IL TAR SI PRONUNCIA SULLE LIMITAZIONI ORARIE INTRODOTTE
NEL COMUNE DI SAN GIOVANNI LUPATOTO (VR)

La normativa. Il Comune di San Giovanni Lupatoto (Vr), con il Regolamento per la disciplina dell’attività di Sala da gioco e per l’installazione di apparecchi elettronici per il gioco d’azzardo lecito e con vincita in denaro (deliberazione del Consiglio comunale 63/2017; a questo link la versione attualmente in vigore) e con l’ordinanza sindacale 46/2017 è intervenuto, tra le altre cose, sulla disciplina degli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco: questi, in particolare, possono rimanere attivi dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 22, ovunque siano installati.

Il ricorso. Avverso questa decisione una società che gestisce una sala gioco nel Comune in esame ha sollevato ricorso dinanzi al TAR per il Veneto, che l’ha respinto, nel Novembre 2019, con la sentenza 1209/2019.

Il valore dell’Intesa. Per prima cosa, il Collegio si pronuncia sul valore dell’Intesa in Conferenza Unificata (che prevede, tra le altre cose, un massimo di 6 ore quotidiane di sospensione del gioco). Viene respinta la doglianza del ricorrente, che lamenta il contrasto tra le prescrizioni dell’Intesa e il contenuto dell’ordinanza, in quanto:

1) l’Intesa è priva di valore cogente, poiché non recepita con decreto del Ministero dell’Economia;

2) essa in ogni caso prevede un “complessivo riordino della materia” che comprende tra le altre cose una “significativa riduzione dell’offerta di gioco lecito”: applicarne solo una parte “risulterebbe arbitrario e contrario allo spirito dell’Intesa”.

La legge regionale 38/2019. Il ricorrente, poi, richiama l’art. 8 della legge regionale del Veneto 38/2019 (in cui si prescrive che: “La Giunta regionale, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, adotta il provvedimento, sul quale acquisisce il parere della competente commissione consiliare, per rendere omogenee sul territorio regionale le fasce orarie di interruzione quotidiana del gioco, secondo quanto previsto dall’intesa sottoscritta ai sensi dell’articolo 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato di cui al comma 1’”.) per evidenziare un contrasto con l’ordinanza. Tale asserita contraddizione è smentita nella sentenza in quanto:

1) al momento dell’entrata in vigore dell’ordinanza la legge ancora non aveva visto luce e, pertanto, in virtù del principio tempus regit actum, questa non rileva ai fini della valutazione della legittimità del precedente provvedimento comunale impugnato;

2) in ogni caso, al momento della sentenza il provvedimento per rendere omogenee le fasce orarie ancora non era stato adottato dalla Giunta regionale (l’adozione avverrà successivamente con la deliberazione della Giunta regionale n. 2006 del 30 Dicembre 2019).

La potestà in materia di pianificazione dell’utilizzo degli apparecchi. Non viene accolto nemmeno il motivo di ricorso che contesta la possibilità per il Comune di intervenire sull’utilizzo degli apparecchi da gioco: il ricorrente sostiene, infatti, che per esigenze di unitarietà di trattamento e per il principio della chiamata in sussidiarietà, spetterebbe solo all’ente statale la pianificazione dell’utilizzo dei suddetti apparecchi, escludendo un’autonoma regolamentazione da parte dei Comuni. Il TAR, anche richiamando la sentenza 220/2014 della Corte costituzionale, ricorda come sia ormai un dato acquisito la competenza in materia di orari del Sindaco, in forza dell’art. 50, comma 7 del TUEL (come interpretato appunto dalla giurisprudenza costituzionale).

Non solo: richiamando il Consiglio di Stato (sentenza 4867/2018) il TAR afferma che sussiste in capo ai Comuni un vero e proprio obbligo a intervenire in tal senso: una volta identificato un rischio, anche potenziale, e gli effetti negativi che questo è in grado di dispiegare, “è d’obbligo predisporre tutte le misure per minimizzare (o azzerare, ove possibile) il rischio preso in considerazione”, alla luce dell’obiettivo di tutela della salute e sulla base anche del principio (di derivazione euro-unitaria) di precauzione (dello stesso avviso anche la sentenza del Consiglio di Stato 4509/2019 su un caso relativo alla disciplina degli orari introdotta in un Comune, Castelnuovo del Garda, della stessa provincia).

L’istruttoria. Il ricorrente contesta, inoltre, la carenza di istruttoria e di motivazione dell’ordinanza impugnata. Il TAR boccia questa doglianza, affermando che:

1) il Comune ha tenuto conto dei dati relativi alla situazione locale forniti dalla ULSS competente;

2) la ludopatia costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza (sul punto, si vedano anche le sentenze, del medesimo Collegio, 793/2019 e 620/2019);

3) il fenomeno della ludopatia è caratterizzato, inoltre, da una “notevole cifra oscura”, elemento che viene evidenziato anche per fornire una chiave di lettura dei dati a disposizione;

4) nella provincia interessata, e anche nel Comune in esame, è documentata una crescita della diffusione degli apparecchi da gioco;

5) sul piano della motivazione, non sussistono dubbi che questa vada ricercata nell’”esigenza di tutela della salute pubblica e del benessere individuale e collettivo”.

Il principio di proporzionalità. I giudici respingono anche le censure, presentate dal ricorrente, in merito alla presunta violazione del principio di proporzionalità, dell’art. 41 della Costituzione e della normativa in materia di liberalizzazioni economiche. Il cuore dell’argomentazione del Collegio consiste nella valutazione che l’iniziativa economica non è assoluta, ma può essere sottoposta a limitazioni qualora queste siano necessarie per evitare danni alla salute (argomentazioni analoghe sono contenute anche nelle sentenze, del medesimo Collegio, 972/2019 e 620/2019).

Se è così, allora la misura di restrizione degli orari degli apparecchi del gioco va considerata una misura ragionevole (posto che “un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresce il rischio di diffusione di fenomeno di dipendenza”) che contempera in modo corretto gli interessi in gioco (ossia quelli pubblici e quelli degli imprenditori, ai quali è comunque concesso di mantenere aperti al pubblico gli esercizi anche quando gli apparecchi non sono in funzione, potendo così riorganizzare la loro attività economica).

L’adeguatezza delle misure orarie e il loro scopo. Infine, i giudici si concentrano sulla idoneità, o meno, delle misure orarie introdotte. Per farlo è logicamente necessaria la previa individuazione dello scopo perseguito, che viene rintracciato non nell’eliminazione di ogni forma di dipendenza patologica da gioco (il che travalicherebbe la sfera di competenza del Comune), bensì nella prevenzione, contrasto e riduzione del rischio di dipendenza (sul punto anche la sentenza, già citata, del TAR Veneto 620/2019). Così individuato l’obiettivo, dunque, i giudici asseverano le misure anche sul piano dell’adeguatezza.

 

IL TAR E IL CONSIGLIO DI STATO SI PRONUNCIANO, CON ESITI OPPOSTI,
SULL’OBBLIGO DI DISTANZA DI UNA SALA GIOCO DA UNO SPORTELLO BANCOMAT

La normativa e il caso. Il Comune di Belluno, con il Regolamento comunale per l’apertura delle sale giochi e l’installazione di apparecchi da gioco (deliberazione consiliare 10/2017) ha, tra le altre cose, disposto che “non possono esser aperte sale dedicate al gioco d’azzardo o dove sono installati gioco d’azzardo leciti, a distanze inferiori a 300 mt. da sportelli bancari, postali o bancomat”.

Una società operante nel settore del gioco, nel corso del 2018, ha dapprima chiesto ed ottenuto dal Comune il permesso di costruire per la sala gioco; successivamente si è vista negare dal Questore la licenza chiesta ai sensi dell’art. 88 del TULPS in quanto i locali erano posti a una distanza inferiore a 300 metri da uno sportello bancomat.

Avverso tale provvedimento ha presentato ricorso: il TAR per il Veneto lo ha accolto con la sentenza 448/2019; avendo il Comune proposto appello, si è pronunciato anche il Consiglio di Stato, prima con l’ordinanza cautelare 222/2020 e poi definitivamente con la sentenza 4464/2020, con cui ha ribaltato l’esito del primo grado.

La sentenza del TAR: gli sportelli bancomat tra i luoghi sensibili e l’effetto espulsivo. Il TAR del Veneto, come detto, accoglie il ricorso presentato dalla società. In particolare, nelle varie argomentazioni addotte, spiccano due punti cruciali:

1) dinanzi all’eccezione di inammissibilità presentata dal Comune per tardività dell’impugnazione (in quanto i ricorrenti avrebbero dovuto, a detta dell’Ente locale, impugnare tempestivamente già il Regolamento e non direttamente l’atto della Questura), i giudici spiegano che, invece, fino al diniego del rilascio della licenza da parte del Questore non vi era, per la società, alcun interesse concreto ed attuale contro il Regolamento.

A riprova di ciò, si afferma che, anzi, il rilascio da parte del Comune del permesso di costruire aveva generato nel ricorrente un rilevante affidamento circa il buon esito dell’intrapresa economica (sulla questione della formazione dell’affidamento si veda, per un confronto, anche quanto espresso dal TAR per le Marche e dal Consiglio di Stato nelle sentenze, rispettivamente, 131/2019 e 8563/2019);

2) il TAR reputa, inoltre, illegittima la scelta del Comune di ricomprendere gli sportelli bancomat tra i luoghi sensibili. Ciò in particolare viene contestato sia da un punto di vista sostanziale (gli altri luoghi ricompresi nell’elenco, dicono i giudici, sono tutti centri di aggregazione), sia per gli effetti che deriverebbero da tale scelta: su quest’ultimo aspetto, infatti, il TAR sottolinea che si determinerebbe “un’espropriazione di fatto o, comunque, un’eccessiva compressione delle libertà di iniziativa economica”, vista anche la capillare diffusione nel territorio comunale degli sportelli in questione. Si può notare che in altri casi, di fronte a situazioni analoghe, altri Collegi hanno disposto delle perizie tecniche per accertare l’eventuale effetto espulsivo (per una analisi delle esigenze che sono state poste alla base di una simile scelta si veda, ad esempio, la sentenza 8298/2019 del Consiglio di Stato).

L’ordinanza del Consiglio di Stato: gli interessi generali e le esigenze di precauzione e protezione. Il Consiglio di Stato si è, innanzitutto, espresso con l’ordinanza 222/2020 accogliendo la richiesta, presentata dal Comune, di sospensiva dell’esecutorietà della sentenza appellata nelle more della decisione nel merito. Questa conclusione si fonda, spiegano i giudici della Terza sezione, sulla “natura prioritaria dell’interesse, generale e di rango costituzionale, a contrastare la ludopatia, come fenomeno avente grave impatto sulla salute e convivenza sociale” facendo così prevalere “l’esigenza di precauzione e protezione posta a base delle regole – incluse quelle adottate con regolamenti comunali – che indicano luoghi sensibili e relativi limiti alla dislocazione di sale per il gioco d’azzardo lecito”.

La sentenza del Consiglio di Stato. Dopo l’ordinanza cautelare, il Consiglio di Stato si è pronunciato nel merito della questione con la sentenza 4464/2020, in cui ha di fatto ribaltato l’esito della pronuncia del TAR. Tra le argomentazioni che sono state sviluppate, le principali sono:

1) sul tema dell’inammissibilità del ricorso per tardività: i giudici di Palazzo Spada accolgono l’istanza del Comune affermando che, per la sua fisionomia, il Regolamento contestato deve essere considerato di volizione-azione, contenente previsioni destinate ad una immediata applicazione (non lasciando margini di discrezionalità al Comune): pertanto esso andava impugnato tempestivamente senza attendere l’adozione di ulteriori atti (per una scelta analoga compiuta, invece, dal TAR Veneto si veda la sentenza 587/2019);

2) sulla tutela dell’affidamento dell’operatore economico: a detta del Consiglio di Stato questo non si è formato, in quanto la società ricorrente avrebbe dovuto tener presente il contenuto del Regolamento, approvato ben prima della domanda di autorizzazione;

3) sull’asserito effetto espulsivo: il Collegio ritiene indimostrata l’affermazione per cui la misura in esame precluderebbe l’iniziativa economica legata al gioco nel territorio comunale;

4) sul merito della misura relativa agli sportelli bancomat: i giudici ritengono appropriata la scelta di includere anche gli sportelli bancomat nell’elenco dei luoghi sensibili in quanto si tratta di un mezzo “per evitare che l’occasione del prelievo sia facilmente colta dal soggetto ludopatico per continuare o aggravare la sua condizione sociale, personale e patologica: tutto questo … in ossequio ai principi limitativi della iniziativa economica privata che l’art. 41 Cost. stabilisce, primo tra essi la ‘dignità umana’”.

 

ALTRE SENTENZE DEL TAR VENETO

Sentenza 675/2020: il rispetto delle distanze in caso di nuova installazione di apparecchi, di altra tipologia rispetto a quelli già presenti, in un esercizio già autorizzato. Nel caso che ha originato questa pronuncia del TAR, una società, titolare di sala da gioco autorizzata nel 2010 (prima, dunque, del Regolamento comunale che ha introdotto la disciplina sulle distanze, che è stato approvato nel 2011), ha chiesto, nel 2018, l’autorizzazione al Questore ex art. 88 TULPS per l’installazione di apparecchi da gioco di tipologia VLT.

Dopo il diniego della richiesta, ha sollevato ricorso dinanzi al TAR che, bocciando l’istanza della società, ha tra le altre cose affermato che:

1) “è fuor di dubbio … che il Questore, in sede di rilascio dell’autorizzazione ex art. 88 TULPS, debba accertare non solo la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legislazione di pubblica sicurezza, ma anche tener conto della disciplina regionale e locale in tema di distanze minime dai luoghi qualificati come ‘sensibili’”;

2) l’autorizzazione, chiesta ai sensi dell’art. 88 TULPS, avente ad oggetto l’installazione di nuovi apparecchi per una sala gioco già operante e attiva deve tener conto dell’intervenuta disciplina regolamentare in materia di distanze: infatti, la ratio di tali disposizioni risiede in motivi imperativi di interesse generale (tra cui la tutela della salute dei soggetti maggiormente vulnerabili), i quali sarebbero ingiustamente frustrati da un’interpretazione (come quella del ricorrente) che determinerebbe, di fatto, situazioni sottratte al rispetto di queste regole.

Sentenza 1181/2018: è corretta la norma che dispone la cristallizzazione del numero di apparecchi da gioco presenti a una certa data se nel frattempo sopraggiunge il distanziometro. Il Comune di Venezia, prima con l’art. 30 del Regolamento edilizio del 2015, poi con gli articoli 6 e 17 del Regolamento comunale in materia di giochi del 2016 ha stabilito che non possono essere installati apparecchi da gioco in locali situati a meno di 500 metri da luoghi sensibili, e che tali prescrizioni “non si applicano agli esercizi già autorizzati”.

Il caso da cui origina la sentenza vede una sala giochi, autorizzata prima dei Regolamenti, che nel lasso di tempo intercorso tra l’uno e l’altro provvedimento aumentava il numero di apparecchi presenti (dai 7 iniziali fino a un massimo di 43, poi ridotti a 13). Il Comune ha quindi emesso un provvedimento con cui vietava alla sala la prosecuzione dell’attività con numero di apparecchi superiore a 7.

Il TAR reputa corretta questa scelta: “il mantenimento dello status quo per gli esercizi già autorizzati va inteso con esclusivo riferimento al numero di apparecchi autorizzati” e pertanto ha avallato la scelta dell’Ente locale di cristallizzare il numero di apparecchi alla data dell’ultimo controllo effettuato prima dell’entrata in vigore del Regolamento. In questo modo, dunque, la salvaguardia degli esercizi già autorizzati avviene con il preciso limite di non poter ampliare il numero di dispositivi da gioco presenti.

Sentenza 1096/2018: il distanziometro, la norma transitoria a salvaguardia attività già in essere e il subentro nella titolarità di un esercizio. Il Comune di Lonigo, con il Regolamento Comunale per la disciplina delle attività di sala giochi ed installazione di apparecchi da gioco, approvato con la delibera comunale 44/2016, ha stabilito che “i locali da autorizzare … dovranno rispettare una distanza di mt. 500” da alcuni luoghi sensibili (art. 11), prevedendo poi, all’art. 19, una deroga per gli esercizi già in attività (“Le attività in possesso dell’autorizzazione di cui agli art. 86 e 88 del TULPS, esistenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento sono esentate dal rispetto dei requisiti previsti dall’art. 11”).

Nel caso in esame, la ricorrente era subentrata nella titolarità di una tabaccheria (al momento del subentro priva di apparecchi da gioco, mentre in passato li aveva) situata a breve distanza da un luogo sensibile. Di fronte al rigetto da parte del Comune della SCIA presentata per l’installazione degli apparecchi, la ricorrente sosteneva che si dovesse applicare l’art. 19.

Il TAR boccia l’istanza: infatti, dicono i giudici, “la norma transitoria che esonera gli esercizi in cui si pratica l’attività di gioco lecito dal rispetto della distanza di 500 metri da luoghi sensibili non si applica … in tutti i casi in cui vi sia un cambiamento della situazione giuridica o fattuale rispetto a quella esistente al momento dell’entrata in vigore del Regolamento, ovvero … quando nei medesimi locali venga ad operare un nuovo soggetto (cd. cambio di gestione), rispetto al quale non sussistono le esigenze di tutela dell’affidamento che, invece, presidiavano la posizione del precedente titolare”. Con queste argomentazioni, dunque, il TAR ricostruisce anche le ragioni (tutela dell’affidamento) che vengono poste alla base di simili deroghe a favore degli esercizi già in attività.

Sentenza 793/2019: la disciplina degli orari dettata dal Consiglio comunale. La vicenda che il TAR per il Veneto si trova ad analizzare in questo caso è relativa ad alcune misure di limitazione oraria che sono state introdotte, in un Comune del Veneto, con Regolamento. I giudici respingono le doglianze del ricorrente, una società che gestisce una sala di videolottery, affermando tra le altre cose che:

1) “La fissazione di limiti massimi agli orari di apertura delle sale giochi da parte del Consiglio comunale non configura un’usurpazione dei poteri sindacali, in quanto l’art. 42 del TUEL attribuisce al consiglio comunale il potere regolamentare e il compito di delineare gli indirizzi di carattere generale in tema di orari, sul cui tracciato il sindaco, ex art. 50, comma 7, TUEL, esercita il proprio potere discrezionale teso a fissare un orario più o meno contenuto nell’ambito delle fasce orarie predeterminate dal consiglio medesimo, in coerenza con l’interesse pubblico perseguito”, ossia quello di “tutelare la salute pubblica e il benessere socio-economico dei cittadini”. Peraltro, giova ricordare che con successivi atti (legge regionale 38/2019 e deliberazione della Giunta regionale 2006/2019) la disciplina degli orari è stata dettata a livello regionale;

2) la scelta del Comune di uniformare gli orari a tutto il territorio comunale e a tutte le tipologie di esercizi commerciali presenti (tra quelli che possono installare i suddetti apparecchi) risponde all’esigenza di “prevenire la trasmigrazione degli utenti dall’una all’altra tipologia di esercizi, ovvero dall’una all’altra zona del territorio comunale”.

Sentenza 872/2019: la necessità del termine finale in un’ordinanza contingibile e urgente adottata per chiudere, nell’orario notturno, una sala gioco “problematica”. Il Sindaco del Comune di Bovolone (Vr) ha adottato l’ordinanza contingibile e urgente 68/2019 allo scopo di disporre la chiusura, dopo le ore 22, di una sala gioco nel territorio comunale che in più occasioni ha violato gli orari di funzionamento degli apparecchi da gioco e davanti al quale, l’anno precedente al provvedimento, era avvenuto un grave fatto criminoso.

Il TAR per il Veneto accoglie il ricorso presentato dalla sala in questione: l’elemento determinante è l’assenza di un termine finale di durata degli effetti dell’ordinanza. Se da un lato, infatti, il Comune aveva argomentato che la situazione relativa all’ordine pubblico era “arginabile unicamente mediante l’immediata limitazione degli orari di esercizio nelle ore notturne” (e che pertanto ciò veniva ordinato senza apporre un limite), dall’altro i giudici prima operano una ricostruzione delle finalità dello strumento (rimedio extra ordinem e utilizzabile dai Comuni quale extrema ratio in circostanze particolari) per concludere che il termine finale è un elemento necessario (anche al fine “non istituzionalizzare situazioni emergenziali”).

Sentenza 587/2019: le misure nel Comune di Jesolo contro la ludopatia (in particolare, il divieto di utilizzare sedie e sgabelli presso le postazioni di gioco). Il TAR per il Veneto si è pronunciato sulla delibera 192/2018 della Giunta comunale di Jesolo (Ve) che ha introdotto alcune misure di contrasto alla ludopatia. Tra i motivi di ricorso che sono stati sollevati e su cui il TAR si è pronunciato ci sono:

1) l’immediata esecutività delle nuove sanzioni (inasprite) previste dalla delibera 192/2018: tale scelta, contestata dalla ricorrente, viene considerata dai giudici motivata e non contradditoria: infatti, spiegano, “il Comune ha deciso di introdurre sanzioni più restrittive immediatamente perché la stagione turistica era già iniziata e durante tale stagione le presenze a Jesolo aumentano notevolmente (passando da 25.000 residenti a 5 milioni di turisti), e al fine di rendere, quindi, possibile fin da subito un più adeguato ed efficace contrasto ai comportamenti che violassero le disposizioni comunali in materia di giochi”;

2) il coordinamento tra l’autorizzazione della Questura e i successivi provvedimenti comunali: la ricorrente afferma che ci sarebbe una contraddizione tra l’autorizzazione rilasciata dalla Questura e il successivo intervento comunale, reputato da questa gravoso per le attività economiche regolarmente autorizzate. Il TAR è di diverso avviso: infatti, ricostruendo il contenuto stesso dell’atto della Questura, emerge chiaramente come siano fatte espressamente salve le determinazioni che i Comuni possono legittimamente introdurre;

3) il divieto di utilizzare, presso le postazioni di gioco, elementi di arredo che consentano di sedersi (sgabelli, sedie, panche, ecc.): tale divieto, contenuto nell’art. 7, comma 14 del Regolamento comunale viene considerato adeguatamente motivato e non illogico al fine di contrastare la ludopatia: infatti, dicono i giudici, “la scelta di precludere la presenza di strutture su cui sia possibile sedersi è evidentemente funzionale a tale scopo e non illogica nell’ottica di ridurre il tempo di permanenza nelle sale gioco, dato che riducendo le possibilità di sedersi si rende meno confortevole l’attività di gioco”.

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)