Premessa. Il Consiglio di Stato è chiamato a pronunciarsi in seguito ad un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica presentato da una società che gestisce due sale gioco a Piacenza, la quale ha impugnato i provvedimenti di mappatura e di chiusura dell’attività (entro 6 mesi dalla Delibera comunale 435/2017, con cui era stata data attuazione alla Legge regionale 5/2013 e alla Delibera della Giunta regionale 831/2017).

È necessario a questo punto ripercorrere brevemente alcuni aspetti della normativa.

Normativa. Art. 6, comma 2bis della Legge regionale Emilia-Romagna 5/2013: “Sono vietati l’esercizio delle sale da gioco e delle sale scommesse (…), i punti di raccolta delle scommesse (c.d. corner) (…) nonché la nuova installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito (…) in locali che si trovino a una distanza inferiore a cinquecento metri, calcolati secondo il percorso pedonale più breve” da vari luoghi sensibili.

Delibera Giunta Emilia-Romagna 831/2017: “Sulla base della mappatura, il Comune comunicherà ai titolari delle sale gioco e sale scommesse ricadenti nel divieto di esercizio (locale situato a meno di 500 metri dai luoghi sensibili) l’adozione nei successivi sei mesi dei relativi provvedimenti di chiusura. (…) Al fine di consentire la progressiva delocalizzazione delle sale gioco e delle sale scommesse, agli esercenti che intendano proseguire la propria attività in zone non soggette a divieto è concessa una proroga fino ad un massimo di ulteriori sei mesi rispetto al termine per l’adozione del provvedimento di chiusura”.

Delibera Giunta Emilia-Romagna 68/2019: “Si precisa che il periodo di proroga di sei mesi connesso alla richiesta di delocalizzazione può, in ragione di particolari esigenze che ciascun Comune potrà valutare e dovrà adeguatamente motivare nei relativi provvedimenti, essere ulteriormente prorogato per un massimo di ulteriori sei mesi”.

Delibera Comune di Piacenza 435/2017. Con la delibera il Comune di Piacenza decide di: “approvare e rendere esecutiva la mappatura dei luoghi sensibili predisposta dagli uffici comunali, così come previsto dalla Legge Regionale n. 5/2013 e dalla Delibera della Giunta regionale Emilia-Romagna n. 831/2017. Dare mandato agli uffici comunali di procedere, nei successivi sei mesi, all’individuazione e alla relativa comunicazione dell’adozione dei provvedimenti di chiusura ai titolari delle sale da gioco e sale scommesse ricadenti nel divieto di esercizio”.

La misurazione della distanza. Il ricorrente anzitutto contesta il criterio di misurazione adottato nel provvedimento. Il Consiglio rigetta questa censura affermando che il Comune ha proceduto correttamente svolgendo una ricognizione dei luoghi sensibili e la mappatura degli stessi prima di adottare i provvedimenti di chiusura. Sul metodo di calcolo della distanza, il Collegio ricorda che “la delibera regionale rimetteva ai Comuni una facoltà di adattamento allo stato effettivo di ciascuna realtà urbana e territoriale”.

Il bilanciamento degli interessi. La parte ricorrente si concentra poi sul tema degli interessi in gioco, sostenendo che quelli del privato siano stati eccessivamente compressi, in quanto “sarebbe impossibile dislocare altrove la propria attività” e lo stesso “termine di sei mesi accordato per una nuova dislocazione” non garantirebbe l’interesse privato; nel farlo richiama sia alcuni articoli della Costituzione sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il Consiglio rigetta queste censure attraverso un excursus sulle principali acquisizioni in giurisprudenza (nazionale ed europea) sul tema; in particolare ricorda che:

1) le norme statali e regionali, alle prese con il fenomeno della ludopatia, perseguono l’obiettivo della tutela delle persone, considerato quale “interesse pubblico primario e costituzionalmente assai rilevante” a fronte del quale è certamente possibile contemperare “il libero esercizio delle attività economiche”, rispettando il dettato dell’art. 41 Cost., purché nelle determinazioni del legislatore non ci siano incongruità: in particolare, richiamando la sentenza della Corte costituzionale 56/2015, si ricorda che nel caso di “un’attività economica svolta dal privato in regime di concessione di un servizio pubblico riservato al monopolio statale e connotato dai preminenti interessi generali, è connaturale l’imposizione di penetranti limitazioni della libertà di iniziativa economica”;

2) la giurisprudenza comunitaria ammette limitazioni alla libera iniziativa economica in bilanciamento con interessi di carattere generale (quali l’ordine e la sicurezza pubblica, la sanità pubblica, la tutela dei consumatori, la prevenzione dalla frode e dall’incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco): queste limitazioni, in particolare, sono di competenza dei singoli stati non essendoci un’armonizzazione a livello comunitario, ciò anche alla luce delle “divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale” che sussistono tra i vari paesi in questa materia (Corte di Giustizia 16 Febbraio 2012, Costa e Cifone, C-70/19 e C-77/10).

La retroattività delle misure di rilocalizzazione. Con l’ultima doglianza, il ricorrente propone di sollevare questione di legittimità costituzionale rispetto alla Legge regionale contestando il carattere retroattivo delle misure di rilocalizzazione rispetto alle distanze per gli esercizi già in attività ed affermando l’eccessiva compressione della libera iniziativa economica che ne discenderebbe.

Il Consiglio di Stato dichiara la manifesta infondatezza della questione in quanto:

1) a livello di legge statale, in particolare con il decreto Balduzzi, non vengono escluse le misure di ricollocazione, anzi “si prevede un percorso applicativo che ben può, e anzi deve, riguardare anche le attività in corso”;

2) il percorso applicativo non si è ancora concluso (poiché l’Intesa in Conferenza Unificata ancora non è stata recepita con decreto ministeriale);

3) nelle more, le Regioni possono senz’altro intervenire, nel perseguimento degli interessi sopra ricordati.

Inoltre, il Collegio ribadisce che anche le delibere regionali e comunali sono coerenti con la Legge regionale, sottolineando in particolare il “congruo periodo di comporto” prima del trasferimento in altra sede (6 mesi) quale “ragionevole adattamento alla realtà concreta del territorio e degli occupati negli esercizi” (sul punto relativo all’importanza del periodo concesso ai privati per la ricollocazione si veda anche TAR Aosta, 40/2020).

Il Consiglio di Stato giunge così a negare che la misura in questione si configuri come retroattiva: essa è, invece, “funzionale al perseguimento dell’interesse primario tutelato dall’ordinamento”, impedendo che si determinino zone franche non controllabili, il tutto anche nel rispetto del principio di concorrenza e di par condicio tra gli operatori del settore (in particolare, tra quelli già in esercizio e quelli che nel settore entreranno).

Del resto, sempre il Consiglio di Stato nella sentenza 579/2016 aveva affermato che l’esistenza di un’autorizzazione pregressa non può giustificare una deroga permanente alle misure previste per tutelare la salute perché altrimenti si vanificherebbe la portata della disciplina di tutela e si determinerebbe una distorsione della concorrenza.

 

(a cura di Marco De Pasquale, Master APC Università di Pisa)