Premessa. Nella stesura della Relazione sull’attività svolta e i risultati conseguiti nel secondo semestre 2019, la Direzione investigativa antimafia ha ritenuto doveroso approfondire la connessione tra mafia e gioco d’azzardo con uno specifico focus di una ottantina di pagine.

Le inchieste degli ultimi anni hanno infatti mostrato con chiarezza che la criminalità organizzata ha ampliato le sue prospettive intercettando i settori potenzialmente più redditizi: tra questi, spicca senza dubbio quello del gioco e delle scommesse, attenzionato da tutte le organizzazioni mafiose che, in alcuni casi, intrecciano e fanno convergere i propri interessi. La DIA ha dunque voluto offrire una chiave di lettura ragionata del fenomeno e alcune possibili linee di indirizzo da adottare sul piano della prevenzione e del contrasto, anche a livello internazionale.

Le fonti più importanti per la redazione del presente report sono la Relazione sulle infiltrazioni mafiose e criminali nel gioco lecito e illecito, approvata dalla Commissione parlamentare antimafia nel 2016, e il Libro blu 2018 – organizzazione, statistiche, attività, pubblicato nel 2019 dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Analisi del fenomeno. La DIA, prima di analizzare il fenomeno nelle varie aree del territorio nazionale, lo descrive nelle sue caratteristiche generali.

L’interesse delle mafie nei confronti del gioco e delle scommesse illegali è risalente nel tempo: si fa riferimento alla camorra dell’Ottocento e poi agli anni Ottanta, quando la malavita in tutta Italia si affermava in affari “silenti” come il controllo delle bische clandestine. Negli anni Novanta, poi, tali interessi si spostano progressivamente anche verso il settore delle slot machine e delle scommesse clandestine.

È tuttavia a partire dagli anni 2000 che si assiste al «vero “salto di qualità” […], quando le mafie percepiscono l’elevata dimensione economica del mondo del gioco e delle scommesse prodotta dal circuito legale» (pag. 779). Nei primi anni del nuovo millennio sono state infatti immesse nel circuito nuove tipologie di gioco e nel 2003 si è assistito – in considerazione della dilagante illegalità nel settore – all’intervento del legislatore in termini di incremento della deterrenza dell’azione di controllo su tutta la filiera del gioco e di competitività del settore legale rispetto a quello illegale. Le misure previste rendevano più conveniente e sicuro il circuito, determinando così un forte incremento della raccolta delle scommesse sportive e della diffusione degli apparecchi e congegni da intrattenimento.

Il volume delle giocate complessive (fisiche e telematiche) è stato in costante crescita fino al 2018, quando si è attestato attorno ai 106,8 miliardi di euro. Nel 2015 risultavano installate in Italia circa 360.000 apparecchiature elettroniche da intrattenimento; nel 2018 erano diventate oltre 407.000. Si stima inoltre che ogni anno in Italia vengano venduti circa 2 miliardi di tagliandi di lotterie istantanee: significa 3.600 “gratta e vinci” al minuto.

In un’ottica territoriale, è interessante notare che la prima Regione per volumi di gioco nel 2018 è la Lombardia (14,65 miliardi). Se si guarda alle Regioni a tradizionale insediamento mafioso, la classifica vede al primo posto la Campania (7,7 miliardi), seguita dalla Puglia (4,6), dalla Sicilia (4,5) e dalla Calabria (1,9).

Risultano interessanti anche i dati relativi al rilascio delle licenze ex art. 88 TULPS da parte dei Questori: le licenze in corso di validità nel 2019 erano 1386 a Napoli, 1211 a Roma, 782 a Foggia, 765 a Bergamo. Come è evidente, non sempre il maggior numero di licenze rilasciate è attribuibile al capoluogo. Importanti esempi sono costituiti dal Friuli Venezia Giulia (a Udine 341 licenze contro le 59 di Trieste), dalla Lombardia (a Milano 349, a Bergamo – come detto – 765) e dal Veneto (a Venezia 38 licenze, a Treviso 404).

Il fenomeno appare dunque capillare sul territorio, così come lo è l’infiltrazione della criminalità organizzata. Un mercato ampio implica maggiori profitti, realizzati in base a due direttrici: «da un lato la gestione “storica” del gioco d’azzardo illegale, le cui prospettive sono andate allargandosi con l’offerta on line; dall’altro, la contaminazione del mercato del gioco e delle scommesse legali, che garantisce rilevanti introiti a fronte del rischio di sanzioni ritenute economicamente sopportabili» (pag. 782).

Per quanto riguarda l’ambito propriamente illegale connesso al gioco, è necessario fare riferimento a diversi fenomeni:

  1. la tradizionale attività estorsiva ai danni delle società concessionarie, delle sale da gioco e degli esercizi commerciali (soprattutto bar e tabaccherie);
  2. l’imposizione di apparecchi negli esercizi pubblici da parte dei clan o l’alternativa di consentire l’installazione ad altri a fronte del pagamento di una somma mensile per ogni apparecchio;
  3. la concessione di prestiti a tassi usurari nei confronti di giocatori affetti da ludopatia.

Tali attività sono connesse al territorio. C’è, tuttavia, un altro piano, più sofisticato e che richiede competenze elevate: è la gestione delle scommesse sportive e dei giochi online, realizzata attraverso i cosiddetti “centri di trasmissione dati” (CTD) su piattaforme collocate all’estero. La DIA descrive in questi termini coloro che elaborano e gestiscono tali sistemi: «soggetti sprovvisti delle previste concessioni o autorizzazioni che operano su siti web collegati a bookmaker esteri. Bookmaker “pirata” o, in alcuni casi, autorizzati a effettuare la raccolta a distanza, in forza di licenze rilasciate da Autorità straniere che non tengono conto dei gravi precedenti penali di cui tali soggetti risultano gravati in Italia […]. Si tratta di un circuito totalmente “invisibile”» (pag. 783), ignoto al fisco. La raccolta è dunque effettuata sul territorio nazionale, ma la sede risulta formalmente collocata all’estero.

Fare delle stime in questo settore – ricorda la DIA – è estremamente difficile, anche a causa della scala internazionale del fenomeno. È possibile, tuttavia, farsi un’idea del volume delle giocate illegali grazie ai patrimoni sequestrati al referenti delle cosche che gestiscono scommesse illegali, nell’ordine di centinaia di milioni di euro, poi riciclati in tutta Italia e all’estero. Altro dato interessante in questo senso è fornito dall’Agenzia delle Dogane e Monopoli, che nel luglio 2015 aveva oscurato 5.436 siti di scommesse non autorizzati, mentre a dicembre 2018 i siti confluiti nella black list erano 8.009.

La congiunzione tra ambito illegale e settore del gioco legale – parimenti di interesse delle organizzazioni mafiose – passa attraverso una serie di attività che si collocano “nel mezzo”. Le indagini svolte hanno evidenziato infatti «la capacità delle organizzazioni criminali di lucrare sulle attività indirette e collaterali al settore», come i già citati prestiti a usura, ma anche «l’imposizione di lavoratori e fornitori di beni e servizi e gli investimenti nelle strutture alberghiere e in locali di intrattenimento» (pag. 785).

Tutto questo fa da ponte verso la seconda direttrice, quella delle infiltrazioni delle mafie nel gioco legale. Prima di approfondire tale aspetto, la DIA descrive la filiera del gioco, sottolineando i ruoli di vari attori: Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, concessionari, gestori o distributori, esercenti. Le organizzazioni criminali puntano a inserirsi in questo comparto, con l’obiettivo di appropriarsi degli importi spettanti al Monopolio e delle somme dei concessionari, direttamente proporzionali al volume delle giocate. Le modalità sono numerose: «da quelle più raffinate – attraverso svariate tecniche di introduzione abusiva nel sistema telematico – a quelle più semplici di scollegare le apparecchiature dalla rete pubblica» (pag. 786). È evidente che, in questo contesto, risulta di particolare importanza l’apporto di figure dotate di specifiche competenze tecnico-informatiche. Un esempio è la manomissione delle slot machine e delle videolottery che, pur risultando regolarmente collegate alla rete telematica dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, trasmettono solo in parte i dati relativi alle giocate, consentendo dunque alle organizzazioni di accaparrarsi parte del denaro destinato all’imposizione tributaria. Non è raro poi il ricorso a soggetti al vertice di gruppi imprenditoriali nel settore dei giochi che non risultano essere organici alle organizzazioni mafiose, ma le indirizzano nelle scelte strategiche: si tratta di «necessarie figure di raccordo, dotate di un elevatissimo know-how professionale e degli opportuni contatti transnazionali, spesso in grado di stabilire sinergie, di volta in volta, con esponenti delle più importanti famiglie siciliane, calabresi, pugliesi, lucane e campane, per mettere in campo proficue strategie d’azione» (pag. 787).

L’obiettivo delle organizzazioni criminali che si infiltrano nel settore dei giochi non è solo il ricavo di ingenti profitti ma anche – come precedentemente ricordato – il riciclaggio dei capitali illeciti. È a partire da questa consapevolezza che le istituzioni nazionali e comunitarie sono intervenute normativamente negli ultimi anni, tenendo sempre conto delle difficoltà di accertamento degli illeciti in questo settore, connesse anche alla transnazionalità del fenomeno. La DIA ricorda che, ad esempio, Malta è spesso sede di società che offrono servizi di gioco per gli incentivi offerti dal sistema locale in termini di vantaggi fiscali, ma anche per la facilità di accesso al mercato dei giochi e per la disponibilità di servizi bancari e finanziari.

Il paragrafo si conclude sottolineando il ruolo di primo piano della DIA nel contrasto all’illegalità nel settore dei giochi, insieme all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e alle forze dell’ordine, nonché ai Prefetti che, attraverso lo strumento delle interdittive antimafia, possono impedire alla criminalità organizzata di acquisire concessioni pubbliche, comprese quelle per l’esercizio delle attività di gioco.

Il fenomeno sul territorio nazionale. Dopo aver delineato il quadro generale, la DIA concentra l’attenzione sull’esposizione e l’analisi di recenti indagini che hanno fornito importanti elementi per la comprensione del fenomeno. Vengono prima descritte le dinamiche e le caratteristiche della connessione tra gioco e criminalità organizzata nelle Regioni a tradizionale insediamento mafioso e successivamente nelle zone del Centro e del Nord del Paese. Per ogni area geografica la DIA fornisce diversi esempi di operazioni e indagini avvenute – quasi sempre – negli ultimi dieci anni. Si dà conto in questa sede dei casi più rilevanti sotto il profilo della comprensione del fenomeno in quella specifica zona.

 

Campania. La DIA apre il capitolo affermando che è indubbio che la criminalità organizzata campana rivesta «un ruolo di primogenitura nell’infiltrazione criminale del settore del gioco» (pag. 791) e ricorda l’etimologia stessa della parola camorra, da ricondursi – secondo diversi studiosi – proprio all’ambito del gioco d’azzardo.

Di particolare importanza sono gli esercizi commerciali intestati a prestanome dei clan, che vedono l’installazione di slot machine e videolottery: si tratta di una forma indiretta di controllo del territorio e un’ottima modalità di riciclaggio di denaro. La camorra ha però anche dimostrato di sapersi adattare alle nuove tecnologie e ai giochi online, «affiancando alla conduzione di sale e punti di raccolta legali, con finalità illecite, un’offerta illegale di scommesse e di concorsi pronostici attraverso l’utilizzo di siti internet fuori legge, gestiti da server ubicati in Paesi offshore o a fiscalità privilegiata» (pag. 793). È evidente dunque il carattere internazionale degli affari, che si accompagna anche alla concessione di prestiti a tassi usurari ai giocatori in difficoltà. Come precedentemente affermato (cfr. supra), risulta in questo caso fondamentale la complicità di professionisti ed esperti di informatica.

Per comprendere il volume di affari della camorra nel settore può essere citata un’importante operazione del 2010, Golden Goal: in quell’occasione il GIP scriveva che circolava talmente tanto denaro da «apparire questa fonte di guadagno per le organizzazioni criminose rilevante alla stessa stregua di quella derivante dal traffico di stupefacenti» (pag. 793). Le indagini hanno inoltre accertato l’interesse delle organizzazioni criminali a investire in quote di società calcistiche, intestate a prestanome, «non solo per orientare risultati e scommesse ma anche per acquisire consensi sul territorio» (pag. 793).

Tra i gruppi maggiormente coinvolti figura il clan casertano dei Casalesi, che riusciva a gestire – attraverso affiliati esperti nel settore – il gioco e le scommesse online. Le indagini focalizzate sui Casalesi hanno individuato alcuni aspetti ricorrenti, ovvero il carattere transnazionale degli illeciti, saldature tra organizzazioni criminali di diversa provenienza e capacità dei gruppi di replicare il modus operandi in altre Regioni (in particolare nel Lazio).

Vengono successivamente citate diverse operazioni che confermano le tendenze appena messe in luce. Vale la pena di citare, a titolo esemplificativo: l’operazione Rischiatutto (2013) che ha permesso di individuare un sistema di riciclaggio di denaro in sale gioco ubicate anche fuori dalla Campania e ha individuato come perno centrale del sistema un imprenditore definito “re dei videopoker”; l’operazione New line (2013) incentrata sui Casalesi e su scommesse calcistiche su piattaforme illegali online; l’operazione Game over (2018) che ha visto un intreccio di interessi tra clan casertani e napoletani con gruppi laziali; l’operazione Gambling (2015) che ha evidenziato il carattere transnazionale degli affari e la sinergia fra gruppi campani, siciliani e calabresi; l’operazione Zenit (2016) sulla gestione monopolistica di sale giochi, centri scommesse, internet point; e infine una recente inchiesta (2020) che ha fatto luce sull’imposizione intimidatoria agli esercenti delle slot machine incassandone gli introiti illeciti.

 

Sicilia. Anche i sodalizi mafiosi siciliani – e in particolare Cosa nostra – hanno da tempo infiltrato il lucroso settore delle scommesse, della gestione delle sale giochi e dell’alterazione delle slot machine, estendendosi anche in territori di non tradizionale insediamento mafioso. La DIA affronta il discorso sulla Sicilia citando – anche in questo caso – diverse indagini che hanno permesso di comprendere le dinamiche relative alla connessione tra gioco e mafia. Si riportano dunque alcune recenti operazioni particolarmente significative, suddivise per area geografica:

  1. Palermo: operazione Wood bet (2017) sull’esercizio abusivo del gioco del lotto e i reinvestimenti dei proventi in imprese apparentemente legali ramificate sul territorio nazionale (Sicilia, Toscana, Lazio, Puglia); operazione Game over (2018) sul settore delle scommesse gestite da società con sede a Malta; operazione New Connection (2019) sulle scommesse online; operazione Mani in pasta (2020) sull’imposizione intimidatoria delle slot machine, la gestione del calcio balilla, l’organizzazione di riffe, il condizionamento di gare ippiche e la delocalizzazione a Milano di alcuni investimenti funzionali a “ripulire” gli introiti dell’organizzazione, anche grazie all’aiuto di professionisti; operazione Galassia (2018) sulle alleanze con alcune organizzazioni ‘ndranghetistiche nel settore delle scommesse. Un settore «più tradizionale, comunque collegato alle scommesse e da sempre interessato dalle infiltrazioni della criminalità organizzata» (pag. 807) è quello delle corse ippiche legalmente autorizzate: in questo caso le illiceità possono riguardare la gestione delle puntate nei punti scommesse ma anche la regolarità stessa delle corse (influenzate da accordi, atteggiamenti intimidatori o doping). Appare dunque significativa l’operazione Corsa nostra (2018) che ha accertato l’infiltrazione di una famiglia mafiosa nel nell’ippodromo di Palermo.

I casi citati sono esemplificativi del fatto che, in generale, «si può affermare che nel palermitano, negli ultimi anni, tutti i mandamenti e le consorterie mafiose risultano interessati dal fenomeno»: la conferma arriva anche dalla nota operazione Cupola 2.0 (2018) che – tra le altre cose – «ha anche documentato il diffuso interesse delle consorterie verso il gioco, considerato sia come opportunità di riciclaggio e di ulteriore arricchimento, sia come strumento di controllo del territorio» (pp. 805-806).

  1. Trapani: si cita per tutte l’operazione Anno zero (2018) che ha coinvolto – oltre al noto latitante Matteo Messina Denaro – un imprenditore operante nel gioco online che stringeva strategici accordi con le famiglie mafiose per l’apertura di agenzie e sale scommesse.
  2. Agrigento: importante è l’operazione Assedio (2019) sull’imposizione di attrezzature da gioco presso numerosi esercenti della provincia.
  3. Sicilia centrale e orientale: le operazioni Revolutionbet e Gaming offline (2018) hanno fatto luce su un’organizzazione facente capo a Cosa nostra e a importanti sodalizi catenesi dedita al controllo delle scommesse sportive e dei giochi esercitati attraverso la rete telematica, grazie agli strumenti messi a disposizione da noti imprenditori del settore; l’operazione Scommessa (2018) parte da Bari ma scopre una rete abusiva di scommesse su tutto il territorio nazionale, compreso Catania, Siracusa, Trapani e Messina. Da segnalare anche gli ingenti sequestri effettuati nel 2018 nei confronti di un prestanome definito “il re dei videopoker” (cfr. supra) perché – grazie all’appoggio dei clan – si era accaparrato la gestione monopolistica del mercato e del noleggio di videopoker a Siracusa e Ragusa.
  4. Sicilia nord-orientale: particolarmente significativa l’operazione Totem (2016) che ha individuato una rete di scommesse online illegali su corse clandestine di cavalli. Il modus operandi prevedeva di imporre ai titolari di sale giochi e internet point l’acquisto di dispositivi di gioco; parte dei proventi veniva poi reinvestito nel settore grazie all’aiuto di professionisti. L’operazione Polena (2018) ha poi riguardato i reati di estorsione e usura a danno di avventori di sale scommesse; l’operazione Beta 2 (2018) ha, infine, scoperto che un gruppo catanese cercava di ottenere un finanziamento pubblico per un progetto contro la ludopatia, «evidenziando ancora una volta il camaleontico opportunismo delle consorterie mafiose» (pag. 814).

È dunque evidente che la criminalità organizzata di matrice siciliana continua a propendere verso l’infiltrazione della filiera del gioco. A proposito delle scommesse, la DIA ci tiene a notare che se in un primo momento il controllo delle scommesse era effettuato tramite “accordi” con i titolari delle agenzie, «in un secondo momento è stata realizzata una vera e propria rete di agenzie scommesse illecite, investendo direttamente, attraverso il ricorso a prestanome, nei territori assoggettati alle consorterie» (pag. 814). Il paragrafo sulla Sicilia si conclude segnalando, tra le prassi criminali, anche quella di “ripulire” il denaro mediante false vincite di concorsi e lotterie, acquistando dai vincitori – anche a prezzi maggiorati – il tagliando vincente.

 

Calabria. Anche la ‘ndrangheta si dimostra interessata al settore dei giochi, «in cui esprime una particolare affidabilità e la capacità di stabilire legami con diversi interlocutori» (pag. 814). Le indagini degli ultimi anni, infatti, hanno evidenziato la presenza di figure imprenditoriali capaci di muoversi agevolmente in quell’area grigia dove interessi economici leciti e illeciti si fondono e si confondono. Si citano le operazioni più rilevanti e in grado di fotografare la realtà calabrese in questo ambito.

L’inchiesta Decollo (2004) mette in rilievo come il settore del gioco risulti utile strumento di riciclaggio dei proventi illeciti; le operazioni Geremia (2009) e Les Diables (2010) si focalizzano invece sul coinvolgimento di imprenditori e hanno individuato un altro “re dei videopoker” (cfr. supra), divenuto tale grazie alla posizione di monopolio dovuta ai legami con la criminalità organizzata locale; le stesse operazioni hanno rivelato anche che alcuni gestori di esercizi commerciali erano costretti all’installazione di videopoker e slot machine. Non manca poi l’interesse nei confronti del calcio scommesse, come testimoniato dall’inchiesta Dirty soccer (2015). Importantissima è inoltre l’operazione Gambling (2015), indicativa degli interessi della ‘ndrangheta verso il mondo delle scommesse e dei giochi online, con connessioni anche all’estero (Malta, Austria, Romania, Spagna) e in cooperazione anche con Cosa nostra e camorra; sinergie tra diverse matrici mafiose sono emerse anche dall’inchiesta Jackpot (2016), che ha riguardato la gestione di videolottery su tutto il territorio nazionale con server ubicati in Romania e a Malta da parte di gruppi criminali genovesi (organici a gruppi calabresi), napoletani e nisseni; l’operazione ‘Ndrangames (2016) ha messo in luce connessioni anche con la criminalità organizzata potentina. Vale la pena ricordare anche le infiltrazioni della ‘ndrangheta nel settore dei giochi in Piemonte (con le operazioni Carminius e Cerbero) e in Lombardia (cfr. infra). Dall’inchiesta Helanthus (2020), infine, emerge anche l’interesse verso le corse clandestine di cavalli e l’atteggiamento predatorio della consorteria nei confronti di imprenditori attivi nel campo delle scommesse.

La DIA conclude «evidenziando come in determinate aree del Paese, come il territorio calabrese, non sia possibile accedere al mercato dei giochi e delle scommesse senza il preventivo accordo con i sodalizi criminali che ne detengono il controllo» (pag. 820).

 

Puglia e Basilicata. Le organizzazioni mafiose pugliesi si inseriscono nel settore del gioco con modalità differenti e, anche in questo caso, le attività illegali sono spesso connesse al gioco online e al coinvolgimento di soggetti in possesso di elevate competenze tecniche informatiche, nonché condotte in sinergia con le altre associazioni criminali. La DIA decide di procedere all’analisi provincia per provincia. Di nuovo, si citano le operazioni più significative:

  1. Bari: operazione Domino (2009) sulle corse di cavalli clandestine e su società di scommesse online con sede a Londra; operazione Bocciulo (2010) sull’individuazione da parte delle organizzazioni di vittime a cui offrire pacchetti viaggio per casinò in Russia, Slovenia, Croazia e Cipro per poi ottenere la restituzione delle somme a tassi usurari. La DIA sottolinea inoltre che «proprio l’utilizzo di un condiviso know-how nello specifico settore dei giochi illeciti, ha portato le organizzazioni criminali più attive sul territorio di Bari ad attuare strategie di interazione criminale con la ‘ndrangheta e la mafia siciliana» (pag. 823) per affari anche transnazionali, come evidenziato dalla già citata operazione Scommessa (2018). Importante ricordare anche la menzionata operazione Galassia (2018) per il coinvolgimento di soggetti con elevate competenze tecniche e l’operazione Gaming machine (2020) che ha coinvolto un imprenditore del settore.
  2. Foggia: nel foggiano sono evidenti le connessioni con la ‘ndrangheta. È da menzionare anche l’operazione Decima azione (2018) sulla gestione illecita delle scommesse sportive e le estorsioni realizzate a danno degli operatori economici.
  3. Salento: gli interessi della Sacra Corona Unita nel settore dei giochi si manifestano già dagli anni Novanta, quando i sodalizi individuano «- dopo la fine del contrabbando extra ispettivo dei t.l.e. – nel gioco d’azzardo e nei videopoker una fonte sicura di introiti per il mantenimento degli affiliati» (pag. 826). Alcuni esempi di operazioni sono Calipso (2010) sulla gestione delle slot e la connessione con la vicina Albania; l’indagine Poker 2 (2010) su decine di agenzie di scommesse dislocate in Puglia, Emilia Romagna e Veneto; l’indagine Clean Games (2015) che ha smantellato un’organizzazione – in cui erano coinvolti anche noti imprenditori – in grado di imporre, con metodi mafiosi, il monopolio illegale nel settore della produzione e distribuzione di apparecchi e di coordinare il gioco anche a distanza, tramite la fraudolenta interruzione del flusso telematico di comunicazione dei dati. Infine, l’inchiesta Labirinto (2018) ha fatto luce su un sistema di videopoker truccati e intimidazioni a danno dei gestori dei locali.
  1. Taranto: anche qui «si colgono forme di ingerenza di una mafia imprenditrice, interessata a infiltrarsi nel tessuto economico e sociale, in particolare nella gestione dei centri scommesse, delle slot machine e video-lottery» (pag. 831).

 

Le possibilità offerte dal mondo del gaming attraggono anche le organizzazioni criminali lucane, che operano spesso in sinergia con clan mafiosi campani e calabresi, come testimoniato dalla già citata operazione ‘Ndrangames (2017) o dalla nota inchiesta Black Monkey (2013). Anche in questo caso, l’apporto di professionisti e imprenditori è stato spesso fondamentale (operazione Jamm jamm, 2016) e si è fatto ricorso alla minaccia e all’intimidazione per il noleggio o l’installazione di apparecchi per il gioco nei confronti degli esercenti.

Centro e Nord Italia. La DIA procede poi all’illustrazione delle dinamiche tra mafia e gioco nella zona centrale e settentrionale dell’Italia. La suddivisione è per Regione e, come fatto sin qui, si illustrano le operazioni più rilevanti:

  1. Lazio: in questa zona si affiancano varie consorterie mafiose, autoctone ed extraregionali. La DIA riporta prima alcuni esempi di operazioni che hanno riguardato clan laziali: Vento dell’est (2015) sul monopolio delle slot nella zona di Acilia e l’indagine Jackpot (2020) sulla frode telematica e sul controllo nella distribuzione e gestione degli apparecchi per il gioco a Nord della Capitale. Per quanto riguarda i sodalizi mafiosi tradizionali, è la camorra ad aver dimostrato maggiore capacità di inserirsi nel settore del gioco e delle scommesse nel Lazio, anche per ragioni di vicinanza geografica. A testimoniarlo sono, ad esempio, l’operazione Pasha (2014) sul riciclaggio di denaro nel settore; l’operazione Alsium (2015) su una serie di attività illecite legate all’usura e al gioco d’azzardo nell’area di Ladispoli (RM); l’operazione Imitation game (2016) su una complessa struttura associativa transnazionale dedita al gioco online e alle videolottery che ha visto il coinvolgimento anche della ‘ndrangheta, della criminalità romana e di alcuni professionisti; l’operazione Wood bet (2017) sul riciclaggio di capitali illeciti da parte di Cosa nostra.

Dunque, «tirando le somme, nella regione è la camorra ad avere evidenziato un’operatività estesa, attraverso la diretta gestione […] di attività imprenditoriali correlate al settore dei giochi e delle scommesse […]. Le risultanze inerenti alla ‘ndrangheta e a Cosa nostra hanno invece palesato come il territorio della Capitale e la provincia sia stata individuata dai sodalizi come area di riciclaggio dei proventi illeciti […]. La criminalità pugliese è risultata inoltre in posizione di partnership con altre matrici criminali» (pag. 843).

  1. Piemonte: gli interessi dei gruppi criminali di matrice calabrese e catanese per il gioco d’azzardo si sono palesati in Piemonte sin dagli anni Settanta. I contrasti per la gestione delle attività del settore hanno determinato la commissione di gravi delitti da parte di clan calabresi che hanno portato all’operazione T.T. – Giuoco duro (2008). Tra le inchieste relative alla ‘ndrangheta è senza dubbio da citare Minotauro (2011) che si è focalizzata anche sulla gestione di sale da gioco e l’installazione di videopoker e slot machine all’interno dei locali pubblici. L’operazione Carminius (2019) ha invece individuato l’attività di riciclaggio di denaro nel settore dei VLT a opera di un esponente di Cosa nostra in accordo con la ‘ndrangheta nella zona di Carmagnola (TO), mentre Cerbero (2019) ha fatto luce anche su alcune aziende del settore intestate a prestanome.
  2. Lombardia: come in Piemonte, anche in Lombardia l’interesse della criminalità organizzata calabrese e siciliana per il settore dei giochi è vivo sin dagli anni Settanta. Si possono citare l’operazione Old Games (2007) sull’esercizio clandestino di scommesse nel settore ippico e sull’azzardo nelle bische e Metastasi (2014) sul tentativo di gruppi catanzaresi di imporre la propria egemonia nel settore della distribuzione di terminali per il gioco.
  3. Veneto: operazione Jonny (2017) sugli interessi di un clan crotonese nel settore delle scommesse online.
  4. Emilia Romagna: con riguardo alle infiltrazioni camorristiche è da citare l’inchiesta Medusa (2009), ma la Regione è stata teatro di una delle più importanti inchieste sulla ‘ndrangheta al Nord, ovvero Black Monkey (2013) che ha riguardato anche il gioco d’azzardo digitale tra Emilia Romagna, Veneto, Campania, Puglia, Calabria, Inghilterra e Romania.
  5. Liguria: tra le molteplici opportunità offerte dal mercato ligure è da ricordare la casa da gioco municipalizzata del Casinò di Sanremo, all’interno del quale un noto boss della camorra voleva infiltrare uomini di fiducia. Sono, in ogni caso, diversi i gruppi mafiosi che palesano interessi nel settore dei giochi in Liguria: i gruppi nisseni (inchieste Ducato, 1998 e Maglio, 2000); i gruppi camorristici per il gioco online (indagine Jackpot, 2016), i gruppi calabresi per il reinvestimento nelle videolottery (operazione I conti di Lavagna, 2016).
  6. Toscana: i riscontri investigativi degli ultimi anni hanno confermato l’azione espansiva da parte della camorra, soprattutto per il riciclaggio di proventi illeciti e la raccolta di scommesse sportive. L’operazione Hermes (2009) dimostra che l’interesse si estende anche alle sale bingo, ai videopoker e alle cosiddetto new slot. La Polizia di Stato ha inoltre fatto luce, nel 2009, su un vasto sistema di scommesse clandestine su corse di cavalli e altre manifestazioni sportive truccate, concedendo prestiti a usura a giocatori in difficoltà economiche. In Toscana (e sul resto del territorio nazionale) l’unica matrice criminale straniera con interessi nel settore dei giochi è quella cinese: in tal senso è emblematica l’operazione China Truck (2018) che ha scompaginato un sistema di bische clandestine ed estorsioni, ma il fenomeno risulta al momento «limitato e intraneo alla comunità etnica, anche se sono emerse recenti cointeressenze tra imprenditori cinesi ed espressioni camorristiche originarie del napoletano, da tempo stanziate in alcune province toscane, coinvolte in indagini concernenti il gioco illegale» (pag. 853).
  7. Umbria: gli interessi criminali si concentrano qui nel settore delle scommesse e dei giochi online, come dimostrano l’operazione Doma (2015) e la già citata indagine ‘Ndrangames (2017) che individua ramificazioni anche nella provincia di Perugia.
  8. Sardegna: la criminalità isolana instaura rapporti di sinergia con altri gruppi criminali. È infatti nuovamente da citare ‘Ndrangames (2017) che ha fatto luce sull’operatività anche in Sardegna di un clan potentino con connessioni con la ‘ndrangheta crotonese nel settore del gioco illegale. Altra operazione importante è la già menzionata Scommessa (2018), che ha coinvolto anche un imprenditore cagliaritano.

 

Conclusioni. Le organizzazioni criminali riescono a coniugare perfettamente tradizione e modernità e il gioco «ne è la massima espressione, perché ai sistemi tradizionali di scommessa i clan affiancano quelli più sofisticati sulle piattaforme online» (pag. 855). Le operazioni citate dalla DIA mostrano alcuni aspetti fondamentali dell’infiltrazione mafiosa nel settore dei giochi, che possono essere così sintetizzati:

  • tutte le organizzazioni mafiose risultano coinvolte e spesso lavorano in sinergia;
  • il gioco è un formidabile strumento di redditività e riciclaggio;
  • il gioco garantisce un’esposizione al rischio minore di tanti altri settori (come il narcotraffico);
  • si tratta di un’attività silente, agevolata dallo sviluppo di meccanismi sofisticati come la gestione di piattaforme illegali di scommesse online raggiungibili attraverso siti web dislocati all’estero;
  • il sistema richiede il contributo di figure professionali specializzate, spesso formalmente “esterne” alle organizzazioni;
  • l’evoluzione del settore dei giochi e delle scommesse illegali si gioca sul piano internazionale e la DIA infatti sostiene che «è proprio puntando al contrasto al riciclaggio internazionale che sarà possibile arginare anche la diffusione del gioco illegale» (pag. 857);
  • il gioco crea un reticolo di controllo del territorio senza destare allarme sociale.

Un altro fondamentale aspetto è però da mettere in luce: la questione delle concessioni, in molti casi rilasciate in Paesi che richiedono requisiti meno stringenti sul piano delle condotte ostative. Tra queste potrebbe – paradossalmente- non essere presa in considerazione l’associazione di tipo mafioso, perché si tratta di un reato non riconosciuto negli altri ordinamenti. La DIA auspica dunque «un allineamento delle normative penali» perché «la mancanza di una visione strategica comune, anche solo a livello europeo, non ha sinora permesso di realizzare nel settore dei giochi e delle scommesse un corpus normativo condiviso» (pag. 857).

La DIA conclude ponendo l’accento sull’importanza del contrasto al gioco illegale e alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel gioco legale: non solo per questioni connesse all’ordine pubblico e alla sicurezza urbana, ma soprattutto per la salute dei cittadini e la protezione delle fasce deboli.

(a cura di Sara Noto, Master APC dell’Università di Pisa)