1.Premessa. Nell’ambito della ricognizione dei problemi applicativi della normativa sul diritto di accesso ai documenti e dati della pubblica amministrazione, una specifica attenzione va dedicata alle istanze avanzate dai componenti dei consigli comunali, la cui disciplina (che viene talora applicata per analogia ai consiglieri regionali e municipali: vedi in particolare il paragrafo 8) presenta una sua specificità rispetto a quella della generalità dei cittadini, alla luce della giurisprudenza dei giudici amministrativi e della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi.

2.Il fondamento del potere dei consiglieri comunali.  Ai consiglieri comunali, ai sensi dell’art. 43 del testo unico sugli enti locali, sono riconosciuti ampi poteri: “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonchè dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”.

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali, pertanto, è strettamente funzionale all’esercizio delle funzioni di indirizzo e controllo degli atti degli organi decisionali dell’ente locale, consentendogli così di valutare, con piena cognizione, la correttezza e l’efficacia dell’operato dell’Amministrazione e di promuovere le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale (vedi, tra le altre, la sentenza del Consiglio di Stato n. 4525 del 2014). Si configura, quindi, come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività.

3.Caratteristiche del diritto di accesso dei consiglieri comunali. Il Consigliere comunale, quando dichiara di esercitare il diritto d’accesso in rapporto alle sue funzioni, e quindi per la tutela degli interessi pubblici (e non di interessi privati e personali) non è soggetto a limiti particolari nell’esercizio di tale amplissimo diritto d’accesso a meno che vada a violare il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’articolo 97 della Costituzione. Secondo un indirizzo ormai consolidato, sui consiglieri comunali – ivi inclusi ovviamente quelli di minoranza, cui sono attributi importanti compiti di controllo dell’operato della maggioranza e, quindi, dell’apparato politico ed apparato amministrativo – non grava alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso in quanto possono limitarsi ad evidenziare la strumentalità dell’accesso allo svolgimento della funzione; per converso, l’Amministrazione non può esercitare un controllo estrinseco di congruità tra la richiesta d’accesso e l’espletamento del mandato, salvo casi di richieste d’accesso manifestamente inconferenti con l’esercizio delle funzioni dell’ente locale.

Gli unici limiti previsti sono correlati ad un eventuale abuso del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, che si concretizza in richieste assolutamente generiche, meramente emulative o non ragionevoli. A tal fine, le richieste devono essere formulate in maniera specifica e dettagliata, recando l’indicazione degli estremi identificativi degli atti e dei documenti o, qualora siano ignoti tali estremi, almeno degli elementi che consentano l’individuazione degli atti medesimi, al fine di comportare il minor aggravio amministrativo possibile per gli uffici comunali che devono poter esaudire la richiesta, secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività di tipo corrente e quindi senza pregiudizio per la corretta funzionalità amministrativa. Secondo una giurisprudenza consolidata, non occorre l’indicazione di tutti gli estremi identificativi (organo emanante, numero di protocollo, data di adozione dell’atto), essendo sufficiente indicare l’oggetto e lo scopo cui l’atto è indirizzato, così da mettere l’Amministrazione in condizione di comprendere la portata ed il contenuto della domanda (sentenza Tar Basilicata n. 1138 del 2016).

Pronunciandosi su un ricorso di alcuni consiglieri comunali del Comune di Lotzorai, il Tar Sardegna ha ritenuto legittima la richiesta di accedere al protocollo informatico tramite apposite password, in quanto “rappresenta una condizione preliminare, ma nondimeno necessaria, per l’esercizio consapevole del diritto di accesso, in modo che questo si svolga non attraverso una apprensione generalizzata e indiscriminata degli atti dell’amministrazione comunale (che costituisce il timore manifestato anche in questa sede dal Comune intimato), ma mediante una selezione degli oggetti degli atti di cui si chiede l’esibizione” (sentenza n. 531 del 2018).

4.L’abuso del diritto di accesso. Nell’ambito della giurisprudenza in materia, si segnala la decisione con cui il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso del comune di Valva, rilevando che le numerose e ripetute richieste avanzate dai consiglieri comunali di minoranza per ottenere la documentazione di tutti i settori dell’Amministrazione – in larga parte peraltro già messi a disposizione dei consiglieri medesimi oppure riguardanti dati e informazioni non disponibili – erano finalizzate ad un sindacato generalizzato dell’attività dell’Ente piuttosto che all’acquisizione di elementi conoscitivi su singole problematiche: pertanto tali richieste erano espressione di strategie ostruzionistiche volte a determinare una possibile paralisi dell’attività amministrativa; si concretizza perciò nel caso in questione l’ipotesi dell’“abuso del diritto di accesso” (sentenza n. 846 del 2013, di riforma della sentenza del Tar Campania n. 1578 del 2012). Analogamente, il Tar Toscana, pronunciandosi sulle richieste di alcuni consiglieri del comune di Firenze sulle spese di rappresentanza del sindaco – cui l’Amministrazione aveva risposto in modo parziale – ha ritenuto che “le modalità dell’accesso individuate dal Comune resistente appaiono contemperare in modo ragionevole e adeguato l’esercizio del diritto rivendicato dal ricorrente e l’esigenza di non gravare eccessivamente, e in unica soluzione, sull’apparato amministrativo” (sentenze nn. 563 e 895 del 2016).

La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, pronunciandosi su un caso di richieste di accesso “particolarmente generiche e complesse” come quelle aventi ad oggetto “le copie di tutti gli atti protocollati entro un dato periodo di tempo”, oppure le “copie di tutto il contenzioso dell’Ente dal 2010 ad oggi” o ancora le informazioni relative a “tutte le pratiche di condono in possesso del settore urbanistica” (circa 5000 pratiche), ha sottolineato che il “diritto di accesso del consigliere non possa subire compressioni per pretese esigenze di natura burocratica dell’ente tali da ostacolare l’esercizio del suo mandato istituzionale, con l’unico limite di poter esaudire la richiesta secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività di tipo corrente e quindi senza pregiudizio per la corretta funzionalità amministrativa dell’ente”; “ne consegue che le richieste eccessivamente generiche possono essere accolte solo previa loro specificazione mentre per quelle che in concreto risultino particolarmente onerose l’accesso può essere “graduato” secondo i tempi necessari e le concrete possibilità organizzative dell’ente destinatario della richiesta” (parere del 21 gennaio 2016).

5.Il tema della riservatezza dei dati. In alcuni casi le Amministrazioni comunali hanno motivato il diniego di accesso con l’esigenza di tutelare la riservatezza dei dati. Al riguardo, peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che il diritto di accesso del consigliere comunale non può essere compresso neppure per esigenze di tutela di riservatezza dei terzi con riferimento ai dati sensibili, eventualmente contenuti nei documenti oggetto di accesso, in quanto il consigliere stesso è tenuto al segreto, come specificato dallo stesso art. 43 del testo unico sugli enti locali, sopra citato (nello stesso senso vedi la sentenza del Consiglio di Stato n. 2716 del 2004, riguardante la richiesta di dati sulle retribuzioni dei dipendenti ed alcuni appalti). Al consigliere è fatto divieto di divulgare tali dati se non ricorrono le condizioni di cui al D. Lgs 196/2003: nell’ipotesi di eventuale violazione di tale obbligo di riservatezza si configura una responsabilità personale dello stesso. In applicazione del medesimo principio – e della disciplina dettata dallo Stato e dal regolamento del consiglio regionale del Veneto – il Consiglio di Stato (riformando la precedente sentenza del Tar Venezia) ha ritenuto legittima la richiesta di accesso avanzata da un consigliere della Regione Veneto riguardante i nominativi dei consiglieri regionali che hanno esercitato l’opzione per l’assegno di fine mandato: il fatto che la richiesta riguardi dati personali non può essere addotto – a differenza di quanto accade in caso di accesso esercitato a tutela di posizioni soggettive individuali – per opporre l’attività di verifica e controllo da parte dei componenti delle assemblee elettive (sentenza n. 1298 del 2018).

La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha giudicato legittima la richiesta da parte di un consigliere comunale di rilascio delle credenziali di accesso diretto all’intero sistema informatico comunale, ivi compreso quello della contabilità: l’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al sistema informatico dell’Ente è stato considerato strumento – certamente consentito al consigliere comunale – in grado anche di favorire la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste, senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa; la Commissione specifica che il consigliere non può vantare alcun “diritto” all’accesso al sistema informatico dalla propria abitazione mentre tale attività deve essere ordinariamente svolta presso gli uffici dell’Amministrazione (parere del 7 aprile 2016).

6.La risposta graduata nel tempo. In merito alla richiesta di accesso effettuata da un consigliere del comune di Marsicovetere, riguardante la copia degli elaborati progettuali e tecnici di un plesso scolastico, il Tar Basilicata, nel giudicare infondate le motivazioni addotte dal Comune per negare l’accesso agli atti (“non può non comprendersi che una simile richiesta rischierebbe di paralizzare l’intero ufficio con gravi ripercussioni sull’attività amministrativa … Né può sottacersi che l’eventuale accoglimento di tale richiesta di accesso, eccessivamente gravosa per il Comune, costituirebbe un precedente che in seguito obbligherebbe – per non contravvenire al principio di imparzialità – a soddisfare richieste simili, che verosimilmente verrebbero formulate da altri consiglieri”) ha affermato la necessità “di contemperare il diritto di accesso con il regolare funzionamento degli uffici comunali, concedendo a questi ultimi adeguato tempo per l’apprestamento delle copie richieste, e ripartendo i relativi costi secondo il quadro disciplinare di riferimento” (sentenza n. 564 del 2017).

7.Le categorie di atti per i quali richiedere l’accesso. Il diritto di accesso dei consiglieri comunali può riguardare, in via generale, tutti gli atti di competenza del comune, ivi incluse le informazioni relative all’attività svolta dal Sindaco quale ufficiale di Governo, come ad esempio i decreti di adozione, gli atti di riconoscimento- anagrafe della popolazione, i cambi di stato civile etc: ferma restando, naturalmente, la responsabilità del consigliere per l’utilizzo indebito delle informazioni acquisite (parere della Commissione del 7 aprile 2016).

Il Consiglio di Stato, riformando una precedente sentenza del Tar Lombardia, ha contestato la motivazione del diniego apposta dal comune di Alzate Brianza, basata sul fatto che i dati richiesti risalissero ad un ’epoca di molto antecedente rispetto al periodo di espletamento del proprio mandato; secondo il giudice amministrativo, invece, l’esercizio del diritto di accesso non può essere limitato al mandato di consigliere comunale in corso (sentenza n. 5879 del 2005). Al contrario, il Tar Veneto (sentenza n. 1036 del 2017) ha ritenuto legittimo il diniego all’accesso, da parte del comune di Cassola, ad una richiesta della Procura della Corte dei Conti regionale al Comune stesso,  motivata con la necessità di approfondire i contenuti del bilancio comunale: afferma il giudice amministrativo che l’istituto dell’accesso deve trovare collegamento con gli atti aventi origine dell’Amministrazione comunale o a quelli acquisiti dall’esterno necessari o afferenti al compimento di un’attività istruttoria o decisoria di competenza dell’Amministrazione stessa: nel caso in esame, invece, si trattava di una documentazione proveniente dalla Procura della Corte dei Conti e afferente a un’indagine promossa dalla medesima Procura, soggetta pertanto alla disciplina di segretezza e/o riservatezza proprie del procedimento contabile. La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, esprimendosi su una richiesta di alcuni consiglieri municipali riguardante atti endoprocedimentali della Giunta Municipale (cioè di documenti propedeutici alla formazione di atti definitivi) ha affermato che anche tali atti non possano essere sottratti all’accesso, sottolineando peraltro che la necessità di evidenziare “la strumentalità dell’accesso allo svolgimento della funzione: ciò risulta particolarmente rilevante nella vicenda in esame, atteso che gli atti oggetto di richiesta di ostensione sono atti ancora in fase istruttoria e dunque suscettibili di modifica, da parte di un organo diverso da quello al quale appartiene l’istante (il che porterebbe a presumere l’assenza di un interesse del consigliere comunale all’accesso)” (parere del 7 aprile 2016).

8.Segue: le società partecipate. Il diritto di accesso dei consiglieri comunali si estende di norma sugli atti delle società partecipate, a condizione che la partecipazione del comune sia in quota maggioritaria o totalitaria e che esse svolgano funzioni strumentali a quelle proprie degli enti locali, come ad esempio servizi pubblici erogati direttamente in favore dei cittadini. Conseguentemente, il Consiglio di Stato ha giudicato illegittimo il diniego di due istanze di accesso da parte di un consigliere della Regione Liguria agli atti dell’Ente Ospedaliero “Ospedali Galliera”, finalizzate alla verifica delle modalità di spesa dei fondi pubblici in ambito sanitario; tale Ente infatti fa parte del sistema sanitario pubblico allargato e come tale è sottoposto al potere di vigilanza del Regione: “L’autonomia organizzativa di un Ente pubblico ospedaliero non incide sui poteri di vigilanza spettanti alla Regione, cui lo stesso Ente, deve ritenersi sottoposto, in quanto soggetto che partecipa alle prestazioni offerte dal servizio sanitario regionale” (sentenza n. 1008 del 2018). Analogamente, il Tar Emilia Romagna ha considerato illegittimo il diniego opposto dal comune di Imola alla richiesta di accesso agli atti riguardanti la società Formula Imola, che è partecipata all’85% da un Consorzio tra enti locali di cui il Comune di Imola ha una quota maggioritaria: una società a prevalente capitale pubblico che svolge una specifica attività di erogazione di servizi di rilevanza collettiva e di forte impatto sul territorio (sentenza n. 90 del 2016).

In applicazione del medesimo principio, il Consiglio di Stato ha invece negato il diritto di accesso agli atti di una società di promozione turistica, partecipata dal comune di Bellaria Igea Marina, in quanto si trattava di un soggetto privato che “non può essere definito strumentale per l’esercizio di un servizio pubblico, inteso questo nel senso classico di prestazioni essenziali fornite da una collettività indistinta di utenti” (sentenza n. 200 del 2014). Analogamente, lo stesso Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il diniego di accesso agli atti di una società per azioni costituita in occasione di Expo 2015, partecipata al 34% dalla Regione Lombardia, avanzata da un consigliere regionale, in quanto la società in questione non svolge un servizio pubblico della Regione Lombardia, che non possiede una partecipazione maggioritaria: in questa circostanza il giudice amministrativo ha fondato la propria decisione sull’art. 43 del testo unico sugli enti locali, che detta una disciplina più restrittiva rispetto alla normativa della Regione Lombardia (sentenza n. 5176 del 2017; in senso contrario la sentenza del Consiglio di Stato n. 4475 del 2018 sulla richiesta di un consigliere regionale della Val d’Aosta).

9.No alle deleghe. La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi ha precisato che il diritto d’accesso del consigliere comunale non si presta a deleghe, in quanto tale diritto è espressione di una carica pubblica; al contrario, risulta legittima l’ipotesi di delega scritta al mero ritiro del documento per il quale il Consigliere comunale abbia personalmente richiesto l’accesso. Alla delega andrà allegata copia del documento di identità del delegante e, a garanzia della riservatezza delle informazioni, gli atti andranno consegnati in busta chiusa ovvero inviati all’indirizzo P.E.C. del consigliere comunale istante (Parere del 28 luglio 2016).

(ultimo aggiornamento settembre 2018)