Premessa. Il Rapporto relativo al Monitoraggio della presenza mafiosa in Lombardia offre una panoramica delle principali evoluzioni del fenomeno mafioso in tutte le province lombarde nel periodo 2018-2021. Tale periodo include il biennio di pandemia che ha generato lo sviluppo di mercati nuovi nei quali si sono inserite le organizzazioni mafiose. Base dell’attività di ricostruzione dello scenario sono state le inchieste giudiziarie e delle forze dell’ordine i cui risultati sono stati integrati con elementi quali le dichiarazioni di prefetti, magistrati o altre autorità istituzionali, relazioni di convegni, rapporti di ricerca, articoli di giornale, studi accademici, statistiche ufficiali ecc. Le province lombarde sono state studiate nella loro individualità per evidenziarne meglio le caratteristiche sotto il profilo del radicamento mafioso.
- La provincia di Milano
Il Rapporto inizia dall’analisi della provincia di Milano precisando, già a partire dalle premesse, come l’area metropolitana del capoluogo lombardo costituisca da sempre zona centrale per gli interessi mafiosi nella regione. Le premesse si incentrano su una breve ricostruzione del processo di radicamento e stabilizzazione delle organizzazioni mafiose nella provincia milanese. In particolare, viene specificato che in città la prima organizzazione a mettere radici fu Cosa nostra, mentre nei comuni dell’hinterland, si affermò la presenza di soggetti legati ai clan calabresi giunti al Nord seguendo i flussi migratori o in applicazione del soggiorno obbligato. Innanzitutto, viene chiarito che l’area più storica di insediamento mafioso sia quella dell’hinterland sud-ovest milanese dove si trovano i comuni di Trezzano sul Naviglio, Corsico e Buccinasco, comuni che, da iniziale punto di approdo, sono divenuti roccaforti di Cosa nostra e ‘ndrangheta. Il rapporto evidenzia, poi, un’altra zona storicamente ad alta densità mafiosa, ossia l’area nord-occidentale della provincia, sulla quale insistono clan di ‘ndrangheta già a partire dagli anni 60. Al contrario, la presenza mafiosa nella parte orientale della provincia appare essere meno forte. Rilevante è che soltanto con l’operazione “Infinito-Crimine”, portata a termine della DDA di Milano e di Reggio Calabria, si prenda coscienza della gravità e del radicamento del fenomeno a Milano, prima oggetto di sottovalutazione.
Passando all’analisi degli sviluppi recenti, il Rapporto riporta in maniera sistematica le principali operazioni che hanno colpito la criminalità mafiosa nel periodo in esame mettendo in evidenza i reati contestati e i clan coinvolti. La città metropolitana di Milano oggi si conferma zona nevralgica per gli interessi delle organizzazioni mafiose. Infatti, il territorio milanese risulta essere la provincia lombarda con il maggior numero di locali di ‘ndrangheta, otto, radicate a Milano città, Bollate, Bresso, Cormano, Corsico, Pioltello, Rho, Solaro e Legnano. A destare maggiore preoccupazione è la locale di Corsico – legata alla cosca Barbaro-Papalia di Platì – che estende la propria presenza nei comuni limitrofi e, in particolare, a Buccinasco, rinominata “Platì del nord”. Le indagini più recenti, tra le quali l’inchiesta “The Hole”, “Quadrato” e “Quadrato 2”, dimostrano la centralità di tale cosca nel traffico degli stupefacenti, nonché l’instaurazione di rapporti tra la locale di Corsico e quella di Volpiano (TO) quale principale elemento di novità nelle dinamiche criminali dell’hinterland milanese.
Nonostante l’esecuzione di diversi arresti, si attesta la grande capacità di adattamento, di resistenza e di rigenerazione dei gruppi mafiosi che insistono sul territorio. In merito alla centralità degli stupefacenti, il Rapporto segnala un elemento particolarmente significativo, ossia l’uccisione in pieno giorno di un elemento di spicco del narcotraffico milanese avvenuta nel 2021. Tale omicidio rappresenta il primo episodio di violenza in un territorio governato dalla strategia del silenzio e segnala un tentativo da parte di gruppi esterni alla ‘ndrangheta di ridisegnare le gerarchie nel traffico di stupefacenti sulla scia di una minore capacità di controllo del territorio da parte dei clan storici. Infatti, il mutato contesto demografico degli ultimi decenni ha determinato il passaggio di Buccinasco, Corsico e Trezzano sul Naviglio da comuni di piccole o medie dimensioni a cittadine con una popolazione che oscilla tra i 20.000 e i 35.000 abitanti.
A ciò si aggiunge una risposta sempre più netta da parte della società civile alla presenza della criminalità organizzata, come dimostrato dalla risposta della cittadinanza, schierata al fianco del sindaco di Buccinasco, alle sfide alle istituzioni cittadine lanciate da Rocco Papalia, scarcerato nel maggio 2017. Rileva, altresì, il ritorno del boss Francesco Manno a Pioltello dove insiste una tra le più attive locali nell’hinterland milanese. Un’importante novità riguarda la riorganizzazione della locale di Legnano Lonate Pozzolo – espressione del clan Farao-Marincola di Cirò Marina e avente al vertice Vincenzo Rispoli – in grado di operare sul territorio guadagnando denaro attraverso ogni sorta di attività illecita. Per quanto concerne il business connesso al narcotraffico, a destare particolare preoccupazione è il reimpiego dei proventi nelle tradizionali attività legali. In particolare, nella città di Milano cresce l’allarme in merito alla pervasività del riciclaggio dei proventi delle attività illecite, soprattutto a seguito della lunga stagione pandemica. È emblematico il caso del settore farmaceutico, dove grazie all’indagine “Contramal” del 2018 è stato svelato un nuovo business che, mediante il ricorso a società fantasma facenti capo a prestanome di uomini legati alla ‘ndrangheta, riusciva – con i proventi delle attività illecite – ad acquistare a basso costo farmaci salvavita e antitumorali poi rivenduti illegalmente all’estero.
A Milano la principale attività criminale si conferma essere il traffico di stupefacenti che permette l’accumulo di importanti somme di denaro da reinvestire in settori dell’economia legale quali la ristorazione e lo smaltimento dei rifiuti. A dimostrazione della grande capacità adattativa delle organizzazioni criminali, a seguito della pandemia da COVID-19 si è subito delineato l’interesse per l’ambito sanitario, in particolare per la gestione e lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri. La pandemia, la conseguente crisi economica e l’ampia disponibilità di capitale da parte della criminalità organizzata hanno permesso a quest’ultima di soddisfare i bisogni di imprenditori in difficoltà penetrando nelle loro imprese fino ad assumerne il controllo.
La presenza della ‘ndrangheta in tutta la provincia milanese non hai impedito, tuttavia, ad altre organizzazioni mafiose italiane di perpetrare i propri affari nel capoluogo lombardo. In particolare, i gruppi organizzati siciliani sembrano aver sviluppato un alto livello di specializzazione nei reati contro il patrimonio. A differenza di quanto avviene nei territori di origine, si rileva, altresì, la presenza silenziosa e non violenta di soggetti legati alla camorra operanti nelle truffe ai danni di anziani e nel reinvestimento di proventi illeciti in locali e ristoranti milanesi. Alla presenza delle tre principali organizzazioni mafiose si aggiunge, infine, la criminalità organizzata pugliese che, tuttavia, agisce solo episodicamente per singoli reati perlopiù connessi al traffico di stupefacenti e non con intento di insediamento.
Lo scenario milanese include, altresì, consorterie straniere attive in particolar modo nel traffico degli stupefacenti e in reati di tipo predatorio. Nello specifico, se da un lato gruppi di origine albanese, marocchina e romena sono dedite allo spaccio al traffico di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina e marijuana, emerge un regime di quasi monopolio della criminalità cinese nel traffico dello shaboo, droga sintetica il cui utilizzo in crescita in Italia. A Milano risultano essere attivi anche i gruppi criminali nordafricani, impegnati nel traffico degli stupefacenti e nei reati connessi all’immigrazione, e la criminalità di origine sudamericana, anche essa dedita allo spaccio al traffico di sostanze stupefacenti.
A conclusione del paragrafo, il Rapporto fornisce i dati estratti dal database Istat riferiti ai principali reati spia per il decennio 2010-2020 evidenziando che, se da un lato risaltano i reati connessi agli stupefacenti, dall’altro si assiste a una diminuzione statistica dell’usura, sebbene ciò derivi da una tendenza crescente alla non denuncia. Infine, anche i dati sui beni confiscati in provincia di Milano confermano l’espansione del fenomeno nell’hinterland milanese.
2. La provincia di Pavia
Passando all’analisi della provincia pavese, il Rapporto premette che il radicamento delle organizzazioni mafiose sul territorio può collocarsi a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, periodo in cui 48 soggiornanti obbligati raggiunsero l’area avviando un processo di colonizzazione mafiosa. In particolare, viene fatta menzione della cosiddetta stagione dei rapimenti, strategia mafiosa prediletta nella provincia di Pavia prima da Cosa nostra e poi dalla ‘ndrangheta. Tuttavia, se il radicamento vero e proprio della locale di ‘ndrangheta viene accertato con l’operazione denominata “La notte dei fiori di San Vito” del 1994, la delineazione dell’organigramma della locale stessa avviene con l’indagine “Infinito” del 2010. Varie inchieste hanno accertato negli anni l’esistenza di due locali di ‘ndrangheta a Pavia e a Voghera, nonché una storica presenza della criminalità organizzata calabrese nella zona di Vigevano. In ogni caso emerge che la locale di Pavia è la più attiva nella commissione di delitti e nell’infiltrazione di settori economici, sociali e politici, nonché della sanità locale.
Negli ultimi anni si conferma la presenza di due locali di ‘ndrangheta a Pavia e a Voghera, alle quali si aggiunge un gruppo criminale riconducibile al clan Chindamo-Ferrentino di Laureana di Borrello, operante nella zona di Voghera e impegnato nel reinvestimento di capitali illeciti in imprese edili, utilizzate per mascherare affari illeciti quali il traffico di stupefacenti e di armi. Se da un lato la presenza di questo clan è testimoniata da diverse inchieste, dell’operatività della locale di ‘ndrangheta a Voghera non si hanno riscontri, probabilmente a causa della scarsità di mezzi e di personale delle forze dell’ordine. Un elemento di particolare rilevanza è costituito dalla presenza sul territorio di elementi collegati al clan Barbaro, originario di Platì, il quale opera principalmente nel territorio di Casorate Primo (PV). Lo spostamento del clan Barbaro dalla zona sudoccidentale di Milano verso la provincia di Pavia attesta un tentativo di reazione al mutamento demografico e sociale delle aree di Corsico e Buccinasco.
L’intento del clan Barbaro non sarebbe quello di espansione con finalità economiche, ma il “tentativo di riproporre lo stesso schema sociale della regione d’origine e replicare un modello classico”, come afferma la dott.ssa Alessandra Dolci. Infatti, si assiste ad un trasferimento verso piccoli comuni della provincia di Pavia, con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, caratteristica che offre diversi vantaggi al clan in termini di controllo del territorio, della società civile e delle forze dell’ordine. Il Rapporto evidenzia, poi, come il contesto della provincia di Pavia si sia dimostrato funzionale alla realizzazione di reati scopo anche grazie alla complicità di professionisti locali. L’operazione “Fuel Discount”, ad esempio, ha svelato una frode operata da un sodalizio criminale guidato da uomini legati al clan camorristico Polverino e dal clan dei Casamonica, con il contributo di un commercialista di Pavia.
Smaltimento dei rifiuti. Il Rapporto prosegue l’analisi della provincia pavese focalizzandosi sulla centralità del business criminale dei rifiuti e sulla connessa emergenza incendi. Particolarmente rilevanti sono state le operazioni “Feudo” e “Fire Starter” le quali hanno accertato come i rifiuti che hanno alimentato i roghi della stagione degli incendi provenissero anche da fuori regione. Infatti, dalle operazioni è emerso come un gruppo criminale dedito al traffico di rifiuti speciali avesse scelto la Lombardia come luogo ideale in cui abbandonare e bruciare i rifiuti grazie la presenza di una fitta rete di impianti e imprese colluse. La stretta investigativa realizzata a causa dell’emergenza incendi ha fatto emergere le capacità di adattamento dell’organizzazione criminale la quale ha dirottato i rifiuti dalla Lombardia alla Calabria.
Nella provincia di Pavia si riscontra la presenza di gruppi criminali stranieri prevalentemente di origine nordafricana e sudamericana dediti al traffico e allo spaccio al dettaglio di stupefacenti. Come avviene nella provincia di Milano, anche nel pavese emerge come la cocaina venga trattata da soggetti di origine peruviana attraverso particolari procedimenti chimici che ne permettono l’occultamento in altri materiali da cui poi viene riestratta e raffinata.
Per quanto concerne i reati spia, l’analisi dei dati operata dal Rapporto attesta come anche nella provincia di Pavia, a partire dal 2015, si sia registrato un aumento significativo dei reati relativi alla normativa sugli stupefacenti. Tuttavia, il dato che più colpisce è quello relativo al riciclaggio che negli ultimi tre anni ha subito una crescita esponenziale. Infatti, si evidenzia una situazione emergenziale dimostrata dal riscontro di 85 denunce per riciclaggio ogni 100mila abitanti, un valore di molto superiore alla media regionale e del quadrante nordoccidentale del paese.
3. La provincia di Lodi
Il Rapporto chiarisce fin da subito come nel lodigiano non vi sia un forte radicamento della criminalità organizzata di stampo mafioso. Nonostante ciò, negli ultimi decenni si sono verificati eventi per lo più estorsivi sintomatici di una presenza criminale sul territorio. L’assenza di evidenze circa la presenza mafiosa nell’area non significa, però, che il lodigiano possa essere considerato immune al radicamento mafioso. In questo senso, con l’operazione “European ‘ndrangheta connection” è emerso che la provincia di Lodi fosse uno dei punti di arrivo e smistamento di un traffico internazionale di stupefacenti gestito dalla criminalità organizzata calabrese.
È la stessa DIA a lanciare un allarme, soprattutto per la migrazione di soggetti legati alla criminalità organizzata calabrese dall’hinterland milanese alla provincia di Lodi, considerata una zona tranquilla e, pertanto, più idonea alla gestione delle attività criminali. Sebbene nel territorio lodigiano non si assista alla medesima strategia operata in provincia di Pavia, da diversi anni si segnala l’operatività della cosca Alvaro originaria di Sinopoli. Per quanto non si possa parlare di un vero e proprio radicamento, il clan risulta essere dotato di proiezioni significative nel territorio di Lodi grazie alla presenza di soggetti legati alla cosca. In ogni caso il Rapporto segnala l’adozione, da parte della Prefettura di Lodi, di una serie di interdittive antimafia nei confronti di società, a dimostrazione della permeabilità del tessuto imprenditoriale lodigiano da parte della criminalità organizzata calabrese.
4. La provincia di Como
Al di là dei diversi soggetti inviati nella Provincia di Como in soggiorno obbligato, la posizione geografica strategica – data dalla vicinanza con la Svizzera e con le province di Milano, Varese, Lecco e Monza Brianza – l’offerta di servizi connessi al settore del turismo e del tempo libero e un’economia in continua crescita e adattamento, sono i fattori che da decenni fanno della provincia di Como un luogo prediletto del crimine organizzato. Alla luce degli sviluppi recenti, le locali di ‘ndrangheta ad oggi riconosciute sono otto: Como, Appiano Gentile, Senna Comasco, Cermenate, Fino Mornasco, Erba, Canzo-Asso, Mariano Comense. Se inizialmente le giovani generazioni di ‘ndrangheta erano dedite a una strategia militare con frequente ricorso a violenza e intimidazione per affermare il proprio controllo sul territorio, a seguito della condanna nel 2019 di dieci elementi di spicco legate alla malavita calabrese, le organizzazioni ‘ndranghetiste hanno optato per un metodo più cauto, di basso profilo, basato su di un forte (e più pericoloso) mimetismo. L’emergenza sanitaria, in particolare, ha comportato per la Regione conseguenze significative nell’economia e nel tessuto sociale. Tali conseguenze sono state sfruttate dalle organizzazioni criminali le quali, infiltrandosi nei settori maggiormente colpiti dalla crisi, ne hanno tratto profitto intensificando i crimini finanziari e contro il patrimonio.
Ciò che emerge dal Rapporto è che tra tutte le organizzazioni criminali autoctone, la ‘ndrangheta risulta essere quella con il maggiore predominio sul territorio. Essa si destreggia abilmente all’interno dell’area grigia, godendo dell’appoggio di professionisti e politici locali. In merito a ciò, l’analisi realizzata dal Rapporto evidenzia come oggigiorno si sia in presenza di una ‘ndrangheta dalla struttura complessa che riesce ad occultare gli illeciti tramite professionisti pronti ad adottare qualsiasi tecnica per riciclare il denaro sporco o reinvestirlo nell’economia legale. Nell’ambito dell’imprenditoria, rileva come quest’ultima non subisca più la ‘ndrangheta, ma faccia affari con essa piuttosto che rivolgersi alle banche o allo Stato.
In questa prospettiva, se da un lato sono gli imprenditori stessi a cercare l’aiuto delle organizzazioni mafiose, dall’altro giocano un ruolo essenziale i commercialisti, professionisti che si prestano a creare società destinate a fallire, nonché meccanismi di evasione e di riciclaggio. Ad oggi, la Svizzera si conferma la meta ideale per il trasferimento o reinvestimento di proventi illeciti degli ‘ndranghetisti operanti nella provincia di Como. Focalizzandosi, invece, sui reati ambientali e, nello specifico, sull’infiltrazioni criminale nello smaltimento dei rifiuti, questi costituiscono un difficile problema per la provincia di Como.
Quanto alla criminalità straniera, rileva come le organizzazioni criminali straniere abbiano acquisito negli anni una pericolosità pari a quella delle mafie autoctone. Le organizzazioni criminali albanesi risultano essere le più pericolose, data la loro dimensione transnazionale e la grande disponibilità di armi e risorse finanziarie. Oltre allo sfruttamento della prostituzione, con forme di assoggettamento delle vittime, le organizzazioni criminali albanesi sono dedite al traffico di stupefacenti. In merito al narcotraffico si riscontra una proficua collaborazione con la ‘ndrangheta la quale vende le sostanze stupefacenti ai gruppi criminali albanesi che, a loro volta, rivendono al dettaglio nelle varie città.
Analizzando i dati relativi ai reati spia, il Rapporto parte dalle estorsioni. Da un valore pari a 32,6, più alto della media della regione e del nord ovest, a partire dal 2019 si assiste nel comasco ad una diminuzione del valore connesso al reato di estorsione. Tuttavia, il calo potrebbe essere dovuto ad una diminuzione delle denunce a seguito della pandemia. Per quanto concerne l’usura, il picco raggiunto nel 2016 cala drasticamente nel 2018 per poi risalire l’anno successivo. A destare maggiore preoccupazione è la totale assenza di denunce nel periodo 2017-2020, a differenza di quanto avviene, invece, per le denunce di danneggiamento seguito da incendio. Infine, analizzando i dati del riciclaggio di denaro, beni o utilità di provenienza illecita si conferma un valore alto, seppur in calo, rispetto alla Lombardia e al Nord ovest. La presenza mafiosa sul territorio comasco viene, altresì, confermata dal numero di beni confiscati alla criminalità organizzata che, nella sola Brianza Comasca sono pari a 71.
5. La provincia di Varese
Il confine con la Svizzera, la vicinanza all’aeroporto di Malpensa e alla città metropolitana di Milano sono le principali caratteristiche che attraggono sul territorio gli affari legali e illegali delle cosche. ‘Ndrangheta, Cosa nostra e Stidda si concentrano maggiormente nel basso varesotto e intorno a Malpensa. A partire dagli anni ’50 e ’60, la provincia di Varese ha assistito a rapine a mano armata, estorsioni, attentati incendiari, sequestri di persona e omicidi, tra i quali spicca l’omicidio eccellente di Roberto Cutolo, figlio del boss della Nuova Camorra Organizzata. Sono diverse le cosche attive nell’area: la ‘ndrina dei Farao-Marincola a Lonate Pozzolo-Legnano; la cosca Tripepi-De Marte-Spinella di Siderno nelle zone di Saronno, Mozzate, Cislago e Busto Arsizio; il clan Rinzivillo di Gela nel basso varesotto. Da ciò si desume la compresenza pacifica di diverse organizzazioni criminali nella Provincia di Varese.
Le locali di ‘ndrangheta riconosciute sono due, Varese e Lonate Pozzolo, legata a Legnano (MI). Un’indagine avviata nel 2019 ha evidenziato, inoltre, la sussistenza di rapporti tra locali di ‘ndrangheta e politica locale. Sulla base delle risultanze investigative sono stati indagati, infatti, l’ex sindaco di Lonate Pozzolo, un consulente della Procura della Repubblica di Busto Arsizio e un membro della cosca che all’epoca era consigliere comunale di Ferno, nonché presidente della commissione commercio e attività produttive, dotato di poteri di controllo per gli investimenti sui terreni della zona intorno Malpensa. Dalle operazioni successive è emerso come la locale di Lonate Pozzolo Legnano sia talmente radicata nel tessuto sociale da riuscire a stabilire legami con diversi ambienti quali il mondo politico-istituzionale e imprenditoriale, ricevendone vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche.
In questo senso la ‘ndrangheta, percepita come agenzia di servizi illegali o para-legali, si insinua nelle imprese legali in crisi economica ponendosi quale principale scopo l’ottenimento del controllo dell’impresa per vincere gare d’appalto che consentano il riciclaggio dei proventi illeciti. Agendo con strategia silente l’organizzazione mafiosa calabrese costituisce oggi una delle organizzazioni più potenti al mondo. A destare preoccupazione sono, altresì, le intimidazioni rivolte agli amministratori locali che, negli anni, sono aumentate notevolmente.
Segni di presenza ‘ndranghetista si riscontrano anche nelle aree di confine con la Provincia di Como. Di fatto, i clan calabresi della locale di Fino Mornasco si sono estesi fino alla provincia di Varese e, mediante metodi illeciti di stampo mafioso, hanno monopolizzato varie imprese del varesotto. In merito alla presenza nel varesotto di altre organizzazioni criminali italiane quali la camorra, la Stidda e la Sacra Corona Unita, emerge un’attività marginale rispetto a quella operata dalla ‘ndrangheta.
Per quanto riguarda i rapporti con la criminalità straniera, la ‘ndrangheta ha stretto sodalizi con quest’ultima investendo in attività illegali quali il narcotraffico, il riciclaggio, il traffico di armi e lo sfruttamento della prostituzione. Le cooperazioni maggiori avvengono con i gruppi albanesi e in alcuni casi nigeriani. Osservando le organizzazioni straniere si nota una forte interazione con i gruppi criminali autoctoni e stranieri, a differenza di quanto avviene nel Sud Italia dove i gruppi stranieri necessitano del consenso dei clan italiani per poter operare. Infatti, negli anni la criminalità straniera ha acquisito maggiore pericolosità, pari a quella dei clan italiani. Il Rapporto evidenzia, inoltre, che nell’ambito della filiera dei traffici illeciti siano i gruppi stranieri a gestire le attività illegali più esposte alle forze dell’ordine, mentre i clan italiani si occupano solo della parte più remunerativa.
L’analisi dei dati relativi ai reati spia quali l’estorsione e l’usura, dimostra un calo nei valori che può essere strettamente connesso ad una diminuzione di denunce e agli effetti della pandemia. Ciò potrebbe confermare il fatto che in Lombardia ci sia una scarsa tendenza degli imprenditori a denunciare. A dimostrazione di come le organizzazioni criminali investano prevalentemente nel narcotraffico, i dati del capoluogo di provincia attestano un valore molto elevato rispetto al resto della provincia, della regione e del nordovest. Infatti, sono la Val Cuvia e la Val Ceresio ad essere maggiormente colpite da questo fenomeno, soprattutto per la posizione di confine con la Svizzera. L’inquinamento dell’economia locale con proventi illeciti è attestato, invece, da un valore sul riciclaggio di denaro nella provincia di Varese che è in costante aumento.
Un ultimo fattore esaminato è quello relativo ai beni sequestrati e confiscati nella provincia di Varese. Questi ultimi sono aumentati a macchia di leopardo nei diversi comuni della provincia, in particolar modo nella città di Varese e dintorni, a dimostrazione di come questi territori subiscano una maggiore infiltrazione mafiosa.
6. La provincia di Monza-Brianza
Secondo la DIA, sono sei le locali di ‘ndrangheta presenti: Desio, Giussano, Lentate sul Seveso, Limbiate, Monza e Seregno. In generale, questo territorio attesta l’ambivalenza dell’operatività della ‘ndrangheta. Infatti, all’atteggiamento silente si somma un modus operandi incentrato su sequestri di persona, intimidazioni, estorsioni e fatti di sangue, quali strategie necessarie per controllare il territorio e acquisire consenso. A seguito dell’iniziale insediamento di Cosa nostra, dato dal soggiorno obbligato di Gaetano Badalamenti nel territorio brianzolo, nella seconda metà degli anni 70 i primi clan di ‘ndrangheta iniziarono a radicarsi nel territorio. Oggigiorno la provincia di Monza-Brianza si colloca al secondo posto – dopo Milano – nel ranking di presenza criminale regionale. Aldilà di usura, estorsione e traffico di stupefacenti, a destare particolare preoccupazione è il riciclaggio di denaro di provenienza illecita nel tessuto economico legale, soprattutto a seguito dell’emergenza sanitaria e della crisi economica connessa.
L’attenzione non si rivolge solo ai settori della ristorazione, del turismo o dell’edilizia, ma anche ai servizi e alle attività che hanno visto un aumento esponenziale della domanda a causa dell’emergenza sanitaria, quali servizi funebri e cimiteriali e le attività di pulizia e sanificazione e di produzione dei dispositivi di protezione. In particolare, l’operazione “Freccia”, conclusa nel giugno 2020, ha fatto luce sui meccanismi di controllo del territorio da parte della ‘ndrina dei Cristello. Quest’ultima se da un lato ricorre sistematicamente all’estorsione e all’intimidazione, dall’altro gode di relazioni con imprenditori e soggetti criminali legati ad altre locali o ‘ndrine. Ciò dimostra come, in maniera atipica, i Cristello abbiano saputo creare una rete di alleanze mafiose tale da consentire l’esercizio del proprio dominio mafioso sull’asse brianzolo-vibonese.
L’operazione “The Schock” conclusa nel primo semestre del 2020, invece, ha consentito di mettere a fuoco uno dei metodi di infiltrazione della ‘ndrangheta all’interno di strutture turistiche: dall’iniziale acquisizione di una quota non necessariamente di grande rilievo, si passa ad un’azione uti dominus della società, come avvenuto per un lussuoso hotel di Finale Ligure. La presenza di broker finanziari, professionisti e imprenditori complici dei clan e partecipi degli affari illeciti degli ‘ndranghetisti è un tema che emerge sempre di più nelle indagini sul territorio brianzolo. Inoltre, nell’area si riscontrano importanti presenze di affiliati alla ‘ndrina Morabito di Africo, dei Barbaro di Platì e dei Nirta Scalzone di San Luca.
Ciò che emerge dal Rapporto è che l’area nord-occidentale si configura come la più effervescente con capacità di espansione ed ingerenza anche in territori di altre province, mentre sul versante orientale della provincia non sembrano emergere particolari criticità. Per quanto concerne l’usura e l’estorsione, emerge la preoccupazione relativa alla complicità di alcuni imprenditori. A ciò si aggiunga che tra il 2018 il 2020 sono state 20 le interdittive antimafia emanate dal Prefetto, a dimostrazione di come siano poche le persone che denunciano questi reati grimaldello che consentono alla ‘ndrangheta di inserirsi nel circuito economico. La presenza delle mafie in Brianza e ogni affare illecito da essi perpetrato è strettamente connesso alla necessità di ripulire il denaro per poi reinvestirlo, sebbene poco emerga dai dati relativi ai reati spia. Non solo estorsione, usura, riciclaggio, rapporti con la politica in movimento terra, ma anche traffico e smaltimento illecito di rifiuti sono i principali business della criminalità mafiosa calabrese.
Risulta essere marginale la presenza di Cosa nostra e camorra sul territorio. Viceversa, la criminalità organizzata albanese negli ultimi decenni ha accresciuto la propria capacità criminale acquisendo influenza e credibilità nei confronti delle mafie italiane, soprattutto all’interno del mercato della droga e dello sfruttamento della prostituzione. Ciò che emerge è che nella tutela dei propri interessi criminali, i gruppi albanesi sono caratterizzati dall’uso della violenza e dalle azioni di forza, come attestato dal reiterato utilizzo delle regole del “kanun”, un antico codice consuetudinario albanese secondo cui i congiunti di una vittima di omicidio possono uccidere gli autori del reato o i loro parenti maschi. In Brianza e nella Lombardia spesso agiscono gruppi criminali albanesi legati da vincoli familiari che rafforzano l’appartenenza al clan e aumentano il grado di omertà. Per tale motivo, e per la notevole disponibilità di mezzi, di capitale sociale e di risorse economiche è ipotizzabile che non si tratti di mere forme di criminalità organizzata ma di organizzazioni a tutti gli effetti mafiose.
Da ultimo, per quanto riguarda i beni confiscati, emerge la differenza tra l’area orientale e il versante occidentale della provincia poiché la cintura, costituita dai comuni di Muggiò, Desio, Seregno, Giussano e le aree limitrofe di Cesano Maderno e Carate Brianza, detiene un totale di 277 beni confiscati, ossia oltre la metà del totale dei beni presenti in provincia.
7. La provincia di Lecco
Il Rapporto, nel richiamare le relazioni della DIA, riporta come all’interno della provincia siano due le locali di ‘ndrangheta: Lecco e Calolziocorte. Infatti, nonostante la presenza, a partire dalla metà degli anni 70, di Cosa nostra, è la presenza della ‘ndrangheta a contraddistinguere la provincia. Tuttavia, si conferma la presenza sul territorio delle tre principali consorterie mafiose italiane (‘ndrangheta, camorra, Cosa nostra) con singole collaborazioni per i traffici illeciti, soprattutto per gli stupefacenti, con gli affiliati alla Sacra Corona Unita. Ciò che emerge è un considerevole livello di controllo del territorio (power syndicate) che avviene non necessariamente attraverso membri delle locali di Lecco e Calolziocorte, ma anche muovendosi o in rappresentanza della casa madre calabrese o delle locali di ‘ndrangheta del comasco.
Negli ultimi anni emerge una presenza preoccupante sia di ‘ndrine storicamente stanziate e radicate nel territorio, sia di singoli affiliati e di soggetti a essi vicini che utilizzano il territorio come ambiente ideale per l’insediamento e il riciclaggio di capitali illeciti provenienti prevalentemente da usura, estorsione e narcotraffico. Nel territorio lecchese è aumentata la vocazione imprenditoriale delle mafie, in particolare della ‘ndrangheta che offre prestazioni vantaggiose e convenienti sul mercato, estremamente appetibili per imprenditori e professionisti dell’aria, che ne diventano complici.
Per quanto concerne la criminalità straniera, detiene un ruolo di secondo ordine con un giro da fare limitato al traffico e spaccio di stupefacenti, soprattutto dei gruppi magrebini, e allo sfruttamento della prostituzione.
Analizzando i dati Istat, il Rapporto riporta cifre che, tuttavia, non consentono di fotografare la presenza delle mafie, bensì la reazione delle istituzioni nel contrasto e nella repressione alle organizzazioni criminali. Osservando i delitti denunciati all’autorità giudiziaria, emergono due elementi: un dato nullo relativo alle denunce di usura, e il dato quasi nullo del reato di danneggiamento seguito da incendio, considerando il periodo dal 2017 al 2020. Da ultimo, non emergono particolari livelli di denuncia per lo sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione e il traffico di stupefacenti, ma si assiste ad un lieve aumento delle denunce di riciclaggio.
In ordine ai beni confiscati presenti sul territorio lecchese, ciò che rileva è la localizzazione dei 70 beni confiscati, concentrati soprattutto nella parte centrale della provincia di Lecco e lungo il confine con la provincia di Como.
Il Rapporto conclude l’analisi della provincia con un focus sugli stanziamenti per i Giochi olimpici invernali del 2026. Stante l’importante quantità di fondi che arriveranno sia per il PNRR sia per l’adeguamento e l’ammodernamento di strutture e strade in vista dei Giochi olimpici e Paralimpici invernali del 2026, desta preoccupazione il rischio di inserimento della ‘ndrangheta in questi affari. In vista dell’arrivo dei fondi, sono state attuate alcune contromisure quali il potenziamento del ricorso alle “White list” – con l’intento di prevenire contrastare l’infiltrazione mafiosa all’interno dell’economia legale e, in particolare, nel settore dell’edilizia – e l’istituzione di una commissione comunale antimafia che effettui un lavoro di monitoraggio del fenomeno mafioso nel lecchese.
8. La provincia di Sondrio
Nel territorio di Sondrio non emergono dati certi e fondati circa la presenza di insediamenti mafiosi o compagini criminali particolarmente strutturate. Tuttavia, alcuni dati acquisiti e importanti interviste effettuate nel corso della ricerca hanno fatto emergere un quadro più articolato relativo alla provincia. Sebbene la ‘ndrangheta sia comparsa talvolta con riferimento a ditte riferibili a famiglie calabresi nelle opere pubbliche e nelle attività legate al movimento della terra, non risultano particolari presenze di ‘ndranghetisti né progetti di espansione di ‘ndrine radicate in altri territori. Per quanto concerne i delitti denunciati dalle forze di polizia, tra il 2010 e il 2016 nella provincia di Sondrio si è registrato il maggior tasso di incremento di denunce ogni 100.000 abitanti, pari al 90,9%. In particolare, nel biennio 2019-2020, le forze dell’ordine hanno registrato 32 casi di estorsione del Comune di Sondrio, il doppio rispetto al biennio precedente. Ciò evidenzia sia un aumento dei casi di estorsione, sia una significativa concentrazione all’interno del territorio comunale di Sondrio in cui si segnala la metà dei casi registrati in tutta la provincia. Nell’ambito dei reati spia, il rapporto evidenzia come l’unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, nei “Quaderni dell’antiriciclaggio”, abbia segnalato un aumento delle operazioni sospette durante l’emergenza sanitaria.
Per quanto riguarda la criminalità straniera, le attività sono prettamente connesse al traffico di droga e allo sfruttamento della prostituzione. Da diversi anni è emersa la presenza di cittadini cinesi ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata in alcuni casi allo sfruttamento della prostituzione in altro il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina attraverso il sistema delle false assunzioni di lavoro. Ai gruppi nigeriani si somma un gruppo di albanesi ed italiani operanti a Sondrio con base logistica in Olanda e Svizzera, dediti al traffico di cocaina da destinare alle province di Torino, Como, Sondrio e Lecco.
Infine, in ordine ai beni confiscati all’interno della provincia, risultano esserci 42 beni di cui soltanto due aziende. Nello specifico, le confische riguardano soprattutto comuni collocati in aree di confine. Il Rapporto attentato di evidenziare gli elementi che potrebbero rappresentare delle sentinelle di allarme rappresentative dell’infiltrazione mafiosa nell’economia legale delle attività di storico interesse della ‘ndrangheta.
9. La provincia di Bergamo
Il territorio bergamasco – data la presenza di zone di piccole o modeste dimensioni, in cui il controllo delle forze dell’ordine e l’attenzione mediatica si riducono – ben si presta al radicamento di clan mafiosi. Un ulteriore fattore che contribuisce a ciò è la discrepanza morfologica e geografica dell’area, essendo una provincia in cui coesistono zone rurali e zone industriali, agglomerati urbani e piccoli comuni. L’insediamento delle organizzazioni mafiose nella provincia bergamasca trae origine dall’arrivo di diversi soggiornanti obbligati e dal grande flusso migratorio del Secondo Dopoguerra. Se gli anni ’70 sono stati il periodo dei rapimenti a scopo estorsivo, quaranta circa, gli anni Novanta e Duemila sono stati scanditi dalla scoperta di sette raffinerie e laboratori di eroina e cocaina ad opera di Cosa nostra e ‘ndrangheta, in collaborazione con narcotrafficanti sudamericani.
Quella delle raffinerie continua ad essere una peculiarità bergamasca. Con l’operazione “Nduja”, avente ad oggetto il periodo 2001-2003, emerge l’esistenza di diversi gruppi criminali calabresi operanti in zone specifiche della provincia. Si tratta della cosca di Giuseppe “Pino” Romano, originaria di Briatico e attiva nella zona di Romano di Lombardia, e di esponenti della ‘ndrina Bellocco, originari di Rosarno e operanti nella Val Calepio. In particolare, le operazioni “San Lorenzo” del 2017 e “Pay to live” del 2019 hanno dimostrato come la andrà anche età costituisca una “risorsa” per intimidire la concorrenza o come “società” attiva nel recupero crediti. È con l’operazione “Papa” del 2019 che, invece, emerge la presenza di un’organizzazione criminale di stampo ‘ndranghetista operante nel territorio nazionale, e in particolare nel distretto di Bergamo, in autonomia rispetto alle cosche calabresi citate.
Lo scenario che ne risulta è quello di una commistione tra ‘ndrangheta ed elementi del mondo imprenditoriale bergamasco intenzionati a beneficiare di servizi illegali per migliorare le performance aziendali. Per tali motivi, negli ultimi anni si è più propensi a parlare di criminalità economica che vede nell’usura un grave pericolo per imprenditore in crisi. Nonostante ciò, è la facilità di una parte dell’imprenditoria locale di entrare in contatto e ottenere servigi dalla criminalità organizzata a destare maggiore preoccupazione. Nell’ambito dell’operazione “Isola Orobica”, E vengono descritti i rapporti tra un gruppo di soggetti originari della provincia di Bergamo e di Crotone dediti a pratiche estorsive nel settore degli autotrasporti, e le false acquisizioni societarie, nei fallimenti fraudolenti, nonché nella fornitura di prestiti a tasso usuraio e reimpiego di capitali illeciti. Alla luce delle vicende giudiziarie, il rapporto precisa come nella provincia bergamasca non sembra sussistere un controllo del territorio è un radicamento familiare ‘ndranghetista in pianta stabile, bensì una predisposizione a dominare alcuni settori del mondo criminale, col tentativo di inserirsi nell’economia legale.
Dopo aver passato in rassegna le operazioni maggiormente rilevanti degli ultimi anni nel territorio bergamasco, il Rapporto prosegue analizzando la criminalità straniera evidenziando la presenza della criminalità nigeriana e la violenza perpetrata da alcuni gruppi criminali organizzati di origine indiana. Infine, si segnalano numerose attività di sfruttamento della prostituzione da parte di un sodalizio romeno, nonché l’esistenza di un’organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti tra la Sardegna e la provincia di Bergamo in collaborazione con clan calabresi e albanesi.
A conclusione del paragrafo, il Rapporto riporta alcuni dati estratti dal database Istat – relativi ai cosiddetti reati spia – dai quali emerge come l’usura abbia avuto un rialzo importante nel 2020 e rappresenti la metà dei casi denunciati nello stesso anno. Infine, per quanto concerne i beni confiscati, si può osservare che le zone che presentano il maggior numero di beni confiscati sono le aree di confine sia con la Lombardia occidentale, sia con la provincia di Brescia, mentre rimangono contenuti i dati riferibili alle valli bergamasche che restano appannaggio della malavita organizzata autoctona.
10. La provincia di Brescia
Giova, innanzitutto, evidenziare come tale provincia possieda la maggiore estensione territoriale e si collochi al secondo posto per numero di abitanti nella Regione. Nonostante il versante orientale abbia storicamente un indice di presenza mafiosa inferiore rispetto al resto del territorio regionale, negli ultimi anni la provincia bresciana è divenuta sede della ‘ndrangheta, ormai profondamente radicata. Anche in questo caso, le origini di tale insediamento si riscontrano nel trasferimento di 51 soggiornanti obbligati nel territorio e nell’imponente flusso migratorio del Secondo Dopoguerra. Dagli anni ’70 emerge, altresì, la presenza di latitanti clandestini, come il caso di Raffaele Cutolo, che si rifugia a Soiano del Lago. Anche in questa circostanza, ad essere preferiti sono comuni di piccole dimensioni, lontani dall’attenzione mediatica e non dotati di presidi militari. La capacità di mimetizzarsi in luoghi diversi da quelli di origine consente al clan cutoliano di reinvestire capitali illeciti in diversi settori, tra cui il facchinaggio, i trasporti, le pulizie, l’esercizio abusivo del credito. La pervasività della criminalità campana include anche la famiglia di Laezza e il clan Fabbrocino di San Giuseppe Vesuviano. A distanza di vent’anni, è Desenzano del Garda a divenire meta privilegiata dei clan per la latitanza, come attestato dalla presenza del nipote di Nitto Santapaola, Aldo Ercolano.
Caratteristica della provincia bresciana è, oggigiorno, la presenza di tutte e quattro le organizzazioni mafiose, sebbene ad essere predominante sia la criminalità calabrese, perfettamente radicata nel tessuto sociale, economico e politico del territorio. Negli ultimi anni, si conferma la presenza ultradecennale della ‘ndrina Bellocco di Rosarno nella provincia bresciana, con tanto di summit tra gli anziani esponenti di spicco e affiliati della Sacra Corona Unita a supporto della latitanza di Giuseppe Pesce, sempre nel prediletto territorio gardesano.
Nell’ambito dell’operazione “Scarface” del 2020, ad ulteriore conferma della presenza ‘ndranghetista nel bresciano, emerge un’organizzazione attiva sul territorio che, sfruttando il rapporto di amicizia e interesse economico con un esponente di rilievo della ‘ndrina Barbaro-Papalia di Buccinasco, provvedeva al riciclaggio di denaro in parte attraverso un sistema di acquisto dei ticket delle vincite al lotto e superenalotto. Pertanto, alla luce delle numerose operazioni che hanno riguardato la criminalità mafiosa calabrese, si riscontra un radicamento ‘ndranghetista che predilige l’investimento di capitale sociale in alcuni settori economici specifici, diversificando i propri interessi sulla base delle differenti zone, per caratteristiche e morfologia territoriale, presenti nel bresciano.
Nella provincia di Brescia, pertanto, si riscontrano maggiormente reati di tipo finanziario, commessi dalle varie organizzazioni criminali, realizzati attraverso società appositamente costituite o acquisite dove vengono nominate come amministratori le cosiddette “teste di legno”. Ciò che emerge, dunque, è il crescente connubio tra criminalità organizzata e imprenditoria locale.
Per quanto riguarda la presenza di altre organizzazioni mafiose nella provincia di Brescia, si denota l’interesse della criminalità mafiosa e stiddara gelese. Dalle operazioni “Extra Fines” del 2017 e “Leonessa” del 2019, è emersa la messa a disposizione della consorteria criminale da parte di imprenditori locali. Questi ultimi infatti avrebbero favorito l’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico legale di attività con le quali riciclare proventi illeciti, operando a favore di tali organizzazioni e alterando la concorrenza di mercato. Infine, si segnala la predisposizione di alcuni gruppi criminali pugliesi, in particolare appartenenti all’area foggiana, nel compiere operazioni in alcune province lombarde, tra le quali quella bresciana. Un dato interessante sembra essere l’assenza di radicamento di questi gruppi criminali provenienti dall’area foggiana i quali effettuano furti eclatanti senza investire risorse finalizzate alla presenza stabile nel territorio.
In merito alla criminalità straniera, il Rapporto evidenzia una presenza di organizzazioni criminali di origine albanese e nordafricana che operano soprattutto nel traffico internazionale di stupefacenti, nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e nello sfruttamento della prostituzione e della manodopera. Anche la criminalità cinese risulta essere fortemente radicata nel territorio bresciano soprattutto nel settore dello sfruttamento della prostituzione celato dietro i numerosi centri massaggi. Dal 2010 ad oggi sono stati venti i centri massaggi chiusi dalle forze dell’ordine.
In ordine ai reati spia, l’analisi dei dati restituisce un quadro caratterizzato da un elevato numero di casi di estorsioni e di usura denunciati. Invece, per quanto concerne i beni confiscati, si riscontra una concentrazione prevalente in quattro aree ben definite: il capoluogo, il confine con la provincia bergamasca, la zona della bassa bresciana e il territorio gardesano.
11. La provincia di Mantova
Il Rapporto prosegue l’analisi concentrandosi sul territorio mantovano che, negli ultimi anni, rappresenta il fulcro socio economico e un importante snodo di alcune ‘ndrine radicate da decenni in Emilia Romagna. Infatti, Mantova è considerata il prolungamento naturale delle province emiliane. Sebbene non si riscontri la strategia organizzativa tipica dell’organizzazione mafiosa calabrese, riunita intorno alle locali di ‘ndrangheta per il presidio del territorio, emerge la pervasività della stessa soprattutto nel mondo dell’attività di impresa. In questo senso, l’assenza di locali di ‘ndrangheta consente a più clan calabresi di condividere il territorio. I primi segnali relativi alla presenza criminale mafiosa emergono negli anni ’90 con l’insediamento di latitanti nella provincia mantovana o soggiornanti obbligati nei limitrofi comuni emiliani, da cui prende avvio l’espansione verso nord.
L’inchiesta “Pesci”, relativa all’espansione della mafia calabrese nel mantovano ad opera del clan Grande Aracri, delinea il modus operandi di una struttura mafiosa operativa nel settore degli affari economici e attratta dal guadagno, dal profitto e dalla speculazione. In particolare, vengono segnalate condizioni favorevoli all’insediamento socio-economico ‘ndranghetista, soprattutto nel campo dell’edilizia, settore fortemente inquinato nel mantovano grazie all’acquisizione di importanti appalti e al frequente utilizzo della violenza a danno degli imprenditori concorrenti. Dalle nuove inchieste giudiziarie emerge, altresì, un singolare metodo corruttivo in cui è lo stesso cittadino, spesso imprenditore, a chiedere alla ‘ndrangheta di sistemare il nipote, di trovare lavoro al figlio. Dopo aver riportato le risultanze delle più recenti operazioni svolte nella provincia di Mantova, il Rapporto evidenzia che, nonostante il vitale contrasto alle ‘ndrine presenti nel territorio, la pressione mafiosa sia ancora molto forte, soprattutto nelle zone di confine con l’Emilia Romagna.
Sebbene la provincia mantovana abbia subito negli anni è un radicamento mafioso proveniente dalle vicine province emiliane e originario di Cutro, si nota un interesse crescente anche da parte di altre organizzazioni criminali, tra cui quella siciliana. Invece, in ordine alla presenza di organizzazioni criminali straniere, si registra la presenza di gruppi malavitosi di origine albanese e nordafricana, attivi soprattutto nel traffico di droga.
Per quanto riguarda i cosiddetti reati spia, i dati fotografano Valori assoluti in linea con quelli regionali, soprattutto per quanto riguarda il traffico di stupefacenti e il riciclaggio. Diversamente da quanto avviene nella Lombardia occidentale, per le estorsioni si nota un incremento del dato mantovano negli ultimi anni. Infine, la tabella dei dati relativi ai beni confiscati nella provincia di Mantova evidenzia la concentrazione prevalente nella zona Medio Mantovano.
12. La provincia di Cremona
Come la provincia di Mantova, anche quella di Cremona registra negli ultimi anni è una centralità crescente delle ‘ndrine cutresi anche grazie al prolungamento territoriale della cosca Grande Aracri proveniente dall’Emilia. A segnalare l’insediamento di clan mafiosi negli anni ’90 nel territorio sono l’arresto di latitanti presenti nella provincia, l’esecuzione di omicidi di matrice mafiosa, nonché episodi di estorsione riconducibili a esponenti ‘ndranghetisti. Negli stessi anni si verifica una guerra di mafia che vede contrapposte la cosca Grande Aracri – Dragone e le ‘ndrine Ruggiero e Vasapollo per l’ottenimento dell’egemonia in alcuni territori del crotonese e delle propaggini delle cosche in alcune zone del Nord Italia, soprattutto nelle province di Reggio Emilia, Mantova e Cremona.
A partire dagli anni Duemila, invece, la presenza ‘ndranghetista riguarda soprattutto i clan crotonesi, in particolare quello riconducibile a Nicolino Grande Aracri e al suo referente cremasco Francesco Lamanna. Aldilà degli investimenti della ‘ndrangheta e delle attività criminali incentrate su traffico di stupefacenti, estorsioni, usura e controllo di filiere legate all’edilizia, il Rapporto osserva un ricambio generazionale in atto, alla luce dei numerosi arresti, che garantisce all’organizzazione criminale di mantenere saldo il controllo del territorio. Inoltre, risulta essere centrale l’apporto fornito alla criminalità organizzata di stampo mafioso da rappresentanti professionisti dell’area grigia i quali vengono visti come benefattori dai concittadini. Negli ultimi anni viene segnalata, altresì, la presenza di alcuni clan di Cosa nostra.
Il Rapporto, focalizzandosi sul traffico dei rifiuti, precisa come dal 2017 si verifichino numerosi casi incendiari di depositi di stoccaggio rifiuti, alcuni di notevoli dimensioni. Le indagini avviate dalle forze dell’ordine nel 2016 hanno dimostrato l’esistenza di un traffico di ingenti quantitativi di rifiuti che, mediante la compilazione di documentazione falsa, venivano illecitamente smaltiti sotto la falsa veste di prodotti end-of-waste, ossia derivanti dal processo di recupero di rifiuti, transitando da un impianto mantovano verso due siti ubicati nelle province di Brescia e Cremona. Inoltre, con l’inchiesta “Metal Empire” del 2020 il settore dei rifiuti ha acquisito un carattere di transnazionalità. Infatti è stata scopata un’associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode fiscale, riciclaggio, trasferimento fraudolento di denaro e falsa movimentazione di rifiuti tra la Croazia, l’Ungheria e la Lombardia.
In merito alla presenza della criminalità organizzata di matrice straniera, quest’ultima è maggiormente radicata nella parte settentrionale del territorio orientale regionale. Pertanto, si riscontra la presenza di clan di origine albanese e nordafricana, attivi soprattutto nel business degli stupefacenti e dell’immigrazione clandestina connessa alla tratta di esseri umani finalizzata allo sfruttamento della prostituzione.
Infine, nell’ambito dell’analisi dei reati spia, ciò che emerge è, da un lato, la quasi nullità dei casi di denuncia di usura negli ultimi quattro anni, e dall’altro l’aumento dei valori numerici riferiti al riciclaggio. In merito a quest’ultimo, l’analisi dei valori per 100.000 abitanti, evidenzia come nella provincia di Cremona si registri un dato pari a quasi il doppio dell’intera area occidentale della regione. Per quanto concerne i beni confiscati, invece, questi si concentrano nell’area settentrionale del Cremasco.
I beni confiscati
Prima di avviarsi alle conclusioni, il Rapporto in esame realizza un focus tematico sulla geografia dei beni confiscati in Lombardia. Ebbene, il Monitoraggio eseguito consente di affermare che, ad oggi, gli immobili e le aziende in gestione e già destinate in Lombardia ammontano a 3607. Tale numero – in continua crescita – dimostra come la regione sia tra le più ambite al Nord Italia dalle organizzazioni criminali. I dati forniti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati (ANBSC) offrono informazioni rilevanti in materia di distribuzione geografica, tipologia e settori di investimento delle aziende e degli immobili confiscati e sequestrati. Per quanto riguarda la distribuzione geografica emerge come la maggior parte degli immobili si trovi nelle zone di confine delle province lombarde o nei centri urbani.
Si nota come, esclusa la provincia di Milano – dotata del numero più alto di beni confiscati (1708) – la maggior parte dei beni si trovi nella provincia di Monza Brianza, e in particolare nei comuni di Desio, Seregno e Giussano. Questi ultimi formano una fascia che, da nord est di Milano, si estende lungo la provincia. Nella provincia di Varese si può notare un’importante distribuzione di beni al confine con la provincia di Milano e in prossimità del confine piemontese o di quello elvetico. Altre zone di confine della regione interessate da una forte presenza di immobili confiscati sono quelle sudorientali di Mantova e Cremona. In ordine, invece, alla tipologia degli immobili e delle aziende in gestione e destinati, immobili in gestione e immobili destinati non si discostano molto poiché consistono principalmente in appartamenti in condomini, box, garage, autorimesse, posti auto e terreni agricoli. Per quanto concerne le aziende in gestione si assiste ad un numero cospicuo nel settore delle attività immobiliari, di noleggio, di informatica, ricerca e servizi alle imprese a cui seguono il settore delle costruzioni e del commercio all’ingrosso e al dettaglio, di riparazione veicoli, beni personali, a casa.
Invece, il settore delle aziende destinate vede al primo posto il settore delle costruzioni, seguito dal commercio ingrosso-dettaglio, riparazione veicoli, beni personali, casa e attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e servizi all’imprese. Ciò che si evince è una propensione delle organizzazioni mafiose verso attività a basso livello tecnologico e ad alta presenza di unità produttive di piccola scala. In conclusione, alla luce delle tabelle riportate dal Rapporto, emerge la volontà delle organizzazioni criminali di stampo mafioso di investire in determinati settori spinte dalla volontà di controllare il territorio e costruirvi consenso, con un maggiore radicamento nei piccoli e piccolissimi comuni.
Conclusioni
Da ultimo, il Rapporto trae le conclusioni del lavoro svolto e dei dati raccolti esplicitando quattro questioni. Innanzitutto, risalta la forza rigenerativa dei clan. Infatti, la resilienza che li caratterizza, consente alle strutture e agli interessi mafiosi di rimodellarsi continuamente e adattarsi alle pressioni e alle opportunità locali. Permane la presenza sociale e il controllo territoriale mediante il ricorso ad una violenza di bassa intensità che genera alti livelli di omertà e intimidazione.
In secondo luogo, colpisce la capillarità della presenza mafiosa sul territorio – come attestato dalla geografia dei beni confiscati – e dal tessuto relazionale stabilito tra le varie ‘ndrine e locali diversamente dislocate. Ed è questa stessa capillarità a diventare un fattore di resistenza e resilienza delle organizzazioni mafiose, a garanzia di una elevata flessibilità operativa. È necessario, altresì, prendere atto dell’ampiezza del mercato degli stupefacenti, principale attività criminale che governa il territorio lombardo.
Infine, è opportuno sottolineare l’essenziale attività di contrasto istituzionale e civile portata avanti. Ciò si evince dal numero dei beni confiscati, dalle attività di bonifica di situazioni compromesse, come il celebre “boschetto” di Rogoredo a Milano, dallo spostamento dei clan più potenti per sfuggire alle attività di contrasto e al confronto con la popolazione civile del territorio. È proprio su questi quattro punti che il Rapporto auspica l’avvio di riflessioni e di superiori livelli di comprensione.
(a cura di Cristina Romeo,
Master APC dell’Università di Pisa )