Premessa. La Regione Emilia-Romagna ha disciplinato il distanziometro con la legge regionale n. 5 del 2013e ha successivamente stabilito, con la deliberazione n. 831 del 12 giugno 2017 le modalità applicative del divieto alle sale gioco e sale scommesse e alla nuova installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito, stabilendo l’obbligo per ciascun Comune di adottare la mappatura dei luoghi sensibili.

Il Comune di Scandiano ha proceduto in tal senso con l’atto di giunta n. 243 del 13 dicembre 2017.

Con provvedimenti del luglio e dell’agosto 2018, il Comune ha diffidato una società, già operante nel territorio con 6 sale gioco e scommesse più diversi “corner” in altri esercizi, ad aprire una ulteriore sala gioco perché localizzata a meno di 500 metri da un luogo sensibile (un luogo di culto).

Con sentenza 222/2022 il TAR Parma ha respinto il ricorso; avverso tale pronuncia, l’operatore del gioco ha presentato appello al Consiglio di Stato che ha ulteriormente respinto le doglianze con la sentenza 2422/2023che qui si analizza.

L’applicazione vincolata della disciplina sul distanziometro. In primo luogo, il Collego ribadisce che gli atti del Comune hanno natura ricognitiva, a fronte di una legislazione regionale chiara sul punto. Non residuano, inoltre, dubbi in merito:

  • All’applicazione del divieto distanziometrico alle sale già attive, visto il tenore dell’art. 6, comma 2-bis, della legge regionale 5/2013;
  • Alla legittimità costituzionale delle norme regionali, “le quali hanno introdotto una disciplina atta a contrastare la c.d. ludopatia con finalità di tutela della salute pubblica e, più precisamente, volta a perseguire finalità di carattere socio-sanitario”: ciò è confermato anche dalla Corte costituzionale (es. sentenza n. 108 del 2017) e dalla giurisprudenza comunitaria.

L’effetto espulsivo. Il cuore della vicenda è rappresentato dalle doglianze dell’appellante in merito all’asserito effetto espulsivo per le attività di gioco che si produrrebbe applicando il distanziometro.

I giudici ricordano, innanzitutto, che la violazione del principio di proporzionalità nell’applicazione dei limiti distanziali si potrebbe configurare se l’individuazione delle aree interdette “rendesse impossibile la delocalizzazione delle attività esistenti, per insufficienza quantitativa o per limitazioni urbanistico edilizie”, secondo una valutazione da fare “in concreto e non in astratto”.

Sul piano applicativo, il Consiglio di Stato ritiene che nel conteggio delle aree utili vadano considerate anche “le porzioni di territorio in cui è oggettivamente possibile la delocalizzazione anche se ritenute non convenienti dal punto di vista commerciale”. Questo perché gli aspetti di convenienza prettamente economica non possono “incidere riduttivamente sulle porzioni di territorio utili allo scopo (in quanto non altrimenti vincolate), poiché attengono a valutazioni soggettive e autoreferenziali, di stretto sfruttamento commerciale, ovvero di tipo remunerativo (zona non residenziale o a scarsissima densità abitativa), inerenti pertanto al rischio di impresa”.

L’intesa. Il Consiglio di Stato ribadisce, infine, ancora una volta come all’Intesa in Conferenza Unificata del 2017 non possa essere attribuita portata vincolata “in mancanza del decreto ministeriale di recepimento”.