PREMESSA. Il Ministro dell’Interno ha trasmesso alle Camere la Relazione sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia nel secondo semestre del 2020, della quale si riportano i punti salienti.
In particolare, l’attenzione è focalizzata sulle connotazioni strutturali e sulle linee evolutive delle principali mafie italiane (‘ndrangheta, Cosa nostra, Camorra e le mafie pugliesi).
‘NDRANGHETA. L’analisi del complesso fenomeno mafioso calabrese – dotato di quella forte connotazione familiare che l’ha reso fino al recente passato quasi del tutto immune dal fenomeno del pentitismo – non può oggi non tener conto dell’ampio e pressoché inedito squarcio determinato dall’avvento sulla scena giudiziaria di un numero sempre più elevato di ‘ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia. Stretti dalla morsa sempre più incalzante dell’azione investigativa della Magistratura e delle Forze di polizia, con la prospettiva di lunghi anni di carcere, in alcuni casi anche a vita e in regime detentivo differenziato, taluni esponenti anche di primo piano della ‘ndrangheta hanno scelto di rompere il silenzio. Per dirla con le parole del Procuratore Capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri,“…le dichiarazioni dei collaboratori continuano ad essere una fonte di prova indispensabile, anzi insostituibile, pur se necessariamente associata ad altre fonti e mezzi di prova, specialmente le intercettazioni ambientali, essendo, il telefono, sempre più raramente usato come mezzo di comunicazione tra gli associati o gli interlocutori in affari illeciti. L’assoggettamento e l’omertà sono fattori fortemente radicati sul territorio, rappresentando le manifestazioni della presenza e del controllo mafiosi. Pur tuttavia fenomeni di collaborazione sono in chiaro aumento, a riprova di una vulnerabilità del sistema criminale ‘ndranghetista, quando l’azione dello Stato si manifesta sul territorio con costanza in tutte le direzioni, senza mantenere sacche d’impunità…”.
Gli esiti delle più importanti inchieste concluse nel semestre restituiscono l’immagine di una
‘ndrangheta silente e più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale,
nonché saldamente leader nei grandi traffici di droga. In un periodo che vede gli effetti della pandemia da COVID-19 incidere trasversalmente su tutti i campi economici e sociali, le cosche calabresi potrebbero intercettare i vantaggi e approfittare delle opportunità offerte proprio dalle ripercussioni originate dall’emergenza sanitaria, diversificando gli investimenti secondo la logica della massimizzazione dei profitti e orientandoli verso contesti in forte sofferenza finanziaria.
Secondo un modello collaudato e già emerso in recenti investigazioni, la criminalità organizzata calabrese persisterebbe nel tentativo di accreditarsi presso imprenditori in crisi di liquidità ponendosi quale interlocutore di prossimità, imponendo forme di sostegno finanziario e prospettando la salvaguardia della continuità aziendale, nel verosimile intento di subentrare negli asset proprietari e nelle governance aziendali al duplice scopo di riciclare le proprie disponibilità di illecita provenienza e inquinare l’economia legale impadronendosi di campi produttivi sempre più ampi. E ciò con ogni probabilità avverrà in ogni area del Paese in cui le consorterie ‘ndranghetiste si sono radicate. In tale contesto, il pericolo più attuale è rappresentato dall’usura e dal conseguente accaparramento delle imprese in difficoltà, che, unito alla scarsa propensione delle vittime a denunciare, contribuisce alla sottostima e alla diffusione del fenomeno. Per altro verso, la minaccia da fronteggiare è la constatata capacità dei sodalizi calabresi di infiltrare i pubblici appalti avvalendosi di quell’area grigia che annovera al suo interno professionisti compiacenti e pubblici dipendenti infedeli…In tal senso depongono proprio le numerose interdittive antimafia emesse dalle Prefetture calabresi, in particolare da quella di Reggio Calabria, nei confronti di imprese contaminate dalle cosche. Il dato restituisce l’immagine di una ‘ndrangheta infiltrata in svariati settori commerciali, produttivi e dei servizi (costruzioni, autotrasporti, raccolta di materiali inerti, ristorazione, gestione di impianti sportivi e strutture alberghiere, commercio al dettaglio, senza tralasciare il settore sanitario, etc.).
La DIA evidenzia “l’attitudine delle ‘ndrine a relazionarsi agevolmente e con egual efficacia sia con le sanguinarie organizzazioni del narcotraffico sudamericano, sia con politici, amministratori, imprenditori e liberi professionisti, la cui opera è strumentale al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione. La ‘ndrangheta esprime, infatti, un sempre più elevato livello di infiltrazione nel mondo politico-istituzionale, ricavandone indebiti vantaggi nella concessione di appalti e commesse pubbliche. Grazie alla diffusa corruttela vengono condizionate le dinamiche relazionali con gli Enti locali sino a controllarne le scelte, pertanto inquinando la gestione della cosa pubblica e talvolta alterando le competizioni elettorali. A conferma di ciò interviene il significativo numero di scioglimenti di consigli comunali per ingerenze ‘ndranghetiste anche in aree ben lontane dalla Calabria.
Ancora il Procuratore capo di Reggio Calabria fornisce una descrizione del sistema ‘ndranghetista: “…la ‘ndrangheta non è soltanto una organizzazione criminale di tipo mafioso con caratteristiche e proiezioni internazionali, addirittura intercontinentali, ma è un ramificato sistema di potere, perfettamente modellato sulle caratteristiche dettate dall’art. 416 bis, comma 3, c.p…. Sorprende, in ogni caso, osservare come basterebbe cambiare il nome delle operazioni svolte per riproporre quanto già negli scorsi anni relazionato… Non solo le indagini delle operazioni IRIS e ARES dello scorso anno, ma anche le indagini dell’operazione EYPHEMOS o l’operazione PEDIGREE 2 del periodo in esame ci hanno confermato la ricerca di sostegno da parte di uomini politici verso la ‘ndrangheta… Alcune importanti indagini dell’Ufficio hanno, purtroppo, evidenziato, confermando quanto già rilevato negli scorsi anni, che alcuni esponenti politici non esitano a rivolgersi alle cosche di ‘ndrangheta del territorio per acquisire quel consenso elettorale che gli è indispensabile per il proprio successo, nella piena consapevolezza e disponibilità a mettersi, successivamente, a disposizione ove eletti…”
Articolata è la presenza dei locali di ‘ndrangheta nel Nord Italia, in linea con quanto è stato delineato da attività giudiziarie anche definitive. Stanziamenti emblematici che dimostrano la capacità espansionistica delle cosche e la loro vocazione a duplicarsi secondo gli schemi tipici delle strutture calabresi. In totale, sono emersi 46 locali, di cui 25 in Lombardia, 14 in Piemonte, 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige.
COSA NOSTRA e STIDDA. In Sicilia coesistono organizzazioni criminali eterogenee e non solo di tipo mafioso. Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento è egemone Cosa nostra. Del resto quest’ultima, poiché impossibilitata a ricostituire un organismo di vertice per la definizione delle questioni più delicate, risulta avere adottato un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e della ripartizione delle sfere d’influenza tra esponenti di rilievo dei vari “mandamenti”, anche di province diverse. Alcune articolazioni di Cosa nostra appaiono inoltre orientate a intensificare i rapporti con le proprie storiche propaggini all’estero. Recenti e ripetute sono infatti le evidenze di una significativa rivitalizzazione dei contatti con le famiglie d’oltreoceano. Nell’area centro-orientale sono attivi anche sodalizi dai contorni più fluidi e flessibili. A cosa nostra si affiancano infatti altre consorterie di matrice mafiose e fortemente organizzate ma inclini a evitare contrapposizioni con le famiglie. Tra queste un rilievo particolare è da attribuire alla Stidda, che risulta caratterizzata dalla coesistenza di gruppi operanti con un coordinamento di tipo orizzontale. Si tratta di un’organizzazione inizialmente nata in contrapposizione a Cosa nostra ma che oggi tende a ricercare piuttosto l’accordo con quest’ultima per la spartizione degli affari illeciti. Di recente alcune organizzazioni stiddare hanno compiuto un salto di qualità evolvendosi da gruppi principalmente dediti a reati predatori a compagini in grado di infiltrare il tessuto economico-imprenditoriale del nord Italia.
Particolare attenzione merita il racket delle estorsioni che permane alla base del modus operandi di ogni organizzazione mafiosa siciliana comunque denominata. Costituisce la forma più semplice di incasso criminale, del resto praticabile anche dalle consorterie colpite da attività investigative e che pertanto devono riorganizzarsi e nel contempo provvedere ai detenuti e ai loro familiari. L’attività estorsiva garantisce inoltre un efficace controllo del territorio ed è una potenziale fonte di consenso sociale essendo realizzata anche attraverso l’imposizione di merci, fornitori, manodopera e sub appalti che danno lavoro a molti soggetti legati alla organizzazione mafiosa. Il racket genera quindi un indotto economico e occupazionale che può essere distribuito secondo logiche del “welfare” mafioso. Si reputa poi opportuno sottolineare come appaia crescente l’interesse criminale per il campo dei giochi che ben si presta quale strumento sia di riciclaggio, sia di moltiplicatore dei profitti illeciti a fronte di rischi relativamente limitati. Articolato è anche il rapporto della criminalità mafiosa con la delinquenza comune che viene spesso impiegata come manovalanza garantendo in questo modo alle famiglie la fidelizzazione dei piccoli sodalizi anche stranieri. una distinzione va operata per le consorterie nigeriane che evidenziano una presenza rilevante anche in Sicilia. Già consolidate a Palermo e a Catania, anche a Caltanissetta tali compagini stanno progressivamente acquisendo spazi operativi nei consueti settori degli stupefacenti e della tratta di esseri umani connessa con lo sfruttamento della prostituzione.
Si evidenzia poi la presenza di una corruzione diffusa, anche oltre gli interessi delle consorterie mafiose. E’ infatti frequente il coinvolgimento di incaricati di pubblici servizi, imprenditori e tecnici, allettati dai facili guadagni e talvolta riuniti in forma associativa. In tale quadro si sono innestati gli effetti della crisi pandemica, atteso che l’attuale contesto di stagnazione economica favorirebbe il rischio che le organizzazioni mafiose si propongano quali erogatrici di mezzi di sostentamento per imprese e famiglie in alternativa ai circuiti creditizi legali. Si intravede pertanto il pericolo di ulteriore infiltrazione dei sodalizi nei circuiti produttivi sani, anche per intercettare i sussidi e i fondi erogati per il sostegno delle attività economiche. In proposito, va comunque evidenziato che se la difficile situazione contingente da un lato costituisce un’opportunità per le articolazioni mafiose dotate di maggiore liquidità, dall’altro potrebbe invece rappresentare una criticità per quelle famiglie che si finanziano soprattutto attraverso le estorsioni. Il contesto si presta pertanto ad agevolare anche la rimodulazione degli equilibri di forza tra le diverse compagini con probabili e conseguenti attriti violenti in quei territori ove le consorterie sono meno coese. Su questo versante, sebbene il fenomeno mafioso palesi una sempre maggiore propensione all’evoluzione e all’adattamento alle mutate condizioni sociali, economiche e territoriali e si presenti sempre più incline a considerare le azioni di eclatante violenza quale extrema ratio, è bene rammentare che l’efferata brutalità operativa costituisce carattere intrinseco della mafia e che pertanto può sempre riemergere se ritenuta funzionale al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione.
CAMORRE. Secondo quanto emerge dal rapporto sull’Indice di Permeabilità dei territori alla Criminalità Organizzata (IPCO) presentato da EURISPES presso la sede della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo il 15 dicembre 2020, le province della Campania si confermano insieme a quelle calabresi aree del Paese con i valori più elevati di vulnerabilità e di appetibilità per le organizzazioni criminali. Sulla base della considerazione che “la permeabilità ha una natura complessa e multidimensionale che non può essere ridotta esclusivamente a un fenomeno di violenza ma deve essere analizzata attraverso una più ampia lente socio-economica”, lo studio dimostra come l’arretratezza economico-sociale figuri tra gli indicatori maggiormente correlati al fenomeno. Inoltre, l’analisi testimonia come vi sia una corrispondenza positiva fra la permeabilità criminale e il manifestarsi di crisi economico-finanziarie nazionali e internazionali. In realtà, si tratta di un circolo vizioso poiché, come osservato dal Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho, il flusso è biunivoco cioè sono anche le mafie a ingenerare l’arretratezza socio-economica tanto che “quando le mafie hanno cominciato a prendere il sopravvento e
manovrare elementi della società e dell’economia, una parte del Paese si è fermata e si è arretrata… Ora il rischio è che queste mafie infiltrino e contaminino anche l’altra parte”.
Per quanto attiene specificamente alla camorra, appare in linea con i risultati della ricerca la capacità delle consorterie campane di strumentalizzare a proprio vantaggio le gravi situazioni di disagio quale si pone nella contingenza il protrarsi dell’epidemia da COVID-19. In effetti, la storia criminale della camorra “…è stata caratterizzata da un «andamento carsico» (Sales, 1988): «sembra scomparire nei periodi di forte repressione, per riapparire, più forte e determinata nelle fasi di debolezza delle istituzioni e di crisi economica. La visibilità dell’organizzazione sembra essere un indicatore negativo dello stato di sviluppo di un sistema sociale». Le prestazioni previdenziali verso famiglie e imprese in crisi finanziaria rappresentano infatti per i clan un’occasione per incrementare il consenso sociale e consolidare il proprio controllo del territorio. Ma connesso alla crisi finanziaria è anche il rischio ulteriore, denunciato dal Procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Melillo, che la multiforme dimensione imprenditoriale delle principali organizzazioni camorristiche renda la crisi sanitaria ed economica un’opportunità per la diversificazione dei propri affari, soprattutto nei nuovi settori economici strettamente connessi con il fenomeno pandemico, per il reinvestimento delle illimitate risorse illegali nelle imprese in crisi di liquidità e, più di tutto, per l’accesso ai finanziamenti pubblici stanziati per consentire il sostegno alle imprese e il rilancio dell’economia. Tale rischio trova conferma nel documento “Prevenzione di fenomeni di criminalità finanziaria connessi con l’emergenza da COVID-19” presentato l’11 febbraio 2021 dall’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF) che ribadisce quanto sia “essenziale il monitoraggio dei ruoli chiave delle imprese per cogliere se, negli assetti proprietari, manageriali e di controllo, vi siano soggetti privi di adeguata professionalità che appaiono come prestanome, specie se si tratta di individui noti per il coinvolgimento in indagini o per la connessione con contesti criminali, come pure se ricorrano strutture artificiosamente complesse ovvero opache, che ostacolano l’individuazione del titolare effettivo, eventuali collegamenti con Paesi o aree geografiche a rischio elevato ovvero frequenti variazioni nella compagine sociale o dell’organo amministrativo”.
La camorra resta, per dinamiche e metodi, un fenomeno macro-criminale dalla configurazione pulviscolare-conflittuale. Le diverse organizzazioni criminali sono tra loro autonome ed estremamente eterogenee per struttura, potenza, forme di radicamento, modalità operative e settori criminali ed economici di interesse. Queste peculiarità le contraddistinguono dalle mafie organicamente gerarchizzate come cosa nostra siciliana e ne garantiscono la flessibilità, la propensione rigenerativa e la straordinaria capacità di espansione affaristica. Infatti, i clan campani pur essendo connotati in genere da una forte “interpenetrazione” con il tessuto sociale in cui si inquadrano, rimodulano di volta in volta gli oscillanti rapporti di conflittualità, non belligeranza e alleanza in funzione di contingenti strategie volte a massimizzare i propri profitti fino ad arrivare, per i sodalizi più evoluti, alla costituzione di veri e propri cartelli e holding criminali. Di qui anche il contenimento, in linea di massima, del numero degli omicidi di matrice camorristica il più delle volte ormai paradossalmente ascrivibili proprio a politiche di “prevenzione” e/o logiche di epurazione interna, finalizzate a preservare gli equilibri complessivi e a controllare ogni spinta centrifuga.
MAFIE PUGLIESI. Gli altalenanti rapporti di conflittualità e alleanze che contraddistinguono la criminalità organizzata pugliese, intesa quale somma di differenti costellazioni mafiose, continuano a rappresentare il leitmotiv delle dinamiche criminali nella Regione. Infatti, a differenza di altre mafie, governate da una “cupola” e capaci, quanto meno nei momenti di criticità o per comuni interessi, di rispettare gerarchie interne ed esterne, di creare alleanze stabili, di seguire strategie concordate, la mafia pugliese è caratterizzata da incontenibile effervescenza che si riflette sulla composizione e la potenza dei sodalizi. Ne sono conferma, oltre che le improvvise rimodulazioni degli assetti gerarchici dei clan anche le efferate modalità con le quali sono stati compiuti nel semestre agguati e gambizzazioni, episodi delittuosi che solitamente maturano in ambienti legati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Se a tanto si aggiunge una enorme disponibilità di armi, comprovata da numerosissimi sequestri, è evidente che ogni alterazione dei fragili e temporanei equilibri e, più in genere, qualsivoglia intralcio al più spregiudicato affarismo criminale viene sbrigativamente risolta con fatti omicidiari.
I dati presentati con la Relazione sull’Amministrazione della Giustizia in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2021 presso la Corte di Appello di Bari confermano il trend di crescita dei delitti di associazione di tipo mafioso espressivi sia delle tradizionali attività criminali del controllo del territorio, sia di quelle che denotano una vocazione affaristica e finalizzata al riciclaggio anche fuori regione come evidenziato dal recentissimo insediamento della Commissione di accesso presso il Comune di Foggia, del 9 marzo 2021, che mostra gli intrecci tra politica e imprenditoria mafiosa con manifestazioni di corruttela nella gestione delle attività amministrative. n questi termini si era già espresso anche il Procuratore Generale della Corte di Appello di Lecce, sottolineando la tendenza della criminalità organizzata salentina “a penetrare il tessuto economico e a infiltrare gli enti locali e le attività della Pubblica amministrazione. Non è un caso che i decreti di scioglimento dei consigli comunali riguardino Comuni al centro delle zone geografiche di influenza dei maggiori gruppi criminali la cui caratura mafiosa è quasi notoria, oltreché attestata da sentenze passate in giudicato. Il dato preoccupante è che gli episodi di coinvolgimento di amministratori locali in indagini di mafia riguardano tutto il distretto: da Sogliano Cavour a Manduria, da Scorrano a Erchie, da Carmiano ad Avetrana, da Cellino S. Marco a San Pietro Vernotico, fino al vertice dell’Amministrazione provinciale di Taranto”.
Peraltro anche in Puglia l’attuale situazione economico-sanitaria causata dalla pandemia Covid-19 ha profondamente inciso sulle strategie criminali dei clan sempre pronti a consolidare il proprio consenso sociale sul territorio. In questo contesto di emergenza epidemiologica vanno letti i provvedimenti interdittivi antimafia alcuni dei quali connessi all’accaparramento fraudolento di erogazioni pubbliche nel settore dell’agricoltura ad opera di ditte attive nella provincia di Barletta-Andria-Trani e nel territorio dauno. La propensione affaristica si concretizza in una spiccata duttilità operativa su più fronti (socio-economico, finanziario e politico-amministrativo) di tutte le mafie pugliesi. La camorra barese, ad esempio, lungi dall’essere un rozzo agglomerato criminale da strada avrebbe negli anni privilegiato i settori più remunerativi del traffico di stupefacenti, del contrabbando e con un trend in notevole ascesa della gestione del gioco e delle scommesse on-line, senza tuttavia tralasciare le attività estorsive e l’usura. I grandi sodalizi del capoluogo di regione animati da emblematiche mire espansionistiche riuscirebbero a gestire a largo raggio anche i traffici illeciti nei territori di provincia dove le attività delittuose rappresentano l’immagine speculare di quelle metropolitane, caratterizzandosi per la stessa spregiudicatezza e il medesimo dinamismo. I diversi sodalizi mafiosi che animano le piccole realtà territoriali dell’hinterland barese sarebbero causa della precarietà degli equilibri e della ciclica esplosione di “guerre”, il più delle volte, chiaro segnale dell’assenza di un vertice aggregante capace di trasmettere un senso identitario.
Nel Salento la visione imprenditoriale e affaristica dei business criminali si riscontra nelle organizzazioni malavitose sempre più interessate ai dinamici settori dell’economia. In occasione dell’Inaugurazione dell’Anno giudiziario è stato precisato come su quei territori la criminalità abbia “da tempo compiuto un salto di qualità, operando in delicati settori dell’attività economico-produttiva attraverso società e prestanome, con interessi prevalentemente concentrati nei settori nei quali si registra un più rilevante flusso di denaro e di risorse economiche, come gli appalti pubblici in particolare nei settori della raccolta e dello smaltimento di rifiuti solidi urbani e della gestione delle discariche, nonché nelle attività finanziarie e di esercizio del credito e nelle attività del settore turistico ricettivo e, da ultimo, della gestione di stabilimenti balneari e delle attività connesse. L’infiltrazione mafiosa nel tessuto imprenditoriale si riscontra anche nell’azione delle mafie foggiane che appaiono capaci di stabilire interconnessioni tra loro attraverso l’adozione di modelli tendenzialmente federati in grado di influenzare le dinamiche criminali non solo nelle aree del Gargano e dell’Alto Tavoliere ma anche in altre regioni e in particolare in Molise e in Abruzzo.
Ricalcando il percorso evolutivo della ‘ndrangheta i clan foggiani si sarebbero mostrati capaci di stare al passo con la modernità pronti a cogliere e sfruttare le nuove occasioni criminali offerte dalla globalizzazione. In questi termini il fenomeno mafioso foggiano desta maggior allarme sociale tanto da essere considerato dalle Istituzioni, soprattutto negli ultimi tempi, un’emergenza nazionale. Al riguardo il Procuratore Nazionale Antimafia ha definito la mafia foggiana come “il primo nemico dello Stato” nel corso dell’intervento tenuto presso l’Università di Foggia il 27 gennaio 2020. Un “salto di qualità” della società foggiana che tra affari criminali e politico-amministrativi appare sempre più come una mafia “camaleontica” capace di essere insieme rozza e feroce ma anche affaristicamente moderna con una vocazione imprenditoriale.