglie dominanti sul territorio, a cui è stato contestato a livello giudiziario il 416bis (l’associazione mafiosa), sono gli Spada e i Fasciani. In un primo momento la decapitazione dei secondi, a seguito di attività investigative, ha fatto crescere l’importanza e la capacità di penetrazione degli Spada, persino nell’ospedale locale, secondo quanto riferito durante i processi dai (pochi) testimoni di giustizia. Negli ultimi due anni le attività investigative hanno fortemente colpito anche il clan Spada.

“Ogniqualvolta andiamo a prendere testimonianze nei confronti di uno qualunque dei soggetti della famiglia Spada – ha dichiarato il sostituto commissario Antonio Franco Aloisio della squadra mobile di Roma – Abbiamo di fronte un muro di omertà spaventoso. Le persone, i testimoni che noi ascoltiamo preferiscono essere denunciati per favoreggiamento personale oppure arrestati, ma non vogliono assolutamente parlare o riferire di cose sul gruppo Spada”.

“Nel 2018 mentre i boss del litorale sono in carcere, in molti si attivano per avanzare sul mare di Roma. ‘L’oro di Ostia’ fa gola ancora a tanti ma il quartiere, rispetto ad altre periferie, è sotto il controllo continuo delle forze dell’ordine e le prime mosse dei boss vengono intercettate dagli investigatori che il 23 ottobre del 2018 mettono a segno l’operazione Maverick. L’indagine dei carabinieri ha portato alla richiesta di 42 misure cautelari per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, sequestro di persona a scopo di estorsione ed altri reati. Nell’informativa i carabinieri di Ostia hanno evidenziato come il gruppo criminale avesse rapporti con i Fasciani, con gli Spada e con altri gruppi mafiosi”.

Il Rapporto fa cenno anche alla situazione di Acilia, frazione densamente popolata dove opera un gruppo criminale guidato da Sandro Guarnera, grazie anche da un accordo con alcune organizzazioni albanesi attive sulla Capitale e nella zona dei Castelli. Tale gruppo gestisce il narcotraffico, fa affari con le sale da gioco, l’usura e l’estorsione. Tale è la forza del gruppo nella zona, da eliminare la concorrenza rappresentata dagli uomini di Antonio Iovine, boss del clan dei Casalesi, che controllava sul territorio il gioco d’azzardo.

Il narcotraffico nella zona di Roma. Il sistema della centinaia di piazze di spaccio operative nella Capitale è diviso tra piazze chiuse (uso di sentinelle, ostacoli mobili e fissi, utilizzo di telecamere ed edifici), come quelle di Tor Bella Monaca, Romanina, San Basilio, Ponte di Nona e Tufello, e piazze aperte come quella del Pigneto, caratterizzata dallo spaccio dislocato nelle strade e nei vicoli.

I Gambacurta a Montespaccato, Nicitra a Roma Nord. L’area di Montespaccato, a ridosso del Grande Raccordo Anulare e sita in una zona isolata dal resto della città per le poche via d’accesso, si presenta come un terreno ideale per alimentare traffici illeciti ed è un territorio dominato da Franco Gambacurta, profilo emerso già nell’inchiesta “Mondo di Mezzo” meglio conosciuta come Mafia Capitale, e dalla famiglia Sgambati. “La particolare violenza con cui gli associati operano è tale da avere impedito qualsiasi forma di reazione (i pochi tentativi di insubordinazione o anche i semplici ritardi nei pagamenti sono stati affrontati con una durezza che rasenta la ferocia) ed assicurare un controllo assoluto su una importante zona di Roma, di fatto sottoposta ad una sorta di giurisdizione esclusiva del clan. Alla famiglia Gambacurta si rivolgono alcuni abitanti del quartiere per risolvere problemi che di regola vengono affrontati davanti al giudice civile”. Inchieste come Tempio ed Hampa hanno evidenziato il dominio delle due famiglie sull’area e i legami creatisi anche con esponenti di ‘ndrangheta e camorra.

Analogo dominio viene esercitato nella zona di Roma Nord da Salvatore Nicitra, arrestato nell’ambito dell’inchiesta Hampa, con l’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Nicitra è un personaggio cresciuta “all’ombra della Banda della Magliana”, già descritto nella sentenza-ordinanza a carico della Banda come “amico di Franco Giuseppucci e referente di Enrico De Pedis per la commercializzazione della droga nella zona di Pimavalle, il quale per la sua capacità di gestire il gioco, venne anch’egli arruolato nella banda per conduzione di circoli privati”. Gli investigatori lo considerano attualmente una sorta di “saggio che controlla gli equilibri criminali di Roma Nord”.

Nuovi modelli criminali. “Da un punto di vista strettamente criminale alcune periferie rischiano di diventare lo spazio di sperimentazione di nuovi modelli criminali. Si tratta di aree in cui la convivenza fra diversi gruppi criminali, spesso di natura differente, può generare nuovi organismi criminali di cui non siamo in grado di prevedere forza, caratteristiche e complessità. L’apprendimento del cosiddetto metodo mafioso più volte denunciato dal procuratore aggiunto Michele Prestipino è il primo gradino di questa contaminazione fra criminalità organizzata e criminalità mafiosa. E – ancora più precisamente – fra singoli criminali, malavita locale, killer di professione e mafiosi consolidati”.

La camorra romana. “L’operazione Luna Nera che lo scorso anno portò a processo alcuni imprenditori che avevano messo in piedi una associazione a delinquere usando un metodo mafioso nel commettere reati fra i quali l’usura e il recupero crediti abusivo, è uno dei risultati di questa contaminazione che ha generato una risposta autoctona in senso criminale ad una domanda di economia illegale. Un gruppo di imprenditori, una sorta di borghesia criminale romana, aveva messo in piedi traffici illeciti usando un metodo mafioso, interagendo con alcune formazioni criminali e con singoli soggetti della malavita locale ma non aggregandosi a nessuna di esse. Va in questa direzione anche la nascita di quella che abbiamo definito come camorra romana: una nuova forma criminale di stampo mafioso, nello specifico camorristico, che ha avuto origine nella camorra campana ma che arrivata sul territorio romano ha assunto i tratti di un gruppo autonomo. Anche questa è una reazione peculiare della città di Roma nell’interazione con un clan importato”.

LA PROVINCIA DI ROMA

Presenze di organizzazioni criminali che usano il metodo mafioso sono sparse in tutto il territorio della provincia di Roma. Ad Ardea operano i Fragalà, famiglia di origine catanese insediatasi sul territorio fin dagli anni Settanta, dedita alla gestione del credito, all’usura e all’estorsione. Controlla anche il traffico di stupefacenti in collaborazione con altre strutture criminali. I territori tra Anzio e Nettuno vengono indicati come un “laboratorio” delle interazioni fra strutture criminali di stampo mafioso: dalla ‘ndrangheta al clan dei Casalesi, fino alla malavita romana. Non solo la gestione del narcotraffico, ma anche l’inquinamento delle Pubbliche Amministrazioni, come dimostra lo scioglimento del Comune di Nettuno per infiltrazioni mafiose già nel 2005.

Analoghi intrecci tra malavita locale, criminalità romana e mafie tradizionali viene segnalata nella zona di Tivoli, anche per l’estrema vicinanza con il territorio della Capitale. Nella zona sud della provincia, al confine con quella di Latina, si evidenzia la situazione di Aprilia, polo industriale dell’agro pontino, la cui presenza criminale è segnalata dalle varie Commissioni parlamentari antimafia fin dai primi anni Novanta. “Le indagini relative alla strage di Duisburg avvenuta il 15 agosto del 2007 portarono la Dda di Reggio Calabria ad individuare in nume rosi soggetti gravitanti tra Aprilia e Roma i fornitori delle armi per la faida di ‘ndrangheta di San Luca”. Così come sono accertati da sentenze passate in giudicato gli interessi sull’area del clan dei Casalesi, radicati nell’area.

L’AREA DI LATINA E IL CLAN DI SILVIO

Storico e accertato da tempo l’interesse sull’area della provincia di Latina di clan ‘ndranghetisti e appartenenti alla camorra campana. Un interesse accresciuto negli ultimi tempi – secondo recenti inchieste – con esponenti della camorra particolarmente propensi a investire in stabilimenti balneari e strutture dedicate al turismo. Acclarato è anche l’interesse di gruppi ‘ndranghetisti e siciliani nell’area di Fondi, dove è presente l’importante mercato ortofrutticolo.

Nel capoluogo opera da anni il clan Di Silvio, direttamente imparentato con i Casamonica. “La pericolosità del clan è stata accertata da diverse sentenze anche passate in giudicato che hanno statuito l’esistenza di una vera e propria associazione a delinquere finalizzata al compimento di estorsioni e di usura. Le indagini della procura di Latina e successivamente della Dda di Roma hanno attestato l’evoluzione della famiglia di Silvio in associazione a delinquere di stampo mafioso. Il 12 giugno del 2018 la squadra mobile di Latina ha eseguito 23 arresti nei confronti di appartenenti al clan di Silvio accusati di associazione di tipo mafioso e reati aggravati dalle modalità mafiose. Anche grazie al primo collaboratore di giustizia espresso da quel territorio è stato possibile ricostruire organigramma ed attività di questo gruppo, fortemente strutturato sulla base non soltanto dei vincoli parentali che legano i suoi componenti, ma anche dell’innesto di altri soggetti, già affermati sul piano criminale ed in precedenza organici a gruppi rivali”.

Estorsioni nei confronti di imprenditori, attività commerciali e liberi professionisti, traffico di stupefacenti, perfino ingerenze nei confronti di candidati alle Elezioni amministrative nei Comuni di Latina e Terracina, culminate in episodi di “compravendita elettorale”. Un vero e proprio salto di qualità criminale di un gruppo presente da anni sul territorio, ma la cui evoluzione consente oggi agli inquirenti di poter contestare l’associazione mafiosa ad un gruppo criminale autoctono della provincia.

“Quello che ha caratterizzato Latina, in questi anni, e che le indagini della polizia di stato hanno consentito di cogliere in tutta evidenza nel massimo dispiegarsi, è la capacità di controllare il territorio, di penetrare il territorio, di farne oggetto di un controllo anche sociale, minuzioso, strada per strada, quartiere per quartiere. Questo controllo ha generato una capacità d’intimidazione del gruppo Di Silvio che ha determinato nelle vittime dei reati una forte omertà”.

TRA FROSINONE E VITERBO

La provincia di Frosinone, caratterizzata in passato dalla presenza di alcune piazze di spaccio chiuse, per la sua collocazione geografica è stata influenzata da clan camorristici (Mallardo e Casalesi) e da clan autoctoni della regione (Spada e Di Silvio).

La provincia di Viterbo, storicamente caratterizzata da influenze ‘ndranghetiste (clan Nucera), presenta oggi nuovi caratteristiche evidenziate da recenti indagini condotte dalla Direzione Distrettuale di Roma, che avrebbe svelato l’esistenza di un gruppo mafioso autoctono, che ha spesso utilizzato la violenza e l’intimidazione per farsi strada sul territorio. In cima a questo gruppo ci sarebbe Giuseppe Trovato, calabrese trapianto a Viterbo da 15 anni, così descritto dagli inquirenti: “Appartiene ad una famiglia di ‘ndrangheta originaria di Lamezia Terme e storicamente intranea al ben noto clan Giampà, con cui ha continuato a mantenere solidi rapporti anche nel corso degli ultimi anni. Trovato dà vita un’associazione mafiosa autoctona italo-albanese, che si avvale della ferocia del peso militare degli albanesi. La fama criminale del Trovato è un elemento fondamentale che fa confluire nell’associazione. La fama criminale del Trovato e il timore che incute nella popolazione viterbese emergono anche dalle deposizioni di alcune persone offese, che hanno fatto inequivoco riferimento al fatto che a Viterbo vi è la convinzione che lui sia soggetto appartenente alla ‘ndrangheta, convinzione avvalorata dalla condotta ostentatamente intimidatoria adottata dall’indagato”.

Trovato avrebbe utilizzato la sua appartenenza per “trasmettere” il metodo mafioso anche ai propri sodali, allo scopo di far pervenire il “messaggio” sul territorio. Come conseguenza di questo metodo, paura ed omertà “la fanno da padrone” anche tra le vittime. “Una mafia italo-albanese, dunque, con una riserva di violenza legata al passato criminale del capo ma con una forza di intimidazione maturata e consolidata tutta sul territorio di Viterbo” sintetizzano gli autori del Rapporto.

(a cura di Claudio Forleo, giornalista)