PREMESSA. Il Ministro dell’Interno ha trasmesso alle Camere il 2 luglio 2020 la Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel secondo semestre del 2019, della quale si riportano i passaggi salienti relativi a tre focus specifici – emergenza Covid, infiltrazioni negli Enti locali e gioco d’azzardo – nonché le evoluzioni e le strategie delle cd. “quattro mafie” (per le precedenti relazioni cliccare qui).

EMERGENZA COVID

La Relazione si apre con un approfondimento relativo alle ripercussioni della pandemia sulle attività criminali. Le organizzazioni di stampo mafioso, osserva la DIA, vedono nella fase di ripresa post-lockdown un’opportunità per espandere la loro economia criminale, sfruttando le difficoltà delle attività economiche e produttive e puntando ad accrescere la propria capacità di influenzare il tessuto sociale, soprattutto “nelle periferie depresse delle grandi aree metropolitane”, laddove già esistono “sacche di povertà e di disagio sociale”.

Un contesto post-bellico.”Alla fascia di una popolazione tendenzialmente indigente secondo i parametri ISTAT, se ne va ad aggiungere un’altra, che inizia a ‘percepire’ lo stato di povertà cui sta andando incontro. Un focolaio che finisce per meglio attecchire soprattutto nelle regioni di elezione delle mafie, dove una Questione meridionale non solo mai risolta, ma per decenni nemmeno seriamente affrontata, offre alle organizzazioni criminali da un lato la possibilità di esacerbare gli animi, dall’altro di porsi come welfare alternativo, come valido ed utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale. C’è poi l’aspetto della paralisi economica, che in questo caso ha assunto dimensioni macro, e che può aprire alle mafie prospettive di espansione e arricchimento paragonabili ai ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico”.

Due scenari nel lungo periodo. La DIA ipotizza un primo breve periodo, in cui “le organizzazioni mafiose tenderanno a consolidare sul territorio il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali. Un supporto che passerà anche attraverso l’elargizione di prestiti di denaro a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti.

Un secondo scenario, questa volta di medio-lungo periodo, in cui le mafie – specie la ‘ndrangheta – vorranno ancor più stressare il loro ruolo di player, affidabili ed efficaci anche su scala globale. L’economia internazionale avrà bisogno di liquidità ed in questo le cosche andranno a confrontarsi con i mercati, bisognosi di consistenti iniezioni finanziarie. Non è improbabile perciò che aziende anche di medie – grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà, per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva proprio sui capitali mafiosi”.

Secondo la DIA al virus potrebbe dunque affiancarsi “l’infezione finanziaria mafiosa“, un pericolo concreto, reale che impone di non abbassare la guardia anche quando”i riflettori si abbasseranno”, perché le mafie “tenderanno a riprendere spazio, insinuandosi nelle maglie della burocrazia”.

“Una strategia che le mafie potrebbero perseguire mettendo in atto un’opera di distrazione dell’attività delle Forze di polizia, sia alimentando forme di azione anche violenta, sia favorendo l’incremento di reati che hanno immediato effetto sul mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica o comunque alimentando forme di protesta sociale”.

Strategie di prevenzione in funzione dei contesti. Per contrastare tali scenari la DIA punta a processi di lavoro in cui “le Prefetture, epicentro degli accertamenti antimafia in materia di appalti pubblici, siano nelle condizioni di sviluppare opzioni operative ad hoc, adattabili, consonanti con le esigenze che di volta in volta si prospetteranno. Opzioni operative calate nella realtà, funzionali agli obiettivi da raggiungere. Il sistema di prevenzione antimafia dovrà necessariamente essere duttile, adattabile e dinamico, in grado di variare il proprio assetto in relazione all’obiettivo, senza sottostare a precostituiti standard operativi che finiscono per ingessare l’azione di controllo e rallentare l’esecuzione delle opere”.

Va letta in tal senso la creazione  – nel mese di aprile del 2020 – dell’Organismo permanente di monitoraggio ed analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso, costituito presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale, a carattere interforze, composto da rappresentanti della Polizia di Stato, dell’Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza, della Polizia penitenziaria, della DIA, della Direzione centrale per i servizi antidroga e del Servizio Polizia Postale. L’obiettivo principale è quello di condividere le informazioni di cui dispongono tutte le Forze di polizia, per intercettare i sintomi e le tendenze criminali in chiave preventiva e di contrasto investigativo.

Le quattro mafie: possibili ambiti di espansione. Nell’esaminare gli ambiti di espansione mafiosa, la DIA mette in guardia su diversi “punti deboli” che le varie consorterie criminali potrebbero attaccare.

  • Relativamente agli ambiti di interesse della ‘ndrangheta, “incombe sugli imprenditori il pericolo dell’usura, dapprima – anche a tassi ridotti – finalizzata a garantire una qualche forma di sopravvivenza e, successivamente, sotto forma di pressione estorsiva, all’espropriazione dell’attività. In questo momento appare opportuno mantenere alta l’attenzione sui settori che più di altri hanno sofferto l’immobilità commerciale: alberghi, ristoranti, pizzerie, attività estrattive, fabbricazione di profilati metallici, commercio di autoveicoli, industrie manifatturiere, edilizia e attività immobiliari, attività connesse al ciclo del cemento, attività di noleggio, agenzie di viaggio e attività riguardanti il settore dei giochi d’azzardo”.
  • Cosa nostra potrebbe sfruttare il Covid per “confermare il suo radicamento sociale, anche fomentando un clima di insofferenza e fornire alla popolazione adeguate forme di welfare”. Inoltre non va dimenticato che, nonostante gli arresti che hanno destrutturato la Cupola negli anni passati, Cosa nostra “mantiene il controllo di molte filiere produttive, a partire da quella della distribuzione alimentare, a quella turistico-alberghiera, dell’industria manifatturiera e del ciclo dei rifiuti”. A questi settori, evidenziano gli investigatori,  potrebbero aggiungersi anche interessi connessi al sistema sanitario, un business che offre anche la possibilità di distribuire posti di lavoro agli affiliati.
  • Le considerazioni valide per la mafia calabrese e siciliana, valgono anche per le organizzazioni di matrice camorristica, le quali puntano al mantenimento degli affiliati, alla penetrazione in aziende sane e al riciclaggio di denaro frutto di attività illecite. E’ nota la predisposizione della Camorra verso il settore rifiuti, su cui va posto una particolare attenzione, anche in virtù del trattamento dei rifiuti ospedalieri, in forte aumento a causa dell’emergenza pandemica (il tema è stato oggetto di un ciclo di audizioni e di una Relazione della Commissione Rifiuti).
  • per la criminalità organizzata pugliese “si può ipotizzare un allentamento delle forme più aggressive di pressione estorsiva ed usuraria” al fine di gestire il consenso sociale, ma d’altro canto “è ragionevole ritenere che resti alta l’attenzione verso le imprese in difficoltà finanziaria, presso le quali hanno la possibilità d’intervenire con immissioni di liquidità”. La società foggiana, le mafie garganica e cerignolana, i clan più autorevoli del barese e nella Sacra corona unita del Salento – la cosiddetta “mafia degli affari” – punta “al raggiungimento di obiettivi economico-criminali a medio-lungo termine” oltre che a “consolidare le proprie posizioni in settori nevralgici dell’economia regionale”, tra cui il comparto agro-alimentare e quello della mitilicoltura, il comparto turistico-alberghiero e della ristorazione.

In tema di settori a rischio, la DIA ritiene “prevedibili importanti investimenti criminali nelle società operanti nel ciclo della sanità, siano esse coinvolte nella produzione di dispositivi medici (mascherine, respiratori) nella distribuzione (a partire dalle farmacie, in più occasioni cadute nelle mire delle cosche), nella sanificazione ambientale e nello smaltimento dei rifiuti speciali, prodotti in maniera più consistente a seguito dell’emergenza. Non va, infine, trascurato il fenomeno della contraffazione dei prodotti sanitari e dei farmaci”.

Sulla “detenzione domiciliare” dei boss durante il Covid-19.  Sul tema,  molto dibattuto dall’opinione pubblica – e oggetto di una serie di audizioni ad hoc della Commissione Antimafia -, la DIA ricorda come l’età avanzata di alcuni soggetti scarcerati “non costituisca affatto un impedimento all’esercizio del potere da parte dei capi, rappresentando, al contrario, un fattore di rispetto e prestigio. L’effetto dell’applicazione di regimi detentivi alternativi a quello carcerario ha indubbi negativi riflessi per una serie di motivazioni.
In primo luogo rappresenta senz’altro l’occasione per rinsaldare gli assetti criminali sul territorio, anche attraverso nuovi summit e investiture. Ma soprattutto occorre porre in rilievo come la scarcerazione in anticipo di un mafioso, addirittura di un ergastolano, è avvertita dalla popolazione delle aree di riferimento come una cartina di tornasole, la riprova di un’incrostazione di secoli, diventata quasi un imprinting: quello secondo cui mentre la sentenza della mafia è certa e definitiva, quella dello Stato può essere provvisoria e a volte effimera. Infine, è pure bene evidenziare che la concessione della detenzione domiciliare contraddice la ratio di quella in carcere, che punta ad interrompere le comunicazioni e i collegamenti tra la persona detenuta e l’associazione mafiosa di appartenenza”.

INFILTRAZIONI NEGLI ENTI LOCALI

La contaminazione mafiosa si esprime in due modalità: palese – spregiudicata e violenta – ed occulta. Quest’ultima, secondo la DIA, è caratterizzata dalla “necessità di adottare strategie silenti di contaminazione del territorio”. In tal senso l’infiltrazione degli Enti locali “si conferma come irrinunciabile, e questo per una serie di motivi:

  • in primo luogo perché attraverso pubblici funzionari asserviti alle logiche mafiose, le cosche riescono a drenare risorse dalla Pubblica Amministrazione, abbassando notevolmente i margini di rischio e di esposizione connessi, invece, alla gestione
    di attività illecite;
  • in seconda battuta per rendersi irriconoscibili, mimetizzare la propria natura mafiosa, riuscendo addirittura a farsi apprezzare per affidabilità imprenditoriale. È questa la leva che, soprattutto al Nord, attrae professionisti e imprenditori che si propongono, che cercano un partner in grado di moltiplicare i profitti e di sbaragliare la concorrenza.

Sono proprio queste fasce deviate dell’imprenditoria che diventano l’area grigia che consente alla mafia di creare un’altra area grigia all’interno della Pubblica Amministrazione. Una proprietà transitiva in cui il professionista colluso inocula la mafia nell’Ente locale spesso attraverso la corruzione. Una condotta delittuosa che ha un costo in termini di denaro o di altre utilità che vengono offerte al funzionario pubblico. Un costo che però crea fidelizzazione: il funzionario, una volta corrotto, specie se corrotto dalla mafia, diventerà ob torto collo punto di riferimento dell’organizzazione, non avrà margini di ripensamento, sarà
in definitiva egli stesso mafioso”.

GIOCO D’AZZARDO

“Le investigazioni degli ultimi anni restituiscono, in maniera evidente, il segnale di un allargamento delle prospettive della criminalità organizzata, sempre capace di intercettare i settori potenzialmente più redditizi. Tra questi, si è imposto il settore dei giochi e delle scommesse, attorno al quale sono andati a polarizzarsi gli interessi di tutte le organizzazioni mafiose, dalla camorra alla ‘ndrangheta, dalla criminalità pugliese a cosa nostra, in alcuni casi addirittura consorziandosi tra di loro“.

I profitti mafiosi vengono realizzati secondo due direttrici: “da un lato la gestione storica del gioco d’azzardo illegale, le cui prospettive sono andate allargandosi con l’offerta on line; dall’altro, la contaminazione del mercato del gioco e delle scommesse legali, che garantisce rilevanti introiti a fronte del rischio di sanzioni ritenute economicamente sopportabili”.

Il gioco illegale si sviluppa attorno alla “tradizionale attività estorsiva ai danni delle società concessionarie, delle sale da gioco e degli esercizi commerciali, soprattutto bar e tabaccherie, in cui si esercita il gioco elettronico. Altrettanto frequente è poi l’imposizione degli apparecchi negli esercizi pubblici da parte di referenti dei clan o l’alternativa, offerta alle vittime, di consentire l’installazione ad altri, a fronte, però, del pagamento di una somma mensile per ogni apparecchio. C’è poi un ulteriore aspetto dai drammatici risvolti sociali: le mafie approfittano dei giocatori affetti da ludopatia, concedendo loro prestiti a tassi usurari. Si genera così, un circolo vizioso, in cui alla dipendenza dal gioco si somma la dipendenza economica dai clan.

Ce n’è poi un altro più sofisticato, che richiede competenze elevate. Si tratta della gestione delle scommesse sportive e giochi on line realizzata, attraverso i Centri di Trasmissione Dati (CTD), su piattaforme collocate all’estero. Il tutto architettato da soggetti sprovvisti delle previste concessioni o autorizzazioni che operano su siti web collegati a bookmaker esteri. Bookmaker “pirata” o, in alcuni casi, autorizzati a effettuare la raccolta a distanza, in forza di licenze rilasciate da Autorità straniere che non tengono conto dei gravi precedenti penali di cui tali soggetti risultano gravati in Italia. Spesso, per rendere più difficoltosa l’individuazione dei flussi di giocate, i server vengono collocati in Paesi off-shore o a fiscalità privilegiata e non collaborativi ai fini di polizia. Si tratta di un circuito totalmente “invisibile”, in cui i brand raccolgono puntate su giochi e scommesse, restando ignoti al Fisco.

Tra le forme di gioco illegale, oltre agli ambiti di maggiore complessità, tra cui il match fixing, rientrano anche strutture da gioco tecnicamente più semplici, come i totem, la cui installazione negli esercizi pubblici è vietata: si tratta di terminali informatici che, attraverso il collegamento internet, consentono la fruizione del gioco mediante piattaforme collocate all’estero, accedendo quindi a server stranieri i cui gestori non sono soggetti agli stessi obblighi di identificazione e tracciabilità previsti dalla normativa o nazionale. Possono essere qualificati come totem anche normali computer messi a disposizione dei clienti, collegati a siti non autorizzati di giochi e scommesse on line, sfuggendo, così, ai previsti controlli sulle vincite e sugli utilizzatori. Ovviamente, i siti on line illegali hanno maggior successo presso il pubblico rispetto a quelli legali perché, non soggiacendo ad imposizione fiscale, possono offrire quotazioni maggiori e vincite più alte”.

Le infiltrazioni nel gioco legale. Le condotte criminali puntano ad inserirsi nella filiera legale e sono per lo più “finalizzate all’alterazione dei flussi di comunicazione dei dati di gioco, dagli apparecchi al sistema di elaborazione del concessionario.  Le modalità di manipolazione sono numerose, da quelle più raffinate – attraverso svariate tecniche di introduzione abusiva nel sistema telematico – a quelle più semplici di scollegare le apparecchiature dalla rete pubblica. Fondamentale risulta l’apporto di figure dotate di specifiche competenze tecniche, in grado di sfruttare al meglio le nuove tecnologie informatiche. Queste figure sono funzionali alla manomissione degli apparecchi da gioco (agendo sulle schede elettroniche), allo scopo di eliminare il collegamento alla rete dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e quindi far registrare un minor numero di giocate per sottrarsi all’imposizione fiscale, alterando anche le percentuali minime di vincita previste dai regolamenti.

Oltre al settore delle slot machines e delle video lottery, anche le sale bingo rappresentano un comparto legale di grande interesse per la criminalità organizzata, al punto che le concessioni sono state acquistate, in molti casi, a prezzi maggiorati. Un altro settore infiltrato è quello delle competizioni ippiche, in cui sono state registrate irregolarità nella gestione delle scommesse presso le ricevitorie, nell’alterazione dei risultati, attraverso accordi occulti tra scuderie o driver e col doping.

Dalla disamina di tutta la filiera del gioco legale emerge chiaramente come le mafie puntino non solo ad avere ingenti profitti, ma anche a creare una rete funzionale al riciclaggio dei capitali illeciti.

 

Di seguito una sintesi dei capitoli della Relazione dedicati alle cd. “QUATTRO MAFIE”

 

‘NDRANGHETA

L’analisi della DIA restituisce l’immagine di una mafia silente ma molto attiva sul fronte affaristico-imprenditoriale, leader nei traffici internazionali di droga, pertanto “in costante ascesa per ricchezza e prestigio“. Gli investigatori descrivono la ‘ndrangheta come in grado di “penetrare i più svariati settori imprenditoriali”, il che la favorisce nell’inserimento dei “circuiti societari più sani, talvolta scalandoli fino a raggiungerne la titolarità e, comunque, utilizzandoli per il riciclaggio dei proventi illecitamente accumulati al fine di acquisirne di nuovi sempre più ingenti”.

Una duttilità emersa pienamente in tutte le sue forme nell’inchiesta “Rinascita Scott” condotta dalla Procura di Catanzaro che, nel mese di dicembre 2019, ha visto l’esecuzione di 334 misure restrittive per un totale di 416 indagati, facendo luce su “una lunga serie di rapporti con il mondo politico-imprenditoriale e con segmenti di massoneria deviata”.

L’indagine ha confermato che la ‘ndrangheta “è un’organizzazione criminale molto attiva, al contempo tradizionale e moderna, ancorata saldamente a vincoli associativi interni, attraverso i quali accresce il consenso, soprattutto in aree economicamente e socialmente depresse. Allo stesso tempo dimostra di essere camaleontica nei processi di adeguamento ai contesti socio-economici nazionali ed internazionali, perfettamente inserita nei meccanismi di progresso e globalizzazione. Sempre più di frequente si assiste all’avvio verso le migliori università italiane e straniere delle proprie giovani leve, che vengono mandate a formarsi per poi servire l’organizzazione criminale adattandosi alle esigenze dei tempi e delle economie moderne”.

Una mafia quella calabrese che si è dimostrata più volte “lungimirante”, anche nel “proiettare le proprie attenzioni verso i mercati dell’Est europeo, intuendone le opportunità offerte anche dagli stanziamenti dell’Unione europea”. Quando si insedia all’estero “non prende di mira specifici settori economici in base alle dimensioni commerciali e imprenditoriali, ma prima di tutto mira a costituire insediamenti territoriali strutturati sul modello reggino, dal quale partire poi per il conseguimento dei profitti”.

Fondamentali erano e restano le pratiche di affiliazione, che nulla hanno a che vedere con semplici riti folcloristici ma, al contrario, “aiutano la ‘ndrangheta ad attirare persone ai margini della società e in cerca di riscatto, soprattutto in aree economicamente depresse”, sviluppando un senso di appartenenza che rappresenta uno dei suoi punti di forza. Del resto la Calabria “continua a caratterizzarsi per livelli di povertà e disuguaglianze sociali elevate, strettamente connessi alla diffusa mancanza di occupazione. Secondo la Banca d’Italia, il numero delle famiglie calabresi in povertà assoluta – con un livello di spesa mensile inferiore a quello necessario per mantenere uno standard di vita minimo considerato accettabile – si attesta su livelli nettamente superiori al resto del Paese”.

Le ‘ndrine confermano la loro forza e pervasività “anche fuori dai territori d’origine ed in rapporti sempre più stretti con esponenti politici e imprenditori. Importanti inchieste degli ultimi anni hanno fatto emergere la tendenza di un’inversione delle modalità di avvicinamento, rilevando come, di frequente, alcuni esponenti dell’imprenditoria o del mondo delle istituzioni abbiano ricercato e si siano rivolti a membri delle consorterie ‘ndranghetiste, per massimizzare i propri profitti o per i vantaggi nelle tornate elettorali. Condotte che trovano una conferma anche nel numero di provvedimenti interdittivi antimafia adottati dalle Prefetture di tutta la penisola nei confronti di ditte in odore di ‘ndrangheta, operanti in svariati settori commerciali, produttivi e di servizi: dalle costruzioni edili alla raccolta di materiali inerti, dal commercio di veicoli ed automezzi al settore nautico, dai servizi di ristorazione, bar e balneazione al trasporto di merci su strada. Un dato, quest’ultimo, che, come detto, riguarda l’intero territorio nazionale e restituisce l’immagine di una ‘ndrangheta imprenditrice perfettamente radicata anche fuori dalla Calabria“.

 

COSA NOSTRA

La Direzione Investigativa Antimafia sottolinea come la pandemia “potrebbe avere vaste e profonde ripercussioni sul tessuto socio-economico siciliano”, vanificando i segnali di ripresa che l’economia locale stava offrendo nell’ultimo periodo.  La DIA ricorda i 600 milioni di euro messi in campo dalle procedure comunitarie per sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese siciliane e l’avvio di interventi di riqualificazione di aree industriali, finalizzati alla realizzazione di progetti per oltre 200 milioni di euro. Al contempo mette in evidenza “la pressione delle organizzazioni criminali”, che frena “la buona gestione amministrativa degli Enti pubblici e l’attività delle imprese, spesso costrette ad operare con il timore di minacce e in un regime di concorrenza pesantemente viziato dalle infiltrazioni dei sodalizi mafiosi”, citando anche l’alto numero di Enti locali sciolti nel 2019 per ingerenze mafiose.

Cosa nostra “si presenta ancora oggi come un sistema criminale attento a tutte le opportunità di guadagno e concentrato sull’esigenza di ricavare il massimo profitto dalle realtà economiche: un’organizzazione da sempre solidamente strutturata secondo articolazioni gerarchiche, ma al contempo in continua evoluzione e rispondente di volta in volta alle occasioni offerte dai mutamenti della società. Un sistema criminale che ha caratteristiche diverse anche all’interno della stessa Regione: se in Sicilia occidentale si conferma una strutturazione cristallizzata in mandamenti e famiglie, nella provincia di Agrigento continua a registrarsi una zona permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta Stidda, di più recente costituzione. Stessa cosa per la provincia di Ragusa, in particolare nel comprensorio di Vittoria”.

“La Stidda, originaria del comprensorio di Gela (CL), ha progressivamente ampliato la propria sfera d’azione, estendendosi ai territori delle province limitrofe. Nel semestre in esame ha poi dimostrato di aver saputo compiere un balzo organizzativo, ampliando il proprio raggio di azione fino a diventare – sulla scia di Cosa nostra – impresa criminale inserita nelle reti finanziarie del Nord Italia. A fattor comune, per tutti i sodalizi siciliani, si ravvisa la volontà di proiettarsi oltre i confini regionali ed anche nazionali, sia riallacciando i rapporti con le consorterie di radice siciliana d’oltreoceano, sia per ricercare nuove opportunità d’affari”.

 

CAMORRA

Il quadro offerto dalla criminalità organizzata campana si conferma in continua trasformazione. “Ci si trova di fronte non tanto, come potrebbe apparire, ad una caotica e più o meno violenta miriade di gruppi in continua contrapposizione, quanto piuttosto a una sovrapposizione controllata e organizzata di livelli criminali: in quello superiore, trovano posto le storiche famiglie con una radicata incidenza nel tessuto sociale, pubblico ed economico; in quello inferiore si collocano gruppi meno strutturati a livello organizzativo e strategico, deputati al controllo delle attività illegali su piccole porzioni di territorio”.

“Storiche organizzazioni camorristiche  hanno creato, nel tempo, veri e propri apparati imprenditoriali, capaci di influenzare ampi settori dell’economia, locale e nazionale (giochi, ristorazione, comparto turistico-alberghiero, edilizia, rifiuti), evidenziando una resilienza capace di assorbire i continui colpi dello Stato e di mantenere comunque stabile la propria capacità operativa. Pertanto, la rilevanza mediatica derivante da numerosi e gravi episodi criminosi (agguati, sparatorie, intimidazioni), verificatisi soprattutto nella città di Napoli, non deve indurre a pensare ad una camorra come a una matrice delinquenziale di basso cabotaggio, ad un semplice scontro tra bande rivali prive di caratura criminale. I piccoli aggregati di minore entità – spesso costituiti per la maggior parte da giovani che agiscono con modalità mafiose – alla luce delle recenti valutazioni giudiziarie si possono ritenere come realtà criminali subalterne alle grosse organizzazioni, che conferiscono loro legittimazione e dalle quali dipendono operativamente, svolgendo un mero ruolo esecutivo”.

“Rispetto al semestre precedente, il numero stabile, nella città di Napoli, degli omicidi e quello in flessione dei tentati omicidi potrebbe essere un ulteriore elemento indicativo della politica adottata dai clan più strutturati, che allo scontro tendono a preferire la condivisione di interessi, se ciò risulta strumentale al raggiungimento degli obiettivi e dei profitti”.

“Il condizionamento del tessuto economico non riguarda più esclusivamente la Campania, poiché la necessità di investire capitali ha comportato la migrazione di imprenditori camorristi nelle regioni del centro e nord Italia dove, operando senza i vincoli imposti dalle regole di mercato, alterano la legittima concorrenza, contribuendo a indebolire le imprese legali. Il rapporto che lega gli imprenditori al clan è un rapporto stabile, che assicura ai primi protezione nei confronti di altre organizzazioni criminali e soprattutto la possibilità di aggiudicarsi appalti sfruttando le relazioni dei secondi, non solo in Campania ma anche fuori regione. Ed è un dato ormai acquisito che i clan campani, oltre all’infiltrazione nel tessuto imprenditoriale, abbiano assunto la tendenza, anche fuori dal proprio contesto territoriale, di stringere accordi tra loro e con altre organizzazioni criminali italiane e straniere per la gestione di singole attività illecite, quali il traffico di stupefacenti, il riciclaggio o per il controllo di reti imprenditoriali operanti su tutta la Penisola”.

“Un ulteriore elemento di riflessione va rivolto alle richieste pervenute dai capi di alcuni clan che, dal carcere, hanno espresso la volontà di dissociarsi, poi concretizzatasi in forme – peraltro, già sperimentate – di ammissione limitate a condotte criminali già contestate, con l’indicazione delle responsabilità a carico soltanto di collaboratori di giustizia o di concorrenti nel reato deceduti. L’aspetto più interessante riguarda le reali motivazioni che spingono taluni soggetti, spesso di rango apicale, a determinarsi in questo senso, apparendo per lo più come scelte di opportunità finalizzate ad ottenere attenuanti in sede di condanna o misure premiali per i detenuti condannati in via definitiva. Per la camorra, la via della dissociazione trova le sue radici negli anni ’90, con l’intento di mimetizzare e rigenerare l’organizzazione. Si era poi manifestata in Sicilia, all’inizio degli anni Duemila, quando l’adozione di un’analoga linea di condotta fu esplorata anche da parte di Cosa nostra. Una vera e propria strategia che potrebbe avere come obiettivo quello di ottenere l’applicazione delle recenti sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Costituzionale, che hanno sancito la parziale incostituzionalità del cosiddetto ergastolo ostativo”.

 

MAFIE PUGLIESI

Un panorama eterogeneo: così la DIA definisce la situazione della criminalità pugliese, che vede operative numerose consorterie dalle caratteristiche diverse  – mafia foggiana, criminalità barese, sacra corona unita – ciascuna con una sua strategia e personali profili evolutivi.

“A fronte di situazioni, tutto sommato di stallo, registrate nelle province di Bari, Lecce, Brindisi e Taranto, la provincia di Foggia è risultata quella in cui, ancora una volta, il fenomeno mafioso ha manifestato le forme più acute di violenza e aggressività. La recrudescenza delle attività criminali e del racket estorsivo, registrata nel foggiano durante tutto il 2019 e culminata, nel mese di dicembre, in una serie di gravi atti intimidatori (continuati anche nelle prime settimane del nuovo anno), ha comportato costanti, coordinate e decise reazioni da parte delle Forze di polizia e degli organi giudiziari e amministrativi, nonché un potenziamento dei dispositivi di prevenzione e controllo del territorio da parte del Ministero dell’Interno, con l’invio di contingenti straordinari di personale. Tra le iniziative adottate, particolarmente significativa è stata l’attivazione della Sezione Operativa della DIA di Foggia. La Puglia, di conseguenza, è la Regione, dopo la Sicilia, in cui è presente il maggior numero di articolazioni della Direzione Investigativa Antimafia“.

A livello organizzativo la mafia foggiana si contraddistingue per “l’incapacità di darsi una configurazione gerarchica condivisa (con qualche eccezione per la mafia cerignolana) e con la propensione (mutuata dal mondo agro-pastorale e dalla camorra cutoliana) a garantire, con particolare efferatezza, il rispetto delle regole nei rapporti interni tra le diverse organizzazioni criminali. Non si esclude che la più intensa aggressività dimostrata nel periodo in esame si possa ricondurre proprio all’esigenza di ristabilire gli equilibri di forza da
parte di quei gruppi maggiormente destabilizzati, sia sul piano operativo che decisionale, dai numerosi arresti e dalle violente faide interne che ne hanno decimato gli organici, i cui vuoti, peraltro, sono stati costantemente risanati dalle giovani leve”.

Pur evidenziando queste difficoltà, la DIA sottolinea della mafia foggiana la “spiccata vocazione imprenditoriale, in cui restano chiari i segnali di strategie delittuose di più ampio respiro e con una tendenza anche ad operare fuori regione, specie per il traffico degli stupefacenti e per il riciclaggio di capitali. Inoltre, dagli elementi posti a fondamento dello scioglimento per mafia dei consigli comunali di Cerignola e Manfredonia, è emersa una significativa ingerenza nella gestione della cosa pubblica, essendo state create complesse reti relazionali di amicizie, frequentazioni e cointeressenze tra amministratori comunali, dipendenti dell’ente locale e soggetti appartenenti o contigui a famiglie malavitose, le quali grazie a tali rapporti hanno beneficiato di favori nell’acquisizione di pubbliche commesse, negli affidamenti del patrimonio comunale o nell’esercizio di attività commerciali”. Emergono inoltre cointeressenze, in materia di riciclaggio, tra il Gargano e gli affari della ‘ndrangheta, evidenziati dalla succitata inchiesta “Rinascita Scott”.

“In provincia di Bari i clan continuano ad ispirarsi ai canoni camorristici, avvalendosi anche di liturgie arcaiche del potere che creano identità di appartenenza. In questo panorama criminale, nonostante alcuni episodi di rivalità interna ai singoli clan, si sta assistendo, in via generale, ad una ricerca di nuovi equilibri criminali tra le organizzazioni storicamente
egemoni sul territorio. Quella barese può essere considerata come una realtà criminale evoluta, composta da mafiosi e da colletti bianchi, con elevate competenze tecniche e in grado di interagire con il mondo economico finanziario locale, nazionale ed estero”.

“Anche la sacra corona unita salentina si conferma una mafia ben radicata nel substrato socio-economico, ancora in grado di esercitare un controllo sul territorio, dove tuttavia preferisce concludere affari in modo silente, cercando punti d’incontro con la parte compiacente della politica locale per garantirsi il controllo dei settori più proficui dell’imprenditoria. Un riscontro concreto può essere desunto dagli elementi posti a fondamento dello scioglimento di altri due consigli comunali in provincia di Lecce, Carmiano e Scorrano, che seguono quelli di Surbo e Sogliano Cavour, decretati nel 2018. Interessanti evidenze giudiziarie nel semestre riattualizzano le antiche relazioni criminali di elementi della sacra corona unita con la ‘ndrangheta, e ne sottolineano la capacità di interagire, quali autorevoli interlocutori, anche con esponenti delle cosche più potenti”.

“Lo scenario del narcotraffico continua ad essere fortemente influenzato dalla vicinanza dell’Albania e dai traffici di stupefacenti provenienti dai Balcani. Nei rapporti tra la criminalità pugliese e le consorterie albanesi appare consolidato il ruolo di punta assunto da queste ultime, che tendono ad utilizzare i canali gestiti dalle cosche pugliesi per il trasporto delle sostanze stupefacenti anche oltre regione”.