La normativa. Il Comune di Ferrara, con l’ordinanza sindacale 62893/2016, ha disciplinato gli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi da gioco nel territorio comunale. In particolare, l’orario di esercizio è fissato dalle 9 alle 13 e dalle 15.30 alle 21.
Con la deliberazione giuntale 301/2016 sono state invece stabilite le sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie in caso di violazione dell’ordinanza.
Il caso. Avverso questi provvedimenti hanno sollevato ricorso due esercenti del settore del gioco operanti nel comune di Ferrara. Il TAR per l’Emilia-Romagna si è pronunciato con le sentenze 854/2021 e 858/2021 che qui si analizzano congiuntamente.
L’istruttoria. Tra le prime censure sollevate dai ricorrenti si trova quella relativa all’asserito difetto di istruttoria che caratterizzerebbe i provvedimenti impugnati.
Il TAR, nel respingere questo motivo di ricorso, rileva anzitutto (con CDS 5225/2020) che principio generale della materia è la previsione che le limitazioni orarie sono uno “strumento di lotta al fenomeno della ludopatia”.
I giudici notano inoltre che l’ordinanza di determinazione degli orari dà adeguatamente conto dei dati del SERT dell’ASL di Ferrara, dai quali si ricava un “incremento esponenziale” (+114,51%) nel periodo 2010-2014 del numero di soggetti affetti da ludopatia, a cui va aggiunta la cifra (oscura) del fenomeno sommerso: una situazione che, nell’ordinanza, viene presa in esame sia per le conseguenze sociali dirette (i costi sanitari) sia per quelle indirette, riscontrabili nel “calo di rendimento lavorativo e [n]ella perdita di reddito, che colpiscono il nucleo familiare e generano allarme sociale”.
La regolamentazione pubblica. Il TAR sottolinea, quindi, che “l’attuale indirizzo legislativo è nel senso di ritenere misura idonea e necessaria ad arginare il fenomeno della dipendenza da gioco l’individuazione di limiti al suo esercizio”, senza che ciò si debba leggere come un passo nella direzione del proibizionismo nei confronti del gioco: tutt’altro, con CDS 8563/2019 il Collegio evidenzia che si tratta di un’attività di regolamentazione in corrispondenza di luoghi o situazioni particolari.
Del resto, è un indirizzo coerente anche con il dettato costituzionale: il principio della libertà di iniziativa economica privata di cui all’articolo 41 della Costituzione trova il proprio indefettibile argine nel “contrasto con l’utilità sociale”, come ricordano i giudici.
Il principio di proporzionalità. Anche l’ulteriore censura relativa all’asserita violazione del principio di proporzionalità e all’assenza di un contemperamento fra i diversi interessi in gioco viene respinta.
I giudici considerano correttamente superato il “test di proporzionalità”, per cui la misura di limitazione degli orari può dirsi caratterizzata da:
1) idoneità del mezzo a raggiungere lo scopo;
2) adeguatezza (cioè sostenibilità da parte del destinatario, ad esempio mediante una diversa organizzazione dell’attività di impresa, comunque possibile);
3) stretta necessità (comportando il minor sacrificio possibile per gli interessi privati coinvolti).
Il tutto va letto nell’ottica propria del Comune, che non è certo quella, secondo i giudici, “di eliminare ogni forma di dipendenza patologica dal gioco”, ma di “prevenire, contrastare, ridurre il rischio di dipendenza patologica derivante dall’utilizzo di apparecchiature per il gioco”: in questo senso, quindi, non vengono ammesse nemmeno le doglianze relative alla disparità di trattamento con altre forme di gioco.
Le competenze degli Enti locali, la delega al Governo e l’Intesa. Sostengono i ricorrenti che, avendo il legislatore conferito al Governo una delega per il riordino delle disposizioni in materia di giochi pubblici, gli Enti locali non potrebbero, nell’attesa, adottare discrezionalmente misure restrittive come quelle in oggetto e, in ogni caso, non sarebbe loro consentito di violare il contenuto dell’Intesa raggiunta nell’ambito della Conferenza Unificata.
Su quest’ultimo punto, i giudici ribadiscono l’orientamento prevalente in giurisprudenza, secondo cui all’Intesa non può attribuirsi carattere vincolante non essendo stata recepita con decreto; nel caso specifico, peraltro, soccorre anche un’altra ragione: l’Intesa, infatti, non era ancora stata sottoscritta nel momento in cui è stata emessa l’ordinanza in esame.
In ogni caso, i giudici escludono possa “ragionevolmente configurarsi una ‘totale paralisi’ dell’attività amministrativa” degli Enti locali in materia, nell’attesa di ulteriori provvedimenti di riordinamento a livello centrale.
Il potere sindacale di disciplinare gli orari dei pubblici esercizi (tra cui rientrano senz’altro anche “le attività di intrattenimento espletate all’interno delle sale giochi e degli esercizi in cui siano stati installati apparecchi di gioco lecito”), ricorda il Collegio, trae il suo fondamento dall’articolo 50, comma 7, del TUEL.
La previa consultazione degli operatori del gioco. Infine, i giudici escludono che l’ordinanza possa essere censurata per la mancata consultazione degli operatori del gioco in fase di emanazione: rileva il Collegio, infatti, che ai sensi dell’articolo 13 della legge 241/1990 le disposizioni in materia di contraddittorio preventivo “non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione” come quelli in oggetto.
(a cura di Marco De Pasquale)