La normativa. Il Comune di Lissone (Mb), con la deliberazione 6/2020, ha approvato il Regolamento per la prevenzione ed il contrasto delle patologie e delle problematiche legate al gioco d’azzardo lecito.
Tra le previsioni introdotte spicca, anzitutto, all’articolo 6 del Regolamento, l’individuazione di fasce orarie di sospensione del gioco per un totale di 11 ore e mezza di interruzione quotidiana delle attività (nello specifico, il Regolamento prevede l’esenzione del gioco dalla mezzanotte del giorno precedente alle ore 10 per preservare la fascia di accesso alle scuole e al lavoro; dalle ore 13.00 alle ore 14.30 per preservare la fascia oraria di uscita dalle scuole; dalle ore 19.30 alle ore 20.30 per preservare la fascia oraria di uscita dal lavoro).
Accanto a ciò, all’articolo 5 il Regolamento ha ampliato, rispetto alla legge regionale 8/2013 e alla precedente delibera della Giunta comunale 148/2014, l’elenco dei luoghi sensibili nelle cui vicinanze non è possibile installare apparecchi per il gioco (ad esempio, non consentendo sale gioco e apparecchi a una distanza inferiore a 100 metri da sportelli bancomat ed esercizi di compro-oro).
Il caso. Avverso il regolamento ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica il titolare di un bar, operante nel territorio comunale di Lissone, al cui interno sono installate alcune slot machine.
Il Consiglio di Stato ha emesso il parere definitivo 1422/2021, che qui si analizza, con cui ha dichiarato inammissibile il ricorso.
I motivi dell’inammissibilità: i limiti orari. Per quel che concerne le censure relative alle limitazioni orarie, i giudici dichiarano inammissibile il motivo di ricorso in quanto le disposizioni regolamentari impugnate non sono di diretta e immediata applicazione: la disciplina sugli orari di apertura e chiusura delle sale slot e di funzionamento degli apparecchi, ai sensi dell’articolo 50 comma 7 del TUEL, è stabilita dal Sindaco con apposita ordinanza. Nel caso di specie, è lo stesso Comune a rilevare la non autoesecutività della previsione regolamentare.
Da queste considerazioni discende che, in assenza di provvedimenti applicativi, non sussiste una lesione concreta e attuale della posizione soggettiva del ricorrente, risultando per questa via carente il suo interesse a ricorrere.
In altre circostanze (si veda questa scheda dell’area riservata), i giudici hanno riconosciuto che la previa deliberazione regolamentare costituisce, nel caso in cui essa sia presente, un vincolo alle successive scelte sindacali.
I motivi dell’inammissibilità: il distanziometro. Anche per quel che concerne il distanziometro, la censura dell’esercente, che lamentava un effetto espulsivo in conseguenza dei limiti distanziali previsti nel Regolamento, viene dichiarata inammissibile per l’assenza di un interesse a ricorrere, non essendo il locale in esame destinatario di alcun provvedimento di chiusura o di rilocalizzazione in applicazione delle misure distanziali. È carente, quindi, anche in questo caso, il profilo della dimostrazione di una lesione concreta e attuale della propria posizione giuridica, e dunque l’interesse a ricorrere.
Quanto espresso è in linea con altre pronunce della giurisprudenza (si veda questa scheda).
(a cura di Marco De Pasquale)