Premessa. Il Comune di Firenze, prima con l’ordinanza 204/2018 e poi con l’ordinanza, di rettifica, 215/2018, ha disposto che le sale giochi autorizzate ex artt. 86 e 88 TULPS devono restare chiuse dalle 18:00 a mezzanotte e che gli apparecchi da gioco ex art. 110 TULPS devono restare spenti dalle ore 13:00 alle ore 19:00.

Avverso le due ordinanze aveva presentato ricorso una sala bingo operante nel Comune di Firenze: il TAR Toscana, con la sentenza 20/2019 lo aveva respinto. Analoga sorte ha subito anche l’appello con la pronuncia 7873/2023 del Consiglio di Stato che ha definitivamente confermato la legittimità dei provvedimenti comunali.

L’istruttoria. Il nucleo centrale delle argomentazioni dell’esercente consiste nella contestazione della carenza di istruttoria procedimentale.

Il Consiglio di Stato rigetta questa doglianza ritenendo adeguate le motivazioni portate dal Comune. In particolare, l’Ente ha fatto riferimento a uno studio dell’Università di Firenze che, secondo i giudici, “ha definito una situazione di particolare diffusione del gioco sul territorio comunale di per sé tale da giustificare l’intervento dell’amministrazione”.

Tale studio si basava su dati del 2016 (si tenga conto che l’ordinanza è del 2018, che costituisce dunque l’anno di valutazione di riferimento) ma, sempre secondo il CDS, l’asserita parzialità o limitatezza temporale dei dati “non è un rilievo sufficiente per inficiarne la valenza conoscitiva, sia perché ciò che rileva è la tendenza del fenomeno (e lo studio dimostra che il fenomeno del gioco d’azzardo nel territorio fiorentino è in forte crescita, con una diffusione in aumento dell’11,84% nel 2016 rispetto al 2015), sia perché non è plausibile che tale dato sia diminuito o fortemente attenuato, vista la tendenza in atto, nell’arco di soli due anni (ossia dal 2016, anno di riferimento degli ultimi dati raccolti; al 2018, anno di adozione dell’ordinanza del Sindaco)”, sia perché nessun altro elemento di prova, a titolo contrario, è stata prodotto in giudizio dall’appellante.

Le zone territoriali. I giudici contestano poi la richiesta di parte ricorrente di procedere ad una dettagliata analisi delle singole zone territoriali interne al Comune.

Secondo i giudici è, invece, corretta la valutazione secondo cui il contrasto al fenomeno deve investire l’intero territorio comunale, ciò che la distinzione per zone potrebbe invero pregiudicare vista la “ampia mobilità cha connota le grandi aggregazioni urbane”.

Il principio di proporzionalità. Posto che, secondo un orientamento già espresso dal CDS in altre occasioni, i limiti orari mirano a contrastare quel “disturbo psichico che spinge l’individuo a concentrare ogni suo interesse sul gioco”, appare secondo i giudici proporzionata la scelta operata dal Comune con le ordinanze “poiché in potenza capace di conseguire l’obiettivo prefissato” oltre a essere giustificato il sacrificio imposto al diritto di impresa dei privati; un sacrificio che, peraltro, sottolinea il Collegio, è limitato alla chiusura delle sale giochi o allo spegnimento degli apparecchi per sole 6 ore, rispettoso del canone della proporzionalità.

L’intesa. Infine, ribadisce il Consiglio di Stato che tutte queste argomentazioni non sono inficiate dal rilievo relativo alla asserita violazione dell’Intesa in Conferenza Unificata del 2017.

Al netto della considerazione che, nel caso del Comune di Firenze, la chiusura delle sale giochi e lo spegnimento degli apparecchi sono limitate a 6 ore giornaliere, non essendo corretto, secondo il Collegio, sommare le ore di chiusura che distintamente riguardano locali e attività diverse, in ogni caso l’efficacia dell’Intesa resta subordinata al recepimento in un decreto del MEF non emanato.