Premessa. La Regione Emilia-Romagna, con la Legge regionale 5/2013 e con le deliberazioni della Giunta regionale 831/2017 e 68/2019, ha previsto il distanziometro per le sale giochi e scommesse, con l’indicazione ai Comuni di effettuare la mappatura dei luoghi sensibili, e con la previsione, sopraggiunta nel 2019, che alle attività inizialmente regolari o già delocalizzate (in seguito al distanziometro del 2017) si potesse applicare un’ulteriore proroga in caso di sopraggiunta violazione delle distanze.

Sulla base di queste previsioni, il Comune di Reggio Emilia ha emanato due deliberazioni di mappatura dei luoghi sensibili (Delibere della Giunta Comunale n. 221 del 2017 e n. 112 del 2018) e, nel luglio del 2018, ha comunicato a una società operante nel territorio comunale la chiusura di due sale giochi per violazione del distanziometro, in base alle mappature del 2017 e del 2018.

La società in esame ha presentato ricorso al TAR per l’Emilia-Romagna, sezione di Parma, che si è pronunciato, respingendo le doglianze dell’operatore, con la sentenza 72/2024 che qui si analizza.

Sul principio di buona fede e la motivazione dei provvedimenti. In primo luogo, sostengono i giudici, è corretta la motivazione “per relationem” adottata dal Comune, consistente cioè nella sola indicazione degli atti di mappatura. Ciò, secondo il TAR, non configura alcuna “violazione dei principi di correttezza e buona fede, del giusto procedimento e del contraddittorio procedimentale” perché le deliberazioni, “oltre ad essere state citate nelle ordinanze di chiusura … erano già state espressamente richiamate nei provvedimenti … con cui il Comune avvisava la società ricorrente dell’avvio del procedimento di chiusura”.

Ciò costituisce motivazione sufficiente, secondo il Collegio, posto che il ricorrente avrebbe altrimenti dovuto formulare “specifiche censure volte a contestare l’erroneità dei metodi e dei risultati di calcolo elaborati dall’Amministrazione comunale nel fornire gli esiti dell’applicazione del distanziometro”.

Non sussiste, invece, secondo i giudici, alcun “obbligo del Comune di individuare la specifica area nella quale l’interessato possa delocalizzare la propria attività, risultando invero sufficiente che l’applicazione del divieto distanziometrico non si traduca in un effetto espulsivo dell’attività di gioco e scommesse dal territorio comunale”.

Sull’effetto espulsivo. Nel caso di specie, riprendendo gli esiti della verificazione compiuta in occasione della sentenza 238/2023 del TAR Bologna, non è configurabile alcun effetto espulsivo delle attività da gioco nel territorio comunale: è accertato, infatti, che “la ricollocazione nel territorio comunale dell’attività della sala giochi non è né esclusa né resa particolarmente gravosa – tale cioè da rendere in concreto inesigibile la delocalizzazione, dal punto vista materiale e/o economico – dalla tipologia degli ambiti territoriali di destinazione”.

Viene, inoltre, esclusa la configurabilità di qualsivoglia espropriazione, posto che “le ordinanze di chiusura … sono tese semplicemente ad ottenere una diversa dislocazione geografica delle attività [di gioco] … e l’eventuale chiusura deriva unicamente dal mancato trasferimento delle sedi operative non attuato” dagli operatori.

Sulla non applicabilità della deroga di cui alla Delibera regionale 68/2019. Infine, il Collegio esclude che nel caso di specie potesse trovare applicazione la proroga (fino a dieci anni) della delocalizzazione delle attività di gioco prevista dalla Delibera regionale 68/2019. Argomenta il TAR, infatti, che la ratio di tale deroga risiede nella necessità di “tutelare – rispetto alla sopraggiunta nuova mappatura – il legittimo affidamento di coloro che “regolari ab origine” o a suo tempo “regolarizzati mediante successiva delocalizzazione”, potrebbero aver fatto degli investimenti confidando nella stabilità della loro localizzazione”.

Non è però il caso di specie, posto che la vicenda in esame è iniziata tra dicembre 2017 e giugno 2018, e che la società ricorrente non ha presentato, secondo la ricostruzione del Collegio, alcuna istanza volta alla delocalizzazione delle attività in aree non soggette a divieto.