Premessa. L’art. 5, comma 1, della legge provinciale di Trento, 22 luglio 2015, n. 13, prevede il divieto di collocazione degli apparecchi da gioco a una distanza inferiore di 300 metri da una serie di luoghi ritenuti sensibili, e l’art. 14 prevede la loro rimozione in caso di violazione di tali distanze entro sette anni dalla data di entrata in vigore della legge se collocati nelle sale da gioco ovvero entro cinque negli altri casi.
Il titolare di un “Caffè” nel Comune di Malè in cui sono installati alcuni apparecchi da gioco ha presentato ricorso prima al TRGA Trento, che con la sentenza 50/2023 lo ha respinto, e poi appello al Consiglio di Stato che, con la sentenza CDS 1476/2024 che qui si analizza, ha confermato la pronuncia di primo grado definitivamente smentendo le doglianze dell’esercente privato.
La finalità del distanziometro. Il Collegio, in primo luogo, respinge perché manifestamente infondate le doglianze di illegittimità costituzionale prospettate dall’appellante con riferimento al distanziometro provinciale. La tesi dell’esercente non convince i giudici che ribadiscono, anche richiamando le precedenti pronunce 1618/2019 e 9271/2023, che sono legittimi “i limiti alla collocazione nel territorio delle sale da gioco e degli apparecchi per gioco lecito” avendo come finalità quella di “tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale”, in linea di continuità con le sentenze della Consulta 300/2011 e 108/2017. Viene smentita anche la riconducibilità di tale strumento all’ambito della pianificazione territoriale.
Conferma, inoltre, il Consiglio di Stato la coerenza degli strumenti previsti dalla LP 13/2015 con l’art. 41 Cost. (“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”) e la “funzionalità del distanziometro rispetto al raggiungimento dell’obiettivo del contrasto alla ludopatia”.
L’effetto espulsivo. Il Consiglio di Stato respinge anche la tesi dell’esercente in merito al dedotto effetto espulsivo che conseguirebbe all’applicazione del distanziometro.
In linea generale, sostengono i giudici, è corretto calcolare la superficie disponibile per la delocalizzazione delle attività di gioco rispetto all’intero territorio comunale (e non rispetto al solo territorio urbanizzato, come affermato dall’esercente) in considerazione della “ridotta estensione della superficie destinata all’urbanizzazione rispetto al territorio comunale complessivamente considerato”. Inoltre, si ribadisce che la eventuale “maggiore o minore appetibilità economica delle diverse aree del territorio comunale … non integra di per sé un impedimento alla delocalizzazione e non può dunque essere tenuta in considerazione”. In merito a questo punto, in ogni caso, sottolinea il Collegio che l’appellante avrebbe dovuto dimostrare la eventuale la sua impossibilità in concreto a delocalizzare.
Nel merito del territorio comunale di Malè è emerso che, a fronte del distanziometro, la percentuale di territorio urbanizzato in cui resta possibile il trasferimento dell’attività è pari al 3,2%: nota il Collegio che si tratta di una percentuale “decisamente superiore all’1% considerato già di per sé sufficiente dalla giurisprudenza amministrativa” (CDS 11036/2022).
Il principio di proporzionalità e il termine di sette anni. Il Consiglio di Stato ha anche respinto la doglianza dell’appellante che lamentava la violazione del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra diritto alla salute e altri diritti costituzionalmente tutelati come la libertà iniziativa economica. In particolare, la previsione di legge di un termine per la delocalizzazione degli apparecchi integra proprio, secondo i giudici, una previsione di tutela dell’iniziativa economica privata.
La disparità di trattamento tra tipologie di gioco. Viene smentita, infine, anche la prospettata disparità di trattamento tra tipologie di gioco e il vizio di imparzialità contestato dall’appellante. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, “la diversità di trattamento dei diversi tipi di gioco lecito rientra nell’ambito del legittimo esercizio della discrezionalità legislativa” ed è coerente con lo studio del Ministero della Salute “Dipendenze comportamentali/Gioco d’azzardo patologico: progetto sperimentale nazionale di sorveglianza e coordinamento/monitoraggio degli interventi” da cui emerge che gli apparecchi “comma 6” (Vlt, Awp o new slot) esercitano una attrattiva diversa e assai più pericolosa sui giocatori.