IL TAR SI ESPRIME SULLE DISCIPLINE IN MATERIA DI ORARI
DEI COMUNI DI MILANO E PAVIA

Le normative e i casi. Il Comune di Milano è intervenuto sulla disciplina degli orari con le ordinanze sindacali 63/2014 e 65/2014 con cui gli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi da gioco sono stati fissati per le fasce orarie 9-12 e 18-23.

Anche il Comune di Pavia è intervenuto per disciplinare l’attività del gioco d’azzardo con l’ordinanza del 23 ottobre 2014 sugli orari di apertura delle sale gioco e degli altri esercizi con apparecchi da gioco (fasce orarie in cui è consentita l’apertura: 10-13 e 18-23) e con il Regolamento per la prevenzione e il contrasto delle patologie e delle problematiche legate al gioco d’azzardo, approvato con la deliberazione 10/2018 del Consiglio comunale.

Avverso tali provvedimenti sono stati sollevati dei ricorsi dinanzi al TAR per la Lombardia che si è espresso con provvedimenti molto simili tra loro che, pertanto, vengono per brevità analizzati congiuntamente. Si tratta, nello specifico: della sentenza 716/2019 (per quel che concerne il Comune di Pavia) e delle sentenze 495/2019, 549/2019, 550/2019, 619/2019 (riferite alle ordinanze del Sindaco di Milano; si veda anche, più recentemente, l’ordinanza 285/2020, sempre riferita a una sala giochi milanese, in cui vengono richiamate alcune delle sentenze poc’anzi citate per respingere l’istanza cautelare).

I poteri del Sindaco sugli orari e la ripartizione delle competenze con lo Stato in materia di gioco d’azzardo. La prima questione affrontata dai Collegi è relativa ai profili della competenza del Sindaco e del Comune ad intervenire in materia di gioco d’azzardo. Richiamando anche la precedente giurisprudenza del medesimo TAR, i giudici affermano che:

1) anche sulla base della sentenza 220/2014 della Corte costituzionale, l’art. 50, comma 7 del TUEL va interpretato nel senso di estendere i poteri di intervento sugli orari anche con riferimento alle sale gioco e agli esercizi in cui siano installati gli apparecchi per il gioco;

2) allo Stato devono intendersi attribuite le competenze relative all’ordine pubblico e alla sicurezza, mentre ai Comuni quelle in merito alla tutela del benessere psico-fisico dei cittadini e della quiete pubblica (attinenti agli interessi della comunità locale): deve perciò escludersi che ci possano essere delle invasioni da parte degli Enti locali quando dettano discipline sul gioco d’azzardo, essendo alcune questioni afferenti, appunto, alle prerogative comunali.

L’efficacia delle misure di limitazione oraria (anche in correlazione ad altre tipologie di gioco). Le limitazioni orarie vengono contestate dal ricorrente anche sul piano della loro efficacia. Il TAR è di diverso avviso:

1) anzitutto ricorda che “la giurisprudenza oramai maggioritaria è nel senso di ritenere che un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresce oggettivamente il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza”;

2) se è così, allora discende anche la considerazione che, incidendo la limitazione degli orari sulla riduzione delle possibilità di utilizzo, la misura in esame risulta “funzionale a delimitare la diffusione del fenomeno del gioco patologico”.

La limitazione viene considerata, in definitiva, idonea rispetto allo scopo perseguito di prevenzione, riduzione e contrasto delle ludopatie, ponendo le condizioni per la riduzione dell’offerta di gioco d’azzardo.

I ricorrenti sollevano, inoltre, un ulteriore motivo di censura, asserendo la sussistenza di una correlazione tra limiti di orari e proliferazione del gioco illegale. Tale affermazione non è condivisa dal TAR: “l’eventualità paventata … non costituisce un effetto del provvedimento stesso, né diretto, né indiretto, ma solo una evenienza di mero fatto, del tutto ipotetica, che non trova conforto in dati oggettivi e verificabili” (sul punto anche TAR Lombardia, 1669/2018).

L’istruttoria. Sul versante dell’istruttoria, i giudici ritengono adeguati gli elementi presentati dai Comuni rispetto ai loro rispettivi territori (in breve: la relazione, dell’anno precedente all’ordinanza, del Dipartimento Dipendenze dell’ASL competente, per quel che riguarda il Comune di Monza, e i dati del SerT per Milano).

Sempre su questo piano si segnala, inoltre, che il TAR per la Lombardia, nell’ordinanza 609/2019 (relativa alla deliberazione 13/2019 del Consiglio comunale di Cermenate con cui è stato modificato l’articolo 7, contenente la disciplina degli orari, del previgente Regolamento in materia di giochi), ha ritenuto comunque sufficiente l’istruttoria in epigrafe del provvedimento limitativo degli orari benché questo richiamasse dati non specificamente riferiti a quel Comune (bensì a Comuni limitrofi), poiché:

1) “l’istruttoria esperita dimostra che il fenomeno del gioco patologico è certamente presente anche nell’ambito territoriale di cui fa parte [il Comune]”;

2) richiamando la sentenza del TAR Veneto 128/2017, “nell’attuale momento storico la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della società civile costituisce un fatto notorio, o comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale” (del medesimo avviso anche l’ordinanza 397/2019 del TAR Lombardia).

La partecipazione al procedimento degli operatori del settore. Nel caso di Monza, l’istruttoria che ha preceduto l’ordinanza è stata condivisa anche con i rappresentanti delle associazioni della categoria dei commercianti e dei consumatori, mentre ciò non è avvenuto per il successivo Regolamento: a detta del TAR ciò, comunque, non costituisce un problema, in quanto le norme che impongono la partecipazione di determinati soggetti interessati non si applicano per l’emanazione di atti generali come i Regolamenti.

Una questione simile si è posta anche per le ordinanze del Comune di Milano: analogamente, il TAR ribadisce che l’art. 13 della legge 241/1990 esclude, per i provvedimenti di carattere generale, l’obbligo per l’Amministrazione di previamente confrontarsi con gli operatori del settore.

Il principio di proporzionalità. Rispetto alla contestata violazione del principio di proporzionalità, i giudici bocciano la censura, ricostruendo in questi termini la questione:

1) l’incontrollata possibilità di accesso al gioco favorisce, oggettivamente, il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza (vedi TAR Lazio 1414/2019);

2) uno degli strumenti a disposizione per contrastare questo rischio è, appunto, la riduzione degli orari;

3) questa misura comporta il minor sacrificio possibile per l’interesse dei privati in relazione all’interesse pubblico (tutela della salute mediante il contrasto alla ludopatia, rischio considerato anche dal Decreto Balduzzi).

Il diritto di libera iniziativa economica. L’ultimo elemento che viene in gioco è quella della libertà di iniziativa economica. I Collegi, nel rigettare le censure che si fondavano sull’asserito mancato rispetto dell’art. 41 della Costituzione, ricordano che:

1) proprio nell’art. 41 vi è un riferimento alla necessità che la libera iniziativa economica non si ponga in contrasto con l’utilità sociale;

2) il diritto dell’Unione Europea, sula scorta di “esigenze imperative connesse all’interesse generale”, consente l’introduzione da parte degli Stati membri di restrizione all’iniziativa economica in materia di sale da gioco;

3) la direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi nel mercato europeo non si applica al settore in esame, proprio per la sua particolarità;

4) la Corte di Giustizia dell’UE ha, parimenti, in più occasioni giustificato l’imposizione di restrizioni all’esercizio del gioco.

Conclude quindi il TAR che “la libertà di iniziativa economica dei gestori delle sale gioco non può considerarsi assiologicamente preminente rispetto al diritto alla salute dei consociati, essendo infatti entrambi detti valori, di rango costituzionale, suscettibili di bilanciamento, fermo restando che la natura imperativa dell’interesse pubblico sotteso all’azione di contrasto alla ludopatia è attestata dallo stesso legislatore statale”.

L’eventuale contraddizione tra la disciplina dettata dal Comune e le disposizioni dell’Agenzia Dogane e Monopoli. I ricorrenti che impugnano le ordinanze del Comune di Milano sollevano un ulteriore profilo di censura: le disposizioni che impongono l’interruzione del gioco in determinate fasce orarie potrebbero trovare applicazione anche con l’accortezza, da parte degli esercenti, di disattivare gli apparecchi, il che, però, potrebbe pregiudicare i flussi informativi, legati alle macchinette in questione e oggetto di specifica attenzione da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Il TAR non è dello stesso avviso: la prerogativa del Sindaco di intervenire sugli orari “non può essere condizionat[a] da disposizioni contenute nelle convenzioni stipulate tra i concessionari e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli” perché il Comune è estraneo a queste previsioni e perché “una diversa soluzione frustrerebbe in radice la ratio giustificatrice del potere in questione”.

L’Intesa. Le doglianze avverso i provvedimenti del Comune di Milano richiamano anche il contenuto dell’Intesa in Conferenza Unificata Stato Autonomie locali che prevede, tra le altre cose e in un quadro articolato con varie disposizioni di contrasto, l’interruzione delle attività del gioco per un massimo di 6 ore al giorno.

Il TAR ribadisce che questa non trova applicazione nel caso di specie in quanto anteriore rispetto alle ordinanze sindacali (in numerose altre occasioni, l’Intesa è stata considerata priva di valore cogente, e dunque non applicabile anche rispetto a ordinanze successive, in quanto non recepita con apposito decreto ministeriale: tra le tante, si veda la sentenza del TAR Veneto 417/2018).

Le sanzioni. In merito, invece, all’apparato sanzionatorio predisposto dal Comune di Milano, le doglianze vengono respinte in rito dal TAR che ricorda come sia necessario che queste siano state effettivamente comminate per poter ritenere sussistente l’interesse a contestarle (evento non verificatosi nel caso specifico).

 

IL TAR LOMBARDIA CONFERMA LA CORRETTEZZA
DELLA PREVISIONE  DI UN GIORNO DI CHIUSURA SETTIMANALE
COME MISURA DI CONTRASTO AL GIOCO PATOLOGICO

La normativa e il caso. Il Comune di Osnago (Lc) è intervenuto sulla materia del gioco d’azzardo con il Regolamento Comunale per la disciplina delle sale gioco (approvato con la delibera consiliare 60/2011) in cui, tra le altre cose, ha previsto che gli orari di apertura consentiti sono dalle 11 alle 24 tutti i giorni salvo un giorno di chiusura a scelta di ogni sala (art. 11).

Il ricorrente contesta sotto vari profili la legittimità di questa scelta e, dopo esserle stata notificata un’ordinanza con cui il Comune ordinava di indicare (e rispettare) il giorno di chiusura settimanale, ha impugnato il provvedimento e il Regolamento dinanzi al TAR Lombardia, che ha deciso il caso con la sentenza 2639/2019.

Il giorno di chiusura e gli orari effettivamente disposti. Molte argomentazioni (dal fondamento dei poteri del Sindaco alle finalità generali dei provvedimenti limitativi del gioco) ricalcano perfettamente quanto già esposto poco sopra. Ciò che caratterizza il caso è, appunto, la previsione di un giorno di chiusura. Anzitutto i giudici respingono la prima osservazione presentata dalla sala giochi: quest’ultima sottolineava che per nove mesi all’anno l’orario di apertura effettivamente esercitato era dalle 11 alle 20. Questa circostanza non convince il Collegio: si tratta, secondo la sentenza, di una “scelta gestionale che non fa venir meno l’obbligo di rispettare il giorno settimanale di chiusura”.

La proporzionalità e l’idoneità della misura. Inoltre, anche sul piano dell’idoneità della misura a contrastare la ludopatia e del rispetto del principio di proporzionalità i giudici riconoscono la legittimità di questa forma di limitazione: “il regolamento impugnato si basa su una coerente rappresentazione della situazione di fatto in ordine alla diffusione della ludopatia e alla distribuzione capillare degli apparecchi per il gioco d’azzardo, sicché la previsione di un giorno di chiusura settimanale risulta misura adeguata ad arginare il fenomeno e, nel contempo, proporzionata, poiché incide in misura davvero minima sullo svolgimento dell’attività imprenditoriale di gestione della sala da gioco”.

 

IL DISTANZIOMETRO IN LOMBARDIA

La normativa. Il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato, nell’ottobre del 2013, la Legge regionale 8/2013 contenente le norme per la prevenzione e il trattamento del gioco d’azzardo patologico: tra le varie previsioni, viene qui in considerazione l’art. 5, comma 1, in cui si è previsto che fosse la Giunta regionale a determinare, in concreto, la distanza dai luoghi sensibili degli apparecchi da gioco di nuova installazione, al contempo fissando solo il limite massimo di distanza (ossia 500 metri). Coerentemente con quanto previsto è, dunque, intervenuta la Giunta regionale con la delibera X/1274 del 2014, nel cui allegato A l’opzione scelta è stata quella del limite massimo di distanza.

Il ricorso. Avverso tale delibera è stato sollevato ricorso dinanzi al TAR per la Lombardia che si è espresso con la sentenza 2606/2019.

La direttiva comunitaria 98/34/CE. Anzitutto il TAR si impegna a smentire l’asserito contrasto con la direttiva comunitaria 98/34/CE che, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso specifico. L’atto, in particolare, è relativo alle procedure di informazione che devono essere adottare nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche: dopo una lettura delle varie fattispecie ivi previste, il Collegio conclude che la delibera regionale impugnata non rientra in alcuna delle categorie, rigettando così la censura.

L’istruttoria e la motivazione. Emerge, poi, la doglianza relativa alla carenza di istruttoria e motivazione del provvedimento della Giunta.

Il TAR respinge queste critiche: la Giunta, infatti, si è coerentemente mossa nell’ambito di quanto espresso dall’art. 5, comma 1 della legge regionale, prima attraverso un approfondimento (che ha coinvolto anche associazioni regionali di imprese e l’Anci Lombardia), poi ricavandone alcuni elementi istruttori riportati nella delibera (dati allarmanti a causa della crescita della spesa legata al gioco e dei casi di ludopatia), e infine operando la scelta che la legge stessa le chiedeva di porre in essere.

In particolare, il Collegio ritiene che sia correttamente motivata l’opzione per il limite massimo consentito dal legislatore: ciò è avvenuto sia per dare riscontro agli indirizzi univocamente manifestati dal Consiglio Regionale durante i lavori, sia per consentire in fase di prima applicazione l’attuazione più uniforme e lineare da parte delle Amministrazioni comunali.

Il decreto Balduzzi. Il ricorrente, inoltre, lamenta anche il contrasto tra la delibera e il decreto Balduzzi, il quale assegnerebbe all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli “l’esclusiva potestà di pianificare progressivamente la ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco”. Il TAR, pur non rigettando la lettura fornita dal ricorrente, prende in considerazione anche altri elementi, smentendo sulla base di questi qualsiasi contraddizione tra l’intervento regionale e quanto previsto a livello statale: si dice, infatti, che è proprio questo decreto ad aver “collocato per la prima volta il fenomeno del gioco nella materia del diritto alla salute” (materia concorrente). Tra gli strumenti che il decreto Balduzzi prende in considerazione c’è anche quello della prevenzione logistica: ciò, ovviamente, fornisce ulteriore base alla scelta di introdurre il distanziometro.

In definitiva, “la legge statale e quelle introdotte da alcune regioni … non confliggono tra loro né si elidono ma, anzi, concorrono, ciascuna nel proprio ambito, e secondo opzioni temporali e metodologiche differenziate ma in reciproca sintonia, al perseguimento dello stesso obiettivo”.

La legge-delega 23/2014. Argomentazioni analoghe sono, infine, utilizzate dai giudici per smentire che vi sia contrasto anche rispetto alla legge 23/2014 in cui, tra le altre cose, si attribuiva al legislatore ordinario il compito di riordinare la normativa in materia di giochi. Innanzitutto, tale disposizione interviene in prima battuta sui profili di ordine pubblico e sicurezza; ma anche quando lambisce il tema della tutela della salute (quello che interessa da vicino per la normativa regionale), lo fa senza pretendere di porre nel nulla le discipline regionali. Anzi: uno dei parametri è proprio quello della “salvaguardia delle discipline regolatore nel frattempo emanate a livello locale”.

Tanto basta al TAR per concludere che, “la facoltà per [regioni ed Enti locali] di esercitare le proprie prerogative, in attesa della fissazione dei nuovi criteri uniformi a livello nazionale, viene implicitamente riconosciuta”.

 

I CRITERI DI CALCOLO DELLA DISTANZA

Sentenza 479/2019. Il TAR per la Lombardia, esprimendosi sul divieto di prosecuzione dell’attività di raccolta del gioco lecito disposto dal Comune di Desio (Mb) nei confronti di un esercizio commerciale posto ad una distanza inferiore a 500 metri da un luogo sensibile, ribadisce che è corretta la scelta della Delibera della Giunta regionale X/1274 del 2014 di misurare la distanza in linea d’aria. All’art. 4, comma 2 dell’allegato A, infatti, si legge che la “distanza è calcolata autonomamente dai Comuni considerando la soluzione più restrittiva tra quella che prevede un raggio di 500 metri dal baricentro del luogo sensibile, ovvero un raggio di 500 metri dall’ingresso considerato come principale”.

Ciò viene ritenuto giustificato dal TAR: “il criterio di misurazione della distanza minima tra gli esercizi in cui svolge il gioco d’azzardo ed i luoghi sensibili (…), estendendo l’area di protezione dei soggetti esposti al rischio di ludopatia, rispetto alla mera distanza pedonale, risulta (…) ragionevole e coerente con le finalità perseguite dalla normativa dettata in materia”, fondata sulla protezione delle categorie di soggetti maggiormente esposti al rischio di ludopatia.

 

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)