Premessa. Oltre ad avere influito sulla vita quotidiana della società civile, il processo di globalizzazione ha certamente avuto importanti ripercussioni sulle attività svolte dalle diverse organizzazioni criminali. Dalla fine della Guerra Fredda si registra infatti una progressiva espansione dei network tra le singole associazioni a delinquere e l’incremento della collaborazione con altri gruppi. Con la liberalizzazione dei commerci e l’abbattimento di molte barriere commerciali è stato anche facilitato il contrabbando, il riciclaggio di denaro, le frodi finanziarie e una miriade di altre attività illecite. Tra queste rientra senza alcun dubbio il traffico di stupefacenti, il quale, a causa delle sue peculiarità, del numero di soggetti e di Stati coinvolti, può certamente essere considerato come un crimine transnazionale.

L’apporto della legislazione internazionale alla normativa italiana. Proprio a causa di questa sua particolare connotazione, sarebbe inverosimile, nonché altamente improduttivo fronteggiare tale piaga attraverso singole strategie di contrasto su base nazionale. Ecco spiegato, dunque, perché i maggiori impulsi legislativi siano pervenuti da specifiche strutture internazionali (specialmente da parte dell’Onu).

A tal proposito, va segnalata innanzitutto la Convenzione unica sugli stupefacenti di New York del 30 marzo 1961, ratificata in Italia con la legge 5 giugno 1974, n. 412. Scopo principale della suddetta Convenzione era quello di richiedere ai Paesi firmatari l’istituzione di un Servizio nazionale di coordinamento ed una maggiore rapidità nei rapporti di cooperazione internazionale, così come previsto dall’art. 35 (Lotta contro il traffico illecito), con il quale si invitavano le parti, vale a dire gli Stati, ad elaborare opportune misure di repressione e di prevenzione attraverso una stretta collaborazione tra di loro.

Gli stessi principi enunciati a New York furono ripresi dalla Convenzione sulle sostanze psicotrope di Vienna del 21 febbraio 1971, ratificata in Italia con la legge 25 maggio 1981, n. 385, il cui art. 21 ricalca gli stessi concetti di collaborazione presenti nell’art. 35 della Convenzione di New York.

Sette anni più tardi, nel 1988, un ulteriore Convenzione stipulata sempre a Vienna e ratificata in Italia con la legge 5 novembre 1990, n. 318, indicava gli aspetti di cooperazione e coordinamento tra i vari istituti nazionali antidroga come i pilastri fondamentali della lotta al traffico internazionale di stupefacenti e sostanze psicotrope. In particolare, l’art. 9 della Convenzione Onu (Altre forme di cooperazione e di formazione) invitava gli Stati a stringere tra loro accordi bilaterali e multilaterali al fine di mantenere canali di comunicazione tra gli organismi ed i Servizi nazionali competenti, in modo da facilitare gli scambi di informazioni, di personale e di esperti, inclusa l’assegnazione di agenti di collegamento.

Ulteriori misure della normativa italiana. In campo propriamente interno, l’Italia, oltre ad aver ratificato le tre Convenzioni internazionali, ha migliorato il proprio sistema legislativo in materia di lotta alla droga, passando da un approccio punitivo (legge n. 1041 del 1954) ad uno improntato maggiormente sugli aspetti di prevenzione, di cura e di riabilitazione, attraverso la legge n. 685 del 1975, il cui art. 7 introduceva un ufficio interforze di direzione e di coordinamento, creato tramite il Decreto del Ministero dell’Interno del 7 gennaio 1976. Attraverso la legge n. 121 del 1981  (legge di riforma della Polizia di Stato) suddetto ufficio veniva soppresso e sostituito dal Servizio Centrale Antidroga, posto all’interno della Direzione Centrale della Polizia Criminale.

E’ con la legge n. 162/1990 , poi confluita nel T.U. delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), che si raggiunge una piena armonizzazione dei principi dichiarati a Vienna nel 1988. Infatti, tramite la 162 vengono creati appositi organi e istituiti specifici strumenti investigativi volti a migliorare le esigenze di cooperazione internazionale.  L’art. 1 del Testo unico, infatti, ha previsto la nascita del Comitato Nazionale di Coordinamento per l’Azione Antidroga, composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale lo presiede, e dai vari Ministri a vario titolo interessati alla materia. Tale Comitato ha la responsabilità di indirizzo e di promozione della politica generale di prevenzione e di intervento contro l’illecita produzione e diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, a livello interno ed internazionale. L’art. 9, invece, ha affidato al Ministero degli Esteri e a quello della Giustizia la facoltà di promuovere accordi internazionali di collaborazione con i competenti organismi esteri.

Il testo unico si è, inoltre, preoccupato di disciplinare la figura della cosiddetta “consegna controllata” di stupefacenti, attraverso la quale le Autorità giudiziarie possono autorizzare il ritardo dell’esecuzione di provvedimenti di cattura, di arresto e di sequestro di sostanze stupefacenti, al fine di acquisire importanti ed ulteriori elementi probatori, così da individuare e catturare i responsabili dei delitti di cui agli artt. 73-74 del testo unico. Il principio della “consegna controllata” ha potuto trovare attuazione nel nostro ordinamento anche e soprattutto grazie alla spinta propulsiva data dalla legislazione internazionale, in quanto nel sistema legislativo italiano si aveva la prevalenza di una rigida concezione del principio di legalità processuale, che attribuiva alla nozione di obbligatorietà dell’azione penale una portata tale da non permettere alcuna discrezionalità nei tempi degli interventi.

Un ulteriore passo in avanti si è avuto con la legge 15 gennaio 1991, n. 16, la quale ha soppresso il Servizio Centrale Antidroga, sostituendolo con la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (D.C.S.A.), collocata all’interno del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno. Questa ha come scopo principale quello di mantenere e di migliorare i rapporti con i corrispondenti organismi delle Polizie estere, anche attraverso “esperti antidroga” operanti all’estero e tramite “uffici operanti fuori dal territorio nazionale”.

Pertanto, si può concludere che il sistema normativo italiano si è dotato nel tempo di appositi istituti e misure volte ad una piena cooperazione internazionale, al fine di prevenire e combattere un crimine perpetrato in più Stati e che per tale motivo richiede un intervento sinergico di contrasto da parte dei vari Paesi coinvolti.

Dicembre 2015                                                          (A cura del dott. Fabrizio Cutrupi)